Il Francesco di Dante: asceta e cavaliere

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Il Francesco di Dante: asceta e cavaliere
Corinna Guglielmo1
Il Francesco di Dante: asceta e cavaliere
Riflessioni minime sul canto XI del Paradiso
1. Una lettura parziale: Dante pone l’accento soprattutto sulla povertà del Santo in polemica
con i ceti mercantili e con la Chiesa ufficiale
2. La Divina Commedia come occasione di giudizio sulla realtà eproposta di modelli di perfezione: la concordia tra gli ordini monastici nei canti XI e XII del Paradiso
3. Francesco “asceta sociale” coniuga valori mistici a impegno terreno
4. La gioiosa povertà: rifiuto dei valori economicistici del padre in nome della povertà evangelica
Una lettura parziale
Può capitare che un amico ci parli di una persona a noi sconosciuta e che ce la presenti attraverso
le sue parole e i suoi giudizi, mettendo in luce o in ombra alcuni tratti della sua personalità , secondo il suo punto di vista che, come un filtro o una lente, rimanda un’immagine parziale o non sempre
veritiera.
Questo avviene anche nel caso di san Francesco presentato da Dante nel canto XI del Paradiso:
egli infatti mette in evidenza alcuni aspetti della vita e della personalità del Santo che sono in accordo con la sua visione eroica e attiva della vita, con la condanna dell’avidità di ricchezze e con il suo
desiderio di una Chiesa povera, determinato in parte dalla sua esperienza, mentre glissa su altri
aspetti che la tradizione assegna a Francesco.
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Docente di Lettere al Liceo scientifico “G. Ferraris” di Varese.
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Dante (1265-1321) ha una vita segnata dalla ferita dell’esilio (gennaio 1301), causata in buona
parte dagli intrighi di papa Bonifacio VIII, che voleva espandere la sua influenza su Firenze, favorendo la fazione dei Guelfi Neri, contrapposta ai Guelfi Bianchi, di cui il poeta faceva parte. Il poeta
non tornerà mai a Firenze e morirà in esilio. Si può ben comprendere la sua polemica verso una
Chiesa temporalistica che percorre tutta la Divina Commedia, dal canto VII dell’Inferno al canto
XXVII del Paradiso, ma essa ha radici ben più profonde nel desiderio di un rinnovamento morale e
spirituale della Chiesa condiviso da molti movimenti religiosi (per esempio da Gioachino da Fiore)
ereticali e non. La Chiesa al suo interno era poi segnata da profonde divisioni e rivalità tra ordini
monastici e all’interno dello stesso ordine (Francescani spirituali e conventuali).
La Divina Commedia come occasione di giudizio sulla realtà e proposta di modelli di perfezione
Nella Divina Commedia Dante giudica tutta la realtà del suo tempo e addita modelli di perfezione cui ispirarsi. Il Canto XI rappresenta uno di questi momenti.
Anzitutto in questo caso non avviene un incontro diretto, come per le altre anime, con S. Francesco (incontro che avverrà solo nel canto 32° quando gli appare insieme a tutti i beati nell’Empireo),
ma vi è la mediazione di S. Tommaso d’Aquino, domenicano, che elogia il Santo fondatore
dell’ordine francescano e alla fine del suo intervento critica i domenicani corrotti. In perfetto parallelismo si pone il canto XII, dove sarà il francescano S. Bonaventura a tessere l’elogio di S. Domenico e a criticare i francescani che si sono allontanati dalla regola. Dante mostra quindi una perfetta
concordia tra i due ordini, voluti provvidenzialmente da Dio per aiutare e soccorrere la Chiesa (“due
prìncipi ordinò in suo favore che quinci e quindi le fosser per guida”,XI, vv. 35-36), mentre nella
realtà terrena erano spesso rivali.
Francesco “asceta sociale”
Ma veniamo al Francesco di Dante, asceta e cavaliere, amante della povertà e regalmente grande,
secondo la logica dei Vangeli: quanto più un uomo si abbassa, tanto più Dio lo innalza.
In un prologo di 12 versi (XI 1-12) Dante pone l’accento sulla superiorità dei valori spirituali,
della contemplazione mistica in opposizione ai valori terreni (“O insensata cura de’ mortali, quanto
son difettivi sillogismi quei che ti fanno in basso batter l’ali!”), a preparazione della figura del
Santo, presentato come un grande mistico: al v.50 è un sole che sorge da oriente (“nacque al mondo
un sole, come fa questo tal volta di Gange”) e il luogo stesso di nascita “Ascesi” allude col suo
nome al desiderio di protendersi verso il cielo. Questa spiritualità ascetica non è però quella
dell’eremita che si allontana dagli uomini, ma si coniuga con legami comunitari e affettivi. Ecco
allora alla tematica delle nozze mistiche con la povertà (“coram patre le si fece unito; poscia di dì in
dì l’amò più forte”, vv. 62,63) si accosta quella della famiglia: Francesco è “padre” di una
“famiglia” che si ingrandisce progressivamente (“Scalzasi Egidio, Scalzasi Silvestro dietro allo
sposo, sì la sposa piace. Indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella
famiglia…”, vv. 83-87).
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La gioiosa povertà
Dante insiste sulla tematica di una gioiosa povertà, sottolineando comportamenti del Santo meno
legati alla agiografia tradizionale, presentandolo come un eroico cavaliere che sfida le convenzioni
sociali per amore della povertà (“per tal donna, giovinetto, in guerra del padre corse”, v. 58). Il lessico, ricco di termini della letteratura cortese, evoca la figura di un cavaliere che affronta prove e
duelli per la propria amata (“Francesco e Povertà per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso. La lor concordia e i lor lieti sembianti amore e maraviglia e dolce sguardo…”, vv. 74-77).
Francesco non si vergogna di essere figlio di un mercante (“non li gravò viltà di cor le ciglia per esser fi’ di Pietro Bernardone né per parer dispetto a maraviglia”, vv. 88-90), ma ha il coraggio di andare dal papa a esporre “regalmente” la sua “dura intenzione” (v.91)
E non si ferma nel suo desiderio di proselitismo ai luoghi già cristiani, ma si spinge fino in Egitto
per sete di martirio (vv. 100-103) per poi tornare “al frutto dell’italica erba”. Tutto il canto è dominato dalla figura di un Santo energico, vitale, eroico, secondo la concezione della vita che lo stesso
Dante aveva. Il poeta, rievocando l’ultima parte della vita di Francesco, segnata dalle stigmate, ultimo e principale “sigillo”, insiste sulla fedeltà alla sua regola di assoluta povertà (“raccomandò la
donna sua più cara, e comandò che l’amassero a fede; e del suo grembo l’anima preclara mover si
volse, tornando al suo regno, e al corpo non volse altra bara”, vv. 113-117).
Quello della povertà era un tema sensibile, perché molti movimenti eretici l’avevano posta al
centro della propria predicazione e gli stessi spirituali saranno espulsi dall’ordine francescano nel
1317. Ma in questo canto Dante vuole invece mostrare la conciliazione tra ordini medicanti e gerarchie ecclesiastiche: Francesco è accolto dalla Chiesa, la “spirital corte” prima (v. 61), poi dai papi
Innocenzo III (“da lui ebbe primo sigillo a sua religione”, vv. 92-93) e Onorio III (“di seconda corona redimita fu per Onorio….la santa voglia”,vv. 98-100). La posizione di Dante sul rapporto che la
Chiesa deve tenere con la ricchezza è moderata e sarà chiarita nel canto XII per bocca del francescano San Bonaventura: Essa può avere solo in uso, e non in possesso, i beni terreni per distribuirne
i frutti ai poveri (“decimas quae sunt pauperum Dei”, XII, v.93).
In conclusione Dante sceglie una lettura della vita di Francesco che rispecchia i propri valori:
una forte spiritualità, una proposta di ritorno alla povertà evangelica ad imitazione di Cristo, in
polemica con la curia romana e con i conventuali e,più in generale, una condanna della cupidigia.
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