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MEDIAZIONE TIPICA ED ATIPICA
Nota a Cass. Sez. III 14 luglio 2009 n. 16382
di Marco Pennisi
La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 14 luglio
2009 n. 16382, prende posizione in maniera esplicita sulla riconducibilità
della mediazione c.d. atipica nell’ambito del contratto di mandato, con ciò
superando l’orientamento più volte espresso, anche di recente, dalla
medesima sezione.
Negli ultimi anni, infatti, la giurisprudenza della Terza Sezione, in diverse
occasioni (Cass. civ. Sez. III, 27/06/2002 n. 9380; Cass. civ. Sez. III,
05/09/2006 n. 19066; Cass. civ. Sez. III, 30/09/2008 n. 24333) aveva
distinto la mediazione c.d. tipica, cioè l’istituto contemplato dall’art. 1754
c.c. e caratterizzato dall’inesistenza di un preesistente rapporto di
collaborazione, dipendenza o rappresentanza del mediatore rispetto alle
parti, rispetto alla mediazione c.d. atipica, caratterizzata invece dal
conferimento di un incarico al mediatore.
Tuttavia, operata tale distinzione, la Suprema Corte (cfr, in particolare,
Cass. civ. Sez. III, 30/09/2008 n. 24333) precisava che la mediazione
atipica non integra un rapporto di mandato, in quanto l’incarico conferito,
pur consistendo nello svolgimento di un’attività giuridica, determina il
sorgere non già di un vero e proprio obbligo giuridico di attivarsi (cui
corrisponde un diritto al compenso a prescindere dal buon fine dell’attività
prestata), quanto piuttosto di un mero onere di operare al fine di giungere
alla conclusione di un affare, che determina il sorgere del diritto alla
provvigione.
La sentenza in commento, invece, supera quest’impostazione ermeneutica
per inquadrare esplicitamente la mediazione di tipo contrattuale (c.d.
atipica) nell’ambito del contratto di mandato, traendone elementi di
conferma dagli artt. 1756 e 1761 c.c.
Innanzitutto, la Cassazione osserva come, con riferimento alla mediazione
tipica, l’art. 1754 c.c. ne individui i caratteri distintivi nell’inesistenza di un
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pregresso rapporto di collaborazione, subordinazione o rappresentanza con
taluna delle parti a fondamento l’attività del mediatore e nello svolgimento
di un’attività di messa in relazione che, pur non potendosi qualificare come
negoziale, riveste comunque carattere giuridico, collegandosi a quegli altri
atti che, a mente dell’art. 1173 c.c., sono idonei a produrre obbligazioni in
conformità all’ordinamento giuridico.
In altri termini, nella mediazione tipica, l’attività di messa in relazione delle
parti, esclude la preesistenza di qualsivoglia negozio o rapporto giuridico
tra il mediatore e taluna di esse. Nondimeno, tale attività è presa in
considerazione dall’ordinamento, il quale ricollega ad essa gli effetti
giuridici specificamente previsti (ad es. il diritto alla provvigione), ed è
fonte di obbligazioni, ex art. 1173 c.c., quale atto idoneo a produrle secondo
l’ordinamento giuridico.
Peraltro, la Cassazione nota come, nella prassi commerciale, si è diffusa
l’ipotesi di mediazione originata da un previo incarico conferito al
mediatore e avente ad oggetto l’attività di ricerca di una controparte
negoziale per conto del primo.
In questo caso, la fonte delle obbligazioni scaturenti dal rapporto va
individuata, secondo la pronuncia in esame, nel contratto di mandato in cui
si risolve l’incarico conferito. Conseguentemente, il soggetto incaricato non
è propriamente qualificabile come mediatore, bensì come mandatario di una
delle parti potenzialmente contraenti.
Tale diversa natura del rapporto, osserva la Suprema Corte, trova conferma
nel diritto positivo, innanzitutto all'art. 1756 c.c., il quale prevede il diritto
al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale
sono state eseguite, anche se l'affare non è concluso, ed all'art. 1761 c.c.,
che prevede l’incarico al mediatore da una delle parti di rappresentarla negli
atti relativi all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento.
Inoltre, la possibilità che la mediazione si configuri come mandato appare
confermato anche dalla legge n. 39 del 1989, istitutiva del ruolo
professionale degli agenti di affari in mediazione, che lo presuppone in
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diverse norme ed in particolare: a) all’art. 2, punto 2, che stabilisce che il
ruolo è distinto in tre sezioni: una per gli agenti immobiliari, una per gli
agenti merceologici ed una per gli agenti muniti di mandato a titolo
oneroso; b) all'art. 2, punto 4, il quale prevede che l'iscrizione al ruolo deve
essere richiesta anche se l'attività viene esercitata in modo occasionale o
discontinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività
per la conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende; c) all'art. 5,
punto 4, ai sensi del quale il mediatore che, per l'esercizio della propria
attività, si avvalga di moduli o formulari, nei quali sono indicate le
condizioni del contratto, deve preventivamente depositare copia presso la
Commissione di cui all'art. 7.
La Suprema Corte, peraltro, richiama altri precedenti arresti della
giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 8374/2009) in cui si contempla la
possibilità che tra mediatore ed una delle parti intercorra un rapporto di tipo
contrattuale.
Queste considerazioni, che hanno indotto la Suprema Corte a configurare la
mediazione atipica quale rapporto di mandato, offrono lo spunto per una
coerente definizione, nella sentenza in commento, del regime della
responsabilità applicabile nell’ipotesi di mediazione tipica e di mediazione
contrattuale fondata su un rapporto di mandato.
In particolare, nel caso di mediazione tipica, l’attività giuridica del
mediatore deve improntarsi al criterio generale di correttezza di cui all’art.
1175 c.c., sulla cui applicabilità a tutte le fonti delle obbligazioni (ivi
compresi gli altri atti idonei a produrle secondo l’ordinamento giuridico) la
Suprema Corte si è espressa favorevolmente (Cass. n. 5140/2005).
Conseguentemente, il mediatore ha un obbligo di corretta informazione, nei
confronti di tutte le parti messe in relazione, in ordine a tutte le circostanze
da lui non soltanto conosciute, ma altresì conoscibili, che siano rilevanti ai
fini del concludendo affare.
Tale obbligo informativo, che il mediatore è tenuto ad adempiere con la
diligenza professionale qualificata (art. 1176 comma 2 c.c.), ha ad oggetto
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le iscrizioni o i pignoramenti che possano eventualmente gravare sul bene;
l’esistenza di diritti di prelazione o opzione; l’eventuale stato di insolvenza
di una delle parti e, in generale, qualunque circostanza la cui conoscenza
potrebbe indurre una o entrambe le parti a non concludere il contratto o a
concluderlo con un contenuto negoziale diverso.
La sentenza in commento riveste particolare interesse nella misura in cui,
occupandosi del profilo della responsabilità scaturente dall’inosservanza
degli obblighi del mediatore nella mediazione tipica, esclude che si tratti di
responsabilità aquiliana, affermandone, invece, la natura contrattuale da
contatto sociale qualificato nei confronti di entrambe le parti messe in
relazione.
In questo senso, la pronuncia in esame si colloca nell’ambito del più recente
filone giurisprudenziale della Suprema Corte che, in alcune ipotesi, ha
diversamente ricostruito la natura della responsabilità tradizionalmente
qualificata come extracontrattuale, in termini di responsabilità contrattuale
da contatto sociale.
Tali ipotesi, che si riferiscono, in particolare, alla responsabilità del medico
dipendente di una casa di cure nei confronti del paziente e dell’insegnante
per le autolesioni prodotte dagli alunni; alla responsabilità della banca per
false informazioni nei confronti del soggetto non cliente, nonché alla
responsabilità della P.A. per i danni conseguenti alla propria attività
provvedimentale, trovano un minimo comune denominatore nell’esigenza
di assicurare una maggiore tutela nei confronti del danneggiato in casi in
cui egli si trova in posizione impari rispetto al danneggiante.
In altri termini, la giurisprudenza si rende conto che il regime della
responsabilità extracontrattuale si rivela insufficiente a tutelare il
danneggiato che si trova in una posizione di svantaggio all’interno di
particolari rapporti, nei quali, pur in assenza di un negozio giuridico, si
instaura tra i soggetti un contatto sociale qualificato, cioè rapporti per i
quali l’ordinamento prevede una disciplina e che generano, nei soggetti
coinvolti, un’aspettativa di conformità del loro comportamento non soltanto
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all’osservanza del mero neminem laedere, ma alla stessa disciplina
applicabile laddove il rapporto fosse fondato su un contratto.
Conseguentemente, la giurisprudenza riconosce al danneggiato la più
favorevole tutela offerta dalla responsabilità contrattuale, ritenendo che
questa trovi fondamento nell’inadempimento di obbligazioni contrattuali in
senso lato, originatesi non già da un contratto, ma dal contatto sociale
qualificato, inteso quale altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni
secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1173 c.c.
La pronuncia in commento si pone, pertanto, in linea con il predetto
orientamento, nella misura in cui, rispetto alla mediazione tipica, qualifica
il rapporto tra il mediatore e ciascuna delle parti, messe in relazione
attraverso il suo intervento, come contatto sociale qualificato, con la
conseguenza che il mediatore, nell’ipotesi in cui lo stesso non adempia, con
la diligenza professionale ex art. 1176 comma 2 c.c., i propri obblighi di
corretta informazione a favore di entrambe le parti, sarà contrattualmente
responsabile verso le stesse.
Con riferimento alla mediazione c.d. atipica, in cui viene meno il
presupposto dell’imparzialità prescritto dall’art. 1754 c.c., la Suprema
Corte riconduce il rapporto di mediazione al contratto di mandato,
eventualmente anche con il conferimento di poteri di rappresentanza del
mandante e con diritto di esclusiva, in quanto il mandatario assume
l’obbligo di attivarsi per reperire una controparte, nell’interesse del
mandante, svolgendo ulteriori compiti di assistenza e consulenza.
Quale corrispettivo dell’attività prestata, egli riceverà un compenso,
sospensivamente condizionato (in modo esplicito o implicito) alla
conclusione dell’affare ed alla cui corresponsione, a differenza di quanto
accade ella mediazione tipica, è obbligato il solo mandante.
Il mandatario, pertanto, è contrattualmente legato soltanto al mandante,
verso il quale è obbligato a svolgere l’incarico con l’osservanza della
diligenza professionale ex art. 1176 comma 2 c.c., e trova applicazione la
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normativa in tema di contratti di consumo (obblighi di informazione,
clausole vessatorie, azione inibitoria ex art. 37 Cod. Consumo).
Rispetto alla natura della responsabilità applicabile alla mediazione
contrattuale, la sentenza in commento distingue la posizione del mandante
da quella del terzo.
Infatti, nei confronti del mandante, il mandatario è contrattualmente
responsabile dell’esatto e diligente adempimento dell’incarico ricevuto;
mentre con riferimento al terzo, estraneo al contratto di mandato e che, per
effetto del suo intervento, viene messo in relazione con il mandante, il
mandatario sarà responsabile in via extracontrattuale ex art. 2043 c.c., per la
semplice violazione del principio del neminem laedere.
Marco Pennisi
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