La Percezione dei Palestinesi come “Umani-Relativi” - ISM

Transcript

La Percezione dei Palestinesi come “Umani-Relativi” - ISM
La Percezione dei Palestinesi come “Umani-Relativi”
L’apartheid israeliana come miscela di razzismo coloniale e di fondamentalismo ebraico.
di Omar Barghouti, FestivalStoria, Italia - Ottobre 2007
“La [loro] natura è come quella di animali silenziosi e, secondo la mia opinione essi
non sono al livello di esseri umani, e il loro livello fra le cose esistenti è al di sotto di
quello di un uomo e al di sopra di quello di una scimmia, poiché essi hanno
l’immagine e la sembianza di un uomo più che di quello di una scimmia”. 1
No, questo non è uno dei normali discorsi dei leader israeliani, anche se molti di loro hanno
fatto scandalosamente osservazioni simili, paragonando i palestinesi a cavallette, a
scarafaggi e al cancro. Questo, infatti è ciò che Maimonide, un filosofo ebreo del 12° secolo
e un’autorità per il codice Talmudico, particolarmente venerato, scrisse sui Turchi, i neri e i
nomadi in un autorevole lavoro sul Giudaismo.
Nello stesso spirito, il rabbino Kook il Vecchio, il primo rabbino askenazita del Mandato di
Palestina, ha scritto all’inizio del ventesimo secolo:
“La differenza fra un’anima ebrea e le anime dei non ebrei …. è più grande e più profonda
della differenza tra un’anima umana e le anime degli animali.” 2
Analizzando l’influenza, determinante e ultradecennale di queste concezioni fondanti relative
ai Gentili, che ha avuto sul sionismo e sulla forma di apartheid di Israele che non ha eguali
e riflettendo sulla pulizia etnica continua di Israele, di massa o graduale; il suo orrendo
Muro; il suo regolare, indiscriminato uccidere civili palestinesi, in particolare bambini;
l’incarcerazione di milioni di civili in ghetti circondati e controllati, negando loro l’accesso al
lavoro, alle scuole, agli ospedali; il categorico rifiuto dei diritti dei rifugiati palestinesi; e il
considerare i propri cittadini palestinesi come una minaccia demografica che si deve
affrontare in modo deciso, non si può non concludere che il cocktail velenoso di colonialismo,
di nazionalismo fanatico e di fondamentalismo ebraico che definisce Israele lo rende nel
mondo il più fedele apprendista del pensiero fascista europeo del 20° secolo.
Del resto, profondamente conscio della sua piccola dimensione geografica, della realtà
geopolitica nella regione e dell’equilibrio internazionale delle forze, lo stato di Israele non è
mai stato libero di arrivare al punto di mettere in pratica la sua ideologia razzista. Invece, e
con l’eccezione delle due maggiori ondate di pulizia etnica nel 1948 e nel 1967, Israele ha
optato per la disumanizzazione dei palestinesi, imponendo nello stesso tempo politiche,
studiate e costruite un po’ per volta, che distruggono implacabilmente proprio la possibilità
della esistenza socio-nazionale palestinese nella terra storica di Palestina.
Il mio convincimento è che il trattamento israeliano dei palestinesi non può essere attribuito
soltanto al sionismo, un’ideologia apparentemente laica, intrinsecamente razzista e coloniale
tesa a cacciare la popolazione nativa, nonostante il fatto che il sionismo sia certamente al
centro della fondazione, dell’esistenza e di ogni altro aspetto vitale dello stato d’Israele. Il
fondamentalismo ebraico non dovrebbe essere trascurato, poiché esso non solo ha ispirato il
sionismo, ma ha anche, indipendentemente dal sionismo, giocato un ruolo chiave nel
definire e nel giustificare i fondamenti legali, politici e morali di Israele come stato coloniale
che percepisce e tratta la sua popolazione indigena “non ebrea” come “umani relativi”, che
meritano soltanto un sottoinsieme dei diritti dei quali solo i “pienamente umani” sono
titolari.
Dall’11 settembre, noi siamo stati inondati da reportage dei media, da analisi e da teorie di
“esperti” sul fondamentalismo islamico e sul suo intrinseco odio dell’”altro”. Persino il
fondamentalismo cristiano è ora più apertamente oggetto di dibattito. Il fondamentalismo
ebraico, invece, rimane un argomento tabù che è quasi interamente censurato nel discorso
accademico ed intellettuale occidentale, nonostante il suo peso sostanziale nel disegnare la
legislazione dello stato che riguarda la proprietà della terra, il matrimonio e il divorzio,
1
l’eredità, i funerali, le conversioni, e molti altri ambiti vitali sociali e politici. E’ importante
notare che, abbastanza presto, uno su cinque fra i bambini ebrei israeliani apparterrà a una
famiglia ultra-ortodossa.
Pochi esempi recenti possono aiutare a chiarire i ruoli interconnessi e reciprocamente
giustificazionisti del fondamentalismo ebraico e del nazionalismo coloniale estremista nella
visione generale e nelle politiche di Israele.
Il 30 luglio 2006, durante la guerra di aggressione contro il Libano, Israele commise un
massacro nel villaggio di Qana, uccidendo decine di bambini e donne che si nascondevano
da un bombardamento incessante. Il Consiglio rabbinico di Yesha, la più alta autorità
religiosa fra i coloni nei territori occupati di Palestina, difese il massacro in un documento
ufficiale affermando:
“Secondo la legge ebraica, in tempo di battaglia e di guerra, non c’è nessun concetto
di nemici “innocenti”. Tutte le discussioni sulla moralità cristiana indeboliscono lo
spirito dell’esercito e della nazione e ci costano il sangue di soldati e civili.” 3
Prima del massacro, l’allora ministro della giustizia, Haim Ramon, aveva sostenuto il
bombardamento indiscriminato dei villaggi libanesi del sud per alleggerire la pressione
sull’esercito che sarebbe stato di lì a poco sconfitto. “ Tutti coloro che si trovano ora nel sud
del Libano sono terroristi che fanno riferimento in qualche modo a Hizbollah.”, 4 aveva
affermato. Il giornale israeliano più popolare, Yedioth Ahronoth, suggerì di distruggere
completamente ogni villaggio dal quale provenivano i Katyusha. 5 E’ importante osservare che
tutte le prove disponibili dimostrano che nessun Katyusha fu sparato dalla resistenza
libanese da Qana prima del bombardamento.
Su un altro fronte, da alcuni mesi, Israele ha sottoposto più di 1.5 milioni di palestinesi nella
striscia di Gaza occupata non soltanto ad un assedio durissimo, ma anche ad un lento
affamamento; terrorizzando con bombe sonore; con massacri graduali; con distruzioni
massicce di proprietà pubbliche e private; con devastazioni su vasta scala dei terreni
agricoli; con il taglio – in modo sempre più frequente- dell’energia elettrica che alimenta gli
impianti per la depurazione dell’acqua, per gli ospedali e le pompe per l’aspirazione delle
acque di scolo; e con un blocco quasi completo del movimento della popolazione e dei beni
da o per la striscia di Gaza. Il sostegno del pubblico israeliano a questi crimini e il
conseguente disprezzo assoluto per le vite dei palestinesi è stato raramente così generale.
Anche anni prima di questo ultimo e più brutale capitolo nella storia dell’occupazione
israeliana, Oona King, una parlamentare inglese ebrea, ha commentato con ironia quello che
gli ebrei israeliani hanno oggi di fronte, dicendo: “sfuggendo alle ceneri dell’Olocausto,
hanno incarcerato un altro popolo in un inferno simile nella sua natura – anche se non nella
sua ampiezza - al ghetto di Varsavia.” 6
Dopo il fallimento delle tattiche dell’esercito di occupazione nel fermare la resistenza
palestinese per le ritorsioni contro le atrocità quotidiane israeliane, con il tiro indiscriminato
di Qassam sulle città israeliane – una forma di lotta che io personalmente non ho mai
scusato per ragioni morali e pragmatiche, leader e intellettuali israeliani hanno iniziato a
pensare ad un’azione radicale. Come riferisce Gideon Levy, 7 un Maggiore Generale (della
riserva) ha chiesto di dividere la striscia di Gaza in tanti quadrati e di distruggere ogni
quadrato per ogni Qassam tirato, mentre il capo di Stato maggiore Moshe Ya’alon ha
proposto esplicitamente “di ripulire il territorio”.
In perfetto accordo, le maggiori autorità religiose in Israele hanno emesso editti che
giustificano gli atti di genocidio a Gaza. Nel maggio scorso, per esempio, in una lettera
indirizzata al primo ministro israeliano Ehud Olmert e pubblicata in un pamphlet ampiamente
distribuito nelle sinagoghe in tutta Israele, l’ex rabbino capo sefardita Mordechai Eliyahu, ha
dichiarato che non c’è nessuna proibizione morale contro l’uccisione indiscriminata di civili
palestinesi durante una potenziale massiccia offensiva militare diretta a fermare il lancio dei
2
Qassam. Eliyahu fondava la sua decisione legale sulla storia biblica e sul commentario di
Maimonide. Secondo l’etica di guerra ebraica, ha spiegato, un’intera città ha una
responsabilità collettiva per il comportamento immorale di individui. 8
Il figlio di Eliyahu, Shmuel Eliyahu, che è il rabbino capo di Safad, è andato ancora più in là,
sostenendo il bombardamento a tappeto di Gaza. “Se non si fermano dopo che noi ne
abbiamo uccisi 100, allora dobbiamo ucciderne mille”, ha detto. “ E se non si fermano dopo
mille allora dobbiamo ucciderne 10.000. E se ancora non si fermano dobbiamo ucciderne
100.000, anche un milione. Dobbiamo fare qualsiasi cosa per farli smettere.” 9
Guerre e campagne militari a parte, il trattamento quotidiano dei civili palestinesi tradisce
una visione prevalente dei palestinesi come “umani-relativi”. Una mostra intitolata “Per
rompere il silenzio”10, organizzata a Tel Aviv nel 2004 da un certo numero di soldati
israeliani che avevano servito nella città occupata di Hebron, mostrò con fotografie e oggetti
una preoccupante aggressività verso i palestinesi indifesi. Inspirati da graffiti dei coloni
ebrei, che dicevano “Gli Arabi nelle camere a gas”; “Arabi = razza inferiore”; “Spargete
sangue arabo”; e, naturalmente, il sempre popolarissimo, “Morte agli Arabi”, i soldati
escogitavano un’infinità di metodi per rendere insopportabile la vita ai Palestinesi, come
sparare a pioggia con i mitragliatori in tutto il circondario se da quell’area era partito un solo
colpo.
Nel 2003 un sergente in servizio (della riserva) dell’esercito israeliano, con il diploma di
liceo artistico, ha raccontato a Gideon Levy11 come ogni soldato si trasformasse poco a poco
in un “animale” quando presidiava un blocco stradale, dimentico di qualsiasi valore avesse
imparato in famiglia. Questo sergente ricorda come i suoi colleghi avessero dileggiato e
picchiato senza pietà un nano palestinese soltanto per divertimento, come si fossero fatti
fare una “foto ricordo” con dei civili legati, insanguinati, che avevano frustato, come un
soldato avesse orinato sulla testa di un Palestinese perché questi aveva avuto “la
sfrontatezza di sorridere” a un soldato, come un altro Palestinese fosse costretto a stare a
quattro gambe e ad abbaiare come un cane e come ancora un soldato che aveva chiesto
sigarette a dei Palestinesi, al loro rifiuto avesse” rotto la mano di qualcuno” e “ tagliato i loro
pneumatici”.
Per quanto selvaggi siano, i maltrattamenti ai checkpoint non sono l’eccezione. Al culmine
della rioccupazione israeliana delle città palestinesi nel 2002, per esempio, alcuni soldati
israeliani usarono il coltello per incidere la Stella di David sulle braccia di alcuni uomini e
adolescenti palestinesi detenuti. Quello stesso anno in parecchi campi profughi durante le
retate di massa dei maschi palestinesi, inclusi bambini e anziani, i soldati israeliani
impressero il numero di identificazione “sulla fronte e l’avambraccio dei detenuti palestinesi
che aspettavano di essere interrogati.”12 I mezzi di comunicazione tradizionali israeliani così
come la grande maggioranza della società civile ebraica israeliana erano troppo preoccupati
del “disastro nelle relazioni pubbliche” per esprimere orrore o protestare per l’immoralità e
l’ironia di questo atto.
Un razzismo così spudorato è diventato molto popolare nei settori principali della società
israeliana, inclusi comandanti militari, legislatori, giornalisti e intellettuali e perfino tra chi si
considera “di sinistra”, al cui confronto la destra europea sembra liberale.
Per l’accademico e sostenitore dei diritti umani israeliano, il compianto Israel Shahak, la
giustificazione pubblica in Israele per l’uccisione di civili palestinesi e libanesi ha la sua
origine in autorevoli interpretazioni della legge ebraica. Mentre l’assassinio di un ebreo nella
Halakhah è considerato un delitto capitale, l’assassinio di un gentile viene trattato in modo
completamente diverso. Maimonide, secondo Shahak, decretò che un ebreo che uccide un
gentile non dovrebbe venir punito da un tribunale essendo colpevole soltanto di un peccato
contro le leggi celesti.13
3
Un opuscolo pubblicato nel 1973 dal Comando Regionale Centrale dell’esercito israeliano
aderisce a questa autorevole dottrina. Scrive il Cappellano Capo del Comando:
Quando le nostre forze durante una guerra o nell’impeto di un inseguimento o in
un’incursione si imbattono nei civili, se non vi è la certezza che essi non sono in grado
di danneggiare le nostre forze, allora secondo la Halakhah essi non solo possono ma
addirittura dovrebbero essere uccisi… In nessuna circostanza ci si dovrebbe fidare di un
Arabo, neanche se dà l’impressione di essere civilizzato… In guerra, quando le nostre
forze assaltano il nemico, la Halakhah non solo permette, ma ingiunge loro di uccidere
anche i civili buoni, quei civili cioè che all’apparenza sono buoni. 14
Un’eco dello stesso principio si ritrova nella domanda retorica del rabbino Ytzhak Ginsburgh,
capo della potente setta hassidica dei Lubavitch, che nel 1996 si chiese retoricamente: “Se
un ebreo ha bisogno di un fegato, può prendere il fegato a un non ebreo innocente per
salvare [l’ebreo]?” Risposta:”La Torah probabilmente lo permetterebbe. La vita di un ebreo
ha un valore infinito. C’è qualcosa di più santo, qualcosa di unico nella vita di un ebreo che
non c’è in quella di un non-ebreo.”15 Ginsburgh è anche uno degli autori di un libro in difesa
del massacro del 1994 di fedeli musulmani nella moschea Al-Ibrahimi a Hebron, in cui
sostiene che secondo la legge ebraica quando un ebreo uccide un non-ebreo questo atto
non costituisce un assassinio; e aggiunge che l’uccisione di palestinesi innocenti come atto
di vendetta in una milhemet mitzvah, o guerra obbligatoria, è una virtù ebraica. Nessun
leader religioso in Israele ha contestato la dichiarazione di Ginsburgh.
Più recentemente la Knesset ha approvato all’unanimità una legge che, in linea con i
regolamenti dell’Unione Europea16, proibisce in Israele i test di detergenti e cosmetici sugli
animali. L’ironia è che l’esercito israeliano, in collaborazione con centri di ricerca e fabbriche
di armi e di sistemi di sicurezza, non ha smesso di continuare a testare direttamente sui
Palestinesi prodotti militari e per la sicurezza, traendo vantaggio dalla loro
commercializzazione. La scrittrice nord americana Naomi Klein ha detto che con questa
sperimentazione sul campo non solo si trattano i Palestinesi come reclusi di carceri a cielo
aperto ma anche come “cavie”.17
Ma la sperimentazione israeliana sui Palestinesi non si è limitata ai territori palestinesi
occupati, ma è stata condotta estensivamente nella stessa Israele. Un recente servizio sui
media ha rivelato che medici israeliani di un ospedale a Kfar Sava hanno condotto un
esperimento medico illegale, non autorizzato su circa 60 donne, “che per la maggior parte
erano arabe.”18
Forse Israele non è il solo ad aver usato il fondamentalismo religioso per giustificare la
rapacità coloniale e le politiche razziste. I coloni bianchi lo hanno fatto sia nelle Americhe
che in Australia, senza dubbio. Ma Israele lo sta facendo nel ventunesimo secolo, mentre è
ancora bene accolta come membro onorario nel club delle democrazie occidentali, qualsiasi
significato si voglia attribuire a tale espressione in questo momento storico. Invece di
venir trattato come uno stato pariah, soggetto a boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni,
come fu il Sudafrica, Israele è colmato di benefici politici, diplomatici ed economici da parte
degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, anche se viola le leggi stesse di queste entità
politiche, per non menzionare il diritto internazionale e i principi universali dei diritti umani.
Questo rende l’occidente complice nel mantenimento dell’unico regime sulla terra che
eccezionalmente reclama un “diritto” all’esclusività e all’apartheid etnico religiosa.
La decolonizzazione o desionizzazione etica della Palestina nella prospettiva di creare uno
stato laico e democratico che permetta il ritorno dei profughi palestinesi, che ponga fine a
ogni forma di oppressione coloniale sionista e di discriminazione razziale, e trascenda l’odio
e il razzismo connaturato alla particolare forma di apartheid d’Israele, tutto questo richiede
anche di combattere il fondamentalismo religioso di ogni tipo, uno tra i principali imputati di
fomentare l’odio e il razzismo.
Le seguenti parole di Paulo Freire dovrebbero guidarci in questa nobile impresa:
4
La disumanizzazione, che segna non solo coloro ai quali l’umanità è stata rubata,
ma anche…coloro che l’hanno rubata, è una distorsione della vocazione a diventare
più interamente umani…[La] Lotta [per l’umanizzazione] è possibile soltanto perché,
malgrado sia un fatto storico concreto, la disumanizzazione non è un destino
ineluttabile ma il risultato di un ordine ingiusto che genera violenza negli oppressori,
che a loro volta disumanizzano gli oppressi… Perché questa lotta abbia
un
significato, gli oppressi, nel cercare di riconquistare la propria umanità ( che è un
modo per crearla), non devono diventare loro stessi oppressori degli oppressori, ma
piuttosto devono restaurare l’umanità di entrambi. 19
Bibliografia
(1) Israel Shahak. Jewish History, Jewish Religion-The Weight of Three Thousand Years.
Pluto Press, London, 2002. P. 25.
(2) Israel Shahak and Norton Mezvinsky. Jewish Fundamentalism in Israel. Pluto Press,
London, 1999. P. ix.
(3) YNet, 30 July 2006.
http://www.ynetnews.com/Ext/Comp/ArticleLayout/CdaArticlePrintPreview/1,2506,L3283720,00.html
(4) Patrick Bishop. Diplomats argue as all of south Lebanon is targeted. Telegraph, July 28,
2006.
(5) Harry de Quetteville. You’re all targets, Israel tells Lebanese in South. Telegraph, July
28, 2006.
(6) Oona King. Israel Can Halt This Now. The Guardian, June 12, 2003.
http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,975423,00.html
(7) Gideon Levy. I Punched an Arab in the Face. Ha’aretz, 21 November 2003
(8) Mathew Wagner. Eliyahu advocates carpet bombing Gaza. Jerusalem Post, May 30,
2007.
(9)Ibid.
(10) Aviv Lavie. Hebron Diaries. Ha’aretz, 18 June 2004.
(11). Levy. Op Cit.
(12) Steve Weizman. Israel Criticized for I.D. Numbers. Associated Press, 12 March 2002.
(13) Shahak 2002. Op Cit. P. 75-76.
(14) Ibid. P. 76.
(15) Ibid. P. 43.
(16) Ronny Linder-Ganz. Israel taking steps to get in line with Europe on animal testing.
Ha’aretz, June 22, 2007.
(17) Naomi Klein. Laboratory for a Fortressed World. June 14, 2007.
http://www.naomiklein.org/articles/2007/06/laboratory-fortressed-world
(18) Ran Reznick. Widespread illegal experiment conducted at Meir Hospital. Ha’aretz, July
5, 2006.
(19) Paulo Freire, Pedagogy of the Oppressed, (Herder & Herder, NY, 1972). P. 28.
traduzione di Gabriella Bernieri e Diana Carminati. Revisione di Alfredo Tradardi. To-Mi, 13 ottobre 2007
5