La borsa italiana e gli intermediari secondo Giorgio Tagi

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La borsa italiana e gli intermediari secondo Giorgio Tagi
La borsa italiana e gli intermediari secondo Giorgio Tagi 1
di
Rosa Scarica
Alla FacoltaÁ di Economia dell'UniversitaÁ Federico II di Napoli, nell'ambito dei corsi di Storia delle Assicurazioni e della Previdenza del professore
Francesco Balletta, di Storia dell'Industria del professore Nicola De Ianni e del
corso di Fabio Tamburini (professore a contratto e vice capo redattore per
l'economia de ``La Repubblica'') si sono svolti seminari sulla finanza italiana
con la presenza dei maggiori esperti del settore: Sergio Siglienti (presidente
dell'INA), Francesco Greco (sostituto procuratore del Tribunale di Milano),
Francesco Micheli (operatore finanziario), Alfonso Desiata (presidente dell'ANIA e delle Assicurazioni Generali), Pellegrino Capaldo (docente dell'UniversitaÁ di Roma ed esperto delle privatizzazioni), Federico D'Andrea (tenente
colonnello della Guardia di Finanza) e Carlo De Benedetti.
L'ultimo incontro ha visto come relatore Giorgio Tagi (agente di cambio e
docente universitario), il cui intervento, di carattere prevalentemente tecnico,
eÁ stato preceduto da alcune riflessioni introduttive di Fabio Tamburini, che
prendendo come riferimento il suo libro ± Misteri d'Italia. Aldo Ravelli il re
Mida della borsa, racconta: Come diventare ricchi, i segreti dei potenti, io e la
sinistra, Milano, 1996 ± ha delineato i tratti salienti del mercato finanziario
italiano, con particolare riguardo al mercato dei capitali. Il volume di Tamburini nasce da un'intervista fatta ad Aldo Ravelli, personaggio che ha rappresentato, per oltre mezzo secolo (dagli anni Trenta agli anni Settanta) il punto di
riferimento della borsa italiana. Secondo Tamburini, il mercato ``pozzanghera''
(cosõÁ Ravelli definõÁ il mercato finanziario italiano in una battuta che recitava:
``Il mercato italiano eÁ una pozzanghera; proprio perche eÁ piccolo e non si riesce
a nuotare, si corre il rischio di affogare''), caratterizzato da un ridotto numero
di societaÁ quotate; dalla mancanza di investitori istituzionali; dalla presenza
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Seminario tenuto il 30 maggio 1997 presso la FacoltaÁ di Economia dell'UniversitaÁ Federico II di Napoli nell'ambito dei corsi di Storia delle Assicurazioni (prof. F. Balletta), di Storia
dell'Industria (prof. N. De Ianni) e del corso del professore a contratto Fabio Tamburini.
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dei fondi neri all'interno delle imprese; dalla quasi totale assenza di investitori
esteri; dall'influenza di un grande centro di potere economico sul mercato qual
eÁ Mediobanca; oggi non esiste piuÁ. Attualmente il mercato dei capitali eÁ una
realtaÁ in trasformazione, si eÁ in una fase di transizione, molti passi importanti
sono stati fatti, altri dovranno essere compiuti. Con un mercato regolamentato,
venendo meno il potere altamente condizionante di Mediobanca e tenendo
conto della presenza di un'unitaÁ di controllo sul mercato, come la Consob, la
definizione di Ravelli ± come mercato ``pozzanghera'' ± potraÁ, in un futuro
assai prossimo, essere definitivamente archiviata.
Tagi, nella sua esposizione ± che aveva per tema ``La borsa italiana e gli
intermediari'' ± ripercorre la genesi e l'evoluzione del mercato dei capitali e si
discosta dalle conclusioni tratte da Tamburini. Egli sostiene che le imprese
industriali italiane, data la carenza di capitale proprio, ricorrono all'indebitamento bancario. A supporto di questa affermazione fa riferimento a ricerche e
dati di Mediobanca, in base ai quali il capitale proprio delle imprese, partito
dal 28 per cento nel 1968, eÁ sceso, fino a toccare il punto piuÁ basso, al 14,9 per
cento, nel 1977. Il campione di imprese preso in esame da Mediobanca eÁ
rappresentato, per circa la metaÁ, da imprese pubbliche. Da cioÁ si evince il forte
condizionamento che queste imprese hanno prodotto sugli amministratori finanziari del settore industriale. Condizionamento che ha favorito la diffusione
della cultura dell'indebitamento e il mancato ricorso, anche da parte delle
poche imprese private, al mercato dei capitali della borsa. Conseguenza logica
della politica industriale perpetrata in Italia eÁ il mancato decollo del mercato
dei capitali, ancora luogo di mere speculazioni e non fonte primaria e naturale
di capitali produttivi per le imprese. Il mercato dei capitali, dunque, ha avuto
scarso peso sullo sviluppo industriale italiano. Le banche sono state il punto di
riferimento per il finanziamento a lungo termine delle imprese. Tale situazione
eÁ stata favorita anche dalla maggiore propensione del piccolo risparmiatore a
far gestire i propri capitali alle banche, piuttosto che ``rischiare'' in borsa.
Tagi, oltre a delineare la situazione del mercato borsistico italiano'', ha
focalizzato l'attenzione sulla figura dell'intermediario finanziario, la cui presenza, sui mercati, eÁ dovuta spesso all'esigenza di separare la funzione di coloro
che negoziano nel mercato da coloro che operano in proprio. La tendenza, fino
agli anni Ottanta del Novecento, fu quella di avere intermediari del mercato
finanziario che svolgessero attivitaÁ di pura mediazione, cioeÁ che non operassero
in proprio. La funzione di mediazione ± nonostante fosse soggetta a norme di
legge che prevedevano la espulsione dal mercato degli intermediari che la
trasgredivano ± era facilmente valicabile. A partire dalla fine degli anni Ottanta, la preferenza per gli operatori in proprio divenne prepotente, tanto da
eclissare la figura dell'intermediario. Tagi ha spiegato i motivi di tale crisi.
Nella borsa di New York, le prestazioni dei mediatori erano fatte sulla base di
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commissioni proporzionali ai volumi negoziati. La tecnica di esecuzione del
mediatore, peroÁ, era tale che, a fronte di un certo quantitativo di titoli scambiati, doveva ripresentarsi sul mercato per garantire una pubblicitaÁ delle operazioni. Questo modo di operare ``disturbava'' gli investitori istituzionali, che
avevano l'esigenza di portare grosse partite sul mercato. La preferenza per gli
operatori in proprio, a cui i risparmiatori potevano chiedere di quotare domanda ed offerta per un certo quantitativo, scegliendo il prezzo in modo da
non metterlo in balia di altri operatori presenti sul mercato, ebbe larga diffusione tra gli investitori istituzionali. Invero, anche i fondi pensione americani
avvertirono l'esigenza della presenza di intermediari con facoltaÁ di operare in
proprio, per evitare di dover negoziare quantitativi commisurati al loro portafoglio. Secondo Tagi, il passaggio dagli operatori per conto terzi agli operatori
in proprio eÁ ``delicato'' e di non facile attuazione. Dalla ``semplice regola'', che
permette di tenere il mercato ``pulito'' da chi approfittava della sua posizione,
si eÁ spostati, attualmente, ad una situazione in cui l'intermediario eÁ assoggettato ad un regime di controllo che investe sia la stabilitaÁ patrimoniale sia l'etica
operativa.
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