15.12.25 Natale Messa giorno
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15.12.25 Natale Messa giorno
Omelia nella Santa Messa del giorno di Natale Cattedrale di Treviso, 25 dicembre 2015 Un quotidiano nazionale riproduceva ieri, dedicandovi un’intera pagina, sotto il titolo Quel Bambino che ci libera dalla paura, una riflessione sul Natale scritta oltre cinquant’anni fa dal poco più che trentenne teologo Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI. Un testo lucido e acuto, in cui Ratzinger ricordava che il cristianesimo dei primi secoli si è diffuso in un mondo (era il mondo greco-romano) in cui si credeva sempre meno negli antichi dèi pagani (era davvero un “crepuscolo degli dèi”); si andava invece rapidamente affermando un nuovo culto: il culto del sole, della “luce invitta”: una luce non vinta – quella del sole appunto – che ogni giorno si riaffaccia all’orizzonte, e impedisce così di cadere nella paura di un futuro fatto di tenebre, affrontato invece con speranza perché luminoso. Nacque così la festa del 25 dicembre. «Il 25 dicembre – scriveva Joseph Ratzinger – al centro com’è dei giorni del solstizio invernale, soleva essere commemorato annualmente come il giorno natalizio della luce che si rigenera in tutti i tramonti, garanzia radiosa che, in tutti i tramonti delle luci caduche, la luce e la speranza del mondo non vengono meno e che da tutti i tramonti si diparte una strada che conduce a un nuovo inizio». Questa festa della «sempre nuova vittoria del sole, del suo certo, perpetuo ritorno» era insomma, si potrebbe dire, una festa della speranza. Sappiamo che i cristiani si sono, per così dire, appropriati di questa festa, facendone la celebrazione del Natale di Gesù (la cui precisa data di nascita non ci è riferita dai vangeli). I cristiani, osserva Ratzinger, dicevamo in sostanza ai cultori del dio sole: «Il sole è buono e noi ci rallegriamo quanto voi per la sua continua vittoria. Ma il sole (…) può esistere e avere forza solo perché Dio lo ha creato. Esso quindi ci parla della vera luce, di Dio. Ed è il vero Dio che si deve celebrare, la sorgente originaria di ogni luce. (…) Ma questo non è ancora tutto e nemmeno la cosa più importante. Non vi siete accorti infatti che esistono un’oscurità e un freddo rispetto ai quali il sole è impotente? Sono quell’oscurità e quel freddo che provengono dal cuore ottenebrato dell’uomo: odio, ingiustizia, cinico abuso della verità, crudeltà e degradazione dell’uomo...». Il futuro Papa ricordava che, certo, noi oggi «non temiamo più che il sole possa essere sopraffatto dalle tenebre e non tornare; ma abbiamo paura del buio che proviene dagli uomini… Spesso ci sorprendiamo in preda al timore che, alla fine, non vi sia alcun senso nel caotico corso di questo mondo... Domina la sensazione che le forze oscure aumentino, che il bene sia impotente: ci assale più o meno quella stessa sensazione che, un tempo, prendeva gli uomini quando, in autunno e in inverno, il sole sembrava combattere la sua battaglia decisiva: «La vincerà? Il bene conserverà il suo senso e la sua forza nel mondo?». Rispondeva Ratzinger: «Nella stalla di Betlemme ci è dato il segno che ci fa rispondere lieti: “Sì”. Perché quel bambino, il Figlio unigenito di Dio, è posto come segno e garanzia che, nella storia del mondo, l’ultima parola spetta a Dio, proprio a quel bambino lì, che è la verità e l’amore. È questo il senso vero del Natale: è il “giorno di nascita della luce invitta”, il solstizio d’inverno della storia del mondo». Scusatemi questo lungo riferimento allo scritto che ho citato. Direi che non sono riuscito a non condividere con voi questa preziosa riflessione del giovane teologo Ratzinger, che è peraltro difficile racchiudere in poche parole. Comprendiamo allora perché, fin dai primi secoli cristiani la liturgia ha letto con lo sguardo al Natale tanti testi dei profeti: come quello di Isaia che abbiamo ascoltato, dove si rincorrono le grida incontenibili di gioia dei messaggeri che annunciano la salvezza, la liberazione (per il profeta era la liberazione dall’esilio). Bellissima l’immagine delle sentinelle che esultano perché vedono giungere il Signore: «Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion» (Is 52,8). L’immagine fa pensare che noi cristiani, in una società che sembra sempre più percepire come estranee le parole “salvezza”, “incarnazione”, “redenzione” – e che stenta a riconoscere anche il vero senso, il senso cristiano, del Natale – noi cristiani dovremmo essere come quelle sentinelle che scrutano l’orizzonte, che vedono lontano e assicurano che il Signore viene, c’è, è con noi, è tra noi, è uno di noi. Il Natale ci annuncia che Dio viene a noi nel Figlio, il quale è quella luce vera che alimenta la speranza, che ci assicura che non saranno le tenebre ad avere la meglio, proprio come avviene con il sole all’aurora di ogni mattino. Abbiamo ascoltato dal prologo di Giovanni: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» ci ha detto Giovanni (Gv 1,9). È venuto dunque Gesù, sintesi – ci ha ricordato la lettera agli Ebrei – di ogni parola detta dal Padre (cf. Eb 1,1s.); irradiazione della sua gloria (cf. Eb 1,3). Ed è venuto in una maniera inattesa, impensabile: facendosi carne e ponendo la sua dimora in mezzo a noi (cf. Gv 1,14). Dunque Parola che si sente ma anche che si vede. Dirà Giovanni nella prima lettera: noi lo abbiamo udito, veduto, contemplato, toccato (cf. 1Gv 1,1-3). Il Verbo ha assunto il linguaggio comprensibile della nostra stessa vita; non si è sottratto alla opacità, al grigiore della nostra storia, alla fatica che segna le nostre vicende terrene; è entrato dentro le nostre contraddizioni, nel nostro dolore, nelle nostre sconfitte, nelle nostre domande, nella nostra morte. E così ha reso per noi visibile quel Dio che nessuno ha mai visto (cf. Gv 1,18). E ci ha fatto sapere quanto Dio ci ama, con quale tenerezza si prende cura di noi. Gesù infatti, come questo anno giubilare voluto dal papa Francesco ci sta ricordando, è “il volto della misericordia del Padre”. Non dimentichiamo; ci è chiesto di riconoscere, magari dietro i segni talora un po’ banali, un po’ superficiali e anche un po’ deformanti del Natale che si è imposto anche tra noi, il volto del Dio di Gesù Cristo. E di fronte alla domanda dell’uomo che in ogni tempo, anche senza avvedersene, cerca il divino, la risposta è: se vuoi sapere chi è Dio guarda Gesù, ascolta le sue parole, osserva le sua vita. Ma anche se vuoi sapere chi è l’uomo, guarda ancora Gesù: egli è la via, la verità e la vita. Ecco il vero Natale, ecco il dono che è il Natale. Nel Dio che si dona a noi nel piccolo nato di Betlemme il cristiano ripone la sua speranza più profonda. Auguro a tutti un Natale sereno, gioioso, in cui diventiamo più capaci di accogliere e di donare, guardando a Colui che per noi si è fatto dono totale, speranza affidabile, misericordia senza limiti.