il felicione

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il felicione
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IL FELICIONE
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PERIODICO BIMESTRALE
Anno I Numero 3
Marzo 2010
IVANNEUM
ANNO I NUMERO 3
MARZO 2010 [ ex antiquo >
►► INDICE
►
[ Incipit >
5
M Lorenzini
►
[ Una piramide in Urbino? - Intervista a
Matteo Lorenzini >
7
E Cesarini
►
[ Letteratura europea e medioevo
latino e riposo >
16
L Mereni
►
[ Liriche nonsocchesi >
18
C Lorenzini
►
[ Cresciolandia >
19
E Cesarini
►
[ Dall’acqua (III episodio) >
21
M Lorenzini e L Mereni
►
[ La transizione - Fotoromanzo >
29
M Lorenzini
◄ IN COPERTINA - Sentiero sui calanchi (Civita di Bagnoregio VT)
Foto di L. Pampaloni
◄ Chapas (Messico)
La grandiosa mole della
piramide di Palenque, sede
della tomba di sire Pacal,
più noto come “astronauta
di Palenque”.
Foto di F. Lucarini
ANNO I NUMERO 3
Marzo 2010
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Incipit
di Matteo Lorenzini
La suggestiva copertina di questo numero pone ammiccante una
domanda. Che cosa ci giunge dall’antico? Molte risposte, tutte valide,
verranno in mente a ciascuno di voi lettori. Oggi il Felicione vuole dare le sue
risposte: interessanti, curiose e perfino sagge.
Dalla profondità allucinante del passato proviene un misterioso
retaggio, il messaggio insinuante di civiltà dimenticate, simboli perduti ed
intere epopee tramontate. Esistette davvero Atlantide? E se sì, dove si
trovava? Le grandi piramidi di Giza sono realmente sepolture di re? E’ la
Sfinge, poi, il ritratto di pietra del faraone Chefren, o si tratta di un’ipostasi
del Leone celeste, scolpita nel calcare decine di migliaia di anni fa, come i
segni d’erosione sui suoi fianchi lascerebbero supporre? Noi abbiamo
fornito una versione in parte ironica e scherzosa delle interpretazioni
indipendenti e archeoastronomiche del linguaggio parlato da questi antichi,
eccezionali monumenti. Ma non vi è una vera critica nei confronti di un
metodo d’indagine che deve in realtà molto al razionalismo ed al positivismo
propri anche alla cultura scientifica ortodossa. Non sono forse perfettamente
logiche certe deduzioni di Kolosimo, suscitate da un’attenta riflessione e in
qualche modo ispirate da un assoluto laicismo e scientismo? Se vogliamo
riconoscere a questi autori indipendenti, i vari Bouvais, Homet, Hancock, una
ingenuità autentica, è proprio nel loro credere ciecamente alla ragione che
ne vediamo la manifestazione. Nella nostra opinione, poco importa quanto
reali e meno ancora plausibili o dimostrabili siano certe ipotesi su civiltà
scomparse, enigmi perduti e influenze extraterrestri nel passato: quello che è
importante davvero è il fatto innegabile che un’infinità di oggetti, tradizioni,
luoghi, testi ci portano dal passato l’insegnamento saggio e prezioso di un
mondo straordinario e inestinguibile che con la ragione e con la scienza ha
poco, se non nulla, a che fare. La tecnologia ci ha intrappolato in una
prospettiva allucinante di causa-effetto, dettando arrogantemente (e molto
ingenuamente) il suo limitato ipse dixit. Ma i fantasmi suffumicanti di un
oscuro atavico sogno tornano a tormentarci nelle pietre megalitiche, nei
monumenti inspiegati, nei nomi immaginifici di Mu e Gondwana, e sembrano
dirci parole di grande portata: realtà è sogno, e sogno è libertà.
Dal passato arriva anche la tradizione, prima di tutto culinaria. Pochi
pensano alla cucina in termini di evoluzione, lasciando questo termine al
campo semantico di scimmie e protozoi. Ma è nella storia dei piatti tipici che
trovo il fil rouge della selezione naturale: nell’avvicendarsi e nel sostituirsi di
ingredienti ed elementi, di tecniche e modalità, che sembrano in modo
strettissimo legate ai mutamenti storici ed economici. L’emergere dei
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pomodori e delle patate è, nella mia immaginazione, paragonabile se non
identico alla disastrosa caduta di un meteorite gigante. Ha portato
all’estinzione di un numero imprecisato di piatti e ricette, tale che noi non
potremo mai valutarne nemmeno approssimativamente la portata; e se di
dinosauri ed antichi mammiferi sono rimaste le ossa, che rimane oggi di
quelle lontane leccornie? La “rivoluzione copernicana” delle patate e dei
pomodori ha cambiato radicalmente, e per sempre, il modo stesso di
concepire la cucina. Ed oggi che i meccanismi di selezione si sono spenti in
ogni ambito, biologico come enogastronomico, l’evoluzione della cucina si è
fermata: come cambieranno adesso i piatti e le ricette? Chi ne elaborerà e
ne guiderà le innovazioni? Per fortuna, possiamo ancora attingere alla
sapienza degli avi ed alla loro deliziosa, saporosa tradizione.
Nella civiltà del lavoro, dove non solo le possibilità dell’individuo ma
la sua stessa percezione di sé dipendono strettamente dalle ore di lavoro e
dalla realizzazione che in esso trova, è straordinario poter ricevere da un
passato nemmeno troppo lontano la dolce consacrazione del riposo, come
conclusione, perfezione del lavoro. E se l’opera scritta è il labor per
eccellenza, e se il significato della parola latina labor è proprio fatica, ancor
più significativo è l’insegnamento di questi antichi maestri, persuasi che la
grandezza del loro lavoro compositivo fosse proprio nella sua eccezionalità,
resa possibile dalla consuetudine del riposo. Secondo voi, si identificavano
essi con il loro lavoro? Erano ancora uomini, o già macchine? Gli uomini di
oggi trascorrono infanzia ed adolescenza a progettare se stessi, ed il resto
della vita semplicemente a funzionare.
Nel presentare con orgoglio questo terzo numero del Felicione,
desidero ringraziare tutti quelli che hanno reso possibile, e renderanno
possibile in futuro, il raggiungimento di questo traguardo, che per me è stato
a lungo un sogno. Non avrei creduto, dico il vero, che si realizzasse: e se già
tre numeri sono per me un successo, auguro davvero al Felicione una lunga
vita, e che possa anch’esso trasmettere, in qualche modo, un messaggio al
nostro futuro. Grazie ancora perciò, e buona lettura. ■
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Una piramide in
Urbino?
Intervista a Matteo Lorenzini
di Elisabetta Cesarini
In provincia di Pesaro-Urbino, nei pressi di Piobbico (noto ai più come
paese dei brutti), esiste un complesso collinare di aspetto piramidale, più
volte portato alla ribalta per le teorie di Matteo Lorenzini, che suppone
esso sia di costruzione umana. Vuole inoltre farlo risalire addirittura a
12.000 anni fa.
◄ Stemma del Club dei
Brutti di Piobbico (PU)
Indagini sul sito hanno permesso di determinare l’assenza di qualunque
artificio umano risalente a epoche antiche. Gli scienziati hanno criticato le
autorità urbinati che hanno incoraggiato queste asserzioni affermando che
questa è una frode crudele nei confronti di un pubblico fiducioso e non trova
posto nel mondo della vera scienza.
◄ Piobbico (PU)
Veduta del castello e del
ponte, alle falde del massiccio
del monte Nerone.
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La collina, alta 940 metri, alle cui pendici sorge l’antico borgo di
Colombara, sede del Mappamondo più grande del mondo, ha una forma
vagamente piramidale. L’idea che potesse essere una piramide è stata
divulgata da Matteo Lorenzini, un astrofisico fiorentino con ambizioni di
archeoastronomo alla Peter Kolosimo, abitudinario dei luoghi perché amante
della crescia .
◄ Colombara (PU)
Vista aerea della piramide di
Colombara. La geometria
piramidale è evidenziata da
linee rosse.
Immagine di Google Earth
I suoi futuri scavi sul sito porteranno alla luce, secondo lo stesso
studioso, un piano di entrata, dei cunicoli pavimentati e blocchi di pietra con
intonaco che si suppone fossero la copertura della struttura. Lorenzini ha
affermato che lo scavo coinvolgerà una squadra internazionale di studiosi
provenienti da tutto il mondo, Terrasanta, Romagna, Montefeltro, Irlanda,
Svezia e Romania.
◄ Colombara (PU)
Rilievo altimetrico della
piramide di Colombara. La
geometria piramidale è
evidenziata da linee rosse.
Immagine di Google Maps
Per indagare meglio la questione che tanto scalpore ha sollevato, ho
pertanto il piacere di intervistare l’artefice della scoperta, nonché promotore
del sito e dei lavori di scavo che inizieranno a breve, il Prof. Matteo
Lorenzini.
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◄ Colombara (PU)
Panorama della frazione di
Colombara, non lontana da
Piobbico.
Buongiorno, lei è il Prof. Matteo Lorenzini nato a Firenze nel ‘77,
esperto di archeoastronomia. Quali studi ha effettuato per diventare così
illustre nel suo campo?
Salve. Innanzitutto mi complimento con lei per la deferenza che
dimostra nei confronti della mia augusta persona, il che e' certo dovuto ma
comunque piacevole. D'altronde non mi e' difficile immaginare come sia bello
onorarsi della mia presenza. Ma veniamo alla domanda.
Innanzitutto nel campo dell'archeostronomia e delle scienze
criptostoriche in generale l'esperienza sul campo è l'unica vera scuola. Non
troverà un'accademia vera e propria di Scienza Archeoastronomica,
neppure, a maggior ragione, un'Università che rilasci diplomi; invece, un
gran numero di personalità originali ed eminenti hanno prodotto opere
magistrali alle quali, come a fonti vive, ho colmato la mia sete di conoscenza.
◄ Colombara (PU)
Nelle vicinanze del borgo è
possibile visitare il
mappamondo più grande
del mondo. L’interno della
sfera è visitabile: vi
possono entrare fino a 600
persone.
Mi lasci citare qui Graham Hancock, tra i piu' recenti, l'indimenticato
Bouvais, pilastro dell'archeoantropologia, il pioniere colonnello Churchward,
il professor Marcel Homet, i geniali ed accademici Dechend e De Santillana,
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e nel campo della astromitologia sir Robert Graves, Gianna Chiesa Isnardi,
Felice Vinci e Thomas Rolleston, solo per citare alcuni nomi; ed in ultimo, ma
non certo in ordine d'importanza, il primo ed il più grande archeoastronomo
che possa dirsi tale: il magnifico Peter Kolosimo, al secolo Pier Domenico
Colosimo, un orgoglio tutto italiano.
Ma quindi lei non ha seguito una carriera accademica per così dire
canonica?
Non esiste una carriera canonica nella disciplina della quale mi ritengo
esperto. Vede, l'archeoastronomia si muove, per così dire, attraverso la
scienza cosiddetta canonica, cercando di usare i suoi stessi metodi,
perfezionati, per arrivare a quelle conclusioni che, seppure implicite nella
ricerca stessa, la scienza tradizionale è costretta a rifiutare in virtù della
sua natura conservatrice. In effetti, se per un verso sarebbe più semplice
ottenere credibilità attraverso una “canonizzazione” delle tesi della ricerca
indipendente, dall'altra è proprio grazie alla mancanza di questi vincoli che
il ricercatore dell'archeologia spaziale ha mani libere e mente aperta. Le
faccio un esempio. Quando Kolosimo per la prima volta suggerì al mondo
che l'homo sapiens sapiens doveva essersi evoluto su una linea distinta
dall'uomo di Neanderthal, del quale doveva essere stato in qualche modo
contemporaneo, la sua tesi, per quanto poi si è rivelata esatta ed è oggi
accettata pacificamente, creò scalpore ed un clima avverso. Ma oggi gli
stessi difensori di quella tesi un tempo detta “eretica” non sarebbero
altrettanto aperti verso chi dicesse, ad esempio, che l'uomo non può
discendere da nerboruti scimmioni, cosa che tuttavia leggiamo ancora, e con
consolazione, nei libri del Maestro. In definitiva, l'archeologia spaziale deve
riconoscersi solo nella propria capacità di lucidità ed indipendenza: il buon
ricercatore archeoastronomico deve rinunciare a legami e pastoie quali sono,
ad esempio, i riconoscimenti di una carriera accademica.
Molto interessante, ma cerchiamo di addentraci di più
sull'argomento per il quale le ho richiesto questa intervista. In questi
ultimi mesi le sue affermazioni hanno creato molto scalpore tra la
stampa e spesso si sono lette anche dichiarazioni contraddittorie. Ci parli
della famosa Piramide di Urbino, che cos'è?
Prima di parlare di questa, che promette di essere una delle principali
scoperte della mia brillante carriera, certo di gran lunga più importante di
quanto abbia mai ottenuto seguendo i desueti e miopi metodi di ricerca
della scienza fisica, vorrei inquadrare il problema in una prospettiva più
vasta.
Anni or sono, Kolosimo stesso si preoccupò di insinuare l'idea scomoda
che la piramide, paradigma architettonico diffuso ampiamente in regioni tra
loro lontanissime del globo, non sia altro che il retaggio comune di
antichissime conoscenze, tramandate per millenni e scaturite da una
misteriosa “fonte di altissima civiltà” collocata in qualche punto del nostro
lontanissimo passato.
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Non starò qui a ricordare, per un pubblico fin troppo bene edotto in
queste cose, quale quello dei lettori del Felicione, tutte le tappe successive
della ricerca piramidologica, d'altronde è sufficiente una lettura delle opere
sempre attuali di G. Hancock per farsi un'idea più' o meno completa delle
principali questioni attinenti.
Tuttavia lasci che faccia menzione di tutti quei siti che di recente,
accanto a quelli assai ben conosciuti quali Giza, il Messico e la Cina
protodinastica, si stanno affacciando quali probabili resti di antichissime
piramidi, erette da civiltà sconosciute. Va da sé che, se tali piramidi
dimenticate esistono, la scienza tradizionale dovrà arrendersi alla fine
all'idea che, eoni fa, la terra fosse abitata da una razza di elevatissimo
livello culturale e tecnologico.
Mi riferisco soprattutto all’ormai celebre caso della piramide bosniaca
di Visoko celata a quanto sembra da decine di migliaia d’anni sotto
l’insospettabile aspetto di collina sormontante l’omonima cittadina. Si deve a
Semir Osmanagić, mio collega, nonché prestigioso esponente
dell’archeoastronomia dilettantesca, la riscoperta delle origini artificiali di
questo grandissimo complesso architettonico.
D’altronde, a ben osservare le foto che ritraggono la cittadina e la
collina in questione, non sarebbe stato difficile per un ricercatore di media
intelligenza, ma sufficiente apertura mentale, intuire l’esatta rispondenza
della struttura del rilievo ad una fin troppo regolare geometria piramidale.
Mentre gli scavi diretti da Semir Osmanagić in Bosnia proseguono,
creando sempre più imbarazzo ai luminari dell’archeologia internazionale ,
molti in Italia, probabilmente stimolati da questo illustre precedente, hanno
individuato e segnalato nei più diversi e inattesi luoghi, formazioni naturali
approssimativamente piramidali, che nella mia opinione non mancheranno
nella gran parte dei casi di riservarci notevoli sorprese. Mi riferisco per
esempio a Sant’Agata dei Goti, Vesallo, Montevecchia e infine Pontassieve,
a poca distanza da Firenze dove sono state rinvenute tre formazioni
piramidali disposte in modo analogo alle tre piramidi di Giza.
◄ Visoko (Bosnia)
La collina di Visocika
incombe, con le sue forme
regolari, sulla città di Visoko.
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E la tanto decantata Piramide di Urbino è uno tra i tanti casi che ci
ha citato?
Certo, uno tra i tanti, ma oserei dire il primo tra i tanti. Ma andiamo
con ordine. La scoperta della così detta piramide di Urbino (o per maggior
precisione, Piramide di Colombara) risale a circa 2 anni fa. In quell’epoca
reduce da anni di gratificante lavoro nel campo della monumentologia1
comparata, iniziavo a dedicarmi ad un nuovo campo; mi recai nelle
vicinanze di Urbino sui monti della Cesana, per indagare da vicino lo
sconcertante fenomeno delle così dette “autostrade aliene”. Ero in
compagnia di due validi studiosi, la Dott.sa Cesarina Porcobesi2 e il Dott.
Enrico Campagna, quest’ultimo tra l’altro esponente della scuola che fa
capo ad un grande nome della contemporanea scienza indipendente, il
Professor Corrado Malanga dell’Università di Pisa. Fu con loro che,
attraversando il tratto appenninico della statale apecchiese, ebbi modo di
notare (e come non restarne colpiti?) il netto profilo piramidale della collina
che sotto il monte Nerone sovrasta il borgo di Colombara. Ricordo ancora
che tra di noi fin da quel primo momento, non vi fu alcun dubbio riguardo
all’origine artificiale del rilievo. Ricordiamoci che stiamo parlando di un
enorme tumulo la cui base, approssimativamente quadrangolare, misura di
lato la bellezza di 1 Km. Questo fatto unitamente all’incredibile pendenza
delle superfici laterali ci convinse subito che solo una civiltà con
inimmaginabile nozioni ingegneristiche poteva aver eretto un così ardito
monumento in modo tale che sopravvivesse alle decine di migliaia di anni.
Elisabetta Cesarini: Una volta resosi conto della scoperta che aveva
davanti qual è stata la prima dichiarazione ufficiale che ha rilasciato? E
soprattutto a chi si è rivolto per avere un sostegno?
Matteo Lorenzini: Innanzitutto devo dire che sebbene molto colpito
dalla scoperta, nei mesi immediatamente successivi non ebbi tempo da
dedicare ad eventuali approfondimenti, a causa degli impegni legati alla
ricerca sulle alien highways. Appena possibile, tuttavia, ovvero nell’autunno
del 2008, ho organizzato un sopralluogo esplorativo con la dott.ssa
Porcobesi, al fine di compiere alcuni rilievi preliminari per un successivo e più
ampio studio. Fu in quella occasione che prendemmo anche le prime
immagini digitali della montagna, che immediatamente dopo pubblicammo
su web, riscuotendo sin dal primo momento entusiastici apprezzamenti, ma
anche, e forse dovrei dire sopratutto, secche critiche. Per fortuna, a seguito
della pubblicazione di queste foto, ho subito trovato un valido appoggio
nella persona illuminata del Sindaco di Urbino Corbucci, che mi ha chiesto un
incontro per rilasciare una dichiarazione congiunta alla stampa scientifica. A
differenza di altri ingessati personaggi della scena politica italiana, il Dott.
Corbucci e i suoi collaboratori, tra i quali vorrei in particolare ricordare
l’attivista
Dott.ssa Gheller,
hanno dimostrato di saper riconoscere
un’occasione unica di crescita del territorio oltre che della conoscenza. E’
1
Questi studi sono stati coronati dalla recente revisione di un interessantissimo lavoro,
pubblicato in forma ristretta col titolo “ Il mio bagno” che dovrebbe far parte del bagaglio
culturale di ogni buon lettore di archeoastronomia.
2
Assistente dal 2006 del Prof. Birkenmeyer dell’Università Friederich-Schiller di Jena
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proprio grazie a questa autorevole mallevadoria che ho potuto con grande
soddisfazione ricevere la laurea honoris causa in Scienze della
Comunicazione presso l’Università Carlo Bo di Urbino, riconoscimento che mi
onoro di condividere con Valentino Rossi , Vasco Rossi e Franco Califano.
Certo tutte queste onorificenze mi colpiscono, ma poi per continuare
i suoi studi sul sito della presunta Piramide avrà avuto bisogno di
finanziamenti. E’ riuscito ad ottenerli? in che modo?
Diciamo che l’aspetto finanziamenti è sempre un problema in questi
casi. Tuttavia, grazie ad una modesta somma assegnatami dall’Università di
Urbino, ai proventi di una giornata di studio promossa nella primavera
successiva sul sito della Piramide dal locale gruppo di Avventure nel Mondo
e agli introiti di una porchettata organizzata a Piobbico dal locale Club dei
Brutti, abbiamo avuto fondi sufficienti per una prima indagine ad ampio
spettro sulle caratteristiche della geomorfologia del sito, ottenendo numerosi
ed interessantissimi risultati. Attualmente proprio grazie a questi risultati
preliminari, assieme ad alcuni collaboratori stiamo sottoponendo al ministero
della pubblica istruzione una domanda fondi nell’ambito dei progetti PRIN
(Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale).
Ho letto alcune sue dichiarazioni, lei parla di un team
internazionale di collaboratori. Chi sono questi studiosi di cui si avvale e
da dove provengono?
Oltre al doveroso coinvolgimento del già citato Prof. Semir
Osmanagić, che sta svolgendo presso la comunità europea il ruolo di
referente per tutti i progetti di Archeopiramidologia nell’ambito del settimo
programma quadro (FP7) della UE, ho avuto la fortuna di ricevere la
spontanea collaborazione di molti illustri nomi della ricerca indipendente,
molti dei quali ho l’onore di conoscere personalmente. Potrei fare in primis il
nome
del Prof. Filippo Valguarnera, attualmente docente di
Archeoastronomia del Diritto presso l’Università indipendente di Uppsala
(Svezia), uno dei massimi esperti viventi delle teorie rivoluzionarie
◄ Cork (Irlanda)
Rarissima immagine di
gemmazione ovulare su
pareti di micropiramidi.
Cortesia del Tyndall Institute.
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dell’ingegner Felice Vinci. Anche il Dott. Lorenzo Mereni, dell’istituto Tyndall
a Cork (Irlanda) per le ricerche sull’intrudologia aliena e la micropiramidologia (campo di recentissima nascita), ha mostrato grande interesse
nei nostri progetti, ed è grazie alla sua intercessione che abbiamo potuto
esaminare una delle più enigmatiche immagini di gemmazione ovulare su
pareti di micro-piramidi. Vorrei inoltre ringraziare per i preziosi consigli la
futura Dott.ssa Camilla Porcy della agenzia spaziale rumena, giovane
ricercatrice dotata di intuito e soprattutto di una vastissima cultura in
materia.
Ritengo veramente di grande qualità il team di cui ci ha parlato.
Viste le brillanti menti coinvolte, quali sono le prospettive che avete
davanti? Che cosa pensate di poter scoprire?
Grazie agli anni di studi preliminari già compiuti, ci siamo fatti un’idea
a grandi linee di quello che doveva essere il contesto originale della
Piramide di Colombara. Innanzitutto la data della sua prima edificazione
deve di necessità risalire almeno a 12-14 millenni prima di Cristo; questa
datazione ci è suggerita soprattutto da paralleli evidenti con le altre grandi
piramidi di Giza. E’ pressoché certo che la Piramide che studiamo,
rappresentando, come le sue più famose cugine egiziane, la posizione di
una stella all’interno di una costellazione (probabilmente Eta-Carinae),
debba essere inserita in una rete di molte piramidi simili: il che significa che
altre piramidi devono essere nascoste nelle vicinanze. Ma dove? Oggi non
ne vediamo traccia. Il geologo Marco Benucci della sezione geomineralogica
della multinazionale svedese IKEA, sostiene che tali piramidi potrebbero
essere nascoste sotto le masse metamorfiche dei rilievi vicini, in particolare il
Monte Nerone. Se ciò si rivelasse vero, saremmo costretti per ovvi motivi a
retrodatare l’edificazione del complesso astromimetico a decine di milioni di
anni fa, quando la zona del monte Nerone era occupata da una pianura
irrigua coperta da vegetazione tropicale, molto simile al moderno Yucatan.
A partire da queste osservazioni, stiamo valutando, assieme al comune di
Urbino ed alla multinazionale IKEA, la possibilità di compiere perforazioni
esplorative nel mantello del massiccio del Nerone, in cinque zone che
abbiamo individuato come probabili sedi di altrettante strutture piramidali.
In questo studio abbiamo coinvolto anche esperti dell’Università di Pisa e
Firenze, in contatto con il dott. Campagna, ovvero fondamentalmente il
gruppo del professor Stanga, che dispone di sensibilissimi accelerometri in
grado di ricostruire letteralmente l’aspetto del sottosuolo, usando
avanzatissime tecniche di rendering acustico, al fine di individuare strutture
regolari sepolte nella roccia. Per quel che riguarda la piramide stessa,
abbiamo compiuto numerosi sopralluoghi e presto inizierà una campagna di
scavi finanziata dall’Unicoop Firenze; speriamo di trovare quanto prima
evidenza delle nostre tesi, al fine di zittire una volta per tutte le voci
tendenziose e miopi dei nostri detrattori.
Davvero sorprendente, ci aspettiamo quindi molto presto nuove
scoperte da parte sua e del suo team. Una domanda da non addetta ai
lavori, diciamo un suggerimento per i nostri lettori. Ci consiglia la visita
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del sito archeologico e delle zone limitrofe? Potrebbe un visitatore
estraneo a queste teorie rivoluzionarie apprezzarne la suggestione?
In definitiva, credo che qualunque persona dotata di media
intelligenza e non troppo assuefatta alla decadenza dei nostri tempi,
rappresentata così bene da trasmissioni televisive e prodotti sub-culturali
assai diffusi, potrebbe senz’altro apprezzare il fascino che scaturisce
immediato dall’imponente profilo della piramide di Colombara, reso ancor
più evocativo dall’incombente mammellone del Monte Nerone. Se posso
dare ancora un ultimo consiglio, vi invito caldamente a visitare il sito nei
pressi della prossima Pasqua, allorché sarà possibile reperire in quel di
Urbino non solo l’ottima crescia sfogliata , ma anche la deliziosa e
corroborante crescia di Pasqua.
Bene, la ringrazio enormemente per le spiegazioni che ci ha fornito
e anche per i preziosi consigli di archeogastronomia che ci ha elargito. La
aspetto per una nuova intervista quando avrà altre importanti scoperte
da annunciare. ■
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Letteratura europea
e medioevo latino
e riposo
di Lorenzo Mereni
Carissimi messeri tutti, amorosi e riposati lettori, questa volta voglio
contribuire alla nostra prestigiosa rivista con un intervento più culturale del
solito. Spero che non vi stanchiate tuttavia.
Cercando sollazzo serale dalle faticose e numeriche letture alle quali
sono costretto dalla mia attuale attività, mi trovavo a sfogliare un’antologia
di donna Mariasilvia intitolata “Letteratura Europea e Medio Evo latino”.
Trattasi di opera scritta dal professor Ernst Robert Curtius che dopo fortune
alterne, con le quali, si sa, tutte le persone di un certo livello sono costrette a
fare i conti, per citare un caso eclatante basti pensare al prof. Corrado
Malanga, trova finalmente il suo posto tra i classici della filologia e critica
novecentesca soltanto dopo la seconda metà dello scorso secolo.
A questo punto voi mi chiederete:
-Che cosa tutto ciò ha a che fare con il Felicione?Ed io vi risponderò:
-Come l’uomo si unisce con la donna, così un paragrafo di questa
opera illustre si amalgama per contenuti al tema fondamentale da noi quivi
trattato: quello dello spirito quieto per non usare la sgradita anglofonia
“quiet spirit” che appariva nella copertina del primo numero.In un certo senso mi sto anche riconducendo ad un brano apparso
sempre nel primo numero, vergato con maestria dalla prestigiosa penna di
messiè Pampalonì: la meravigliosa Ode al Riposo che trova la sua più
sublime realizzazione nell’incompiutezza.
Ecco qui che il Curtius percorre alcuni dei τό ποιpiù diffusi come esordi
nella letteratura antica e medioevale:
[Gettatevi nel fuoco, gesta degli eroi antichi! Fra gli illetterati infatti
il canto dell’allodola suona più dolce di quello del cigno]
Questi è Dioscoride nel 250 a.C. O anche:
[Omnia iam vulgata: quis non Eurysthea durum
Aut inlaudati nescit Busiridis aras?]
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[Tutto è ormai divulgato: chi non sa del duro
Euristeo, o dell’altare dell’empio Busiride?]
Questi è Virgilio che al pari del primo ribadisce l’importanza
dell’originalità lagnandosi delle storie abusate ed a tutti note, come fa
anche Dante nel Paradiso quando dice:
L’acqua ch’io prendo già mai non si corse.
Bene, ma scopriamo, continuando a leggere, che i τό ποι più belli - e
quale altra aggettivazione usare?- erano riservati alle chiuse delle opere.
Cito direttamente il Curtius :
“Il motivo che più frequentemente nel Medio Evo induceva il poeta a
terminare il suo scritto era la stanchezza. Poetare significava invero
compiere un lavoro faticoso. Spesso lo scrittore termina l’opera «per
riposarsi», oppure si rallegra che gli sia nuovamente consentito il riposo. Chi
legge ha la sensazione che il poeta, nel deporre la penna, provi sollievo.
Talvolta l’autore dichiara che “la sua Musa è ormai stanca”, talaltra che il
suo piede non resiste più al cammino…”
In nota a piè di pagina vi sono numerose citazioni dei testi originali,
ricca galleria di gustosi exempla:
Smaragdo (Poetae, I 615, n° XV 17s): carminis hic statuo finem
defigere nostri / Ut teneam requiem iam tribuente Deo [Decido di porre qui la
fine del mio poema / per aver requie per grazia di Dio].
Purchard (Poetae, V 227, 492): carminis hic dat clausola fertque
quietem / cure scribentis, quia labilis est labor omnis, / Premia sed simper
stabunt sine fine potenter [Qui la chiusa dà fine al poema, e porta con sé la
tranquillità / all’affanno di chi scrive, giacché labile è ogni fatica, / ma il
premio rimarrà in eterno, possente, senza fine]
Anonimo («NA» 2, 396, 215): haec ubi complevit, iam lassa Thalia
quievit [Una volta portati a termine questi versi, stanca, Talia si riposò]
Passio S. Catherinae, ed. Varnhagen 698: pennam pono fruor operisque
fine; quieti / Mentem reddo, manum subtraho, metra sino [Poso la penna, e mi
godo la fine del mio lavoro; alla calma / restituisco la mente, sottraggo la
mano, abbandono i versi]
Ugo di Trimberg, in chiusa del Registrum Jesu Christo [Ora in questo
libretto, fermo il passo stanco, / volgendo una preghiera nel nome del
Nostro Signore Gesù Cristo].
Queste le perle dei nostri padri che per caso trovò
E per voi le riportò su questa breve pagina
Laurentius Maereno Hiberniensis a sera già fatta.
Ma termina l’ora del giorno e termina l’opera. ■
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ANNO I NUMERO 3
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Liriche nonsocchesi
di Camilla Lorenzini
Chi dice che la quasi dottoressa Camilla Lorenzini non ha mai scritto
nulla di autografo prima della monumentale opera composta per la tesi in
Progettazione della Moda non sa forse che molte delle sue composizioni
precedenti, affidate a fogli volanti od alla sola tradizione orale, sono
andate sfortunatamente perdute. Non tutte però: ecco un caso straordinario
di testo autentico, parte originariamente delle dimenticate Liriche
nonsocchesi.
Se i Mastri Allegri delle feste voi sarete
Questo bel pacco voi riceverete
Per le vostre doti di nonsoccanza e nonsoccheria
Ho pensato ad una nota di allegria
Nell’Immondezzaio rovistando ho cercato
Ed un bel pacco profumoso ho trovato
“Per i Mastri!” ho detto soddisfatto
E veloce anche un bel fiocco ho fatto!
Se poi puzzoso per voi sarà
La vostra faccia si sfracellerà. ■
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ANNO I NUMERO 3
Marzo 2010
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Cresciolandia
Ricette, storia, tradizioni e cultura di Urbino
di Elisabetta Cesarini
CRESCIA DI PASQUA
Anche se il detto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi” sembra
invitare esplicitamente all’esodo dal proprio ambito familiare, non c’è
ricorrenza che vanti tanti piatti tradizionali come la Pasqua, quasi a voler
riunire, anziché disperdere (come vorrebbe il proverbio), la famiglia intorno
alla tavola.
Si tratta di piatti simbolici come l’agnello, segno di innocenza e
immolazione che rappresenta per i cristiani il corpo innocente di Gesù
crocefisso, mentre per gli ebrei è legato al passaggio dalla schiavitù alla
libertà della terra promessa; la colomba emblema di pace fra il cielo e la
terra o le campane che annunciano la gioia della Resurrezione dopo il
dolore della morte; l’uovo che è simbolo di nuova vita per gli ebrei e della
resurrezione di Cristo per i Cristiani.
La festività religiosa è ancora fortemente sentita e costituisce occasione
per ritrovare piatti dal sapore dimenticato, preparati con formule note o
segrete e custodite come patrimonio familiare.
In tutto l’Appennino centro-settentrionale (Romagna, Toscana, Marche e
Umbria) la colazione pasquale tanto attesa dopo il digiuno della Quaresima
era composta, per ogni commensale, dal tipico pane pasquale, alcune fette
di salame e uova benedette (il più delle volte sode). Il pane Pasquale è un
pane rituale con un forte valore cristiano, dimostrato dalla sua forma: tonda
con la parte superiore segnata dal simbolo della croce. Ha svariati nomi a
seconda della zona geografica in cui viene prodotto, e anche le ricette, per
lo più tenute segrete dalle famiglie, variano ingredienti e procedimenti.
Quello originario di Urbino è la Crescia di Pasqua.
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ANNO I NUMERO 3
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◄ Via Pellipario (Urbino)
Cuoca rinomata del panorama
urbinate, Maria Ruggeri Albicocco ha
contribuito alla stesura della ricetta
della Crescia di Pasqua.
Foto di Elisabetta Cesarini.
Viste le enormi differenze di sapore e ingredienti e gli svariati
accostamenti che si possono trovare da una tradizione famigliare all’altra, in
questo numero non possiamo entrare nei dettagli della ricetta della Crescia
di Pasqua, ma darvi solo la sommaria descrizione di una particolare Crescia
di Pasqua, a detta di tutti la migliore Crescia di Pasqua, quella che da anni
si prepara nella famiglia Albicocco di Urbino.
Riportiamo in breve la ricetta:
½ kg di farina, 5 uova, 200 g
di parmigiano grattugiato, 200g di
condimento (burro e olio), 3 panetti di
lievito di birra, buccia di arancia
grattugiata, noce moscata, sale e
pepe q.b. Mescolare farina e
formaggio, a parte sbattere uova con
noce moscata, arancio, condimenti,
sale e pepe. Sciogliere il lievito con
un po’ di acqua tiepida. Creare una
fontana con la farina e al centro
mettere tutto il resto. Amalgamare
l’impasto e lavorarlo con un po’ di olio fino a che non diventi omogeneo e
morbido. Ungere con lardo le speciali teglie di forma cilindrica, attendere la
lievitazione e infornare a 180° per 40 minuti.
Si consiglia di consumarla la mattina di Pasqua durante la tipica e
tanto attesa colazione, assieme a salumi, formaggio e uova, ma non sodate
(sarebbe troppo triste), bensì in una abbondante frittata con asparagi di
bosco, assai frequenti nei greppi urbinati, e perché no, un buon bicchiere di
vino.
Chi è così fortunato da avere legami con questa famiglia ha l’onore di
poterla mangiare anche fuori stagione. ■
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Dall’acqua
Terzo Episodio
di Matteo Lorenzini e Lorenzo Mereni
-E’ quello che stavo cercando di dirti maledizione. Stamattina è
arrivato un sommergibile a largo, dove ci sono le operazioni di recupero,
uno di quei piccoli sommergibili scientifici, con il fondo trasparente per
vedere i fottuti pesci; Murdock ha preso una barca insieme al suo schiavo e
ad un altro soldato, lo hanno raggiunto e si sono imbarcati… pare che
saranno impegnati nel recupero tutto il giorno. John forse la tua iperattività
è dovuta a stress… hai avuto un’operazione e non ti sei preso neanche una
fottuta settimana… forse dovresti fare una vacanza.John aveva ascoltato con attenzione incassando ogni parola come un
pugile fa con i jabs dell’avversario mentre aspetta l’occasione per sferrare il
colpo del KO: anche la sua mente intanto stava lavorando, cercava di
ricavare un senso da quello che gli veniva detto, un senso che escludesse
quello che James voleva tacitamente implicare, ovvero che si trovava nel
pieno di un esaurimento nervoso. Eppure non si sentiva affatto così: si sentiva
pieno di energie e positività e soltanto una cosa era ancora in grado di
fargli cambiare umore: il sergente Murdock. Beh anche i colleghi che gli
davano del pazzo non aiutavano molto. Tuttavia non fu in grado di sferrare
il suo colpo e non potette fare altro che rimettersi a lavorare in silenzio,
mentre gli altri nell’ufficio gli lanciavano fugaci occhiate di commiserazione.
Una vacanza. Sì, forse aveva bisogno di una vacanza.
Nonostante l’importanza del suo ruolo nell’Organizzazione, l’ufficio
del sergente Murdock era un locale piccolo e poco illuminato, ricavato in una
delle salette al piano mezzano dell’edificio. La leggera porta in alluminio, di
color aragosta, recava la sola dicitura “Direzione Operativa”. Dentro, una
scrivania di laminato grigio, curiosamente ordinata e sgombra, ed uno
scaffale zeppo di volumi e raccoglitori. Seduto dietro la scrivania, Murdock
fissava il suo interlocutore con sguardo indecifrabile. Teneva il gomito
appoggiato al tavolo e con le dita si tormentava i corti capelli arricciati sulla
fronte. Nessuna traccia dello schiavo.
- Aspetto la domanda consueta, sergente.- Bertram, quasi afflosciato
sulla sedia, ruppe il precario silenzio. I suoi occhi mobili, inquieti, si posavano
ora sul volto enigmatico di Murdock, ora sul vaso di vetro rosso, curiosamente
vuoto, esposto su un basso ripiano.
- Immagino che debba porla, nonostante la risposta sia evidente ad
entrambi.Bertram annuì.
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- Come vuoi.- Murdock cessò il movimento meccanico delle dita, e si
allungò sulla poltrona con un sospiro. – Com’è andata? Un fallimento,
suppongo.Il vecchio si drizzò sulla schiena, come per riguadagnare dignità. La
luce filtrava a malapena nella stanza da una piccola finestra sbarrata.
- Gli Accademici hanno fallito, infatti. Io ho fallito. Lo schema si è
ripetuto, inalterato.Il sergente prese da una tasca del giubbino mimetico una busta di
tabacco, aprì il cassetto della scrivania, ne trasse una pipa di foggia
moderna e per qualche secondo si dedicò ad accenderla. Nei suoi gesti era
possibile leggere una certa ostentata ritualità, quasi come se tramite essi
stesse elaborando un raffinato disegno.
- So che ti sarà oltremodo penoso, ma dovrai riferirmi su tutto. Non
dimenticare che io sento questo racconto per la prima volta, e devo sapere,
prima di scendere in mare.- Scriverò subito un rapporto. Stasera stessa. Potrai leggerlo nella
notte, come sempre. Non è poi così difficile, ricordo l’ultimo nei dettagli, e
quello che devo compilare non gli è molto differente.Dense volute di fumo iniziarono ad annaspare nell’aria scura, verso il
soffitto di cartongesso.
- Lo leggerò stanotte. Il gruppo parte domattina, ed io, ovviamente,
vado con loro.Poi Murdock si spinse in avanti, appoggiando le braccia conserte alla
scrivania. Guardò Bertram negli occhi, e nel suo sguardo si incrinò qualcosa.
- Temevo che sarebbe accaduto. Ma devi dirmi di più. Quante volte?
Dici di aver già scritto molti rapporti. Quante volte abbiamo fallito?- Sedici. Duecentoquaranta anni di iterazioni. Ho vissuto in totale quasi
quattro vite umane. Il che non sarebbe male di per sé, non fosse per il fatto
che, nelle linee generali, si sono ripetuti sedici volte gli stessi quindici anni.
Nauseante.-Sedici iterazioni.- Murdock aveva gli occhi sbarrati. – Comincio a
dubitare delle nostre possibilità.Bertram schioccò la lingua con soddisfazione. C’era qualcosa che non
poteva aspettare il rapporto, pensò. O Murdock si sarebbe demoralizzato
ancor più dell’ultima volta.
- Ma questa, la diciassettesima, non è del tutto uguale alle altre.Il sergente contrasse le palpebre in un involontario gesto di sorpresa.
Bertram lo tenne in sospeso ancora qualche istante; adesso gli occhi liquidi
del vecchio si erano fatti complici, e soddisfatti.
- Già. Ha colpito anche me. Tu ricordi bene come inizia questa fase,
no?Murdock annuì.
- Deve ancora iniziare, per me. E’ la regola.- Infatti. Sempre, nelle passate esperienze, dopo il fallimento sono
tornato esattamente al momento dell’inizio della fase. Questo è normale. E’
l’effetto Monopoli, alla fine di ogni partita si riparte sempre dal via. Ma
questa volta no. Sono tornato prima, diverse ore prima. Adesso sono qui, e
questa è una prova del mio anticipo. Dà da pensare, no?22
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Murdock tornò a tormentare il ricciolo sulla fronte. Interessante, molto
interessante. Incoraggiante, perfino.
- Quando precisamente sei tornato?- Circa tre ore fa. Mi sono trovato davanti John J., mi diceva qualcosa,
non ho capito bene. Ho percepito dei flussi in lui, come se fosse entrato nella
mia scia.La luce dalla finestra si faceva debole. Stava calando la notte, fuori.
Murdock ragionava ad alta voce.
- Sedici iterazioni, e adesso lo schema cambia. Potrebbe essere un
buon segnale.- Buono, davvero. – gli fece eco Bertram.- La congettura di Cassegrain
prevede una regressione preindotta.Il sergente sorrise. Pieghe d’espressione insolite si formarono su quel
volto usualmente contratto e impenetrabile.
- Cassegrain. Cassegrain.- Rise tra i denti.- E bravo il nostro Heckle.
Alla fine quel figlio di puttana di nerd ci aveva visto giusto. Allora è
vero…c’è un modo di vincere il Gioco!- Così sembra.Murdock adesso aveva uno sguardo da visionario. Si alzò perfino,
poggiando le palme sul tavolo.
- Se davvero le cose stanno così, l’effetto dovrebbe aumentare di
molto questa volta. Avanti, avanti. Dobbiamo proseguire, adesso, Jim. Tu sai
già fin troppo bene che cosa fare. Io, per parte mia, scenderò laggiù con i
miei ragazzi, domattina. Abbiamo studiato bene la mossa. Attraverseremo il
diaframma, e proseguiremo il piano, come deciso. Se vuoi darmi dei consigli,
è questo il momento, amico mio.Bertram parve sorpreso (e questo era piuttosto scioccante per lui), e
per un attimo esitò.
- Murdock, chiarirò tutto nel rapporto. Appena finito qui inizierò a…- Non c’è tempo. Il futuro mi aggiornerà su quello che hai visto. Questa
tua rivelazione cambia tutto, devo modificare gli ordini.- Un altro cambiamento dello schema- mormorò tra sé Bertram, tra il
perplesso e l’incredulo.
- Che hai detto? Non borbottare. Devo ultimare i preparativi per
domani. La nostra missione è cruciale, tu lo sai. Ho maledettamente bisogno
di sapere adesso se c’è qualcosa che devi dirmi.- Due cose, sergente.Murdock prese carta e penna, doveva annotare, doveva essere sicuro
di non trascurare quel che Bertram gli avrebbe rivelato.
- Primo. Un nuovo simbolo. Gli Accademici lo hanno trovato pochi
giorni prima della… fine del Gioco.- Un simbolo? Un nuovo, stramaledetto simbolo? E come hanno…fatto?- Hanno seguito la proposta di Hubert. Era tra i numeri di Gödel di
tipo incrementale, scritto là, a belle lettere, solo estremamente difficile da
decrittare. Un tassello ben nascosto, direi.- Dimmi qual è.Bertram ubbidì. Murdock impugnò la matita e scrisse, con mano incerta
per l’emozione, tre parole sul foglio. Palma da datteri. Poi tornò a fissare il
vecchio con impazienza.
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- Che altro?- Poco altro. Solo un’impressione. Una frase di un’antica epopea
mesopotamica. Mi è rimasta stranamente impressa, stamani, subito dopo il
ritorno, l’ho ripetuta per ore.- Quale frase?- Non ha nessun significato. Non capisco da dove sia venuta.- Non importa! Quale frase, per Ercole?- “All’inizio dei tempi, la regalità è salita dal mare”.Finalmente erano giunte le 6 p.m. ed era l’ora di andarsene. I moduli
per la richiesta di ferie li aveva già compilati, firmati, e dovevano solo
essere consegnati. John salì le scale per raggiungere l’ufficio del capo del
personale, ma lo trovò chiuso. Evidentemente il capoufficio si era dovuto
assentare prima quel giorno. Pensò di lasciare le carte sotto la porta e di
chiamare la mattina dopo per avere conferma dell’avvenuta lettura e della
concessione del permesso, anche se non aveva molti dubbi sull’ultima dato
che comunque da quando erano arrivati i militari il volume del lavoro era
calato molto. Si chinò per raggiungere la fessura sotto la porta, ma si
congelò a mezz’altezza, con le ginocchia piegate quando sentì giungere da
dietro di sé la stessa voce che lo aveva rimproverato la mattina: la voce del
sergente Murdock.
-Puoi lasciarli a me.- disse con il suo strano accento.
Meccanicamente John allungò verso il soldato i documenti senza
nemmeno pensare a quello che stava facendo.
-Molto bene, ferie. Permesso accordato.- disse mentre gettava uno
sguardo sul pezzo di carta.
-Molte grazie- disse John assumendo improvvisamente un’aria
altrettanto militaresca come per adeguarsi alla presenza dell’altro.
Murdock lo guardò e per un attimo la sua faccia sembrò assumere
un’espressione sorpresa.
-Buona serata, puoi andare adesso.- si congedò il soldato, si girò sui
tacchi e si incamminò lungo il corridoio scomparendo presto nel buio degli
uffici ormai deserti.
- In fin dei conti- pensò John – magari non è così male. E’ un soldato,
abituato ad essere obbedito senza questione, ha solo degli strani modi…Un pensiero giusto, molto razionale. Ma John non era uno stupido e
sapeva che un pensiero raziocinante non era in realtà nient’altro che una
evoluta e ben mascherata favola della buona notte. Una forma raffinata di
gesto apotropaico che voleva bandire la vera essenza della natura umana:
superstizione e paura.
Si avviò giù per le scale guardando dove metteva i piedi per non
cadere nel buio, intanto gli ingranaggi nella sua testa giravano a
vuoto…voleva capire, ma non poteva.
Più tardi, dopo una cena abbondante a base di tacchino, patatine e
burro d’arachidi, John stringeva in mano una lattina di Guinness. Le gambe,
incrociate, erano appoggiate con noncuranza sul basso tavolino di mogano,
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davanti al sofà. Accanto a lui, in atteggiamento simile, James osservava
concentrato lo schermo della televisione.
John sarebbe partito l’indomani, avrebbe preso un treno per il più
vicino aeroporto e di là sarebbe tornato a Creta, dove la famiglia della
madre, già avvertita, lo aspettava. Un periodo di riposo nel bel mezzo del
Mediterraneo. Caldo, tranquillità, vecchie abitudini. In fondo, se lo era ben
meritato.
Per il momento, aveva invitato James a cena. C’era la partita dei
Red Deers, via cavo, e sarebbe stato piacevole rivedere, prima di partire, le
smorfie dell’amico di fronte all’ennesima sconfitta della sua patetica
squadrucola. E in fin dei conti, un po’ di distrazione gli sarebbe stata d’aiuto,
per allontanare da sé pensieri indefinibili e sfuggenti che si era portato a
casa dal lavoro, e che non era stato in grado di ricondurre ad alcuna chiara
idea. Una sensazione fastidiosa, simile alla frustrazione, simile alle
tormentose ansie che talvolta si vivono nell’incerto spazio tra il sonno e la
veglia. Una serata tra amici, un po’ di birra avrebbero allentato la tensione.
Ma allora, perché nella tasca della camicia, sotto la felpa biancorossa dei Deers, prima dell’arrivo di James, aveva riposto con attenzione il
piccolo coltello col manico inciso, avendo cura di avvolgerne la lama in un
fazzoletto? Il peso ottuso dell’oggetto gli premeva sul petto, dandogli un
senso di fiabesca fascinazione. Perché non l’aveva lasciato nella custodia di
legno di faggio, che gli aveva fatto costruire da un artigiano del Juspers?
La folla inquadrata nello schermo si lanciò in urla e fischi,
richiamando per un attimo l’attenzione di John. La partita si era appena
conclusa, con il risultato scontato. John si volse verso James, per godersi la
sua espressione.
Stranamente, stasera l’amico non pareva particolarmente disperato,
come se della sconfitta subita non gl’importasse molto. Aveva appena preso
il telecomando in mano e stava per iniziare a scorrere i canali. Il suo volto
mostrava una stanchezza singolare.
John percepì il peso del coltello sul petto, il contatto netto attraverso
la camicia. Si immaginò il disegno inciso sull’impugnatura, l’espressione
feroce dell’orsa e la tensione potente dei muscoli del leone. Una tensione che
attraverso la punta della lama sembrava irradiarsi fino alle estremità delle
sue dita.
Osservò l’amico. Con espressione disinteressata, guardava una
televendita di stufe a pellet.
Indossa degli abiti, siede sul mio divano, ha in mano una birra. Anche
io ho in mano una birra. Sento il gelo attraversare la latta. Gelo. Nausea. Lo
scorrere della melassa del tempo è intollerabile. E’ come trattenere il respiro.
James scorreva i canali della TV via cavo. Un quiz a premi, un
telegiornale economico. Tra un attimo si sarebbe alzato per andarsene.
Preme i pulsanti di un oggetto che si chiama telecomando. Un oggetto
fatto di plastica, rame, schede elettroniche, batterie. Alcuni hanno raccolto il
rame, stampato i circuiti. Hanno assemblato il pezzo. Hanno fatto tutto ciò per
uno scopo. Un telecomando. La mano di James, bianca, floscia. Finalità.
Nausea. Tutto è rallentato, come in una moviola esistenziale.
Ancora un cambio di canale. Un documentario. Rovine di civiltà
antiche. Sumeri.
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Immagino di accelerare questo tempo viscoso. Lo indurisco fino
all’immobilità, poi lo frantumo in un colpo solo. Naturalmente, il coltello.
Immagino di immergerlo nell’occhio aperto di James. Mentre lo faccio, tutto è
immobile. Solo io vinco la melassa del tempo.
James posò il telecomando. Senz’altro stava per andarsene. Eppure,
per un istante, sembrò possedere una consapevolezza totale. Indugiò ancora
un attimo, seduto.
Ed allora la voce del televisore suonò chiara nella stanza. “Nella
tradizione mitologica dei re sumeri, all’inizio dei tempi, la regalità è salita
dal mare”. Suonò chiara nell’orecchio di John, suonò imponente nella sua
mente.
Tutto fu come l’aveva immaginato. Rapidissimo, come se ogni altra
cosa, James incluso, fosse rimasta immobile. La lama sgusciò fuori dal
taschino, fuori dalla felpa, affondò fino all’elsa nell’occhio destro di James.
Attorno all’impugnatura, era stretta la mano di John.
Quando percepì il calore del sangue, assieme vide il gelo della
morte nell’unico occhio dell’amico. Fu rivomitato nella realtà lenta e
impacciata del sofà, della televisione, della birra rovesciata a terra. In un
attimo, senza un grido, era in strada, correva, correva a perdifiato, al solo
scopo di allontanarsi il più possibile da quell’orrore.
Bertram trovò socchiusa la porta dell’appartamento di John. Sgusciò
dentro con circospezione, badando a non fare troppo rumore. Il televisore
era ancora acceso, una di quelle repliche di vecchie trasmissioni
d’intrattenimento.
Prese il telecomando, caduto a terra, e spense l’apparecchio. Nella
stanza si fece un silenzio profondo. Il cadavere di James, riverso sul basso
tavolino, giaceva scomposto come un sacco di patate. Bertram si chinò sul
corpo, spostandone il peso con delicatezza e deponendolo a terra, sul
tappeto sintetico. La testa di James, con la sua orbita innaturalmente
svuotata, affondò in una pozza di sangue in parte raggrumato.
Il vecchio rimase in silenzio per alcuni secondi, fissando il cadavere.
Lentamente, con evidente emozione, si portò una mano all’occhio destro,
coprendolo. L’altro occhio, ben aperto, era sbarrato nella contemplazione
del corpo, dell’orbita vuota, del sangue.
- L’inizio della fase. – mormorò impercettibilmente.
Attraversare il diaframma era stato più semplice del previsto.
L’acqua si era riversata nel buio passaggio con violenza inarrestabile, aveva
trascinato con sé il piccolo batiscafo in tecapeek coi suoi cinque occupanti,
scuotendolo e sbattendolo in un turbinio di reflussi spiraleggianti. Il battello,
progettato per resistere a pressioni ed accelerazioni ben maggiori di quelle
misurate nelle simulazioni tecniche, aveva assorbito egregiamente i colpi, e
ben presto si era adeguato alle nuove pressioni. Nessuno degli occupanti,
ben allacciati ai sedili, aveva riportato ferite.
Murdock osservò i volti dei quattro ragazzi seduti di fronte a lui.
Espressioni tese e dure, occhi ridotti a fessure, ma nessuno di essi mostrava
paura. Per un istante, brevissimo, si sorprese a provare compassione per
quei soldati che l’avevano seguito senza esitazione. Nessuno dei quattro
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aveva la più vaga idea di quanto grande fosse il ruolo a loro riservato nella
grande rappresentazione che stava per iniziare.
-Ascoltatemi bene, ragazzi.- disse seccamente, slacciando la
mascherina per l’ossigeno. Le acque erano calme adesso, e in sottofondo si
udiva sibilare il fischio del propulsore a espulsione. Il batiscafo era pilotato
in automatico, diretto verso un punto preciso, scelto per un agevole approdo.
-Ascoltatemi.- Una pausa avrebbe reso più efficace ed autoritario il
tono, ed avrebbe consentito a Murdock di riflettere bene sul contenuto del
discorso che stava per fare. La breve riflessione fu scandita dal consueto
tormentarsi i riccioli. I quattro soldati, tre uomini e una donna, non avevano
ancora tolto la maschera del respiratore.
- Il passaggio del diaframma è stato superato con successo. Nessuna
avaria dei sistemi. Nessun cedimento strutturale.Guardò alla volta di Key, l’ufficiale tecnico. La ragazza, originaria del
nord dell’Iran, aveva i capelli nerissimi raccolti ordinatamente sotto l’elmo
tattico; annuì impercettibilmente. Accanto a lei, Han, Jenkee ed An Li si
tolsero i respiratori, tradendo un minimo di emozione nella rigidità dei
muscoli facciali.
- Ragazzi, sembra proprio che sia giunto il momento di entrare in
azione. Il vostro addestramento è stato duro e so di poter contare su di voi
più che su me stesso. Vi meritate di conoscere tutti i dettagli, e d’altronde,
adesso che siamo…come dire…di qua, non avreste più modo di tirarvi
indietro.L’attenzione si fece dura come acciaio, mentre il piccolo battello
sfrecciava sempre più veloce verso la costa.
- Siete stati scelti dopo una lunga selezione, non solo per le vostre doti
e capacità sul campo, ma anche per i vostri nomi, per il vostro sesso, per il
vostro aspetto. In altre parole, vi stavamo cercando. Anche se sapevamo
della vostra esistenza, non è stato semplice trovarvi. Perché voi quattro, tra
miliardi di individui, siete speciali. Siete voi il primo degli assi che abbiamo
nella manica.Come previsto dalla strategia concordata, fu Han il primo ad uscire
dal battello ed emergere dalle basse acque torbide. L’impressione sui pochi
indigeni presenti, indaffarati attorno a rudimentali barche, fu enorme. L’alto
e robusto militare, di origini germaniche, non si fece intimorire dai nativi che
abbandonavano correndo la spiaggia e poi si gettavano nella bassa
vegetazione, urlando isterici allarmi.
Seguirono Jenkee e An Li. Quando emersero, i nativi erano tutti
fuggiti, ed Han, già sulla riva, fece loro un gesto ad indicare via libera.
Jenkee tolse maschera e respiratore, poi si avvicinò all’orecchio di
An Li.
- Divinità, fottuta miseria. Ha detto proprio così, vero? Divinità.An Li, con molta circospezione, fece cenno al compagno di osservare un
completo silenzio. Poi si avviò verso Han, che nel frattempo aveva iniziato
ad esplorare i margini della lunga spiaggia.
Quando anche Murdock e Key raggiunsero la riva, Han aveva già
un quadro della situazione. Tutti attendevano dal sergente il permesso di
rompere il silenzio.
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- Perfetto, ragazzi. L’operazione di sbarco è stata semplice ed
efficace. Situazione?- La spiaggia è deserta, signore. I pescatori hanno abbandonato le
baracche e direi che, in base alla mappa della zona che lei ci ha fornito, si
sono diretti verso il grosso villaggio alle spalle di quella collina, per
richiamare l’attenzione dei loro compagni.- Uruk.-Signore?-Uruk, il nome del villaggio. Probabilmente torneranno prima di sera, e
torneranno in molti. Ricordate: non hanno motivo di temerci, finché non gliene
diamo uno noi. Quando torneranno, non dovete dimostrare timore. Secondo
le nostre informazioni, non assumeranno atteggiamenti ostili, ma tenteranno
di stabilire un contatto. Non esitate a dimostrare in ogni momento la vostra
superiorità tecnologica o fisica, ma usate nei loro riguardi il massimo rispetto.
Tutto dipende dall’immagine che avranno di noi, come vi ho spiegato sul
battello.Jenkee sorrideva. – Santo cielo, ancora non posso crederci. Questi
sono i nostri… antenati.-Esatto, Jenkee. Non dimenticatelo. Nel corso dell’addestramento
avete imparato i rudimenti di un particolare linguaggio in codice, che
chiamavate Sum-X. E’ la lingua di questi uomini, come i nostri esperti sono
riusciti a ricostruirla. Il sumerico arcaico è in gran parte solo una congettura,
quindi non meravigliatevi se i nativi non capiscono tutto, o se a voi sfuggono
le loro espressioni. An Li, tu sei il linguista del gruppo: concentrati sulle loro
espressioni, impara a capirli al meglio. Prima parliamo il loro idioma, prima
possiamo compiere il nostro lavoro e tornare indietro. Avanti, montiamo il
campo. Li aspettiamo qui.An Li, Jenkee e Key estrassero dagli zaini il necessario per il campo,
le piccole tende ad igloo ed i sensori di perimetro. Murdock si avvicinò a
Han che, leggermente defilato, osservava rigido il profilo della bassa collina
di sabbia oltre la spiaggia.
- Ho un compito speciale per te, Han. E’ un compito molto importante,
dalla cui riuscita dipendono migliaia d’anni di storia e miliardi di vite.
Secondo le nostre ricerche, sei tu che te ne devi occupare.L’impenetrabilità del giovane colosso non venne turbata minimamente
dalle parole del sergente. Murdock estrasse da un astuccio una piccola lama
senza filo, priva del manico. Una lama, a prima vista, senza valore.
- Appena la situazione sarà sotto controllo ed avremo accesso ad
Uruk, cerca di scovare un buon artigiano. Mi raccomando, deve essere
capace e sveglio, e deve avere accesso all’avorio. Usa pure tutti i trucchi che
vuoi, minaccia anche, ma è vitale che nulla trapeli finché il lavoro sarà
completo.Han annuì. – Qual è il lavoro sergente? –
- Un regalo prezioso per il loro capo. Dovrai far montare una bella
impugnatura d’avorio su questo pugnale.- (continua…) ■
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La transizione
di Matteo Lorenzini
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◄ Fonte Avellana (Pesaro-Urbino)
Veduta panoramica del monastero
camaldolese della Santa Croce a
Serra Sant’Abbondio.
Foto di M. Lorenzini
IL FELICIONE
Periodico Bimestrale
Comparto Editoriale IVANNEUM
Via di Fabbiolle 68, 50023 Impruneta (FI)
Sede Legale IVANNEUM Via P. di Pozzolatico 23 50023 Imprunum (PANIVANIA)
[ Ex antiquo >
Anno I Numero 3 Marzo 2010
A cura di E Cesarini e M Lorenzini
Distribuzione limitata
Hanno collaborato:
Dott. Elisabetta Cesarini
Dott. Matteo Lorenzini
Ing. Lorenzo Mereni
Camilla Lorenzini
Ringraziamo:
Maestro Lorenzo Pampaloni
Pres. Roberto Favillini
Dott. Francesca Lucarini
Dott. Enrico Campagna
Prof. Ruggero Stanga
Prof. Semir Osmanagić
Dott. Franco Corbucci
Prof. Giulietta Gheller
Chef Maria Ruggeri Albicocco
Prof. Corrado Malanga
Prof. Filippo Valguarnera
Club dei Brutti di Piobbico
Comune di Urbino
Avventure nel Mondo - Sez. Urbino
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