la struttura famigliare

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la struttura famigliare
La cucina d’inizi 900 nel Triangolo
Lariano
Presentazione realizzata da:
Cantaluppi Martino; Casarico Mattia;
Negri Veronica; Salvadè Giulia
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Indice
Pagina 3,4,5: i contadini, il cibo e la povertà;
Pagina 6,7,8: il pane
Pagina 9: la polenta
Pagina 10: il pesce
Pagina 11: il saracch
Pagina 12: le minestre
Pagina 13,14: la carne
Pagina 15:le lumache
Pagina 16,17: le osterie e il vino
Pagina 18: la büseca
Pagina 19: la polenta uncia
Pagina 20: la rustisciada
Pagina 21: la cazzöeula
Pagina 22: pan meino
Pagina 23: la torta paesana
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I contadini, il cibo e la povertà
Le abitudini culinarie che avevano queste comunità lasciano un po’ a
desiderare il modo di vivere, pensare e concepire i rapporti tra gli
umani. Generalmente i nostri «vecchi» accettavano bene la loro povertà
con la quale avevano a che fare ogni giorno. Sapevano molto bene che
esistevano valori ben più importanti rispetto al cibo e quindi non si
disperavano infatti dicevano: «de pan e Signur ghe ne per tücc».
C’ era la «resignora» che fin da piccoli
insegnava ai bambini a «cumpensà» cioè
a mangiare con misura mentre serviva
polenta pane giallo con minestra detta
«la biada de l’om»;
le altre pietanze erano scarse.
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I contadini, il cibo e la povertà
Dato che la popolazione mangiava cibi molto poveri, anche il pane con le
noci e infatti dicevano:
Pan e nuus mangià de spuuns, nuus e pan mangià de vilan.
A volte se si poteva si riusciva a rimediare una salsiccia o un buon
bicchiere di vino nostrano sembrava di toccare il cielo con un dito: «pan,
vin e luganeghin, l’è un mangià divin».
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I contadini, il cibo e la povertà
Talvolta il povero contadino si lasciava anche trasportare dalla
fantasia e si immaginava un cucchiaio che diventava un remo e
una tazzina vuota una barca con la quale viaggiava su un lago di
cagliata dove vi era immersa una valanga di polenta.
Se la barca l’era una tazzina
«E i rem i èren cügiâ,
se ‘l Curnisciö l’era pulenta
E il lach de Anun l’era cagiada
oh che bela majada!»
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Il pane
Nella società contadina le massaie erano molto abili
nel riutilizzare tutti gli avanzi gli scarti e le parti
secondarie di un prodotto. Il pane raffermo all’epoca
veniva riciclato non come ai giorni nostri che lo
sprechiamo ma veniva usato riciclato in cucina nelle
zuppe come il pumià il pancotto. Il pane rustico era
fatto con miscele di farine diverse, farina di mais
per il pan giald, pane giallo, e farina di miglio per il
pan de mej, farina di segale per il pan negher. Veniva
cotto in grandi pezzature nei forni comunitari e poi
conservato negli armadi e consumato in una o due
settimane. Lasciato indurire del tutto o addirittura
biscottato in forno il pan poss diventava pangrattato.
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Il tipo di pane più consumato era il pane giallo
composto da farina di granoturco e farina di
segale a cui si legava li levà che era una pasta
acida che si acquistava dal fornaio e fungeva
da lievito. Tutto l’impasto ottenuto veniva
messo in un recipiente per un’ora a lievitare;
poi veniva messo in un baslott per poi essere
messo su una lunga pala per poter essere
infornato. Quando sopra al pane si formava
una crosta scura significava che quest’ultimo
era pronto. Veniva riposto in una panadura
cioè un armadio dove veniva conservato.
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Con questo pane veniva preparato il pumià o pan pumja cioè pane
ammollato, il pane veniva tagliato a fette e veniva abbinato ad un
trito di lardo rosolato con acqua e sale, poi veniva bollito e il tutto
veniva messo in una scodella pronto per essere gustato. Il pane
bianco era una rarità e appariva sulle tavole solo in caso di festività.
Pan poss, vin brusch e legna verda fan l’ecunumia d’una cà.
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La polenta
Il menù quotidiano della popolazione era proprio la
polenta. La resgiòra la preparava tutti i giorni
cuocendola in un paiolo sul camino rimestandola con un
bastone di nocciolo o di castagno, la polenta acquisiva
spesso un sapore di fumo poiché durante la cottura
capitava che la fuliggine cadesse nella pentola. Una
volta pronta veniva inciso su essa un segno di croce
simbolo di benedizione, successivamente veniva
rovesciata sul tagliere e veniva coperta con un
asciugamano. I contadini non ne sprecavano nemmeno un
pezzettino mangiando anche le croste. La resgiòra
preparava anche cibi saporiti come salsiccia pucia.
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Il pesce
Il pesce non era un alimento particolarmente consumato soprattutto
perché non tutte le persone vivevano vicino a corsi d’acqua. La gente
comune che viveva attorno alle sponde si cibava anche di pesce come i
gamberi di fiume che però sono scomparsi a causa dell’inquinamento
oppure il pesce persico che veniva considerato il più prelibato. Una
volta pescato il pesce veniva conservato in apposite cassette rivestite
di felci e coperte da ghiaccio fornito dai laghi della Brianza che
gelavano. Quando si vendevano i filetti la parte di scarto non veniva
buttata ma bollita con verdure e poi mangiata fredda. Due piatti tipici
del comasco erano ul pes in carpiun e i missoltini.
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Saracch
Questo alimento era un pesce di scarsa qualità ma molto
saporito. I nostri vecchi mettevano il pesce su una
graticola poi veniva condito con aceto e sale, talvolta a
turno strofinavano su questo della polenta per
insaporirlo. Veniva spartito tra i commensali che
riservavano la parte più buona per bambini donne e
anziani e lasciavano agli uomini la parte più scadente
(coda, testa, pancia).
«Per fa na ben la cà ghe voor: l’amur e la pass,
la spusa che taas, el fööch pizaa, la pulenta nel stagnaa»
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Le minestre
Uno degli alimenti più ricorrenti sulle tavole dei
contadini era la minestra, era il cibo della sera, ma
spesso anche mangiata alla mattina come colazione .
Quella più comune veniva preparata facendo bollire
un paio d’ore la verdura con il lardo, acqua sale e a
volte riso. Gli ingredienti variavano di volta in volta
e qualche anno più tardi si iniziò ad aggiungere
persino la pasta. La minestra di latte era un piatto
pregiato e si cuoceva sostituendo al brodo il latte
allungato con l’acqua. I risotti venivano preparati
frequentemente e non mancava la dose di
ubriacatura costituita da buon vino rosso.
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La carne
La gente di quell’epoca era in grado di usare la parte di scarto della
carne, comunque la carne più comune era quella di maiale- purcell-.
Quando questo veniva ucciso era un giorno di festa. Durante l’inverno
giungeva alla corte un macellaio che compiva varie operazioni, la stagione
fredda era ottima per la conservazione della carne. Venivano ricavate
numerose cose come ad esempio il salame che veniva appeso nelle cucine
riscaldate per farlo sgocciolare e poi per essere trasferito nelle cantine
per farlo essiccare. La «luganega» che veniva consumata cotta e poi si
ricavavano salame cotto, mortadella di fegato che si mangiavano con
polenta calda o fredda.
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Del maiale non veniva sprecato nulla:
anche le parti meno nobili venivano
mangiate. La carne bovina a differenza di
quella dei suini veniva consumata dai
ricchi, la gente comune si recava dai
macellai per cercare di procurarsi del cibo
alternativo con pochi spiccioli. La parte
più richiesta era la testa del bue o della
vacca che veniva fatta bollire con qualche
verdura e in questo modo si otteneva
anche del buon brodo per fare delle
minestre.
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Le lumache
Le lumache erano un piatto gratuito e con un notevole
apporto proteico era una vera e propria leccornia
ricercata dai buongustai, venivano raccolte durante le
piogge di primavera, ma spesso i contadini dovevano
rinunciarci perché questa mansione occupava parecchio
tempo e i contadini dovevano lavorare nei campi e non
potevano permettersi andare a raccogliere le lumache.
Dopo un accurato lavaggio venivano bollite in modo da
farle uscire dal guscio. Queste, una volta infarinate, si
facevano rosolare sul soffritto di lardo e cipolla
venivano spruzzate di vino bianco si aggiungeva il
pomodoro, qualche aroma e si facevano cuocere per un
paio d’ore completando con aglio e prezzemolo tritati.
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L’osteria e il vino
Di domenica i contadini si recavano nelle osterie per assaporare un po’
di allegria. In ogni paese c’erano i circolini di proprietà di qualche
cooperativa cattolica o socialista, i contadini potevano sorseggiare
qualche bicchiere di vino. La figura dell’ubriacone era vista con una
certa simpatia, la raccomandazione della moglie al marito era vegn a
cà prest e minga ciocch. dopo questa giornata il lavoratore dopo che
aveva alzato il gomito si recava verso casa lamentandosi se qualche
buca lo faceva inciampare.
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Nelle osterie venivano anche diffuse notizie con la
compravendita di animali o con la combinazione di matrimoni.(
verificare se le osterie erano tutte socialiste o cattoliche) « va
in lècc che al vegn cìaar»
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La büseca
La büseca è un piatto povero che appartiene
alla tradizione delle nostra gente, veniva
preparata con le parti scadenti degli animali
come stomaco e intestino. Per cucinarla si
usavano tanti tipi di stomaco e di intestini
di ogni tipo di animale allevato e si
accompagnava con polenta o pane giallo. La
donne della corte per cucinarla mettevano a
mollo i fagioli la sera prima preparavano un
soffritto con della verdura, coprivano il
tutto con acqua o brodo e lo lasciavano
cuocere. La büseca veniva servita calda.
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Polenta uncia
Ingredienti
Polenta, burro, aglio, salvia, formaggio
grattugiato.
Preparazione:
Far soffriggere burro con aglio e
salvia, usare una pirofila profonda di
ceramica mettendo uno strato di
polenta e uno di formaggio, passare in
forno per una mezz’ora e infine togliere
dal forno e cospargere con abbondante
formaggio grattuggiato e con il burro
preparato in precedenza.
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Rustisciada
Ingredienti:
Filetto di maiale, un piedino di maiale, salsiccia,
cipolle, sedano e carota, scalogno, olio extra vergine,
burro, alloro, salvia, rosmarino, vino bianco, sale e
pepe.
cambiareeeeee
Preparazione:
Scottare la salsiccia e il piedino per pochi minuti in
acqua bollente, poi toglierli e tenerli al caldo. Far
appassire il trito di sedano carota e scalogno con
l’olio, aggiungere l’alloro e il piedino e spruzzare di
vino bianco. Tagliare le cipolle a fette metterle nella
pentola e proseguire nella cottura. Mettere gli altri
ingredienti e servire ben calda.
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Cazzöeula
Ingredienti:
Costine, verze, cotiche, piedino, verdure,
burro, sale pepe, pomodoro in salsa.
Preparazione:
Mettere la carne con le verze e far
rosolare per venti minuti, a parte far
rosolare le verdure con il burro, togliere le
verze e farle rosolare in una pentola con la
loro acqua facendole appassire, mettere
verze e cotenne e verdure, far cuocere due
ore poi aggiungere tutto il resto e far
cuocere ancora per mezz’ora.
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Pan meitt o pan meino
Ingredienti:
200g farina gialla o a grana fine, 100 g a grana
grossa, 150g farina bianca, 100g zucchero, 150g
burro, 3 uova, latte tiepido q.b., 20 g di lievito,
fiori secchi sambuco, sale, zucchero vanigliato.
Preparazione:
Mescolare le farine, aggiungere zucchero, uova,
burro e impastare. Mettere latte, lievito e i fiori .
Lasciare lievitare per un’ora. Prima di infornare
spolverare con lo zucchero e cuocere per 20
minuti a 200° C.
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Torta paesana al cacao o torta di latte
Ingredienti
1,5 lt di latte,400g pane raffermo, 300g amaretti, 3
uova intere, 250g zucchero ½ tavoletta di cioccolato
amaro, 100 g di cacao amaro, 50 g i burro alcuni
mettono anche i mostaccini, biscotti secchi fatti con
albume d’uovo zucchero e mandorle.
Preparazione:
Mettere a bagno pane e latte, amaretti, aggiungere
tutti gli altri ingredienti infine infornare a 180 gradi
per un’ora e si gusta sia fredda sia calda.
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