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Un'isola remota, poco più di 300.000 abitanti, un'industria cinematografica minuscola, eppure quest'anno da lì sono arrivati fino in Italia ben due film. Uno s'intitola Storie di cavalli e di uomini, l'altro Rams/Arieti (dal titolo originale islandese hrutar = pecora), potrebbe ben intitolarsi "storie di pecore e di uomini". Sono vicende fortemente legate al territorio, alla natura e a una convivenza con il mondo animale quasi più intensa e spesso sincera e amorevole di quella tra gli umani; ma Rams, che di certo sorprende anche grazie alla particolarità della vicenda e della scena, tra dramma e umorismo 'nordico', tocca al cuore per l'universalità delle emozioni che mette in gioco. scheda tecnica titolo originale: durata: nazionalità: anno: regia: sceneggiatura: fotografia: montaggio: musiche: scenografia: costumi: distribuzione: HRÚTAR(PECORA) 93 MINUTI ISLANDA 2015 GRÍMUR HÁKONARSON GRÍMUR HÁKONARSON STURLA BRANDTH GRØVLEN KRISTJÁN LOÐMFJÖRÐ ATLI ÖRVARSSON BJARNI MASSI E STÍGUR STEINTHÓRSSON ÓLÖF BENEDIKTSDÓTTIR E MARGRÉT EINARSDÓTTIR BIM interpreti: SIGURÐUR SIGURJÓNSSON (Gummi), THEODÓR JÚLÍUSSON (Kiddi), CHARLOTTE BØVING (Katrin), JON BENONYSSON (Runólfur), GUNNAR JÓNSSON (Grímur), ÞORLEIFUR EINARSSON (Sindri), SVEINN ÓLAFUR GUNNARSSON (Bjarni), INGRID JÓNSDÓTTIR (Eygló). premi e nomination: 2016, Tromsø International Film Festival Audience Award; 2016, Iranian Fajr Film Festival Audience Award; 2015, Festival di Cannes, primo premio nella categoria Un Certain Regard; 2015, European Film Awards nomination come Miglior Film; 2015, Transilvania International Film Festival premio speciale della giuria e Audience Award; selezionato dall'Islanda per rappresentare il Paese agli Oscar. Grímur Hákonarson Nato in un villaggio della campagna islandese nel 1977, Grimur Hakonarson studia a Praga, presso l'accademia di cinema e arti performative FAMU, dove si diploma nel 2004. Il suo lavoro finale, Slavek the Shit, viene selezionato al festival di Cannes e viene premiato in dieci festival sparsi per il mondo. Nel 2007 il giovane regista dirige Wrestling, un cortometraggio sull'amore omosessuale tra due wrestlers nella campagna islandese. Anche il questo caso il successo ai festival internazionali non manca: l'opera colleziona 24 premi e molte nomination, riuscendo a candidarsi anche a Locarno, Rotterdam e al Sundance film festival. Il suo primo lungometraggio, Summerland, esce nel 2010. Anche in questo caso scorgiamo la volontà di raccontare la propria terra natia e le sue tradizioni: protagonista è infatti una famiglia che cerca di incorporare l'antico spiritualismo islandese. Il lavoro successivo è A Pure Heart, documentario sulla vita di un prete a Selfoss e sui compiti e dilemmi che ogni giorno si trova ad affrontare. Grimur Hakonarson oggi vive a Reykjavik, dove continua la sua attività di regista e sceneggiatore affermandosi come un nuovo talenti del cinema nordico europeo: Rams, storia di due fratelli e otto pecore, è il primo film islandese ad aver vinto il premio Un Certain Regard al festival di Cannes. La parola ai protagonisti Presentazione del film da parte del regista al festival di Cannes Rams si basa in gran parte sulla mia esperienza diretta con le popolazioni rurali islandesi e la loro cultura. Entrambi i miei genitori sono cresciuti in campagna e anch'io vi ho vissuto fino all'età di 17 anni. Credo per questo di avere una buona conoscenza con le storie, i personaggi e il linguaggio visivo delle aree rurali dell'Islanda. Sono sempre stato attratto dalle storie di campagna e Rams non è il primo film che giro in tali ambienti. Mio padre, inoltre, era solito collaborare con il Ministero delle Politiche Agricole ed è stato un'ottima fonte per comprendere come funziona l'amministrazione dell'agricoltura a livello governativo e come l'agricoltura sia cambiata ed evoluta nel corso del tempo. Una delle cose più difficili che mio padre ha mai dovuto affrontare nella sua vita professionale è stata prendere decisione sull'eventualità di macellare animali infetti che avrebbero potuto generare un'epidemia. Nel nord dell'Islanda, come in altre zone rurali dell'isola, la pastorizia ha rivestito un ruolo chiave nella vita delle persone e della loro cultura, almeno fino alla fine del XX secolo. Quindi, in un certo senso, le pecore islandesi erano (e sono) ancora sacre per un gran numero di persone: rappresentano in qualche modo l'orgoglio della nazione e del modo di vivere di una volta, legato a riti e tradizioni. Le pecore hanno svolto un ruolo fondamentale nella sopravvivenza della gente di campagna e sono profondamente radicate allo spirito islandese. Le pecore, inoltre, hanno qualcosa di speciale che permette loro di stabilire una forte connessione con gli agricoltori rispetto ad altri animali domestici. Gli agricoltori che gestiscono fattorie miste (con allevamenti di mucche, pecore e cavalli) di solito stabiliscono con loro un rapporto molto personale e tale fenomeno per me era interessante e intrigante. E ciò era quello che volevo rappresentare in Rams: questo tipo di legame oggi sta lentamente svanendo e persone come i miei Gummi e Kiddi rischiano di venire estromesse per sempre dal mondo. Ritengo che sia un peccato perdere nelle società moderne tale eccentricità e peculiarità. In Rams, i fratelli Gummi e Kiddi non si parlano da 40 anni. Nelle campagne, i conflitti tra vicini di casa sono molto comuni e, personalmente, ho conosciuto persone che pur vivendo fianco a fianco non si sono rivolti la parola per decenni, dimenticando spesso anche quale sia il motivo della loro inimicizia. Gli islandesi sono testardi e autonomi, vogliono poter contare solo sulle proprie forze e diffidano di tutto e di tutti. Hanno un pensiero di indipendenza che va al di là di ogni logica. Le ragioni delle controversie sono molteplici ma il più delle volte sono legate a questioni di terra, di eredità o di cuore. Gummi e Kiddi vivono l'uno di fianco all'altro ma non si parlano: anzi, non parlano con nessuno tranne che con i loro animali. Il loro orgoglio è troppo forte e nessuno dei due è disposto a fare il primo passo. Per un agricoltore islandese non c'è assolutamente niente di peggio che perdere il proprio bestiame a causa di una dannosa malattia come la scrapie. La scrapie è la peggior piaga che la campagna islandese abbia mai dovuto affrontare: si tratta di un virus incurabile che attacca il cervello e il midollo spinale degli ovini, altamente contagioso. La malattia si diffuse inizialmente attraverso le pecore inglesi arrivate in Islanda nel tardo Ottocento ma ancora oggi non è stata del tutto debellata. Credo che il mio film possa in un certo senso essere consideraro un film molto scandinavo, dato che è un incontro tra il genere drammatico e il black humor. Penso possa essere paragonato a certi film nordici recenti, come Kitchen stories - I racconti di cucina (2003) di Bent Hamer e Nói albinói (2003) di Dagur Kári. Ma Rams è più realistico e probabilmente è stato anche influenzato dalla cosiddetta Romanian New Wave. È stato d'ispirazione anche il romanzo Independent People di Halldór Laxness, scritto nel 1935. Anche se è stato scritot in un periodo diversi, i temi sono molti simili. Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, abbiamo scelto di usare una macchina digitale, la Arri Alexa, con lenti anamorfiche. Amo la morbidezza dell'Alexa. Volevamo che Rams desse l'impressione di essere stato girato in pellicola. Se ne avessimo avuto le possibilità economiche, avremmo girato in 35mm. Il risultato organico, morbido, sarebbe stato perfetto per la storia e l'ambientazione nell'isolata valle islandese. Abbiamo potuto avvicinarci a questo obiettivo riprendendo il film con una macchina Alexa a lenti anamorfiche, e qualche piccolo ritocco ai colori in post-produzione. Recensioni Paola Casella. Mymovies.it (…) Vincitore della sezione Un certain regard al Festival di Cannes 2015 e rappresentante dell’Islanda ai premi Oscar per il miglior film straniero, Rams – Storia di due fratelli e otto pecore descrive con grande efficacia un mondo ridotto all’osso, in cui la pastorizia è l’unica fonte di sostentamento e le pecore sono al centro della vita (e degli affetti) di un’intera comunità. La regia spartana racconta una terra scarna abitata da personaggi di pochissime parole e pochi gesti legati alla sopravvivenza quotidiana. La nudità occasionale dei due fratelli, che si rivelerà una potente chiave di lettura dall’inizio alla fine della storia, diventa il simbolo di quell’essenzialità scoperta e vulnerabile che caratterizza le vite di entrambi, e la loro solitudine assoluta. I due attori protagonisti sono efficacissimi nel narrare attraverso espressioni minimali e una fisicità sofferta, levigata dalla fatica come dal vento del nord: in particolare Sigurður Sigurjónsson, attore comico e cabarettista nel suo Paese, è una sorpresa nei panni dello stoico Gummi. (…) La linearità della storia è dunque da un lato la forza del film, poiché corrisponde esattamente alla natura laconica e rarefatta della vita che racconta, e la sua debolezza in termini di appeal cinematografico per lo spettatore medio. Gianluigi Ceccarelli. Cinetografo.it (…) Il secondo film di Grímur Hákonarson (dopo Summerland del 2011), vincitore della sezione Un Certain Régard all’ultimo festival di Cannes, impiega poco a rubare il cuore. Rischia di non ricevere le attenzioni che merita, ma sottovalutarlo sarebbe un errore: a stupire (probabilmente anche la giuria presieduta da Isabella Rossellini, che ha preferito Rams a concorrenti del calibro di Naomi Kawase e Brillante Mendoza) è la straordinaria leggerezza nell’evocare ineluttabilità e morte oltre i confini del diegetico. Ciò che sembra una commedia resa appena più sofisticata dal setting e dai suoi burberi protagonisti, diventa gradualmente un dramma familiare a tutto tondo, dove il quotidiano, armonico conflitto contro l’ostilità della natura circostante lascia il posto a quello ben più impari (e pertanto destinato alla sconfitta) contro una società ferrea, insensibile a compassione e ripensamenti. Seguendo con coerenza unica questo percorso dalla commedia al dramma, il film non si rifugia nel facile sentimentalismo. Daniela Catelli. Comingsoon.it Ci sono ancora zone in questo pianeta, nemmeno troppo lontane da dove viviamo, in cui gli uomini sono così pochi e la natura così aspra e indomita, che gli animali diventano non solo l'unico mezzo di sostentamento ma anche una compagnia più cara di quella umana. In certe regioni rurali nel nord dell'Islanda, ad esempio, con le proprie pecore si stabilisce un forte legame affettivo che sopravanza in alcuni casi anche quello tra consanguinei. (…) Premiato come miglior film nella sezione cannense Un certain régard e scelto per rappresentare il proprio paese nella corsa agli Oscar, Rams – storia di due fratelli e otto pecore, è proprio quello che dice di essere: un ritratto realistico e laconico di due vite che sembrano uscite da un'altra epoca, dove i telefoni hanno ancora il filo e gli unici mezzi di informazione sono la radio e la televisione, perennemente sintonizzati sulle previsioni del tempo e sui notiziari locali. Grímur Hákonarson, al suo secondo lungometraggio, ci mostra il legame tenero e a tratti surreale che si crea tra questi rudi omaccioni e i loro animali, lascia parlare i luoghi e i silenzi, invitandoci all'ascolto senza distrazioni tecnologiche e intermediari meccanici, cosa per noi inusuale. A tratti pervaso da un umorismo nero che non esclude la tragedia, Rams ha nei suoi due straordinari attori, molto credibili nel ruolo di rudi allevatori, il suo punto di forza. Sigurður Sigurjonsson e Theodór Júlíussn, interpreti molto noti in patria, si sono calati nella parte in modo totale, fino a mettere impietosamente a nudo i loro corpi sfatti (…). Sono due personaggi antichi, archetipici, che appartengono – e forse lo sanno - a una razza in via di estinzione, ma che ancora orgogliosamente resiste. Proprio il fatto che Rams racconti un mondo che sta per scomparire lo rende degno di attenzione e meritevole di una visione, anche se – è bene dirlo – non è un film accattivante e non offre allo spettatore, in termini di forma e di contenuto, le facili ricompense a cui il cinema più commerciale ci ha abituato. Letizia Rogolino. Il Fatto Quotidiano La solitudine ha una sua pluralità. Può essere una piacevole compagna o un aguzzino impenitente. In grado di urlare tra le strade rumorose delle grandi città o sussurrare nei paesaggi deserti e spettrali di una comunità ristretta. L’importante è non alimentarla con il rancore e l’orgoglio secondo la visione del regista islandese Grímur Hákonarson, al cinema dal 12 novembre con Rams – Storia di due fratelli e otto pecore. (…) “Nel nord dell’Islanda, come in altre zone rurali dell’isola, fino alla fine del Novecento l’allevamento di ovini ha costituito il mezzo principale di sostentamento della popolazione e una componente fondamentale della cultura contadina” spiega il regista che, dopo una serie di documentari, dirige il suo secondo lungometraggio. Sulle note di una musica tradizionale egli cattura l’essenza della vita semplice e solitaria dei due protagonisti di poche parole, interpretati da Sigurður Sigurjonsson e Theodór Júlíussn. “E’ un film molto scandinavo” aggiunge Hákonarson, per sottolineare la convivenza del dramma e l’umorismo nero che, tuttavia, non scuotono una narrazione costruita su tempi dilatati e guidata da una regia statica e riflessiva. Il cuore del film è il rapporto tra i due fratelli misantropi, molto diversi l’uno dall’altro: Gummi è buono e paziente, mentre Kiddiley è alcolizzato e permaloso. Sullo sfondo dei paesaggi nordici avvolti dal freddo e dalla nebbia è interessante vivere il forte legame emotivo tra questi due uomini e i loro animali, compagni di viaggio e di sventura all’interno di una comunità rurale che sembra sospesa in un lontano passato. Le pecore sono sacre per le popolazioni di queste terre che si estendono per chilometri di campi ed altipiani, e quando la tragedia prende forma i due protagonisti realizzano l’importanza reale di queste creature indifese, oltre il profitto e la propria sopravvivenza. Il regista emoziona con i ritratti paesaggistici che occupano gran parte delle inquadrature del film, regalando fotografie mobili e malinconiche dell’Islanda, con una eco ai tratti suggestivi delle opere di Sebastiao Salgado. La natura è una co-protagonista invadente ed espressiva che accompagna il dramma di Gummi e Kiddiley dalla prima all’ultima scena, confezionando un film esteticamente coinvolgente ed emozionante, seppur laconico e lento. L’odore di un realismo essenziale pervade Rams – Storia di due fratelli e otto pecore, che si conferma un film viscerale ed intimo, ma non adatto ad un pubblico generalista. Gli addetti ai lavori lo potrebbero definire un “film da festival” poiché il ritmo e il registro stilistico non seguono le regole del cinema commerciale. Tuttavia è istruttivo e caratterizzato da numerosi momenti di silenzio che non annoiano ma aiutano a riflettere e sentire il profumo di vita vera. Leonardo Rafanelli. Dazebaonews.it Rams, Storia di due fratelli e otto pecore è una di quelle piccole avventure che, forti di un significato profondo, sanno colpire nel segno, fino a diventare grandi. Chiariamo da subito che non si tratta di una pellicola per tutti i palati: è fatta di tempi dilatati, di silenzi, di dettagli mirati a raccontare la storia, ma anche il mondo in cui si sviluppa. Eppure, siamo di fronte a un film che, a chi vi si approccia con un pizzico di “pazienza”, è in grado di regalare molto. Perché questa vicenda, semplice solo in apparenza, è davvero ben raccontata, tanto che al regista islandese Grímur Hákonarson è valsa il premio Un Certain Regard al Festival di Cannes 2015. (…) Rams è un film particolare, che si muove efficacemente su piani diversi, incastonando in un impianto prevalentemente drammatico e disteso passaggi carichi di black humour e persino note vicine al thriller. Notevole è l’interpretazione dei due attori protagonisti, Sigurjónsson e Júlíusson, che hanno trascorso diverso tempo a contatto con veri allevatori. Nella regia Grímur Hákonarson porta avanti un percorso che parte da lontano e che affonda le radici nell’essenza stessa della sua Islanda, nazione costruita proprio sulla pesca e sull’allevamento. Basta pensare che i suoi genitori, fino al compimento dei 17 anni, lo mandavano in campagna a lavorare, e suo padre aveva un impiego presso il Ministero dell’agricoltura. Il mondo di cui parla, quindi, Hákonarson lo conosce bene, e nella pellicola si prende il tempo di raccontarlo. E grazie all’esperienza maturata coi suoi lavori documentaristici, riesce a comporre inquadrature ricche di dettagli, facendo parlare le azioni e i contesti e ricorrendo al dialogo solo quando necessario. Una mossa senza dubbio vincente, per un film che è indissolubilmente legato al luogo in cui si svolge. Ma proprio questo realismo, e questa profonda conoscenza delle tematiche trattate, permettono a Hákonarson di portare in scena una storia davvero universale, dove in un crescendo costante si arriva nel profondo della vicenda dei due fratelli. Per scoprire, alla fine, che per quanto possa essere figlia di una terra lontana come l’Islanda, è molto più vicina a noi di quanto si potrebbe pensare. Simona Santoni. Panorama Rams - Storia di due fratelli e otto pecore del regista islandese Grímur Hákonarson è un film piccolo e insolito che esce dal "gregge" dei consueti prodotti cinematografici. Vincitore del premio Un Certain Regard all'ultimo Festival di Cannes, dal 12 novembre arriva al cinema con Bim Distribuzione. Inquadrando il logorato rapporto tra due fratelli allevatori di pecore ("rams" in inglese significa "montoni"), in mezzo a desolate e affascinanti campagne islandesi, il lungometraggio si muove tra la commedia dell’assurdo e la tragedia pennellata di umorismo freddo islandese. Piero Zardo. Internazionale (…) Rams. Storia di due fratelli e otto pecore di Grímur Hákonarson ci trasporta in Islanda dove Gummi e Kiddiley, i due fratelli, allevano fieramente un piccolo gregge di pecore. È un film fatto di paesaggi, di ambientazioni e ci fa immergere fino al collo in una realtà lontana e arcaica al centro della quale c’è il rapporto tra uomini e animali. Gli animali, le pecore, dipendono dall’uomo e viceversa. I due fratelli non si parlano ma sono uniti dal loro gregge e quando le loro pecorelle saranno minacciate non potranno fare altro che reagire, ognuno a modo suo. È una storia di pastori e in questo senso è universale, ma il paesaggio islandese – che il regista, che nasce come documentarista, rende protagonista – contribuisce a renderlo unico. (…) Max Borg. Quinlan Il regista islandese Grímur Hákonarson torna al cinema narrativo con Rams, una commedia drammatica dal sapore tipicamente e convenzionalmente scandinavo. (…) C’è una certa tendenza, nel cinema islandese (o almeno quello che arriva da noi, in sala o nei festival), a sottolineare la relazione fra l’uomo e la natura, o il nostro rapporto con gli animali. Questo può assumere connotazioni bizzarramente buffe, come nel bislacco King’s Road di Valdís Oskarsdóttir, presentato a Locarno, dove una simpatica vecchietta portava a spasso una foca (defunta), oppure toni più contemplativi e poetici, come nel recentissimo Storie di cavalli e di uomini di Benedikt Erlingsson. (…) Rams è il ritorno al cinema narrativo del regista Grímur Hákonarson, che nel 2010, dopo svariati corti, aveva esordito nel lungometraggio con Summerland, una commedia basata sul folklore islandese. Si è poi dato al documentario con A Pure Heart, ritratto di un sacerdote turbato, e vi è una certa influenza del cinema del vero nella sua opera seconda, che in alcuni momenti può far pensare al racconto della vita quotidiana di un pastore. Ma vi sono anche tracce di quell’umorismo un po’ particolare che caratterizza il cinema scandinavo nel suo insieme, che in questo caso stravolge l’immagine tipica degli islandesi cordiali e allegri – questo è un elemento veicolato anche dal cinema americano, come ben sa chi ha visto l’incantevole Land Ho! di Aaron Katz e Martha Stephens – con la sua caratterizzazione dei due protagonisti umani, due fratelli che si odiano al punto da non rivolgersi la parola da decenni. È la relazione tra questi due strani uomini, insieme al loro amore smisurato per le loro pecore (talmente importanti per la storia da meritare dei veri e propri credits nei titoli di coda), a rendere godibile la visione di questo piccolo film, strambo e al contempo convenzionale, un prodotto che per certi versi sembra studiato a tavolino per avere una vita lunga e felice nei circuiti d’essai e nei festival, servendosi della bellezza del paesaggio nordico e di quell’atmosfera un po’ speciale che caratterizza la regione per compensare un impianto narrativo alquanto esile e discontinuo. Un’opera a tratti furba, che però diverte a sufficienza quando la storia ingrana per davvero, fino ad arrivare ad un finale che sfiora il grande climax emotivo e visivo. Marco Triolo. Film.it (…) Il film, ambientato in una remota valle islandese, ha tutte le caratteristiche del cinema verità scandinavo – un'aderenza al reale fatta di attori e ambienti scelti meticolosamente per risultare autentici – ma in più vi unisce un inusuale calore umano che contrasta con le gelide lande dell'Islanda. (…) C'è dunque un riavvicinamento, raccontato però senza alcuna retorica, ma sempre usando le armi del racconto per immagini. Si parte da una situazione di separazione fisica, con i due fratelli che vivono letteralmente in due fattorie diverse (ma facente parti della stessa proprietà, non a caso), si passa attraverso la condivisione di spazi e risorse e si finisce con un contatto fisico totale (...). La conclusione è quanto di più commovente si possa vedere al cinema in questo momento, perché vera, assolutamente non forzata da sentimentalismi gratuiti. Questo vale per tutto il film, tanto che, nonostante la drammaticità e una certa cupezza di fondo, nonché una cappa di nera malinconia, non sfocia mai nella depressione più soffocante. Tutto l'opposto: c'è un lento ritorno alla vita che passa prima da una presa di coscienza e poi da un'azione radicale. Abbiamo usato la parola “azione” non a caso: il riscatto passa dall'agire, dal movimento, dalla rottura di una staticità sia esteriore (la vallata isolata da tutto, la fattoria antica, la vita dell'allevatore che procede identica a se stessa per decenni) che interiore. Ne risulta un'esperienza cinematografica appagante, che si chiude con una grande vittoria dell'animo umano e, nonostante tutta la cupezza di cui sopra, ci lascia in uno stato d'animo positivo.