il presente ed il futuro by R. Ofri. In: Proceedi

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il presente ed il futuro by R. Ofri. In: Proceedi
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International Congress of
the Italian Association of Companion
Animal Veterinarians
May 19 – 21 2006
Rimini, Italy
Next Congress :
62nd SCIVAC International Congress
&
25th Anniversary of the SCIVAC Foundation
May 29-31, 2009 - Rimini, Italy
Reprinted in IVIS with the permission of the Congress Organizers
198
53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
Progressi nel trattamento di particolari malattie
in oftalmologia veterinaria: il presente ed il futuro
Ron Ofri
Med Vet, PhD, Dipl ECVO, Rehovot, Israel
IL TRATTAMENTO DELLA
CHERATOCONGIUNTIVITE SECCA
NEL CANE
La cheratocongiuntivite secca (KCS) è un’infiammazione
progressiva della cornea e della congiuntiva causata da una
carenza della componente acquosa del film lacrimale. Storicamente, il trattamento di questa malattia si è basato sull’impiego di lacrime artificiali, agenti mucolitici, antibiotici
(nei casi di infezione/ulcerazione) e pilocarpina, un farmaco
parasimpatico mimetico che stimolerebbe l’innervazione
colinergica della ghiandola lacrimale.
Nel 1989, il trattamento della KCS nel cane è stato rivoluzionato quando Kaswan et al. riferirono che l’applicazione topica di ciclosporina (CsA) rappresentava un metodo
efficace per la terapia della malattia. La maggior parte dei
casi di KCS nel cane è probabilmente causata da un’infiammazione autoimmune della ghiandola lacrimale e si ritiene
che la CsA eserciti un effetto terapeutico inibendo la proliferazione dei linfociti T-helper e l’infiltrazione degli acini
della ghiandola lacrimale, consentendo la rigenerazione della ghiandola stessa e il ritorno della funzione secernente.
Anche se è diventata il trattamento d’elezione della KCS
nel cane, la CsA non è efficace al 100%. È stato riferito che
il farmaco, somministrato topicamente sotto forma di pomata allo 0,2% e come soluzione a base oleosa all’1% o 2%
migliora la produzione di lacrime nel 71-86% dei cani con
KCS. Di conseguenza, c’è bisogno di trovare nuovi farmaci,
che possono essere utilizzati per il trattamento dei cani che
non rispondono alla CsA o che sono colpiti da effetti collaterali indesiderati (irritazione topica, ecc…).
Due farmaci fra loro correlati che possono rappresentare
delle promettenti alternative alla CsA sono il pimecrolimus
ed il tacrolimus. A differenza della CsA, che è un farmaco
immunosoppressore, questi vengono considerati immunomodulatori. Si tratta di macrolidi derivati dalla ascomicina
che si legano specificamente al recettore del citosol, l’immunofilina, macrofilina-12. Il complesso farmaco-recettore
che ne deriva inibisce la defosforilazione/attivazione calcineurina-dipendente degli specifici fattori nucleari delle cellule T attivate, impedendo così la trascrizione delle citochine pro-infiammatorie. Ciò determina una mancata attivazione delle cellule T-helper di tipo 1 e 2. Viene anche inibita la
proliferazione delle cellule T e l’attivazione delle mast cell.
Si ipotizza quindi che questi farmaci possano ridurre l’infiammazione cellulo-mediata della ghiandola lacrimale.
Verranno presentati due studi. Il primo dimostra che il
pimecrolimus è efficace quanto la ciclosporina per migliorare la produzione di lacrime e più efficace per ridurre i segni
clinici della KCS. Il secondo studio dimostra che il tacrolimus migliora la produzione di lacrime nei cani resistenti alla
terapia con ciclosporina. Di conseguenza, questi farmaci rappresentano delle promettenti alternative alla CsA topica per il
trattamento della KCS e possono essere utili nei pazienti in
cui questa terapia risulta inferiore a quella ottimale.
TRATTAMENTO DELLE ULCERE
CORNEALI DA FUSIONE: INIBIZIONE
DELLE METALLOPROTEINASI
DELLA MATRICE
Le abrasioni corneali non complicate (danno superficiale
dell’epitelio) o le ulcere (danno più profondo, che coinvolge
lo stroma corneale) guariscono senza complicazioni, anche
se di solito si effettua un trattamento antibiotico topico per
evitare l’infezione. Tuttavia, a causa dell’infezione microbica o dell’esteso coinvolgimento dello stroma, alcune ulcere
corneali vanno incontro a “fusione”. Questo processo, anche
noto come cheratomalacia, è caratterizzato dalla rapida e
progressiva degenerazione dello stroma corneale, che può
esitare nella perforazione della cornea stessa entro 24 ore.
Questa rapida degradazione dello stroma corneale è la
conseguenza dell’attività proteinasica. Questi enzimi, anche
noti come metalloproteinasi della matrice (MMP) vengono
secreti da microrganismi infettivi (ad es., Pseudomonas), ma
si trovano anche nel film lacrimale, nei leucociti e nelle cellule corneali. Le MMP dell’organismo svolgono un ruolo
importante nei normali processi di riparazione della cornea,
ma un aumento dei loro livelli e della loro attività determina
la degradazione del collagene corneale, dell’elastina ecc…
Recentemente, è stato dimostrato che parecchi farmaci e
sostanze esercitano un effetto inibitorio sull’attività delle
MMP. L’effetto di solito è mediato da cofattori chelanti, come
lo zinco o il calcio, necessari per l’attività della MMP. La percentuale di inibizione dell’attività delle MMP che ne deriva è
di solito > 90%. Quindi, questi farmaci potrebbero diventare
importanti agenti terapeutici per il trattamento della cheratite
ulcerativa e della cheratomalacia. I farmaci comprendono:
1. N - acetilcisteina – applicata come soluzione topica al 1020% ogni 1-4 ore
2. Tetraciclina – può venire somministrata per via topica
(0,025-0,1%) o sistemica. All’effetto antimicrobico di
questo farmaco si aggiunge l’attività anti-MMP.
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3. EDTA – terapia topica con soluzione allo 0,05-0,2%
4. Siero autogeno – il 10% circa delle proteine del siero è
rappresentato da alfa-2 macroglobuline, che sono potenti
inibitori delle MMP. Il siero si ottiene dal sangue, dopo
coagulazione e centrifugazione, e può venire applicato
ogni 1-2 ore. Va rinnovato ogni 8 giorni (per evitare la
contaminazione). Inoltre, i fattori di crescita del siero possono promuovere la guarigione della cornea.
TRATTAMENTO
DELLA CHERATOCONGIUNTIVITE
ERPETICA DEL GATTO
Il trattamento dell’infezione da herpesvirus nei felini è molto frustrante, data la limitata disponibilità di farmaci efficaci.
Una delle principali ragioni di ciò è il fatto che molti dei farmaci
efficaci nei confronti degli herpesvirus umani non lo sono verso quelli felini. Il costo dei farmaci e la necessità di frequenti
somministrazioni sono ulteriori fattori che impediscono ai proprietari di sottoporre i loro gatti ad un trattamento ottimale.
Farmaci clinicamente dimostrati
1. Trifluridina – Molto efficace nei confronti dell’herpesvirus
felino e disponibile in commercio in molti Paesi. Tuttavia,
determina un’irritazione topica e il dosaggio raccomandato
prevede una somministrazione ogni due ore, il che rende
molto difficile ottenere la collaborazione del proprietario.
2. Idossiuridina – Leggermente meno efficace nei confronti
dell’herpesvirus felino rispetto alla trifluridina. Inoltre,
non è disponibile in commercio e deve essere preparato da
farmacie specifiche. Tuttavia, è meno irritante e richiede
“solo” quattro somministrazioni/giorno.
3. Vidarabina – meno efficace dell’idossiuridina ed anche
più difficile da ottenere (può essere preparata sotto forma
di pomata al 3%), ma ben tollerata nel gatto.
Farmaci inefficaci o controindicati
1. L’aciclovir è un farmaco comunemente utilizzato per il
trattamento delle infezioni erpetiche dell’uomo. Tuttavia,
la dose efficace nei confronti dell’herpesvirus felino è 80
volte quella impiegata nell’uomo, il che rende questo farmaco inefficace nel gatto.
2. Bromovinildeossiuridina – non efficace nei confronti dell’herpesvirus felino.
3. Valaciclovir – controindicato nei gatti a causa di soppressione midollare, nonché tossicità epatica e renale.
4. Gli steroidi non vanno utilizzati nel trattamento della congiuntivite da herpesvirus felino perché possono aumentare l’attività dei virus latenti ed esacerbare l’infezione.
E il futuro?
1. Numerosi farmaci si sono dimostrati efficaci nei confronti dell’herpesvirus felino in vitro, ma non sono ancora sta-
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ti testati in vivo, né mediante prove cliniche. Rientrano fra
questi agenti:
• Ganciclovir
• Cidofovir
• Pencicolvir
2. L-lisina. Studi preliminari dimostrano che la L-lisina
somministrata per os (500 mg, due volte al giorno) può
essere efficace per il trattamento dell’herpesvirus felino. Il
farmaco inibisce la replicazione virale mediane la competizione con l’arginina.
3. Interferon - esistono segnalazioni secondo le quali il farmaco (somministrato per via orale o topica) può costituire un trattamento efficace.
IL TRATTAMENTO NEUROPROTETTIVO
NEL GLAUCOMA
Oggi si riconosce sempre più che nella perdita progressiva
della visione che caratterizza il glaucoma intervengono anche
dei fattori aggiuntivi, oltre all’aumento della IOP. Tali fattori
possono essere la ragione per cui in molti pazienti normotesi
si sviluppa una neuropatia glaucomatosa e possono spiegare
perché in altri pazienti la perdita della visione progredisca
anche dopo che la IOP è stata abbassata con successo. In
molti disordini neurologici come l’ictus, l’ipoglicemia, il
trauma e l’epilessia è stata osservata una patogenesi simile
del danno assonale, che progredisce anche dopo che l’insulto
è stato alleviato. Si vanno raccogliendo sempre più prove del
fatto che in queste ed altre malattie il danno assonale progressivo sia la conseguenza di una degenerazione secondaria.
È stato ipotizzato che gli assoni danneggiati dall’insulto iniziale rilascino varie sostanze nelle loro immediate circostanze. La presenza localizzata di elevate concentrazioni di queste sostanze determina un microambiente ostile. Gli assoni
adiacenti, che non erano stati danneggiati dall’evento patologico iniziale, vanno incontro ad una degenerazione secondaria conseguente al fatto di essere immersi in questo ambiente
tossico. Ciò determina un “effetto domino” per cui, nel caso
del glaucoma, gli assoni del nervo ottico continuano a degenerare anche dopo la IOP è stata abbassata con successo,
determinando un’ulteriore perdita della visione.
Nella ricerca dei mediatori della degenerazione secondaria, gran parte dell’attenzione è stata focalizzata sul ruolo del
glutammato, un aminoacido che normalmente funziona da
neurotrasmettitore eccitatorio nel sistema nervoso centrale.
Tuttavia, in seguito ad un danno neuronale, si ha un rilascio
di glutammato intracellulare da parte degli assoni danneggiati nelle zone immediatamente circostanti. L’aumento
locale della concentrazione di glutammato che ne deriva provoca un’iperstimolazione dei recettori NMDA-glutammato
nei neuroni vicini (non danneggiati). Questa stimolazione
(excitotossicità) a sua volta porta ad un aumento dell’afflusso di calcio, dando così il via ad una cascata enzimatica
intracellulare che progredisce verso l’apoptosi e la morte
della cellula stessa. Pertanto, ne deriva che i composti che
inibiscono il glutammato possono rallentare o arrestare la
cascata della degenerazione secondaria e proteggere gli
assoni vicini, non danneggiati. Questo approccio terapeutico, noto come neuroprotezione, viene attualmente studiato
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in numerosi disordini neurologici acuti e cronici. Alcuni
composti neuroprotettori si trovano in stadi avanzati di valutazione nell’uomo.
Vi sono sempre più prove che indicano che il glutammato
svolge anche un ruolo importante nella progressione della
neuropatia ottica e nella perdita della visione nei pazienti
glaucomatosi e che questo danno può venire attenuato dagli
antagonisti dei recettori del glutammato. Livelli elevati di
quest’ultimo sono stati dimostrati nei ratti con lesione parziale del nervo ottico. L’inibizione dei recettori NMDA-glutammato, mediante memantina, è esitata nella diminuzione
della degenerazione secondaria e nella protezione del nervo
ottico. Un’ulteriore prova del ruolo tossico del glutammato
nella neuropatia ottica è stata data dall’iniezione intravitreale di glutammato in topi e ratti. Queste iniezioni hanno determinato un danno similglaucomatoso a carico della retina e
del nervo ottico, che anche in questo caso era possibile prevenire mediante memantina. Il ruolo del glutammato nella
neuropatia ottica non è limitato al danno nervoso indotto.
Elevati livelli di glutammato sono stati dimostrati nel corpo
vitreo di conigli, cani e pazienti umani con glaucoma. Quindi, è necessario sottoporre a verifica l’impiego dei farmaci
neuroprotettori nei pazienti glaucomatosi. Ovviamente, non
ci si deve aspettare che questi agenti siano in grado di ripristinare la visione che era andata perduta prima dell’inizio del
trattamento. Tuttavia, ci si augura che la terapia con neuroprotettori impedisca (o diminuisca) il danno a carico di ulteriori fibre del nervo ottico e quindi arresti (o rallenti) la progressiva perdita della visione che costituisce il vero flagello
del glaucoma.
FANTASCIENZA? RESTITUIRE LA VISTA
AL PAZIENTE CIECO
Sono in via di sviluppo parecchi approcci per restituire la
visione ai pazienti ciechi. Tali approcci hanno portato a
risultati promettenti nei soggetti colpiti da malattie (eredita-
rie) della retina esterna. Di conseguenza, potrebbero potenzialmente venire utilizzati per restituire la vista ai soggetti
colpiti da PRA (PRCD), cecità notturna stazionaria congenita, ecc…
Sono in corso di valutazione due approcci terapeutici. Il
primo è basato sul ripristino della funzione dei fotorecettori rimpiazzando il gene difettivo. Ciò si può effettuare
mediante metodi di ingegneria genetica che coinvolgono
l’inserzione del gene perduto in un virus modificato e la sua
inoculazione a livello sottoretinico. Questi studi sono stati
condotti in cani con varie forme di malattie ereditarie dei
fotorecettori da parte del Dr. G. Aguirre (Cornell/Pennsylvania) e del Dr. K. Narstrom (Missouri). Gli interventi hanno restituito la vista (dimostrata sia a livello comportamentale che mediante ERG) in un gran numero di cani, con
alcuni pazienti già monitorati dopo 3-4 anni dopo l’intervento. La funzione dei fotorecettori può anche venire ripristinata in seguito a iniezioni sottoretiniche di cellule staminali o membrana basale RPE.
Un secondo approccio terapeutico prevede l’impiego di
impianti retinici. Si tratta di elettrodi miniaturizzati che vengono impiantati sulla superficie della retina. L’elettrodo riceve gli impulsi visivi sia dai diodi sensibili alla luce che da
una videocamera miniaturizzata (montata su occhiali). L’impulso visivo viene trasformato in correnti elettriche che stimolano le cellule gangliari e generano un segnale neuronale. La tecnologia si trova nei suoi stadi preliminari ed è gravemente limitata dal numero di elettrodi che è possibile
impiantare (influendo così sulla risoluzione della visione),
ma è già stata utilizzata nell’uomo (e nel cane!). Per maggiori dettagli si veda www.2.sight.com.
Indirizzo per la corrispondenza:
Ron Ofri
Koret School of Veterinary Medicine,
Hebrew University of Jerusalem
PO Box 12, Rehovot 76100
This manuscript is reproduced in the IVIS website with the permission of the Congress Organizing Committee