nuovi rinvenimenti dal saggio III (2003)

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nuovi rinvenimenti dal saggio III (2003)
PITTURA DI I STILE A POPULONIA: NUOVI RINVENIMENTI DAL SAGGIO III (2003)
Scavo, messa in luce e recupero dei frammenti
L’ambiente a est del fronte ad arcate cieche delle Logge è stato oggetto
nel 2003, per una metà circa della sua estensione, di un intervento di scavo
specifico, articolato in due campagne di un mese ciascuna, svoltesi in maggio e
settembre. L’indagine era finalizzata a chiarire la consistenza, l’estensione e la
formazione di un deposito, assai ricco di elementi riferibili ad una decorazione
parietale in primo stile (Fig. 1), individuato parzialmente negli anni precedenti.
Ci riferiamo ai sondaggi preliminari condotti nel 2000 e 2002 all’interno e
fuori dell’ambiente, che avevano messo in luce frammenti di stucchi e bugne, il
cui esame aveva permesso già una prima ipotesi ricostruttiva della decorazione
parietale nel suo insieme (CAVARI, DONATI 2002, pp. 167-182; EAD. 2004, pp.
89-105). Non è stato possibile completare lo scavo per la grande quantità del
materiale rinvenuto e la complessità dell’intervento di recupero dei frammenti.
I dati emersi hanno comunque chiarito che si tratta di un crollo in situ, come
sembravano indicare già in precedenza l’omogeneità del materiale e la possibilità
di ricomposizione dei frammenti. La successiva campagna del 2004, in cui sono
stati messi in luce anche il crollo del pavimento e resti delle travi carbonizzate
che lo sostenevano, ha permesso inoltre, attraverso l’analisi della stratificazione,
di riferire i rivestimenti parietali e pavimentali a un ambiente del terrazzo superiore del complesso, crollato probabilmente in un’epoca non molto successiva
alla realizzazione del suo allestimento decorativo. Le dimensioni dell’ambiente
potrebbero corrispondere alla metà del grande vano sottostante (m 3,80 di
larghezza per m 7 di lunghezza) dov’è ubicato un pilastro, addossato al muro
sud, relativo con tutta probabilità a un arco in muratura avente la funzione di
ridurre la campata dell’edificio e sostenere la travatura del solaio, coincidendo
inoltre con una delle strutture murarie superiori.
Nelle due campagne del 2003 lo scavo si è concentrato soprattutto nella
zona ovest del saggio dove, in uno strato caratterizzato dalla forte presenza di
argilla di un colore rosso arancio, sono stati recuperati 150 elementi, costituiti
da insiemi di frammenti congruenti o frammenti singoli riferibili alla decorazione plastica. Lo strato di crollo, caratterizzato da una sensibile pendenza
verso nord, presentava una maggiore concentrazione di cornici ed elementi
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Fig. 1 – Il rinvenimento del materiale
sullo scavo.
plastici nella parte centrale del saggio, mentre i frammenti relativi alle bugne
e agli ortostati erano disposti lungo le pareti del vano e nella parte orientale.
La decorazione era mescolata a frammenti di tegole, coppi, lenti di argilla
rosso arancio e mattoni di colore rossastro, caratterizzati da un impasto ricco
di paglia tritata (le cui tracce sono visibili in negativo), in genere informi e
sbriciolati tanto da formare in molte zone veri e propri strati di disfacimento.
Sul retro di molti frammenti della decorazione parietale è stato rinvenuto,
ancora aderente all’intonaco a base di calce e sabbia, uno strato di argilla cruda
di colore rosso arancio, che farebbe pensare alla sua applicazione sul supporto
murario in funzione di strato preparatorio. L’utilizzazione di argilla cruda come
primo strato di preparazione, seguita poi dalle canoniche stesure di intonaco a
base di calce e inerti (sabbia, polvere di marmo), è testimoniata ad esempio in
un ambiente di una villa gallo-romana a Vandoeuvres nel cantone di Ginevra
(RAMJOUE 1977, pp. 167-179). In questo caso si suppone che l’elevato dei muri
fosse costituito da un’intelaiatura lignea riempita di mattoni crudi, dal momento che l’uso di tale rivestimento è previsto per strutture murarie costruite
con materiali eterogenei (Plinio, nat. hist., XXXV, 169; Vitr., de arch., VII, 3,
11). L’analisi della documentazione completa, comprensiva di quella del 2004,
e l’esame di tutto il materiale rinvenuto, ancora in corso di restauro e studio,
potrà portare alla ricostruzione dell’allestimento strutturale dell’ambiente e
alla comprensione della dinamica del suo crollo. Riguardo all’attribuzione degli
elementi rinvenuti alle rispettive pareti, al momento, possiamo solo dire che
alcuni frammenti di una grande cornice a dentelli (Fig. 2), allineati in senso
nord-sud e che sembrano il risultato di una frammentazione in posto, rendono
probabile la loro pertinenza alla parete orientale dell’ambiente.
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Dall’angolo nord-est del vano, dietro un grande frammento di mosaico
disposto in verticale e relativo, come ha dimostrato il proseguimento dello
scavo nel 2004, al crollo del pavimento dell’ambiente, provengono numerosi
frammenti d’intonaco (insiemi 43, 51.4) che hanno permesso la ricostruzione
di un ortostato completo in larghezza, disposto di taglio sulla parete e imitante una breccia policroma, e una stretta bugna in alabastro completamente
ricostruibile (cm 16×8) che presenta al di sotto una fascia continua e che
conferma l’esistenza di un ricorso di bugne di testa e di taglio, ipotizzata nella
prima ricostruzione (CAVARI, DONATI 2004, p. 97; fig. 3). Ai piedi del muro
sud insiemi diversi (37, 47,48, 49) hanno ricomposto una sezione di parete
costituita da due ortostati, uno in breccia e l’altro in cipollino, limitati da
una fascia continua imitante il cipollino marino (Tav. II.1): la ricomposizione
coincide perfettamente con la posizione che i frammenti avevano sul terreno,
evidenziando una fratturazione in fase di crollo.
Molti frammenti di semicolonne (71, 74, 80, 113) e capitelli corinzi
(36,143) sono disposti soprattutto al centro del saggio a breve distanza gli uni
dagli altri. L’esame di alcuni ha già portato alla parziale ricostruzione di una
semicolonna, confermando ancora una volta la frammentazione in situ di questi
elementi (Fig. 3). Associati alle semicolonne sono stati rinvenuti molti frammenti
di bugne in alabastro cotognino e fiorito che, come sappiamo dai rinvenimenti
del 2000, dovevano simulare un muro a bugnato dietro le semicolonne stesse
(CAVARI, DONATI 2002, p. 177). Nonostante l’estrema frammentazione degli insiemi relativi al bugnato superiore, il lavoro di ricomposizione in corso permette
di ricomporre porzioni che si agganciano alle semicolonne, secondo il rapporto
di contiguità che avevano sul terreno. Numerose cornici inoltre, di cui alcune
ancora connesse alle bugne imitanti i due tipi di alabastro, rinvenute tutte nella
stessa area, sembrano essere riferibili a una falsa porta che ben si inserisce nella
parte superiore della parete. Alla base del muro sud, vicino a frammenti di semicolonne e capitelli, è stata rinvenuta inoltre una mensola a dentelli pertinente
all’architrave che sosteneva il finto loggiato superiore (cfr. infra).
Fig. 2 – Frammento di cornice a dentelli.
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Fig. 3 – Fusto di semicolonna in stucco parzialmente
ricomposta.
Fig. 4 – Frammenti del soffitto a cassettoni durante
la messa in luce.
Fra i materiali rinvenuti sono presenti anche numerose volute ioniche di
proporzioni notevoli che non possono essere messe in relazione con i capitelli
corinzi, a cui sono invece attribuibili altre volute più piccole individuate nelle
loro vicinanze. Associate sul terreno alle grandi volute sono state rinvenute
numerose foglie in piombo (Fig. 6).
Frammenti relativi alla decorazione del soffitto, che era costituito da
una falsa volta a cassettoni (CAVARI, DONATI 2004, p. 94), sono stati individuati
in zone lontane tra di loro e in numero limitato rispetto agli altri elementi:
l’esiguità del rinvenimento è forse da imputare al fatto che tali frammenti si
trovavano nello strato più superficiale del deposito, maggiormente soggetto a
distruzione in conseguenza di attività successive. Le porzioni rinvenute – un
frammento relativo alla parte iniziale della volta (39), un grande frammento
pertinente alla lunetta della parete che conserva l’attacco del soffitto (40), un
insieme di frammenti di cassettoni veri e propri (44, Fig. 4) – consentono comunque una ricostruzione sia dello schema decorativo (CAVARI, DONATI 2004,
pp. 94-95) che della tecnica di esecuzione del soffitto.
Il sistema di messa in luce e prelievo dei reperti ha previsto un’accurata
documentazione e rilievo di tutti i frammenti, secondo una metodologia ormai
ben sperimentata e che ha portato sempre a risultati di estremo interesse (vedi
ad esempio DE VOS, DONATI 1982, pp. 1-32; ANNETTA, NENCI 1990, pp. 320324; GIACHETTI, GRAZIANI 1990, pp. 325-334; BONAMICI 1997, pp. 315-332;
CAPUTO 1986, pp. 65-74; LEPORE, ZACCARIA 1993, pp. 205-211). Il lavoro è
stato complesso soprattutto per l’estrema fragilità dei materiali che, in conse122
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guenza della loro giacitura in un ambiente costantemente umido, presentavano
un aspetto formalmente in buone condizioni in contrasto con una profonda
decoesione interna della malta, che non offriva nessuna resistenza alla minima
sollecitazione meccanica. Lo stato di conservazione era compromesso ulteriormente dalla presenza di numerosissime radici anche di grossa dimensione,
relative a un albero situato accanto al saggio, che erano penetrate all’interno dei
materiali causando numerose fratturazioni e la disgregazione dell’impasto. Per
la messa in luce sono stati utilizzati bastoncini in legno, pennelli e pompette ad
aria che, se non usati con grande cautela, potevano rivelarsi anch’essi distruttivi.
Nello stesso tempo, via via che i frammenti venivano scoperti, era necessario
un consolidamento, effettuato con una resina acrilica in solvente non polare,
non essendo possibile utilizzare altri metodi per la grande umidità presente
all’interno del materiale. Senza un adeguato consolidamento non sarebbe
stato possibile effettuare un prelievo che garantisse l’integrità dei frammenti:
il materiale infatti presentava allo stato umido una consistenza plastica che
impediva qualsiasi manipolazione e che si traduceva in fase di essiccamento, se
non adeguatamente consolidato, in una disgregazione irreversibile. Prima del
prelievo è stata effettuata inoltre una velatura con una leggera tela di cotone
e resina acrilica a maggiore concentrazione; in molti casi è stato necessario
inglobare i frammenti di stucco in schiuma di poliuretano, dopo aver allestito
una cassaforma di adeguate dimensioni (KROUGKY, PEDROSO 1990, p. 305-332;
MORA, PHILIPPOT 1984, pp. 216-251, 315-317).
Mescolati ai materiali sono state rinvenute anche grappe in ferro che
evidentemente erano state utilizzate per fissare alla parete gli elementi plastici in forte aggetto, probabilmente fabbricati a parte, come testimoniato ad
esempio nel tempio di Castore e Polluce a Roma (NIELSEN, POULSEN 1992, p.
200) e in contesti siciliani (VON SYDOW 1979, pp. 210-211).
Ricordiamo infine che nello strato di crollo sono stati rinvenuti sporadici frammenti di un pavimento in tessellato bianco, tessere rettangolari di
palombino e calcari colorati che formavano un motivo a canestro, frammenti
di tessellato con un motivo a triangoli sfalsati e alcune lastrine romboidali di
palombino e calcare marnoso verde; la presenza di queste ultime, che, come
ha dimostrato la campagna del 2004, sono relative all’emblema centrale in
scutulatum del pavimento, conferma la preziosità e la raffinatezza dell’allestimento decorativo dell’ambiente1.
FERNANDA CAVARI
1
Nella campagna del 2004 è stato messo in luce e recuperato il crollo dell’intero pavimento
dell’ambiente. I frammenti, la cui disposizione sul terreno coincide approssimativamente con quella
originaria, hanno permesso di ricostruire lo schema decorativo: un tessellato bianco bordato da
una fascia in tessere di terracotta dipinta di rosso era ornato al centro da un riquadro in lastrine
romboidali di colore bianco, nero e verde poste a formare un motivo a cubi prospettici.
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Nuove osservazioni
Il proseguimento delle ricerche, con l’analisi dei resti che via via si vengono ricomponendo in laboratorio, consentono di precisare meglio il contesto
decorativo di provenienza dei frammenti, con una migliore scansione proporzionale degli elementi, tale da giustificare la restituzione d’insieme proposta
(cfr. infra, Fig. 8)2. Se molti aspetti restano tuttavia irrisolti e necessitano di
verifiche, troviamo qui le linee guida che, accanto a una più chiara comprensione delle logiche di formazione del bacino stratigrafico, ci permettono di
inserire i nuovi elementi con una piena coerenza delle parti. In tal senso si
comprende la frequente associazione dei ricorsi di bugnato, in prevalenza
di imitazione delle varietà in alabastro cotognino e fiorito, a parti del fusto
di semicolonne scanalate, provenienti dal crollo della parte superiore della
parete, molti dei quali si sono rivelati in più casi contigui alle porzioni già
ricomposte e in continuità con parti del capitello corinzio di coronamento.
Qui la finitura netta, osservabile sul profilo della seconda corona di foglie di
acanto, indurrebbe a credere che la parte terminale, più aggettante e complessa,
fosse realizzata a parte, o più ragionevolmente che fosse in ogni caso soggetta
a una maggiore deperibilità.
Difficilmente appartenevano a questi capitelli le volute terminali in stucco
(Fig. 5) affioranti in gran numero, in condizioni – come si può immaginare
– di estrema fragilità, che presentano tuttavia un intaglio fresco e finissimo,
mostrando una doppia facciavista, con terminazione quindi visibile su due
lati, e la traccia del piano superiore di appoggio dell’abaco, per capitelli di
andamento diagonale. La dimensione di queste volute, maggiore rispetto al
modulo noto per gli altri capitelli, sembra piuttosto riferirsi a colonne/semicolonne di diversa proporzione e collocazione forse a tutta parete, che per il
momento rimane del tutto ipotetica. In attesa di un accurato consolidamento
di queste parti e di un’osservazione più approfondita, si notano fin da ora
caratteristiche quali la definizione delle spirali delle volute a nastro rese da
margini vivi e spigolosi e l’evidenza del cono – o cappuccio – appuntito che
fuoriesce dall’occhio della spirale; insieme all’ampio abaco, tali peculiarità
sono presenti nei capitelli ionici diagonali della fase osca di Pompei, in tufo
stuccato e dipinto, e nei capitelli di tipo corinzio-italico (COCCO 1975, pp. 155
ss.; EAD. 1977, pp. 57-110, 131-148), databili fra 130-80 a.C., come pure si
osservano nel tempio pseudo-periptero di Tivoli e a Preneste (DELBRÜCK 19071912, pp. 162-63, fig. 108 e tav. XIV).
La notevole finezza esecutiva di questi partiti decorativi, anche per la
presenza di frequenti sottolineature ottenute con tocchi di policromia (in rosso,
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Il contesto decorativo proveniente dall’acropoli di Populonia è stato di recente presentato al IX Convegno AIPMA “Circulation de temas y de sistemas decorativas en la pintura
mural romana”, Catalayud-Saragoza, 21-24 sett. 2004, i cui Atti sono in corso di stampa.
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Fig. 5 – Elemento di voluta
per capitello in stucco.
grigio/nero), rimanda – oltre che ad esempi dell’architettura monumentale
del mondo greco – a esempi di decorazione stuccata e dipinta del tardo ellenismo riscontrabili in centri della Sicilia occidentale, con i quali gli esemplari
di Populonia mostrano sorprendenti vicinanze: ad esempio dall’area della
necropoli monumentale di Lilibeo (VILLA 1984, pp. 154-157, edificio a tholos
databile al II secolo a.C.), come pure a Marsala e Morgantina (VON SYDOW
1979, pp. 181-231). Raffinatezza accresciuta dalla presenza, non altrettanto
comunemente attestata, degli elementi foliacei a più lobi, ritagliati in lamina
di piombo (CAVARI, DONATI 2004, pp. 95-96), che sono stati rinvenuti accanto
alle altre modanature e in particolare alle volute e che recavano in parte ancora
aderente il sottile rivestimento di stucco (Fig. 6). Si tratta di elementi che ci
riportano a tipologie di capitelli in acanto non spinoso, ma di tipo erbaceo più
morbido, assegnati al pieno ellenismo, in Sicilia e nell’Italia centrale (LAUTER
1999, pp. 246-247).
La presenza di elementi in lamina o filamento di piombo, in passato
raramente segnalata, è ormai riconosciuta in associazione con la decorazione
in stucco, cui forniva armatura e sostegno, come rilevato nel caso dei filamenti
presenti all’interno delle colonnine ioniche della Casa dei Commedianti di
Delo (BEZERRA DE MENESES 1970, p. 155), nella Casa ellenistica I a Cnido (LOVE
1972, p. 398), sul soffitto dello Hieron a Samotracia (LEHMANN 1969) e forse
nel più modesto contesto artigianale-produttivo della città di Nora, secondo
dati recentemente acquisiti (NERVI 2004). Verosimilmente tale espediente era
utilizzato anche quale supporto per elementi ornamentali, specie se in forma
foliacea definita o a terminazione vegetale, come nel caso della decorazione
del triclinio (amb. 23) nel settore residenziale della Villa di Settefinestre, con
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Fig. 6 – Foglie in lamina di piombo.
decorazione parietale in secondo stile, dove forse svolgevano la funzione di
sottili mensole per le cornici (DONATI 1985, pp. 46-47), e qui a Populonia,
dove foglie di acanto del tipo stilizzato a corpo stretto, con lobi a profilo arrotondato, fornivano un completamento della decorazione a stucco, che poteva
trovare posto in differenti zone della parete e del soffitto. Vista la condizione
più frequente di giacitura, sembra probabile che si riferiscano piuttosto al
coronamento dei capitelli, dove la foglia stava forse a protezione della voluta
superiore arricciandosi verso l’alto, e/o nei pennacchi delle volute. Dall’abaco
potrebbe forse provenire anche il fiore centrale a sei petali con pistillo. Della
presenza di vere e proprie lamine in metallo in forma di tralcio vegetale, quale
arricchimento visibile di elementi architettonici e decorativi del rivestimento
parietale di ambienti di pregio, rimane evidenza nella decorazione pittorica del
II stile, sia sull’imoscapo di colonne avvolto da foglie di acanto (MAIKOWIECKA
1969, pp. 115-131) che sul coronamento in forma di fregi, talvolta ulteriormente impreziosita da gemme, come si vede ad esempio nelle pitture del
triclinio (amb. 14) della Villa di Oplontis, che costituisce il recepimento in
forme pittoriche di una prassi reale ben documentata in ambito alessandrino
(PENSABENE 1993, p. 121 ss.) e non un precedente per quella (BONANNI 1998,
pp. 259-292, in part. p. 274). Nella stessa parete si osserva anche la presenza
di mensole a forma di ‘S’ a sorreggere la trabeazione superiore, che richiama
l’esempio sopra citato di Settefinestre (cfr. anche Pompei, Casa delle Nozze
d’Argento).
Non mancano inoltre nuovi frammenti di cornici plastiche – da quelle
più complesse con modanature a dentelli e ovuli e gocciolatoio, oppure a
dentelli e ampio fregio, a quelle più semplici – che non è possibile collocare
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con precisione in parete, ma che di certo costituivano la trabeazione aggettante
inferiore che reggeva il porticato e coronava poi l’architrave superiore corrispondente. In analogia con la Casa del Fauno (fauces), dove il finto loggiato
è composto di colonne a tutto tondo, il soffitto della trabeazione inferiore
era decorato da semplici mensole di piccolo modulo con fila di dentelli, nei
cui spazi forse trovava posto una serie di piccoli lacunari (PENSABENE 1993,
p. 504, figg. 88-90). Cornici doriche con dentelli piuttosto lunghi (cm 3,84,00), stretti e poco distanziati (cm 0,5), e kymatia ionici con ovuli piuttosto
schiacciati sembrano costituire una caratteristica dell’età tardo repubblicana,
in associazione col I stile (VERZAR 1976-77, in part. p. 388; DE VOS 1977, pp.
30-33, figg. 26-30). Non del tutto certi possiamo essere circa la collocazione
di elementi frammentari sporadici che mostrano ad esempio una fascia liscia
in notevole aggetto (h. cm 10 ca.; spess. cm 12 ca.), dipinta in colore rosso
uniforme, che descrive un angolo retto in continuità per breve tratto su un
lato, riferibile probabilmente a resti di un dado o podio su cui potevano insistere alcune delle colonne riscontrate. Analogamente lo specchio incavato
e riquadrato da cornici rilevate (kyma recta e reversa, separate da listello
piano) in stucco bianco, non pertinente al soffitto cassettonato, si lascia più
facilmente riconoscere come parte del pannello di una falsa porta, che forse
trovava posto in un’altra zona, probabilmente al centro della parete lunga;
si può citare fra gli altri, la Casa dello Scienziato, a Pompei (VI, 14, 43), che
fornisce un esempio assai efficace di falsa porta in stucco sulla parete laterale
sinistra dell’atrio, più volte tradotta in modi pittorici.
FULVIA DONATI
Rispetto ai confronti citati nel precedente contributo (CAVARI, DONATI
2004, p. 95), il soffitto dell’ambiente, costituito da una falsa volta a cassettoni, si distingue sia per la tecnica costruttiva, sia per il partito decorativo che
risulta di grande accuratezza e raffinatezza (CAVARI, DONATI 2004, pp. 94-95).
La ricomposizione di alcuni frammenti (Tav. II.2) ha permesso di ricostruire
la profondità dei cassettoni, che era di 8 cm; la misura dei riquadri non è
conservata ma era superiore a 36 cm, come testimonia il frammento relativo
alla zona iniziale del soffitto. In base ai confronti esistenti, ad esempio i cassettoni della cosiddetta Villa di Galba a Frascati (MANCINI 1913, p. 54), si può
ipotizzare che misurassero un piede e mezzo circa di lato.
La particolare cura e attenzione con cui questi frammenti sono stati
messi in luce ha permesso di recuperare, ancora aderente al retro, uno strato
di malta di argilla con le impronte delle canne che costituivano l’armatura della
falsa volta. Come si vede chiaramente in alcuni di essi (insieme 44, Fig. 7), le
canne erano disposte in modo da formare degli scomparti in sottosquadro per
la realizzazione dei cassettoni in stucco; il calco realizzato in laboratorio ben
evidenzia la fattura con i particolari delle corde utilizzate per la legatura. La
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Fig. 7 – Impronte delle canne
dell’armatura sul retro di un
frammento di cassettone.
costruzione di una falsa volta è accuratamente descritta da Vitruvio (de arch.,
VII, 3, 1 ss.), secondo modalità utilizzate fino a tempi recenti. Su travicelli
paralleli, precedentemente centinati e posti alla distanza di due piedi l’uno
dall’altro, si legavano con corde di sparto di Spagna canne greche schiacciate
e unite a loro volta da corde; questa centina veniva poi fissata al solaio tramite traverse di legno con una fitta chiodatura (GIULIANI, p. 68). Vitruvio (de
arch., VII, 2, 2) non menziona però la possibilità di inserire i cassettoni in
una volta così costruita, ma anzi dice: «camerarum dispositiones in conclavibus expediantur nisi lacunariis ea fuerint ornata», alludendo probabilmente
a soffitti con cassettoni lignei. In un altro passo dello stesso autore (VI, 3, 9)
si menzionano, a proposito dei soffitti delle sale corinzie, lacunari ricurvi a
sezione circolare senza specificare però le modalità di esecuzione; in questo
caso tuttavia è probabile che il termine lacunaria indichi genericamente il
soffitto e non i cassettoni veri e propri. Mentre per la messa in opera di soffitti
con incannucciata esistono numerose testimonianze archeologiche (BARBET,
ALLAG 1972, p. 941 ss.; BARBET 1996, pp. 28-29) per questo sistema, in cui
le canne vengono disposte a formare il recesso dei cassettoni, non esistono al
momento altri confronti. Come del resto non ci sono riscontri di un’utilizzazione di una malta di argilla come primo strato preparatorio di tali soffitti; la
malta di argilla è menzionata dalle fonti, come detto sopra, solo a proposito
del rivestimento dei muri in opus craticium (Plinio, nat. hist., XXXV, 169;
Vitr., de arch., VII, 3, 11) e per il rivestimento dell’estradosso delle volte negli
edifici termali (ibid., V, 10, 3). Il profilo complesso e profondo dei cassettoni
di Populonia richiama gli esemplari delle volte anulari a cassettoni negli emicicli del santuario della Fortuna a Palestrina, ma là la tecnica di realizzazione
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è completamente diversa (LUGLI 1957, p. 678): la decorazione è realizzata
direttamente nella volta in concreto gettata su una centina in cui, con l’aiuto
di casseforme adeguate, era stato preparato il rilievo dei cassettoni, rivestiti successivamente da uno stucco bianco ad imitazione dei soffitti greci in
marmo (ADAM 1988, pp. 193-194). Inoltre tutti gli esempi di decorazioni a
cassettoni in stucco su un soffitto voltato ci sono pervenuti solo perché sono
stati realizzati su una struttura in calcestruzzo, dal momento che il sistema
utilizzato a Populonia risulta estremamente deperibile e può essere rinvenuto
solo negli strati di crollo.
Per l’organizzazione generale del partito decorativo e la presenza della
scanalatura dipinta di rosso all’interno della cornice piatta che delimita gli
scomparti, la Casa dei Grifi a Roma rimane il confronto più pertinente (RIZZO
1936, p. 14 ss.). I cassettoni della Casa dei Grifi sono però meno elaborati e
sembrano quasi una semplificazione del tipo populoniese: sono meno profondi,
presentano una sola scanalatura rispetto alle due di Populonia, sono privi di
modanature nel riquadro interno e di ulteriori sottolineature di colore. Nella
Casa dei Grifi, come negli altri confronti già citati (CAVARI, DONATI 2004, pp.
94-96), le volte a cassettoni sono associate a pitture di II stile che portano a
datare l’introduzione di tali soffitti a partire dal I secolo a.C. In un monumento
funerario delle Marche, però, è attestata la presenza di una volta a cassettoni
in stucco realizzata insieme alle pareti di I stile (DE MARIA, LEPORE, ZACCARIA
2001, pp. 261-266). La tomba, rinvenuta, probabilmente alla meta del ‘700
in località Case Nuove presso Osimo, presenta una volta a botte, realizzata in
opera cementizia e rivestita da cassettoni in stucco con uno schema a modulo
quadrato di cm 42. Rispetto a Populonia lo schema decorativo è più complesso:
in alcune zone il modulo quadrato è unito a coppie per formare uno scomparto rettangolare con losanga interna, mentre al centro uno spazio di dodici
moduli crea un grande rettangolo la cui la decorazione è andata perduta. Le
cornici piane tra i cassettoni presentano una scanalatura centrale di cm 0,8 e
profonda cm 0,03 (cm 0,5 e cm 0,03 rispettivamente a Populonia) mentre i
riquadri interni, arricchiti da modanature con cornice a ovoli, presentavano
elementi figurati al centro di cui oggi restano solo labili tracce. Le pareti sono
decorate con ricorsi di ortostati e bugne (che purtroppo hanno perduto l’originale policromia) secondo un canonico sistema di I stile. La tomba presenta
inoltre una pavimentazione a mosaico bianco databile, in base alla tecnica e
alla qualità, alla fine del II-inizi I secolo a.C.; al centro doveva essere presente
un emblema, di cui rimangono solo le tracce e che forse possiamo immaginare
dello stesso tipo di quello di Populonia. I confronti citati per la volta, la villa
di Frascati (75-50 a.C.) e la Casa del Criptoportico a Pompei (40-30 a.C.),
che suggerirebbero una datazione della decorazione del soffitto alla metà
del I secolo a.C. (LING 1999, p. 26, 39-41), contrastano cronologicamente,
come sottolineano gli autori, con le pareti di I stile, che potrebbero essere
datate verso la fine del II o gli inizi del I secolo a.C. Il monumento funerario
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documenterebbe quindi una fase di transizione, databile ai primi decenni
del I secolo a.C., in cui è attestata un’acquisizione precoce di volte decorate
a cassettoni che entreranno in uso solo successivamente (DE MARIA, LEPORE
ZACCARIA 2001, p. 265). Il rinvenimento della decorazione di Populonia, del
tutto analoga a quella della tomba di Osimo, sembrerebbe invece costituire
un’importante testimonianza della coerenza tra sistemi di primo stile delle
pareti e volte a cassettoni, che porta a riconsiderare l’ipotesi della diffusione
solo a partire dal I secolo a.C. di questo tipo di soffitto.
FERNANDA CAVARI
Organizzazione e disposizione dell’apparato decorativo dell’ambiente
In base a quanto illustrato sopra è stato possibile, in attesa di portare
a conclusione l’esame del materiale rinvenuto, fornire con miglior grado di
approssimazione un’immagine anche in rapporto dimensionale degli elementi
componenti la decorazione, che sostanziano e giustificano l’ipotesi grafica
d’insieme realizzata da M. Cristina Panerai, almeno per una delle pareti dell’ambiente (lato breve). In essa sono segnalati (in retino grigio), come punti
di forza su cui l’ipotesi è in larga misura basata, alcuni degli insiemi più significativi ricomposti e di più sicura collocazione (Fig. 8), mentre è in fase di
elaborazione anche una restituzione a colori3.
Si osservano quindi in successione: basso plinto nero (9-10 cm), seguito
da lastre di ortostati orizzontali delineati da una sola specchiatura ribassata
(di larghezza più ampia), banda piana, serie di ortostati verticali marginati da
doppio bordo, fascia piana cui segue un’assise di bugne regolari, di taglio e di
testa. L’osservazione delle parti conservate nel punto terminale della parete
permette di determinare le dimensioni del bugnato, mentre non è nota la
dimensione degli ortostati della parte mediana della parete. Sia gli ortostati
che i filari di bugnato non si interrompevano agli angoli dell’ambiente, ma
si completavano nella parete contigua, definendo la stanza come un insieme
unitario.
A questa parte, che immaginiamo occupare circa due terzi della parete, fa seguito il finto loggiato di semicolonne poggianti su trabeazione
sostenuta da mensole aggettanti, dietro cui corrono, alternandosi in ordine
sfalsato, almeno tre filari continui di bugnato di dimensione più piccola, di
cui una fascia nera continua segnava la fine. Anche la presenza delle varietà
cromatiche e tipologiche delle imitazioni marmoree, su cui più volte è stata
3
Il contesto decorativo dell’acropoli di Populonia, illustrato con pannelli e un’immagine
su grande scala a cura di F.Cavari, F.Donati e M.C. Panerai, è oggetto di un nuovo allestimento
in una delle sale del Museo Archeologico di Populonia, nella cittadella di Piombino (LI).
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Fig. 8 – Ipotesi di ricostruzione di una delle
pareti brevi: in grigio
alcuni dei frammenti
significativi per la ricomposizione (realizzazione
grafica di M. Cristina
Panerai).
attirata l’attenzione (cfr. BARTALI in questo stesso volume), si precisa meglio
indicando abbastanza chiaramente l’intenzionale disposizione. In corrispondenza con le lastre di taglio più grande (ortostati orizzontali e verticali),
nella parte inferiore della parete, esse presentano prevalentemente varietà
di tipo brecciato o venato e con inclusi fossiliferi (es. breccia frutticolosa,
di Ezine, cipollino verde, lumachella rossa), mentre in quella mediana, con
lastre a doppio margine, sembrano prevalenti imitazioni marmoree a tessitura compatta (es. giallo antico, portasanta, rosso antico e bigio antico);
infine alle lastre orizzontali più strette (ricorsi isodomici) della parte alta
della parete, sembrano riservate le qualità più raffinate di alabastro listato
e nuvolato. Ciò probabilmente in corrispondenza di un uso strutturale che,
pur in risposta a logiche di puro decorativismo, era ancora cosciente delle
modalità di impiego di tali marmi per il rivestimento murale. Questa scelta
potrebbe rispondere inoltre ad una differenziazione tra primo e secondo
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piano dell’edificio rappresentato illusionisticamente: sembra infatti prassi
comune negli edifici ellenistici collocare al piano superiore gli ambienti più
sontuosi (PESANDO 1997, p. 328).
È evidente che le maestranze che lavorarono a Populonia avevano
come modelli di riferimento edifici di tono elevato del mondo greco ellenistico (Alexandrina marmora, Plin. nat. hist., XXXV, 2-3) con impiego di
varietà di marmi policromi anche per superfici estese e in qualità di notevole
pregio (cfr. le tombe dei sovrani ellenistici macedoni con camere funerarie
interamente rivestite di lastre di alabastro: ADRIANI 2000), che solo più
tardi avranno diffusione nell’edilizia del mondo romano di età imperiale.
La rappresentazione delle diverse tipologie marmoree, realizzata sulla base
di modelli pittorici o cartoni con le indicazioni dei motivi e dei colori,
giustifica il grado di verismo talvolta solo approssimativo e con intento
decorativistico, seppure realizzato con notevole eleganza formale. Le partizioni descritte erano intervallate da cornici plastiche di diversa tipologia
che, sebbene non si possano collocare con precisione, costituivano certo la
trabeazione aggettante inferiore sorretta da mensole a dentelli che reggevano
il finto porticato e coronavano l’architrave superiore. Analogamente una
cornice a profilo curvilineo accompagnava il coronamento della lunetta su
cui si innestava il soffitto a falsa volta, decorato da una trama di scomparti
cassettonati quadrangolari.
I dati finora acquisiti evidenziano l’importanza del rinvenimento populoniese, in considerazione della più volte richiamata scarsità di testimonianze
pittoriche di primo stile al di fuori degli esempi noti, ma anche per la ricchezza
e qualità formale dell’apparato decorativo, oltre alla presenza di numerosi
elementi relativi alla tecnica di esecuzione e messa in opera di questo. Si conferma e precisa come i modelli adottati siano di tipo greco, ma è prematuro,
allo stato attuale della ricerca, affrontare il problema della trasmissione di tali
modelli, certo risultato di un comune linguaggio artistico di matrice greca o
ellenistica, o fare ipotesi sulle maestranze impegnate nell’allestimento decorativo delle Logge: appare chiaro comunque che il rinvenimento populoniese
viene ad offrire nuovi spunti per un’analisi più approfondita delle caratteristiche finora attribuite allo stile strutturale in ambito occidentale. Ad esempio le
distinzioni operate dagli studiosi tra il ‘Masonry Style’ o ‘Stile strutturale’ di
ambito greco (vedi a tale proposito le considerazioni di TARDITI 1990) e il ‘I
stile pompeiano’ di ambito italico (LAIDLAW 1985, pp. 15-37, figg. 1-2; BRUNO
1969, pp. 305-317), in cui viene a inserirsi anche la definizione dello stile ‘a
zone’ come transizione verso nuove forme espressive (WOHLMAYR 1991-92,
pp. 75-81), non sono così palesi a Populonia, e probabilmente non più accettabili con tale nettezza di termini, in quanto basate essenzialmente sui contesti
oggetto di tali riflessioni, ovvero Pompei e Delo.
FERNANDA CAVARI, FULVIA DONATI
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