Pedro Páramo

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Pedro Páramo
Juan Rulfo
Pedro Páramo
Sull’altopiano bruciato dal sole strane figure si muovono fra le case bianche, rispondono alle domande del
forestiero prima di scomparire come fantasmi, vivono lo spazio di una battuta in un dialogo spesso serrato,
altre volte rilassato e cantilenante, tipicamente messicano. Juan Preciado interroga chiunque incontri, non
chiede nomi, i nomi lo avvolgono precipitando dalle parole di un contadino, di una donna, di un passante che
sembrano conoscere la sua storia senza che lui si sia presentato, cerca nel passato, Juan, ma le risposte
scavano il presente, annullano il tempo e lo spazio. L’altopiano deserto è magicamente popolato di oniriche
presenze che non possono però dissolversi. Lo deve a sua madre: cerca fra le case di Comala, lassù dove il
sole colora le agavi, asciuga il volto e la cattiva coscienza di chiunque abbia avuto a che fare con Pedro. «Lì
c’è, dopo il passo di Los Colimotes, la vista più bella di una pianura gialla quando il mais matura. Da quel
luogo si vede Comala, che imbianca la terra, e che durante la notte la illumina. E la sua voce era nascosta,
quasi spenta, come se parlasse fra sé e sé… Mia Madre». Comala è davvero in fondo alla valle, la gente per
le strade ha voglia di parlare, tutto è reale solo grazie alle parole, tutto si intreccia e combacia alla
perfezione, un incastro magico in cui il tempo si annulla, si dissolve nel racconto, si frammenta senza però
perdere la sua linearità. E quello che conta alla fine è che non è più necessario, il tempo, non esiste perché i
personaggi prendono il sopravvento, anzi l’attore vero è il contesto in cui quei personaggi si muovono, il
Messico “periferico”, quella che qualcuno ha definito la faccia triste dell’America. Ma sono davvero facce tristi
quelle di Pedro e Miguel Paramo, di Susana San Juan, di Juan? Quello di Rulfo è il Messico più vero, quello
delle emozioni senza limiti e senza tempo, quelle di chi ora è presente, di chi ha voglia di farsi coinvolgere,
abbracciare dal bagliore del sole che si riflette sulle case e dalla lentezza di un carretto fra le agavi azzurre,
o di un treno che sembra non arrivare mai da nessuna parte, non la faccia triste dell’America, ma quella che
non conosce mezze misure, come gli occhi di Pedro, venati di sopraffazione verso chiunque, dolcissimi
verso Susana, ancora di più verso il suo ricordo e rimpianto. Juan cerca suo padre, l’uno è vivo l’altro è
morto, il tramite sono tutti gli abitanti di Comala, reale e irreale si fondono, vita e morte si confondono. Ciò
che resta è la storia narrata su piani diversi, a volte convergenti, altre contrapposti, ma senza mai
confondere il lettore.
Perché solo un maestro della parola, in così poche pagine riesce ad annullare la cronologia, anzi a fare di
questa sospensione temporale la forza incredibile della storia che vuole proporre, stravolgendo il rapporto fra
spazio e tempo.
Uomini polverosi vestiti di bianco, dai sandali di cuoio consumati, qualche machete a tracolla che si fa
pesante di ritorno da una piantagione lontana, il profumo del lime o delle banane esplode dai sacchi gettati
sulle tavole dei carri e stordisce i sensi di chi per caso ha avuto la fortuna di lasciarsi inebriare da quella
magia.
La faccia triste dell’America sintetizza tutto ciò che c’è di umano e soprannaturale, di sacro e profano, di
contadino e filosofico, con Rulfo nasce probabilmente la letteratura Latino-Americana moderna, figlia
soprattutto della sintesi fra una spiritualità perduta e una mai negata. Pedro e Juan, padre e figlio, chi anima
chi corpo, ci si incontra alla Luna Dorada, qualcuno è morto, ma chi? «Se lei vedesse la quantità di anime
che se ne va in giro per le strade. Quando fa buio cominciano a uscire. E a nessuno piace vederle. Sono
tante, e noi così pochi, che ormai non ci mettiamo nemmeno a pregare perché non stiano più male. Le
nostre preghiere non basterebbero per tutti. Se potesse servire un pezzo di Padrenostro per ciascuno. E non
servirebbe a nulla. Poi ci sono di mezzo i nostri peccati. Nessuno di noi che siamo ancora vivi è in grazia di
Dio. Nessuno potrà alzare gli occhi al cielo senza sentirli sporchi di vergogna».
Michele Castelvecchi
Juan Rulfo
Pedro Páramo
Einaudi
€ 11,80