Difendiamo i whistleblower, sono le spie che

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Difendiamo i whistleblower, sono le spie che
Pagina 99, 28 febbraio 2014
Difendiamo i whistleblower, sono le spie che
cambieranno il mondo
di Lorenzo Dilena e Enrico Pedemonte
Saper dire no / Tim Berners Lee, l’inventore del web, chiede protezione per le gole profonde come
Snowden, i "whistleblower". Anche i grandi scandali finanziari devono spesso tutto a chi saputo
dire di no e ha denunciato. E molti governi varano norme per premiare chi segnala gli abusi. Tranne
che da noi, dove non abbiamo manco la parola per dirlo.
Sir Tim Berners Lee lo ha ripetuto più volte negli ultimi mesi: «È necessario proteggere i delatori,
perché essi hanno un ruolo importante nella nostra società». Proteggere i delatori? Qualcuno avrà
fatto un salto sulla sedia. Qui è subito necessario fermarsi per fare almeno un paio di precisazioni.
La prima riguarda Berners Lee: 59 anni, britannico, non ha nulla a che fare con l’MI5, il servizio
segreto di Sua Maestà. Al contrario, è l’uomo che nel 1969 inventò il web, oggi dirige il World
Wide Web Consortium che sovrintende lo sviluppo della rete nel mondo, presiede diversi centri di
ricerca al Mit di Boston ed è considerato il più cristallino difensore della libertà di espressione.
La seconda riguarda il termine “delatore”. In realtà Tim Berners Lee usa il termine whistleblower,
che in inglese ha un significato letterale ironico e festoso: suonatore di fischietto, colui che segnala
una scorrettezza (o un reato) perché venga punita. Secondo Wikipedia il whistleblower è “una
persona che rivela un’attività disonesta o illegale che rappresenta una minaccia diretta
all’interesse pubblico”. È l’arbitro che fischia un rigore. Ma nella lingua italiana quel termine
assume un’accezione funesta e si traduce con “delatore”,“talpa”, “spione”, “gola profonda”,
“informatore”, tutti vocaboli di segno negativo, segno di una cultura mafiosa che pervade anche il
nostro linguaggio e che considera lo Stato un Potere da combattere e la spia un “infame”.
Ma la sorpresa sta proprio qui. Berners Lee dice che i delatori (preferite spioni?, gole profonde?,
informatori?) vanno protetti proprio per difenderci dall’arroganza del Potere. In altri termini, il
delatore, nell’era delle reti, è un Robin Hood che difende i deboli, anche se in italiano suona
malissimo.
Ma soffermiamoci ancora un attimo su Tim Berners Lee che da alcuni mesi è particolarmente
aggressivo su questo tema. Il tecnologo britannico dice che bisogna proteggere le gole profonde
come Edward Snowden, colui che ha rivelato che la National Security Agency americana (NSA)
stava da anni raccogliendo ogni sorta di informazioni su centinaia di milioni di cittadini di tutto il
mondo, compresa la Cancelliera tedesca Angela Merkel, compiendo un inaccettabile abuso sulla
privacy di tutti noi. Quando un cittadino si assume il rischio di rivelare simili prepotenze alla
collettività, allora è bene che quest’uomo sia protetto. In un’intervista al quotidiano The Guardian
Berners Lee fa un passo più in là. Dice che «in una certa misura la nostra stessa civiltà dipende dai
delatori (whisterblowers) e per questa ragione bisogna tutelarli». Per loro (e per gli hacker, ha
sostenuto in diverse articoli) è necessario introdurre un sistema internazionale di protezione.
Parole forti, che sottolineano la necessità di un grande cambiamento culturale se è vero che
nell’era delle reti digitali le élites che dispongono delle conoscenze più sofisticate sono in grado di
sfuggire ai controlli delle pubbliche amministrazioni. Parliamo di movimenti di capitali, di fisco, di
finanza e non solo.
In Italia, negli ultimi anni, gli informatori anonimi hanno consentito di svelare scandali che
altrimenti sarebbero rimasti coperti dal riserbo. Ma prima di arrivare al caso italiano vediamo che
cosa è accaduto nel mondo anglosassone.
Nel 2009 l’economista Luigi Zingales (University of Chicago), assieme ai colleghi Alexander Dick
(Toronto) e Adair Morse (Chicago), ha pubblicato una lunga ricerca sulla delazione all’interno delle
aziende americane (Who Blows the Whistle on Corporate Fraud, chi suona il fischietto sulle frodi
aziendali) sette anni dopo che una legge votata dal Congresso (Sarbanes Oxley Act) aveva creato
un sistema di protezione dei whistleblowers per combattere la crescente corruzione all’interno
delle imprese.
In questa ricerca Zingales, Dick e Morse hanno raccolto dati su tutte le frodi avvenute tra il 1996
e il 2004 nelle aziende americane con un fatturato superiore ai 750 milioni di dollari,
concentrandosi poi su 216 episodi di corruzione miliardaria (per esempio il caso Enron, la
multinazionale dell’energia fallita nel 2001). A giocare un ruolo decisivo nel far emergere le frodi
sono stati non tanto l’agenzia pubblica di controllo sulla Borsa (la Sec, responsabile solo del 7%
delle segnalazioni ) ma semplici impiegati (nel 17% dei casi), regolatori dei mercati non finanziari
(13%) e i media (13%). Perché quei cittadini sono stati spinti alla delazione? Essenzialmente per
due ragioni: il miraggio di ricompense economiche e la speranza di migliorare la propria
reputazione (specie i giornalisti, che denunciando una truffa vedono crescere le possibilità di
carriera. Infatti il loro ruolo sale al 24% considerando solo le 216 frodi più importanti).
Quando esce il lavoro di Zingales e soci (è il 2009) la bolla finanziaria di Wall Street è già esplosa e
la Borsa è ancora in mezzo al tunnel: numerose frodi su larga scala sono emerse alla luce rivelando
al mondo un ecosistema largamente corrotto. L’anno successivo (2010), quando il Presidente
Barack Obama fa approvare la contestata (dai repubblicani) riforma di Wall Street (Dood-Frank
Act) attribuisce ancora maggiore forza istituzionale alla figura del delatore. Tanto che la Sec
(Securities and Exchange Commission) crea al proprio interno un Office of the Whistleblower, che il
primo ottobre 2013 annuncia di avere consegnato un premio record (14 milioni di dollari) a una
gola profonda che ha consentito di recuperare un’enorme somma di denaro.
Un’associazione britannica (Public Concern At Work, interesse pubblico in azione) ha
recentemente pubblicato uno studio su un migliaio di casi di whistleblowing. Chi è il delatore
tipico? “Un professionista che lavora da meno di due anni nell’ufficio in cui si verifica un
comportamento illecito e che va avanti, in media, per almeno sei mesi”. Secondo il rapporto, nella
metà dei casi i comportamenti illeciti sono stati bloccati, ma l’85% degli informatori stanno ancora
subendo le conseguenze negative del loro gesto: “C’è ancora molto da fare per proteggere i
whistleblower e scoraggiare i datori di lavoro dall’effettuare ritorsioni”. In Gran Bretagna la
Financial Conduct Authority registra che nell’ultimo anno c’è stato un aumento del 72 % delle
segnalazioni. Il dato è emerso grazie a Kroll, leader mondiale di valutazione del rischio aziendale,
che ha chiesto la pubblicizzazione di questi dati sulla base del Freedom of Information Act. Tra il
novembre 2012 e l’ottobre 2013 il regolatore britannico ha avviato 254 ispezioni sulla base di
5.150 segnalazioni anonime, mentre l’anno precedente le ispezioni erano state 148 e le
segnalazioni 3.813. Per il Financial Times lo scandalo Libor, esploso nell’estate 2012, ha fatto da
detonatore delle “soffiate”, dopo che i vertici della banca britannica Barclays avevano ammesso di
avere manipolato i valori dell’indice. Un’ammissione che ha portato alle dimissioni
dell’amministratore delegato Bob Diamond e a una multa di 290 milioni di sterline.
In Italia il tema della collaborazione degli operatori finanziari per contrastare gli abusi di mercato
è stato posto da Giuseppe Vegas, presidente della Consob, l’autorità di vigilanza sulla Borsa.
«Ulteriori strumenti potrebbero essere adottati per individuare in modo più efficace e tempestivo
le condotte illecite», ha detto Vegas durante l’incontro con gli operatori, lo scorso anno,
richiamandosi alla revisione della direttiva europea sugli abusi di mercato e alle disposizioni del
provvedimento anticorruzione (la legge 190/2012), che però prevede un ambito di applicazione
limitato alla pubblica amministrazione. Già oggi, comunque, anche in Consob, gli esposti anonimi
vengono presi in considerazione come spunti di investigazione, purché rivelino un’approfondita
conoscenza dei fatti. Non sempre però con l’efficacia che ci si aspetterebbe. Fu lo stesso Vegas a
rivelare in un’intervista al Messaggero che nell’agosto 2011 la Consob aveva ricevuto un esposto
anonimo su Mps «che segnalava strane transazioni, ipotesi di riciclaggio, vendita anomala di titoli
strutturati». L’esposto conteneva molti dettagli, cifre, nomi e spiegazione delle modalità con cui
l’istituto senese aveva operato la famosa ristrutturazione dell’operazione Alexandria, a cui erano
collegati gli acquisti di 3 miliardi di Btp effettuati con la banca d’investimenti Nomura. Tanto
quanto sarebbe bastato per mettere la banca con le spalle al muro, magari usando i poteri di
perquisizione che la legge attribuisce al regolatore. Non venne fatto, e la verità emerse solo
nell’ottobre 2012, quando i nuovi vertici di Mps comunicarono alle autorità di aver rinvenuto i
contratti occultati in una cassaforte - o perlomeno questa è la versione ufficiale, peraltro
contraddetta dalle testimonianze al processo oggi in corso a Siena.
Fu sempre un whistleblower a mettere sulla pista giusta la magistratura nel caso della scalata ad
Antonveneta. In quell’occasione un impiegato della Banca Popolare di Lodi (di cui Gianpiero
Fiorani era a.d.) contattò la banca Rothschild, che era consulente degli olandesi di Abn Amro,
segnalando che la banca lodigiana stava finanziando alcuni clienti per comprare azioni
Antonveneta. La pratica venne messa nelle mani dell’avvocato Guido Rossi (consulente degli
olandesi di Abn Amro, avversari di Fiorani) e un corposo esposto finì sul tavolo della Procura di
Milano.
Nulla di tutto questo è invece successo in occasione del crac Parmalat, il più noto scandalo
finanziario italiano. Molti sapevano, e a Collecchio la gente scherzava sulle vendite fittizie di latte a
Cuba da parte del gruppo (allora) di Calisto Tanzi, ma nessuno parlò. La lealtà al capo prevalse.
«Chi aveva le informazioni non aveva incentivi a trasmetterle – osserva il professor Zingales, che
proprio dalla vicenda Parmalat prese spunto per occuparsi del whistleblowing –. Ma se tu prometti
un compenso significativo allora anche la lealtà verso il Tanzi di turno viene meno. E più è grossa la
frode, più gente è coinvolta, più alto è l’incentivo del singolo a segnalare». Da qui la proposta di
premiare i “segnalatori”, recepita qualche anno dopo nella normativa Usa sulle società quotate.
Al contrario, la legge italiana sull’argomento resta indietro. Anche le novità introdotte con la
legge anticorruzione, applicabile agli enti pubblici, sono considerate inadeguate o, peggio,
disincentivanti. «L’aspetto più paradossale riguarda la debole protezione della riservatezza del
segnalante, che scoraggia in modo evidente le segnalazioni», osserva Giorgio Fraschini, ricercatore
di Transparency International. Un aspetto, questo, sottolineato di recente anche dalla Corte dei
conti. Nelle scorse settimane, i deputati del Movimento 5 Stelle hanno depositato un progetto di
legge (n. 1751), redatto con la consulenza di Transparency e applicabile sia agli enti pubblici sia a
quelli privati purché le segnalazioni vengano effettuate «in buona fede, anche nell’ipotesi in cui i
reati o irregolarità risultino inesistenti». Non c’è spazio insomma per la diffamazione o la calunnia.
La proposta prevede una protezione totale dell’identità del segnalante e una tutela da eventuali
ritorsioni del datore di lavoro, introducendo anche un premio, nel caso di dipendenti pubblici, «di
importo compreso tra il 15 e il 30% della somma recuperata a seguito della condanna definitiva
della Corte dei conti». Ma il problema viene affrontato anche in sede amministrativa. A Milano,
per iniziativa del consigliere comunale David Gentili, presidente della Commissione consiliare
Antimafia milanese, nel piano anticorruzione è stato previsto un sistema informatico di
wistleblowing, riservato ai dipendenti comunali, con la garanzia (tecnologica) che i segnalanti
resteranno anonimi. Alcune amministrazioni pubbliche hanno introdotto codici di comportamento
con norme sulla delazione. Si tratta della Asl Milano 1, l’Ospedale Santi Antonio, Biagio e Cesare
Arrigo di Alessandria, dei Comuni di Amaseno, Belmonte e della Regione Abruzzo, dove esiste una
bozza di regolamento ancora da approvare. Il piccolo Comune di Triuggio (Monza) ha introdotto
una procedura per la “segnalazione di situazioni di illecito”. Mentre sia il Comune di Trento sia
l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, nel gennaio 2014, hanno introdotto regole specifiche sul
wistleblowing. E l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro ha introdotto una “Guida al
segnalante”. Anche l’Agenzia delle dogane nel novembre 2013 ha introdotto un indirizzo mail
dedicato a segnalazioni di condotte illecite da parte dei dipendenti dell’Agenzia.
Sono stati versati fiumi di parole per descrivere come, nell’era del web, ogni cittadino possa
diventare un citizen journalist. In realtà il problema è assai più ampio: ogni cittadino può diventare
un controllore del potere. Delatore e spia sono brutte parole in italiano. Inventiamone pure altre.
L’importante è capirsi.