PDF - Spaghetti Writers

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Francesco Casini
Degenze, #2
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Riesco a camminare, mi hanno tolto il catetere. Adesso quando ne ho bisogno zoppico fino al bagno
reggendomi il sedere o quel che ne rimane. Per fortuna l’uccello funziona ancora. Il bagno è l’unico
posto che mi dà intimità e mentre piscio penso alla dottoressa. Oggi aveva il rossetto e un accenno di
mascara. Ha un bel sorriso e le dita gialle di nicotina. Tastandomi il sedere mi ha chiesto come sto. Le
ho detto che sto bene ma darei via anche il resto del colon per una sigaretta. Dopo una risata me ne ha
offerta una.
Ci siamo messi a fumare alla prima uscita. Le ho raccontato che il vecchio mi tiene sveglio la notte, si
rigira in preda al dolore e bestemmia. Ci abbiamo riso sopra, poi ha detto che probabilmente il vecchio
non ce la farà. Dopo una pausa le ho raccontato di quanto trovi affascinante la professione del medico.
E perché non lo hai fatto? Non lo so, ho risposto, è andata così, ho preso poche decisioni nella mia vita.
Lei ha annuito ma non poteva capire. Poi si è messa a spiegare di come sia stato difficile finire gli studi e
trovare un ospedale che l’assumesse ma non l'ascoltavo. Ero distratto dal suo didietro. Il camice le
vestiva stretto e s’intravedeva la forma. Non è alta ma è decisamente fatta bene. Dà l’impressione di
essere una di quelle donne che va a correre dopo il lavoro ma che cede ai vizi. Davanti è quasi piatta ma
non importa. Preferisco il culo alle tette. E non c’entra il fatto che al momento ne sono sprovvisto.
Probabilmente chi ama le tette ha questioni edipiche irrisolte e inconsciamente brama la poppata
materna. Il culo invece è tutta un’altra storia. È l’entrata di servizio, quella per i vip. È per le scopate
sportive, puoi schiaffeggiarlo, morderlo, strizzarlo. I capezzoli invece sono delicati, ci devi stare attento,
li lascio ai romantici.
Arrivati al filtro le ho chiesto se per lei fosse ora di tornare a casa. Ha risposto che a casa c’è solo il gatto
ad attenderla e che può aspettare. Poi ci siamo guardati, in silenzio. Dovevo fare qualcosa, dire qualcosa,
invitarla a cena, chiederle il numero di telefono e invece le ho chiesto il nome del gatto. Roger ha
risposto e se n’è andata via. Sono proprio un coglione. I francesi lo chiamano Esprit de l'escalier, lo
spirito delle scale, quello che ti viene quando te ne stai andando. Quasi tutti i momenti cruciali della
mia vita li ho vissuti così, in differita. Vaffanculo Roger.
Stanotte il vecchio soffriva più del solito, mugolava dal dolore, si rigirava, sbuffava. La rete del suo
materasso ha cigolato per ore, sembrava il ragliare di un asino arrugginito. È di una magrezza così acuta
e spigolosa, che da sotto le coperte sembra un cumulo di cocci di vetro. Ho provato a distrarlo
dicendogli che forse ho una chance con la dottoressa, che si trucca per venirmi a visitare. In un
momento di lucidità mi ha raccontato che il trucco femminile richiama inconsciamente il sesso.
Durante un rapporto sessuale le pupille si dilatano, le guance e le labbra s’irrorano di sangue, per questo
occhi grandi e labbra rosse sono percepite come sexy. Le primitive si tingevano direttamente col sangue.
Praticamente le donne si dipingono in volto un orgasmo.
Gli ho chiesto come fa a sapere certe cose ma la memoria gli vacilla e anche la voce. Tossisce, fatica a
parlare. Sostiene che non arriverà a fine mese e che non ci sarà nessuno al suo funerale. Scherzando gli
ho detto di non preoccuparsi, ci saremo io e l’invertito a tenergli la mano quando sarà il momento. Ha
storto la bocca e ha detto che preferirebbe gettarsi dalla finestra, poi si è addormentato. È un vecchio
diavolo irrigidito dalla vita e per un momento ho avuto paura di finire come lui: solo, squallidamente
rattrappito in un lettino d’ospedale. Poi mi son detto che sono ancora giovane, che ho tempo, ma certe
situazioni non le pianifichi, semplicemente ti ci ritrovi. Nella mattinata lo hanno portato via, non so
bene dove.
Stamattina mi hanno operato. Ho fatto una trafila allucinante, sembrava di andare al macello. Mi
hanno depilato, disinfettato, purgato, svestito. Ho messo un camice con lo spacco dietro, roba da film.
Sotto ero nudo come un verme e camminando tenevo la schiena rivolta verso la parete. Nella sala
operatoria c'era un freddo tremendo e un silenzio inquietante. Sembrava stessero per fare un sacrificio
umano. Mi hanno sedato e sono rimasto lì, per qualche ora, mentre mi tagliavano e incollavano come
una bambola di pezza.
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Adesso sulle cosce ho dei punti e il culo ha una consistenza strana. Lo tocco ma non sento nulla, i
tessuti trapiantati devono ancora assorbirsi. Nel pomeriggio ho rivisto la dottoressa. Si è scusata per non
essere più tornata, emergenze su emergenze. Ha controllato il sedere e mi ha comunicato che potevo
tornarmene a casa. Ho ancora il sacchetto, per sistemare il colon dovrò aspettare un mese.
Le ho chiesto se fumava una sigaretta ma ha detto che non poteva e se n’è andata. Non l’ho più vista.
Dovevo provarci quando ne ho avuto la possibilità, ma preferisco pensare d’essermi montato la testa. È
più facile pensarla così, evito di mettermi in discussione.
Prima d’andarmene ho cercato il vecchio. Era in rianimazione. Aveva un aspetto orribile, tubi ovunque.
Faceva fatica a parlare e mi ha chiesto come andava con la dottoressa. Ho mentito. Gli ho detto che
stiamo assieme, che l’ho scopata nel bagno. Mentre lo facevamo ho strappato i punti e dopo me li ha
dovuti rimettere. Sono riuscito a farlo sorridere. Biascicava qualcosa, sembrava contento per me. Gli ho
detto che il mio culo è come nuovo ma non mi ascoltava più, era intorpidito dai farmaci. Quasi mi
commuovevo, quindi gli ho stretto la mano e me ne sono andato. Uscendo un’infermiera mi ha fatto le
condoglianze. Credeva fossi un familiare.
Ho preso un autobus per tornare a casa. Nell'appartamento c’è puzza di chiuso. È freddo. La polvere ha
ricoperto ogni cosa. Il frigo è mezzo vuoto e quel che resta è andato a male. Mi sono aperto una birra e
ho rimuginato su tutta questa storia, sul vecchio, la dottoressa, il gay e mi son chiesto che senso abbia.
Ora sento cattivo odore, non capisco se è il frigo, l’aria pesante o il sacchetto della merda.
Nel dubbio continuerò a bere.
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