I metodi contabili ed i sistemi di scritture: evoluzione

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I metodi contabili ed i sistemi di scritture: evoluzione
I metodi contabili ed i sistemi di scritture: evoluzione storica e processuale
Sommario: 1. Introduzione; 2. L’affermazione della cosiddetta “Partita Doppia”; 3. La
teoria contabile della proprietà; 4. La teoria contabile dell’entità; 5. Il Sistema dei conti
nella logica patrimoniale di Fabio Besta; 6. Il Sistema reddituale di Gino Zappa; 7. Sulla
contrapposizione tra il sistema del patrimonio e il sistema del reddito; 8. Considerazioni
conclusive.
l. Introduzione
Il termine “scrittura contabile” indica l’annotazione in un apposito prospetto
(tradizionalmente chiamato “conto”) di informazioni economiche – amministrative
(solitamente sotto forma di cifre numeriche), desunte da un processo di osservazione
qualitativo – quantitativo, definito “rilevazione”. Scrittura contabile e rilevazione sono,
quindi, diversi concetti, anche se, ad onor del vero, nel linguaggio comune i due termini
sono spesso usati come sinonimi.
La tenuta dei conti, attraverso cui apprezzare i caratteri di ogni fatto gestionale,
comporta l’applicazione di norme con cui disciplinare il modo di funzionamento dei
conti: tale metodo è solitamente definito “metodo di registrazione”[1]. Con tale
definizione diventa ovviamente chiaro che tra i due aspetti esiste, in Economia
Aziendale, una notevole differenza, anche se le due operazioni sono intima mente legate
tra loro.
Lo sviluppo del contenuto delle scritture contabili è stato notevolmente influenzato dal
processo di trasformazione storica delle aziende di produzione e dalle particolari
esigenze operative pratiche, dell'influenza del clima culturale dominante nelle diverse
epoche. In questa sede vogliamo riepilogare il processo evolutivo del metodo di tenuta
delle scritture contabili e la conseguente genesi del sistema patrimoniale e
reddituale[2], evidenziando i presupposti da cui tali sistemi ebbero origine ed il diverso
contesto economico – ambientale in cui si svilupparono[3]. L’arte contabile è infatti
cambiata in relazione alle impellenti necessità di conoscere, in ogni tempo, l’essenza
delle configurazioni delle varie aziende, richiedendo nuove tecniche e “nuovi contenuti
da dare alle scritture contabili, al fine di adeguarle alle modificate condizioni
economiche, aziendali, ambientali e ai mutati obiettivi attribuiti alla stessa
contabilità”[4].
L’articolarsi del metodo contabile ha da sempre avuto per oggetto la misurazione
preminente del patrimonio (dapprima quello personale e poi di quello esclusivamente
aziendale), al fine di controllare la gestione della stessa ricchezza; esso è poi stato
strettamente correlato all’affermarsi del concetto d’impresa ed alla composizione della
sua struttura produttiva[5]. Solo quando l’azienda ha raggiunto una struttura
dimensionale complessa, diventando così un centro con più interessi da tutelare, si sono
elaborati sistemi contabili compiuti[6], in cui alle tecniche di tenuta delle scritture è
stato affidato un determinato oggetto da rilevare[7]. Venne così ad affermarsi la
differenza concettuale tra metodo e sistema contabile, intendendo per metodo la forma
(ossia il modo con cui tenere le scritture)[8] e, per sistema, l’oggetto (ossia il contenuto
che per mezzo della forma va percepito e osservato)[9].
I primi due sistemi contabili formatisi rispettivamente in concomitanza con
l’affermazione e la definitiva consacrazione dell’azienda – capitalistica. sono il cosiddetto
“sistema patrimoniale” di Fabio Resta ed il “sistema del reddito” di Gino Zappa[10].
Data l’importanza che essi rivestono, riteniamo opportuno analizzarli singolarmente,
premettendo però alcune considerazioni generali sullo strumento che entrambi hanno
utilizzato nell’elaborazione delle proprie teorie
1
2. L’affermazione della cosiddetta “Partita Doppia”
Sin dai tempi più lontani, lo svolgimento di una qualsiasi attività economica, anche se
organizzata nelle forme più semplici, ha comportato la necessità di tener memoria dei
fatti gestionali, soprattutto per quanto concerne i rapporti con i terzi (in particolare,
creditori e debitori). Già nelle forme aziendali più antiche ritroviamo i primi conti, i primi
libri, i primi rudimentali procedimenti di rilevazione contabile[11]. L’uso di questi conti
diventò, nel tempo, l’oggetto di un vero e proprio metodo di registrazione,
perfezionatosi con lo sviluppo delle attività economiche. Ad onor del vero, vi sono indizi
precisi che ci portano a pensare all’esistenza di un metodo di registrazione già presso i
Romani ed altre civiltà del Medio e dell’Estremo Oriente.
L’oggetto dei conti fu, per molti secoli, la rilevazione del solo aspetto finanziario delle
operazioni: era invece del tutto trascurato l’altro aspetto, ossia quello economico legato
all’amministrazione dell’azienda[12]. Del resto, nell’impresa del mondo medioevale[13],
non è dato riscontrare la presenza permanente dei mezzi di produzione destinati dal
soggetto economico all’esercizio dell’attività produttiva: in quell’epoca, piuttosto,
dominava lavoro umano, mentre le attrezzature a disposizione furono di ausilio ad esso,
non potendosi, quindi, parlare di strumenti di produzione o, ancor di più, di
immobilizzazioni[14]. In quest’epoca, quindi, fu lo scambio e non la produzione il
momento dominate dell’attività economica che le scritture contabili dovevano rilevare e
rappresentare. Pertanto, possiamo affermare che l’impostazione della contabilità fu
finalizzata alla rilevazione degli avanzi e disavanzi finanziari, senza riservare eccessivo
apprezzamento agli andamenti economici. Alla redazione periodica di inventari generali
si affidò, invece, il compito di rappresentare il patrimonio complessivo, che, raffrontato
con la consistenza iniziale, doveva dare dimostrazione del risultato di periodo[15]. Nella
nozione di patrimonio, inoltre, si ricomprendevano beni di diversa natura, da quelli in
uso alla famiglia a quelli presi in affitto, dai mezzi finanziari ricevuti da terzi ai beni
destinati all’attività commerciale, e via di seguito. Come vedremo, però, una tale
impostazione non poteva rivelarsi adeguata alle esigenze di un’impresa moderna: era
pertanto necessario apportare maggiore chiarezza nella metodologia di rilevazione
medioevale.
3. La teoria contabile della proprietà
Tradizionalmente, la divulgazione di un metodo rivoluzionario ed, al tempo stesso,
estremamente semplice, è attribuita all’opera “Tractatus Particularis de Computis et
Scripturis”, inserita nella più vasta “Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et
Proporzionalità” di Frà Luca Pacioli, pubblicata a Venezia nel 1494, all’indoma ni della
scoperta del Nuovo Mondo[16]: paradossalmente, anche tale “opera di divulgazione”
segnò una nuova era nell’attività mercantile e bancaria del Rinascimento, tant’è che
ancora oggi, con le dovute varianti, essa viene usata praticamente in tutto il
mondo[17]. Tale metodo è anche conosciuto con il termine “metodo italiano di
contabilità” (o “metodo della doppia entrata”) e si diffuse rapidamente, soppiantando
tutti gli altri metodi di registrazione in precedenza utilizzati, per la sua maggiore
razionalità, semplicità ed efficacia nel seguire i fenomeni aziendali[18]. Tra i fattori che
spinsero ad una più precisa metodologia di rilevazione vanno ascritti, senza ombra di
dubbio, la crescita dell’attività commerciale ed economica in generale, l’occupazione di
territori d’oltremare e la nascita della borghesia, dedita a lucrative attività
mercantili[19].
Le innovazioni riguardarono, però, anche aspetti più propriamente contenutistici. Infatti,
dal tentativo di seguire un metodo logico nella esposizione contabile dei fenomeni
amministrativi, si sviluppò la teoria contabile della proprietà, secondo la quale “gli affari
hanno bisogno di fondi per operare”[20]. Tali fondi inizialmente venivano apportati dal
proprietario (o proprietari) ed in seguito anche da terzi – estranei. I fondi così costituiti
formavano il valore disponibile (attività), mentre gli incrementi ed i decrementi della
proprietà erano l’avanzo o il disavanzo netto. Nella succitata teoria, il proprietario
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occupava una posizione centrale all’interno della struttura aziendale, in quanto era
considerato il possessore diretto delle disponibilità dell’impresa. Questo concetto, in
formula, può essere espresso così[21]:
ATTIVITÀ – PASSIVITÀ = PROPRIETÀ
dove:
attività = i beni posseduti dal titolare;
passività = i debiti del titolare;
proprietà = il capitale fornito dal titolare.
La suddetta teoria in questione andò bene sino a quando la forma di organizzazione
degli affari fu a base ristretta societaria[22].
Soltanto agli inizi deI XIX secolo la gestione dell’impresa fu definitivamente dissociata
dalla ristretta cerchia familiare, grazie allo sviluppo della meccanizzazione e della
rivoluzione industriale, con conseguenti nuove problematiche; in questo clima di
cambiamenti si rese necessaria la formazione di una metodologia contabile adeguata
all’interpretazione dei fatti economico – tecnici[23]. L’evoluzione di tale metodologia,
inoltre, consentì all’imprenditore il controllo dell’amministrazione dell’impresa[24]. La
vecchia impresa artigianale, di fronte alle nuove sfide, si vide costretta a rivolgersi ai
terzi per la raccolta di capitale di rischio, trasformandosi in una veste capitalistica, ben
espressa dal modello societario: ciò comportò la definitiva
separazione dell'attività produttiva da quella erogativa[25].
Inoltre, verso la fine del medesimo secolo, si assistette alla separazione della proprietà
dal controllo degli affari; il proprietario non è più il possessore diretto delle attività
disponibili dell’impresa, ma solo il possessore di titoli rappresentativi (ad esempio,
azioni o quote). In quest’ottica, l’attività imprenditoriale finì per essere concepita come
un’istituzione a sé stante, separata e distinta da coloro che forniscono i
finanziamenti[26].
4. La teoria contabile dell’entità
Alla luce dei suddetti cambiamenti, la teoria dei conti della proprietà fu sostituita dalla
cosiddetta “teoria dell’entità”, che basò le sue concezioni sul concetto di azienda come
organizzazione, avente fine di lucro, distinta dalle attività del proprietario[27].
L’equazione fondamentale su cui si fonda tale teoria è:
ATTIVITÀ = PASSIVITÀ + CAPITALE NETTO
dove:
attività = i beni posseduti dal titolare. Di particolare rilievo, soprattutto nelle
attività industriali, diventano le cosiddette “attività immobilizzate”, che assumono una
connotazione peculiare dell’impresa societaria;
passività = i debiti del titolare;
capitale netto = il valore dei titoli rappresentativi.
In quest’ottica, il patrimonio dei proprietari non ha più un’importanza fondamentale
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rispetto alle altre forme di patrimonio appartenenti a terzi. In effetti, con l’affermazione
della produzione industriale negli opifici, si resero necessari sempre maggiori
investimenti in immobilizzazioni, il che comportò una crescita dimensionale delle
imprese: gli strumenti produttivi si perfezionarono, il personale impiegato aumentò di
numero e si crearono i presupposti per la contrapposizione tra i proprietari del capitale
di rischio e i lavoratori.
Tutto ciò indusse a modificare il contenuto delle scritture contabili, le quali dovevano
rispondere all’esigenza di determinare, ad intervalli prefissati, il risultato della gestione,
che doveva essere, ovviamente, il più elevato possibile, secondo i classici canoni della
filosofia capitalistica[28]. La motivazione del raggiungimento di un elevato utile si
basava sul convincimento che solo un risultato di tale genere potesse giustificare
l’ingente capitale investito nel processo di produzione[29].
In verità, l’adeguamento dei sistemi contabili alla risoluzione delle nuove esigenze non
fu automaticamente correlato allo sviluppo dell’impresa: fino agli inizi del XX secolo
prevalsero gli aspetti finanziari della gestione e l’uso dei conti risentì delle cosiddette
“teorie personalistiche”, vale a dire di quelle teorie che, come abbiamo già accennato,
orientarono il sistema contabile verso la rilevazione dei fatti amministrativi, sulla base
dei rapporti giuridici che si generano tra l’azienda e i terzi[30].
Fu Fabio Resta[31], fondatore della ragioneria scientifica[32] e della sua teoria dei conti
a valore[33], a spingere la metodologia contabile ad abbandonare la teoria dei
logismografi, e segnare un grande progresso verso la costruzione induttivo –
sperimentale[34] di un metodo contabile[35], attento agli aspetti gestionali[36] al fine
di avere un utilizzo ottimale delle risorse aziendali[37].
I conti non furono più accesi a persone, ma bensì agli elementi attivi e passivi del
patrimonio aziendale ed alle variazioni positive o negative degli stessi. Ai singoli
elementi del patrimonio fu assegnato un valore, coincidente con il loro valore reale,
ossia con il costo di produzione oppure, in caso di operazione di scambio, contro
denaro, con il prezzo normale o comune[38]. In tale nuovo approccio rivestì un
carattere fondamentale la nozione di “conto”, che tuttora, a detta degli studiosi rimane
la più valida: il conto fu inteso dal Besta come “una serie di scritture riguardanti un
oggetto determinato, commensurabile e mutabile, e aventi per ufficio di serbar
memoria della condizione e misura di tale oggetto in un dato istante e dei mutamenti
che va subendo, in maniera da poter rendere ragione dello stato di codesto oggetto in
un tempo quale si voglia”[39]. Così Besta trasformò la vecchia “arte del far di conto”,
dove alle scritture si assegnava il compito di annotare crediti o debiti, nello “studio
dell’amministrazione aziendale, in cui le scritture contabili erano un valido strumento di
gestione”[40]. La motivazione dell’impostazione del Besta si accorda, del resto, con il
clima in cui egli opera. Infatti, le strutture operative degli inizi del secolo XX erano
caratterizzate dal patrimonio, inteso come sommatoria di elementi materiali. Era
pertanto ovvio che l’attenzione si spostasse su tale nuova entità, considerata
espressione e misurazione dell’equilibrio aziendale. Le variazioni degli elementi
patrimoniali davano contezza dei risultati dell’amministrazione compiuta su tali
elementi. Centro e oggetto della metodologia contabile fu, pertanto, l’evoluzione
giuridic a e tecnico – contabile degli elementi costituenti il patrimonio nel divenire
dell'amministrazione[41].
5. Il Sistema dei conti nella logica patrimoniale di Fabio Besta
La scelta del patrimonio come oggetto del sistema di rilevazione e di osservazione dei
fenomeni aziendali scaturì dalla convinzione che la ricchezza patrimoniale fosse l’aspetto
comune a tutte le aziende, sia di erogazione che di produzione, e che oggetto
dell’amministrazione aziendale fosse tale entità.
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Il patrimonio venne così osservato in termini qualitativi[42] da due punti di vista,
direttamente nei suoi elementi patrimoniali (attività e passività) e indirettamente nella
sua misura netta[43]. L’analisi del patrimonio fu talmente approfondita da richiedere in
sede di applicazione la rilevazione anche dei fenomeni interni di gestione relativi al
processo tecnico produttivo: infatti, erano rilevati anche i movimenti interni di merci,
prodotti, materie, etc.[44].
Rivoluzionaria fu la nozione di patrimonio, concepito come grandezza commensurabile
per via del valore monetario, ossia “come aggregato di beni, qualitativamente e
quantitativamente difformi, che trovano però un comune denominatore che ne possa
misurare la loro entità nel valore, esprimibile attraverso l’uso di una moneta di
conto”[45].
L’incremento del patrimonio era considerato “il fulcro della stessa continuazione
dell’attività aziendale”[46], così che la sua conoscenza (piuttosto che la sua analisi
interpretativa[47]) al termine dell’esercizio era l’obiettivo fondamentale delle scritture
contabili. In altre parole, l’azienda era concepita come una coordinazione di beni
materiali ed umani e ciascun elemento del patrimonio aziendale poteva essere valutato
e seguito nelle variazioni subite a causa della gestione, attraverso la misura del suo
valore monetario[48].
Le variazioni positive furono iscritte nella stessa sezione del conto (per convenzione
quella sinistra, il Dare), mentre i decrementi che quest’attività subiva nella sezione
opposta (e cioè Avere). I diritti di terzi che gravano sul patrimonio aziendale, invece,
furono rilevati per registrare gli elementi passivi del patrimonio, misurati da un valore
posto nella sezione destra dei conti ad essi accesi; nella sezione opposta, invece, furono
scritturate le estinzioni di tali passività.
La sommatoria dei valori dei saldi dei singoli elementi attivi e passivi della ricchezza
aziendale misurava il valore del capitale netto. Le variazioni patrimoniali che influivano
sul patrimonio netto erano considerati i soli componenti di reddito[49]: da ciò si può
dedurre che i componenti di reddito in un sistema così concepito altro non sono che
risultati lordi[50], mentre era del tutto assente qualsiasi determinazione analitica delle
voci di costo e di ricavo[51]. Il conto acceso al patrimonio netto consentiva la
registrazione di quei fatti amministrativi che modificavano l’entità di elementi del
patrimonio e che non trovavano corrispettivo in contrapposte variazioni di altri
elementi- Tale conto o i conti da esso generati, furono dal Besta chiamati “conti
patrimoniali derivati”: essi traevano origine dalle cause economiche o finanziarie
modificative dell’entità del patrimonio netto e consentivano il rispetto del canone di
registrazione in Partita Doppia, che richiede la contrapposta registrazione di ogni fatto
amministrativo nella sezione Dare di uno o più conti, ad analoga registrazione di uguale
importo nella sezione Avere di uno o più conti[52].
La teoria dei conti a valore permise un chiaro progresso del metodo di registrazione,
ponendo ad oggetto delle scritture contabili un’entità così complessa quale il patrimonio
e il risultato che dalla differenza patrimoniale scaturiva dalla sua gestione, svincolando
in tal modo il metodo contabile dalle finzioni aziendali cui lo costringevano le teorie
personalistiche.
In realtà la gestione d’impresa comportava l’esigenza di uniformarsi a criteri del tutto
nuovi, in cui la dinamica gestionale fosse vista, nei suoi aspetti specifici e
sostanziali[53], come un fenomeno unitario e rappresentato nella sua globalità, ed in
cui il processo di formazione del reddito fosse analizzato nella sua complessità[54].
Si andò così sempre più sviluppando lo studio dell’economia dell’azienda, dove la
gestione, l’organizzazione e la rilevazione furono considerate sullo stesso piano di
rilevanza, mentre il singolo fatto amministrativo venne analizzato nelle sue cause e
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rilevato in rapporto con gli altri fenomeni ad esso connessi, nella ricerca delle condizioni
di equilibrio atte a garantire la sopravvivenza dell’insieme aziendale[55]. Ne risultarono
pertanto modificati i concetti di azienda, di capitale e le stesse finalità delle scritture
contabili subirono una riordinazione teorica.
Questa nuova e profonda sistemazione concettuale trovò larga espressione nel pensiero
di Gino Zappa, che completò la costruzione del Besta, integrandola e sviluppandola in
modo da adattarla compiutamente alla mutata realtà economica[56].
Rilevante attenzione fu dedicata, dal punto di vista contabile, all’esame quantitativo –
monetario del capitale, unitamente al processo di formazione e alla determinazione
economica del reddito: da ciò deriva la denominazione della teoria zappiana come
“sistema del reddito”[57].
6. Il Sistema reddituale di Gino Zappa
La teoria di Gino Zappa, come in precedenza accennato, si rivelò fondamentale per lo
sviluppo degli studi aziendalistici. Essa, in prima approssimazione, può definirsi come
basata su una concezione realistica dell’impresa, la quale è vista come “un organis mo
complesso e dinamico, inserito in un contesto mutevole, che tende all'equilibrio nel
tempo”[58]. Infatti, secondo il su citato Maestro, l’impresa è un organismo sistematico
nel quale organizzare la produzione dei beni e servizi attraverso il coordinamento degli
strumenti di produzione che perdono la loro individualità ed il cui singolo valore acquista
significato se correlato all’utilità che offre all’azienda[59]. La redditività diventò il
parametro per distinguere se il complesso dei beni investiti nel sistema d’impresa fosse
stato coordinato vantaggiosamente per il soggetto aziendale e la massimizzazione del
profitto finì per rappresentare l’obiettivo strategico della gestione aziendale.
Ciascun accadimento della gestione d’impresa, caratterizzata nei suoi aspetti di
unitarietà e dinamicità, fu esaminato fondamentalmente sotto due aspetti entrambi
principali: quello economico (costo o ricavo), contrapposto all’aspetto finanziario (uscita
o entrata). Oggetto delle rilevazioni contabili furono, da una parte, il fenomeno di
trasformazione e, dall’altra, il sistema finanziario di circolazione monetaria;
l'acquisizione dei fattori di produzione comportò ]a rilevazione dei costi (conti negativi di
reddito o economici), i quali trovarono la loro misurazione nelle relative uscite
finanziarie (conti di numerario passivi), mentre la vendita dei prodotti generò la
registrazione dei ricavi (conti positivi di reddito) misurati da entrate finanziarie (conti di
numerario attivi)[60].
I fatti aziendali sono così rilevati nelle loro diverse manifestazioni numerarie e nello
stesso tempo studiati nel loro contenuto, in modo da avere, alla fine del periodo
amministrativo, una cognizione esclusivamente unitaria del capitale d’impresa e delle
cause della sua modificazione. Ciò portò ad avere una visione completa. globale e
quanto più vicina alla realtà dell'azienda. evitando la determinazione di singoli risultati
parziali, come invece avveniva nella teoria patrimoniale del Besta[61].
Il flusso continuo di costi e ricavi, di origine esclusivamente esterna, venne ad essere
misurato quantitativamente e soprattutto valutato al fine di stabilire quale parte
dovesse considerarsi di pertinenza dell'esercizio: cosicché il reddito di esercizio si staccò
dal concetto di variazione di capitale netto e scaturì dalla differenza tra ricavi attribuiti
all’esercizio e costi attribuiti all’esercizio.
Invertito fu il paradigma causale del procedimento valutativo del risultato di periodo,
rispetto alla concezione patrimonialistica; non più la determinazione prioritaria delle
variazioni del patrimonio, la quale incidentalmente determinava anche il reddito, ma si
rilevava dapprima il reddito per determinare successivamente (e in maniera indiretta) il
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capitale[62].
Abbandonata fu qualsiasi rilevazione dei fenomeni interni, in quanto derivanti da
congetture che ne inficiavano l'attendibilità nella determinazione del reddito[63].
Pertanto, poiché l’unico aspetto attendibile della rilevazione dei fenomeni era
considerato quello monetario, oggetto di rilevazione furono solo i fatti esterni della
gestione[64]. All’aspetto monetario, che rappresentò l’aspetto originario, ne fu
associato un altro di tipo economico, ugualmente attendibile, essendo derivato dal
primo[65].
Nacquero in questo nuovo scenario le rilevazioni sistematiche in contabilità generale,
basate sulla duplice osservazione e rilevazione dei fatti aziendali. L’esclusione di ogni
rilevazione di operazioni di gestione interna, affidate a strumenti di rilevazioni extracontabili, rese le scritture contabili più snelle e consentì di prestare maggiori attenzioni
ai fenomeni esterni, che ebbero una misurazione più attendibile e un contenuto più
diretto ai fenomeni della vita aziendale.
Alla nuova concezione di impresa e all’evidenziazione dell’aspetto economico e
finanziario della gestione si accompagnò anche una profonda e diversa concezione del
capitale sia sotto l'aspetto qualitativo che sotto l'aspetto quantitativo[66].
Il capitale d’impresa, visto nei suoi elementi qualitativi, comportò la necessità, alla fine
del periodo, di redigere un inventario, per rettificare i valori di conto, in considerazione
degli elementi che non trovando contropartita esterna all’azienda non erano stati
acquisiti come dati storici dal sistema contabile.
Lo stesso capitale d’impresa, esaminato, invece, nel suo aspetto quantitativo, come
misura del valore d’impresa nella quale continuamente si rinnova il ciclo produzionescambio ed investimento-recupero, causò tutta una serie di problemi di
valutazione[67].
Il capitale fu concepito così come uno strumento di produzione, scomposto
contabilmente nei suoi elementi solo per comodità di rilevazione contabile, in quanto
anello di congiunzione dei vari esercizi in cui la vita aziendale fu artificiosamente
scomposta[68]. Il metodo contabile in questo diverso contesto dovette dunque
rispondere all'esigenza di rilevare il risultato economico, mentre la determinazione del
capitale divenne solo l’anello di congiunzione dei vari esercizi.
L’impulso che il metodo contabile ricevette da questa teoria fu certamente il
perfezionamento e il completamento dei suoi contenuti, dovendo il suo scopo essere
non solo quello del controllo della gestione, ma anche quello di rappresentare la realtà
aziendale attraverso l’utilizzo dei dati contabili e l’interpretazione degli stessi, dopo
essere stati opportunamente elaborati.
7. Sulla contrapposizione tra il sistema del patrimonio e il sistema del reddito
Dall’analisi di quanto in precedenza visto, emerge come le due teorie elaborate dal
Besta e dallo Zappa risposero a differenti esigenze conoscitive, in relazione al contesto
culturale, economico, sociale ed al comportamento degli operatori aziendali che vi
operarono. Sotto un certo punto di vista possiamo anzi affermare che esse furono l’una
continuazione dell’altra, in un processo di completamento[69]. In realtà, più che di due
sistemi contabili contrapposti, si è trattato di due diversi modi di orientare il metodo
della partita doppia di fronte al medesimo oggetto di rilevazione, ossia il capitale e il
reddito. Questi due orientamenti scaturirono da difformi basi logiche, risiedenti nei
concetti di azienda e del suo patrimonio di gestione e della misurazione dei suoi
risultati, che a loro volta sono state frutto dell’ambiente in cui sono venute a
svilupparsi[70]. Il loro contenuto, infatti, è risultato identico, in quanto dalla rilevazione
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dei fatti amministrativi in entrambi si perviene alla determinazione sia del capitale nei
suoi aspetti qualitativo-quantitativo, sia del risultato generale d’impresa[71].
La teoria patrimoniale del Besta considera la materia dei conti come un complesso
frammentario di elementi patrimoniali di cui si devono determinare le variazioni attive e
passive e dalla cui contrapposizione scaturiscono i risultati economici particolari dei vari
rami della gestione, rappresentativi dell’incremento o del decremento del patrimonio
netto. Da questi risultati parziali si giunge, poi, alla determinazione di un risultato lordo
generale della produzione caratteristica dell’impresa[72].
La teoria reddituale dello Zappa, invece, considera quella stessa materia come un
complesso coordinato e inscindibile di costi e ricavi, misurati rispettivamente da
variazioni numerarie attive e passive e che contrapposti tra loro danno origine ad un
unico risultato generale finale che è anch’esso incremento o decremento del patrimonio
netto aziendale[73].
Non vi è, in particolare, un oggetto diverso di rilevazione contabile nelle due teorie, ma
il medesimo sistema considerato sotto visuali diverse[74].
La differenza tra i due sistemi consiste nell’attribuire priorità diverse ai due risultati e,
soprattutto, nel rappresentare la stessa realtà con procedure tecniche differenti[75].
Solo in anni relativamente recenti la visione reddituale e quella patrimoniale
dell’azienda è stata ma gistralmente puntualizzata dall’Amaduzzi, che ha indagato
direttamente le operazioni aziendali, rispetto alle quali capitale e reddito non sono che
aspetti derivati[76]. Questa visione più diretta dei fatti amministrativi, basata
sull'aspetto finanziario ha, poi, permesso all’Autore di elaborare una più ampia teoria
dell’equilibrio, considerato sotto l’aspetto finanziario, economico e patrimoniale[77].
8. Considerazioni conclusive
Questo breve excursus evidenzia come siano stati numerosi i cambiamenti e le
attribuzioni assegnate alle scritture contabili, frutto delle diverse esigenze informative
dei diversi interessi. A seconda delle esigenze e degli interessi, infatti, sono venuti a
modificarsi procedure applicative e contenuti delle scritture contabili[78].
Oggi l’azienda coinvolge una moltitudine di soggetti che a vario titolo hanno interessi
economici (azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, Enti Pubblici, etc.): in un tale contesto
dinamico si è affermata la “teoria dell’impresa” in cui l’azienda non è più concepita
come entità autonoma, esistente a beneficio del titolare-proprietario, ma come
istituzione sociale. L’impresa è divenuta parte in causa delle conflittualità che
caratterizzano la società moderna proprio per la natura degli interessi contrapposti che
in essa confluiscono. Diventa pertanto evidente l’importanza di un orientamento
contabile che sappia garantire coloro che da una gestione sana dell’impresa, fondata
sull’interpretazione equilibrata dei dati contabili, vedano tutelati i propri interessi. In
questo senso vanno lette le molte istanze tese a favorire una più accurata informazione
aziendale[79]. L’odierno obiettivo della contabilità è, quindi, quello di offrire all’esterno
un'informazione chiara, veritiera e corretta del reddito prodotto[80].
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É sulla base di queste considerazioni che si fa sempre più strada l’uso di metodiche che
prescindono dai dati storici di conto, per fornire dati e informazioni sul valore economico
della realtà aziendale, soprattutto in considerazione dell’importanza assunta dai
componenti immateriali del capitale[81].
Domenico Lamanna Di Salvo
Dottore commercialiste - Revisore contabile
Docente presso la libera Università di Bolzano
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[1] Per ulteriori approfondimenti sul concetto di scrittura contabile, di conto, di
rilevazione e di metodo di re gistrazione si rimanda a: Zappa G. –Azzini L. –Cudini G. ,
Ragioneria Generale, Milano, 1951, pp. 25 ss. ; Amaduzzi A. , Ragioneria Generale, vol.
II, I procedimenti di rilevazione, Firenze, 1950, p. 134; Amaduzzi A. , L’azienda nel suo
sistema e nei suoi principi, UTET, Torino, 1978, pp. 444 ss. ; Cassandro P. E. , Trattato
di Ragioneria, Cacucci, Bari, 1985, pp. 443 ss. ; Cassandro P. E. , Metodologia contabile
e metodologia statistica, in “Scritti vari”, Cacucci, Bari, 1991, pp. 305 ss. ; D’Alvise P. ,
Principi e precetti di ragioneria, Padova, 1934, p. 506.
[2] Un sistema contabile è “l’insieme coordinato di conti utilizzati per la rilevazione di un
determinato oggetto complesso. Esso, quindi. in quanto sistema di conti, altro non è
che un sistema di valori” cfr. Amaduzzi A., L’azienda nel suo sistema e nei suoi principi,
op. cit. , p. 538. Sul punto si veda, inoltre: Masini C. , Lavoro e risparmio, Torino, 1979,
p. 203; Cassandro P. E. , Le rilevazioni aziendali, Cacucci, Bari, 1971, pp. 237 ss. ; De
Dominicis U. , Lezioni di ragioneria generale. La Contabilità Generale e la Contabilità
d’esercizio nelle imprese, vol. V, Bologna, 1986, p. 129; Onida P. , La logica e il sistema
delle rilevazioni quantitative d’azienda, Giuffrè, Milano, 1970; Rossi N. , L’Economia di
azienda e i suoi strumenti di indagine, Torino, 1964, pp. 88 e ss.
[3] La rilevazione dei fatti economici ha certamente preceduto lo studio unitario ed
organico dell'azienda e addirittura la stessa definizione di azienda. Sull'argomento si
rinvia a: Amaduzzi A. , L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni,
UTET, Torino, 1978, pp. 48 ss. ; Onida P. , Le discipline economico – aziendali, Giuffrè,
Milano, 1951.
[4] “... un metodo nasce concretamente, e si forma. in connessione a un dato sistema,
sicché il suo studio riesce più efficace se lo si considera congiuntamente al sistema
intorno al quale si sviluppò. … tra sistema e metodo non vi può essere netta e assoluta
separazione. se si vuole che il metodo riesca davvero efficace strumento conoscitivo e
13
di controllo”: cfr. Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, op. cit. , p. 450.
Sull’argomento si vedano, tra gli altri: Amaduzzi A. , L’azienda nel suo sistema e
nell’ordine delle sue rilevazioni, UTET, Torino, 1978, pp. 48 ss. ; Onida P. , Le discipline
economico – aziendali, op. cit. ;Onida P. , Economia d’azienda, UTET, Torino, 1971, p.
564; Paoloni M. , Introduzione alla contabilità generale ed al Bilancio d’esercizio,
Cedam, Padova, 1994, p. 110.
[5] Onida P. , Economia d’azienda, op. cit. , pp. 555 ss.
[6] Diversi sono i fini cui può mirare un sistema di conti. Con riferimento a tali fini
potremo individuare, tra gli altri:
- sistemi di contabilità generale, avente lo scopo di determinare il risultato aziendale
complessivo;
- sistemi di contabilità finanziaria, quando il fine è la determinazione dell’avanzo o del
disavanzo finanziario;
- sistemi di contabilità dei costi, quando si vuole determinare i costi ed i risultati
analitici di produzione;
De Dominicis U. , Lezioni di ragioneria generale. La Contabilità Generale e la Contabilità
d’esercizio nelle imprese, vol. V, Bologna, 1986, pp. 129 ss.
[7] Cfr. Ponzanelli G. , Lezioni di ragioneria generale, Siena, 1975, p. 497.
[8] Cassandro, nel definire i metodi contabili “insieme di norme convenzionali”, sostiene
che almeno teoricamente tali norme potrebbero essere applicate per la rilevazione di
più oggetti diversi. AI riguardo, lo stesso Besta affermava la possibilità, da un lato, di
applicare lo stesso metodo per la rilevazione di oggetti diversi e, dall’altro, di adottare
metodi diversi per la tenuta delle scritture contabili costituenti un determinato sistema.
Cfr. Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, op. cit. , pp. 443 ss.
[9] Amaduzzi A. , L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, op. cit. ,
pp. 538 ss. ; Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, op. cit. , pp. 444 ss. ; Cassandro
P. E. , Metodologia contabile e metodologia statistica, op. cit. , p. 595 ss. ; Onida P. , Le
discipline economico – aziendali, op. cit.
[10] “Questi due sistemi contabili possono essere definiti «sistemi originari». Dalle
rispettive loro concezioni e dalle successive modifiche sono, poi, scaturiti i «sistemi
derivati» patrimoniali (sistema patrimoniale nella variante corrente, sistema
patrimoniale nella variante anglo-americana) e reddituali (sistema del reddito secondo
la variante delle variazioni finanziarie, sistema del reddito secondo la variante delle
rimanenze presunte): così Amodeo D. , Ragioneria generale dell’impresa, Napoli, 1983,
pp. 911 e 928; Gabrovec Mei O. , Sistemi contabili e strutture del conto del risultato
economico, Cedam, Padova, 1998; Paoloni M. , Introduzione alla contabilità generale ed
al Bilancio d’esercizio, op. cit. , p. 111.
[11] Per maggiori dettagli si rinvia a: Turco M. , I procedimenti di rilevazione contabile.
Le origini storiche del conto e della Partita Doppia, RIREA, Roma, 1999.
[12] Cfr. Luchini E. , Storia della Ragioneria italiana, Cacucci, Bari, 1990, pp. 14 ss
[13] Sulla struttura delle aziende medioevali si rimanda a: Ponzanelli G. , Metodologia
contabile, Industria Grafica Pistoleri, Siena, 1969, pp. 42 ss.
14
[14] “Pur se incominciarono ad essere utilizzati strumenti di lavoro, essi svolsero,
infatti, una funzione di semplice completamento e supporto al lavoro manuale”: così si
esprime Bariola P. , Storia della Ragioneria italiana, Cacucci, Bari, 1988, pp. 47 ss.
[15] Ceccherelli A. , Il linguaggio dei bilanci, op. cit. , pp. 32 ss.
[16] Sull’argomento si rimanda, tra gli altri, a: Amaduzzi A. , Frà Luca Pacioli e la
Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, in “Atti del Convegno
Internazionale Straordinario su Frà Luca Pacioli”, Venezia, 1994; Antinori C. –
Hernandez Esteve E. , Luca Pacioli. 500 anni di partita doppia, Rirea, 1994; G.
Cavazzoni, Luca Pacioli ed il Trattato dei computi e delle scritture, Saggio introduttivo,
in “Tractatus de Computis et Scripturis” (a cura di A. Riera, Cacucci), Bari, 1994; Melis
F. , Storia della Ragioneria, Zuffi, Bologna. 1950; Turco M. , I procedimenti di
rilevazione contabile. Le origini storiche del conto e della Partita Doppia, op. cit. ;
Vianello V. , Luca Paciolo nella Storia della Ragioneria, Cacucci, Bari, 1991.
[17] Tale metodo si diffuse anche all’estero. Per adeguati approfondimenti sulla
divulgazione all’estero della partita Doppia si vedano. tra gli altri: G. Catturi, I nuovi
eremiti, in “Rivista di Storia della Ragioneria”, Rirea, Anno l, n. 1; Turco M. , I
procedimenti di rilevazione contabile. Le origini storiche del conto e della Partita Doppia,
op. cit. , pp. 107 – 120.
[18] Melis F. , Storia della Ragioneria, op. cit. , p. 409 ss.
[19] In tal senso: Ceccherelli A. , Il linguaggio dei bilanci, Firenze, 1970, p. 57: Corsani
G. , I fondaci e i banchi di un mercante pratese del trecento, Prato, 1922.
[20] Uno dei primi esposi tori e sostenitori di questa teoria fu Luca Pacioli, il quale in un
passo della Summa de Arithmetica, Proportioni et Proporzionalità, afferma: “molti, già
nudi, con buona fede cominciando, di gran faccende abbino fatto, e mediante loro
credito fedelmente servato in magne ricchezze siano pervenuti”. Osserva Turco che “è
chiaro il riferimento del Pacioli al mercante, in quale è concepito come un individuo che
esercita il «maneggio» non solo dei beni del proprietario, ma anche dei terzi
sovventori”: cfr. Turco M. , I procedimenti di rilevazione contabile. Le origini storiche
del conto e della Partita Doppia, op. cit., pp. 80 ss.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Gaffinkin M. J. R. ,
Redefining accounting theory, proceedings , south east asia University
accounting teachers conference, Jan. 199, pp. 291 – 302; Watis R. L. –
J. L. Zimmerman, Positive accounting theory, Prentice Hall, 1978;
Bubner R. , Habermas’s concept of critical theory, in Thompson J. B. &
Held Habermass D. , Critical debates, Macmillan Press, 1982, p. 42 – 56.
[21]
[22] Per un approfondimento dell’argomento si rimanda a: Anthony R. N. , Contabilità e
bilancio: uno schema concettuale, Franco Angeli, 1986, p. 119.
[23] Per ulteriori approfondimenti si veda, tra gli altri: De Rosa L. , La rivoluzione
industriale in Italia, Laterza, Bari, 1980.
[24] Così Ceccherelli A. , Il problema dei costi nelle prospettive economiche e
finanziarie delle imprese, Seeber, Firenze, 1936, p. 42; Riparbelli A. , Gli attuali
strumenti di Ragioneria nelle imprese moderne, Cursi, Pisa, 1971, p. 61.
[25] Ponzanelli G. , Metodologia contabile, op. cit. , p. 47.
15
Di tale parere è: Littleton A. C. , Accounting Evolution to 1900, New
York American Institute Publishing, 1933, pp. 133 ss.
[26]
[27] In questa nuova teoria, l’utile è considerato dell’entità, e non va più visto come il
profitto personale del proprietario. Per ulteriori approfondimenti si leggano:
Anthony R. N. , Contabilità e bilancio: uno schema concettuale, op. cit. ,
p. 119 ss. ; Vatter W. J. , The fund theory of accounting and its
applications for financial reports, Chicago, University of Chicago Press,
1947, pp. 2 ss.
[28] Di Cagno N. , Sul significato e sulle possibilità di attuazione delle politiche di
stabilizzazione dei redditi, in Economia e Commercio, A.L.E.C.U.B. , n. 2, 1996.
[29] Cfr. Catturi G. , Teorie contabili e scenari economico-aziendali, CEDAM, Padova,
1997, p. 133.
[30] Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: G. Catturi.
economico – aziendali, op. cit. , pp. 116 ss. ; Ceccherelli A. ,
1915, pp. 100 ss. ; Giannessi E. , I precursori, Cursi, Pisa.
Storia della Ragioneria, CEDAM, Padova, 1986; Onida P. ,
aziendali, op. cit. , pp. 29 ss.
Teorie contabili e scenari
La Logismografia, Milano,
1964; Pezzoli S. Profili di
Le discipline economiche
[31] La ragioneria fu definita dal Besta come “la disciplina che studia ed enuncia le leggi
del controllo economico nelle aziende”. Per “controllo economico” l’illustre Maestro
intendeva quella parte dell’amministrazione in cui il lavoro economico viene rilevato e
studiato nelle sue cause e nei suoi effetti, in modo da poterlo dirigere e indirizzarlo
verso quelle vie ritenute più vantaggiose: cfr. Besta F. , La Ragioneria, vol. I, Vallardi,
Milano, p. 31.
[32] La teoria del Besta nasce come reazione a quel modo semplicistico ed astratto di
spiegare i fatti amministrativi. Secondo Cassandro, al riguardo, la teoria del Besta, per
rigore logico, chiarezza e compiutezza di trattazione può essere definita la prima teoria
avente il carattere della scientificità: cfr. Cassandro P. E. , Le teorie contabili da Luca
Pacioli ai nostri giorni, in “Scritti vari”, Cacucci, Bari. 1994, p. 875. Per ulteriori
approfondimenti si rinvia a: Bruni G. , La Ragioneria scientifica nel pensiero di Fabio
Besta e nelle successive tendenze ed evoluzioni, in “Rivista Italiana di Ragioneria e di
Economia Aziendale”, settembre – ottobre 1996; Canziani A., Il decennio 1920-1929
quale punto di ,svolta della Ragioneria italiana. Il contributo zappiano, in “Saggi di
Economia aziendale per Lino Azzini” Giuffrè. Milano, 1987, p. 192: Masi V. , La
ragioneria nell’età moderna e contemporanea, (testo riveduto e completato da Antinori
C.), Giuffrè, Milano, 1997, pp. 329 ss. ; Perrone E. , Considerazio ni sul metodo
d’indagine e sull'oggetto della Ragioneria nel pensiero di Giuseppe Cerboni, in “Rivista
Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale”, n. 6-7, 1985; Pezzoli S. , Dalla teoria
del conto alla teoria dei sistemi di scritture, in “Rivista Italiana. di Ragioneria e di
Economia Aziendale”, gennaio, 1985; Antoni T. , Fabio Besta, contributo alla
conoscenza degli studi aziendali, Pisa, Cursi, 1970. pp. 16 ss. e inoltre p. 66 ss.
[33] Precursori di tale nuovo orientamento furono Giuseppe Ludovico Crippa (1838) e
Francesco Villa (1840), che propugnarono un nuovo modo di concepire l’azienda e di
tenere i conti, prevedendo l’accensione di conti alle cose e alle persone. Sull’argomento
si vedano; Della Penna F. , Le istituzioni contabili, Roma, Casa Ed. Castellani, 1946, p.
304 ss. ; Giannessi E. , Attuali tendenze delle dottrine economiche-tecniche italiane,
Cursi, Pisa, 1954, p. 116; Onida P. , Le discipline economico-aziendali, op. cit.. 1951, p.
21; Pezzoli S. , Profili di Storia della Ragioneria. op. cit.
[34] Fondamentale nell’elaborazione di tale teoria fu l’influenza dello spirito positivista
16
della seconda metà dell’Ottocento, che fondava le sue concezione sull’idea dell’esistenza
di un ordine nella natura delle cose, sulla possibilità di individuare le leggi che
governavano tale ordine, sul valore pratico delle conoscenze scientifiche, sul “dominio
dell’uomo sulla natura”. Così Cassandro P. E. , Fabio Besta, in “Scritti vari” Cacucci,
Bari, 1994. pp. 940 ss. ; MASI V. , La ragioneria nell’età moderna e contemporanea,
op. cit. , p. 334 ss. ; Perrone E. , Considerazioni sul metodo d’indagine e sull’oggetto
della Ragioneria nel pensiero di Giuseppe Cerboni, in “Rivista italiana di Ragioneria e di
Economia Aziendale”, 1985; Antoni T. , Fabio Besta, contributo alla conoscenza degli
studi aziendali, op. cit. p. 166 ss.
[35] Fu Fabio Besta a precisare la distinzione tra metodo e sistema contabile: cfr. Besta
F. , La Ragioneria, op. cit. , p. 118.
[36] Lo stesso Autore ebbe il grande merito di considerare nell’ambito degli studi
economici aziendali le problematiche organizzative, gestionali e del controllo economico,
sollevando non poche polemiche in dottrina. Egli fu infatti accusato di non occuparsi del
nucleo centrale degli studi ragionieristici, ovverosia la registrazione del fatti
amministrativi. A queste accuse il Maestro rispondeva che la Ragioneria doveva essere
considerata “scienza di applicazione per eccellenza” e che non poteva limitarsi alla
semplice conoscenza del patrimonio, ma doveva altresì seguire la sua evoluzione nel
tempo: cfr. Besta F. , La Ragioneria, op. cit. , p. 333. Sul punto si vedano anche: Antoni
T. , Fabio Besta, contributo alla conoscenza degli studi aziendali, op. cit. pp. 166 ss. ; Di
Stefano, L’economia aziendale ed il management. Analisi storiche dottrinali, Il
Borghetto, Pisa, 1993, pp. 7 – 30; Gonnella E. , Le valutazioni di bilancio nel pensiero di
Fabio Besta. Note critiche, Il Borghetto, Pisa, 1994; Mazza G. , Ragioneria ed Economia
Aziendale, in “Rivista dei dottori commercialisti”, 1977, pp. 43 ss. ; Riccaboni A. ,
Costruzione e modernità nel concetto di controllo proposto da Fabio Besta, in “Atti del
Primo Convegno nazionale di Storia della Ragioneria”, Siena, 1991.
[37] Secondo Cassandro, il Besta dedicò particolare attenzione al controllo economico
(e quindi alla Ragioneria), trascurando gli altri aspetti, ugualmente importanti,
dell’amministrazione economica: cfr. Cassandro P. E. , Fabio Besta, in Scritti vari, op.
cit., p. 943. Dello stesso parere sono anche: Di Stefano, L’economi aziendale e il
management. Analisi storiche e dottrinali, Il Borghetto, Pisa, 1993, p. 7 – 30;
Giannessi. E. , Attuali tendenze delle dottrine economico – tecniche italiane, op. cit. , p.
199; Giannessi. E. Appunti di Economia aziendale, Pisa. Pacini, 1979. pp. 240 ss. ;
Giannessi. E. , I precursori in economia aziendale, Giuffrè, Milano, 1980, p. 133: Mazza
G. , Ragioneria ed Economia aziendale, in “Rivista dei Dottori Commercialisti”, 1977. p.
43 ss. ; Gonnella E. , Le valutazioni di bilancio nel pensiero di Fabio Besta. Note
c ritiche, Il Borghetto, Pisa, 1994.
[38] Cfr. Besta F. , La Ragioneria, op. cit. , Vol. II, p. 300.
[39] Cfr. Besta F. , La Ragioneria, op. cit., Vol.
II, pp. 215 ss.
[40] In tal senso Mazza G. , Problemi di assiologia aziendale, Giuffrè, Milano, 1997. p.
277. Al riguardo Onida afferma: “Il contabile e lo statistico d’azienda. che non sia un
mero esecutore di rilevazioni da altri concepite, ordinate e interpretate, deve essere
anche economista d'azienda”: cfr. Onida P. , Economia d’azienda, op. cit. , p. 583.
[41] Altro grande merito che deve essere riconosciuto al Besta è la nuova concezione
del patrimonio, non più definibile, come “una somma di diritti e di obblighi”, secondo la
definizione di Cerboni, , ma come una grandezza economica misurabile: cfr. Besta F. ,
La Ragioneria, op. cit. , Vol. II, pp. 70 - 72.
[42] Non si osservò però il patrimonio sotto l’aspetto qualitativo, il che avverrà
solamente con Gino Zappa. In tal senso Pezzoli S. , Dalla teoria del conto alla teoria dei
17
sistemi di scritture, op. cit.
[43] Cfr. Cassasdro P. E. , Le teorie contabili da Luca Pacioli ai nostri giorni, op. cit. , p.
875.
[44] Criticata per l’appesantimento delle scritture contabili e per l’eccessivo inserimento
di valori di stima fu la scelta del Besta di inserire, nell’ambito della contabilità generale
le rilevazioni dei fenomeni interni. Cfr. Onlda P. , La logica e il sistema delle rilevazioni
quantitative d’azienda, op. cit. , pp. 91 – 92; Giannessi E. , Appunti di Economia
Aziendale, op. cit. , 1979. p. 242 - 247.
[45] Della Penna F. , Le istituzioni contabili, Casa Ed. Castellani. Roma, 1946, pp. 303
ss. ; dello stesso parere anche Marchi L. , Introduzione alla contabilità d’impresa,
Giappichelli, Torino, 1998, p. 13.
[46] Cfr. Rossi N. , Il Bilancio nel sistema operante dell’impresa, S.A.M.E. , Milano,
1958, p. 76.
[47] Tale carenza fu poi evidenziata da Gino Zappa. nella sua opera “Tendenze nuove
negli studi di ragioneria. Discorso inaugurale dell’anno accademico 1926-27 nel R.
Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia”, Milano, Istituto
editoriale scientifico, 1927, p. 35.
[48] È proprio dalla concezione originale dell’azienda e di conseguenza da quella del
patrimonio, che il Besta elabora la sua teoria contabile. L’azienda è concepita come
“somma di fenomeni, o negozi, o rapporti da amministrare relativi ad un cumulo di
capitali che formi un tutto a sé ... La somma di quei risultati particolari consente,
altresì, di determinare quello raggiunto, nell’arco di tempo preso in considerazione...”:
così Perrone E. , La dottrina di Fabio Besta nell’evoluzione della Ragioneria, Siena,
1986, pp. 129 e p. 186.
[49] Sull’argomento si rimanda a Lorusso B. , Ragioneria Generale, Bari, 1922, p. 202.
[50] Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Di Cagno N. , Il Bilancio d’esercizio,
Cacucci, Bari, 1995, pp. 174 - 175; Mazza G. , Problemi di assiologia aziendale, op. cit.
, pp. 278 ss. ; Gabrovec Mei O. , Sistemi contabili e strutture del conto del risultato
economico, op. cit., p. 9.
[51] Tale scelta è legata alla premessa dell'Autore di rilevare le variazioni patrimoniali
nette. In tal senso: Gabrovec Mei O. , Sistemi contabili e strutture del conto del
risultato economico, op. cit., p. 21.
[52] Per ogni ulteriore approfondimento in tal senso si rimanda a: Gabrovec Mei O. ,
Sistemi contabili e strutture del conto di risultato economico, op. cit. , pp. 21 ss.
[53] Cassandro, al riguardo, osserva che nel Besta non mancarono riferimenti alla
sostanza economica della vita aziendale. nelle parti riguardanti la valutazione del
patrimonio aziendale e la determinazione dei valori di conto, in cui, abbandonando lo
strumento contabile, si prende in esame la formazione dei valori e, quindi, la gestione
dalla quale quei valori hanno origine: cfr. Cassandro P. E. , Metodologia contabile ed
economia aziendale, in Scritti vari, Cacucci, Bari, 1991, p. 258.
[54] In tale nuovo contesto, venutosi a creare agli inizi del Novecento non si ebbe “il
rigetto totale delle elaborazioni teoriche preesistenti, bensì un loro riordinamento e
ripensamento”: cfr. Paolone G. – DAmico L., L’economia aziendale, Giappichelli, Torino,
1994, p. 6. Sul processo evolutivo degli studi aziendali si rinvia a Ferraris Franceschi R.
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, Tratti caratteristici e possibili fattori di sviluppo dell’economia aziendale italiana
contemporanea, in “Rivista dei Dottori Commercialisti”, 1983, p. 283.
[55] Al riguardo, Zappa così afferma: “... i fatti... non sono altro che pietruzze non
composte nelle linee e nelle figure del mosaico, quasi nemmeno sono una parte del
mosaico”: cfr. G. Zappa, Il reddito d’impresa, Milano, 1950, p. 13.
[56] Cfr. Mazza G. , Problemi di assiologia aziendale, op. cit., p. 285 ss.
[57] Nella formulazione di tale teoria si ravvisa una forte influenza esercitata dalla
cultura tedesca, che si affermò tra il XIX e XX secolo, soprattutto nella ricerca scientifica
ed in campo giuridico-amministrativo.
[58] Cfr. Zappa G., Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Milano, 1927, pp. 30 - 40.
[59] Cfr. Zappa G., Tendenze nuove negli studi di ragioneria, op. cit. , p. 37.
[60] É il reddito la grandezza da rilevare contabilmente e ad esso sono interessati chi
tiene alle sorti aziendali. Cfr. Zappa G. , Il reddito d’impresa, Milano, Giuffrè, 1950. p.
88.
[61] Cfr. Cassandro P. E. , Metodologia contabile ed Economia d’Azienda, in Scritti vari.
op. cit., p. 261. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Gabrovec Mei O. , Sistemi
contabili e strutture del conto del risultato economico, op. cit., p. 15.
[62] Cfr. A. Canziani , Il decennio 1920-1929 quale punto di svolta della Ragioneria
italiana. Il contributo zappiano, op. cit. , p. 186. Nello stesso senso si sono pronunciati:
A. Salzano , I procedimenti della rilevazione nei limiti dell’economia d’impresa, Roma,
1957, p. 135; Levi E. , Ragioneria applicata, Milano, 1959, p. 10.
[63] Cfr. D’Ippolito T. , La contabilità e il bilancio delle aziende di produzione. appendice
IX. La teoria della partita doppia secondo Sesta e secondo Zappa, Milano, 1945, pp. 464
ss. Le rilevazioni interne. infatti. comportano la necessità di valutare i fenomeni in base
ad elementi lontani dalla obiettiva valutazione monetaria data, invece, da un prezzo
formatosi sul mercato. Cfr. G. Zappa. Il reddito d’impresa, op. cit. , p. 109. Per ulteriori
approfondimenti si rimanda a Onida P. , Economia d’azienda, op. cit., pp. 577-578.
[64] Da questa separazione delle rilevazioni dei fenomeni gestionali venne a svilupparsi
la contabilità generale e quella analitica. Sull’argomento si rinvia a Bergamin Barbato M.
, Il controllo di gestione in un’ottica strategica, UTET, Torino, 1991, pp. 211 ss.
[65] AI riguardo significative sono le affermazioni dello Zappa: “La rilevazione delle
variazioni numerarie certe costituisce, mentre l’esercizio si svolge, il fondamento della
determinazione contabile dei componenti positivi e negativi di reddito. ... Ogni incasso
da origine ad un componente positivo di reddito ... ogni pagamento dà origine ad un
componente negativo di reddito, e precisamente un costo”. Cfr. Zappa G. , Il reddito
d’impresa, op. cit. , p. 113.
[66] Il capitale è inteso come un “unico... fondo astratto di valori...”, una “somma ... di
valori che insieme accolti costituiscono il capitale... economico”, “un centro di fattori”
destinati nel processo produttivo, un “insieme di parti interdipendenti o meglio
complementari, che nei riguardi economici puiò avere, anzi ha necessariamente, un
valore diverso da quello che potrebbero risultare ... dalla somma ... dei valori attribuiti
ai singoli clementi”. Cfr. Zappa G. , Il reddito d’impresa, op. cit. , pagg. 57-58. Per
ulteriori approfondimenti si veda: Ardemani E. , Studi e ricerche di ragioneria, Milano,
19
1986, in “Rassegna Economica” n. 4/1987, pp. 19-20.
[67] AI fine di non pregiudicare il presumibile andamento economico degli esercizi
futuri, le valutazioni di funzionamento dovevano essere orientate alle condizioni future
di redditività dell’impresa. Cfr. Pezzoli S. , Profili di Storia della Ragioneria, op. cit. , p.
127. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a Cassandro P. E. , Contenuto e forma negli
studi di ragioneria, in “Scritti vari”, Cacucci, Bari, 1991, pp. 448 ss.
[68] Cfr. CA Tturi G. , Teorie contabili e scenari economico-aziendali, op. cit., pp. 152153.
[69] “Sotto l’aspetto della visione unitaria dell’economia d’impresa, certamente il
sistema del reddito costituisce un’evoluzione di quello patrimoniale”: cfr. Masi V. , La
ragioneria nell’età moderna e contemporanea, op. cit., p. 330. Della stessa opinione
sono: Amodeo D. , Di alcune posizioni limite nel campo di una teoria generale dei
sistemi, in “Rivista Italia na di Ragioneria”, Roma, 1943; Amodeo D. , Ragioneria
Generale delle imprese, op. cit., pp. 903 ss. ; De Minico L. , Lezioni di Ragioneria,
Napoli, 1946, p. 403 ss. ; Giannessi E. , Appunti di economia aziendale, op. cit., p. 418;
Salzano A. , I procedimenti della rilevazione nei limiti dell’economia d’impresa, op. cit.,
p. 139. Ardemani, invece, osserva come il sistema del reddito può essere considerato
una sorta di sistema patrimoniale incompiuto. in quanto riferito a quella parte del
patrimonio aziendale costituita da valori numerari. A questo proposito si veda Ardemani
E. , I metodi ed i sistemi contabili, in Ardemani E., (a cura di), Manuale di
amministrazione aziendale, Isedi, Milano, 1977, p. 29.
[70] Cfr. Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, op. cit., pp. 447 ss.
[71] In tal senso: De Dominicis U., Lezioni di ragioneria generale. La Contabilità
Generale e la Contabilità d’esercizio nelle imprese, voI.
[72] Sull’argomento: Besta F. , La Ragioneria, VoI.
V, op. cit., p. 133.
III, op. cit. , p. 17.
[73] Cfr. Cassadro. P. E. , Le teorie contabili da Luca Pacioli ai giorni nostri, op. cit. , p.
883.
[74] Amodeo D. ,
sistemi, in “Rivista
Tendenze evolutive
terzo, Egea, Milano,
Di alcune posizioni limite nel campo di una teoria generale dei
italiana di Ragioneria”, fascicoli n. 8-9-10, 1943; Frattini G. ,
dei sistemi contabili, in “Scritti in onore di Carlo Masini”, Tomo
1993, p. 225.
[75] In tal senso Cassandro P. E. , Trattato di ragioneria, op. cit. , p. 447; Ardemani E.
, I metodi ed i sistemi contabili, op. cit. , pp. 229 ss.
[76] Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Cassandro P. E. , Metodologia contabile ed
Economia d’Azienda, op. cit. , p. 263.
[77] Amaduzzi è infatti ritenuto essere il padre della cosiddetta “teoria del capitale e del
risultato economico”: per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Amaduzzi A. , L’azienda
nel suo sistema e nei suoi principi, op. cit. , p. 534; Cassandro P. E. , Le rilevazioni
aziendali, op. cit. , pp. 314 ss.
[78] “La Ragioneria e più in generale le discipline economiche-aziendali sono delle
scienze empiriche; come tali le loro linee di rinnovamento non possono prescindere da
un sistema di rilevazione che si evolve con l’ambiente in cui l’impresa opera”: Fra Tiini
G. , Tendenze evolutive dei sistemi contabili, op. cit. , p. 223.
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[79] Sulla pluralità delle informazioni contabili. si richiamano principalmente gli scritti
di: Coda V. , Comunicazione e immagine nella strategia d’impresa, Giappichelli, Torino,
1991; Napoleone Rossi N. , Il bilancio nel sistema operante dell’impresa, op. cit.
[80] Sull’informazione contabile si richiama principalmente lo scritto di DI Cagno N. ,
Sugli obiettivi dell'informazione contabile, in “Scritti in onore di Paolo Maizza”, Cacucci,
Bari, 1999.
[81] Sull’argomento: LEE T. A. , Reddito e valore. Problemi di misurazione, Egea,
Milano, 1994, pp. 81 ss. Sull’importanza dei beni immateriali come fattori critici di
successo si rinvia, tra gli altri, a ITAMI H. , Le risorse invisibili, Isedi, Torino, 1988.
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