05/04/2009 La Sicilia: Il mistero dei meccanismi mentali
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05/04/2009 La Sicilia: Il mistero dei meccanismi mentali
LA SICILIA 28. DOMENIC A 5 APRILE 2009 Cultura spettacoli SCAFFALE MOSTRE Innocenza infantile e colpe altrui L’artista che duplica se stesso Un affresco della Calabria degli anni Sessanta quando, fra sprazzi di modernità che qua e là si facevano strada, ancora resistevano arcaiche arretratezze, superstizioni e pregiudizi. E’ lo sfondo sul quale si agita la vicenda - un dramma familiare che si delinea e si compie nell’arco temporale di un’estate - raccontata con mano lieve e ferma da Manuela Bisani nel suo bel romanzo d’esordio "Il gioco delle farfalle", edizioni Fazi. Tre i personaggi - due fratellini, Nicola e Marzia e la loro mamma Olga - che rivivranno, filtrandola ognuno attraverso la propria sensibilità e le proprie disconosciute paure, una storia che s’apre lieta fra sole e mare con la rievocazione d’una vacanza da trascorrere nel paese d’origine della famiglia e man mano s’incupisce attorno all’ambigua figura di Marinella, una bambina "strana" che s’aggira per il paese, una bambina che è assolutamente vietato frequentare e che ha il potere di riportare alla luce, con la sua sola presenza, sotterrati ricordi e inquietudini, oscuri sensi di colpa. La vicenda s’annoda e si snoda, in un crescendo di sospetti e maldicenze, verso una tragica conclusione. Ed è l’innocenza infantile, ancora una volta, a pagare il prezzo di colpe altrui. FINETTA GUERRERA Convinto che solo nel pensiero si possano cogliere gli echi lontani di quando, forse, eravamo più vicini agli dei, Alighiero Boetti confesserà candidamente di emozionarsi poco dinanzi ad un tramonto o al battito delle ali di una farfalla, ma di rimanere soggiogato dalla musica e dalla poesia che, scaturendo dalla mente ne sono quasi l’espressione biologica. La sua arte si intesse così per intero attorno all’uomo e non è un caso se la retrospettiva che il Madre di Napoli gli dedica fino all’11 maggio, ruota attorno al suo autoritratto di bronzo innaffiato da una doccia, sollecitando poi il visitatore ad indugiare davanti ad una serie di candidi ed irregolari blocchetti che Boetti ha ordinato in modo da evocare la sua stessa fisionomia mentre è disteso sul terrazzo di casa a prendere il sole. Affascinato dall’arte concettuale, egli arriva a duplicare se stesso inserendo il segno & tra nome e cognome. Poi, per sottolineare la distinzione tra ideatore ed esecutore di un’opera d’arte, affida a ricamatrici afghane la realizzazione delle mappe geografiche che ha pensato appunto per mettere al mondo il mondo stesso, ma ancora una volta attraverso le donne. ANTONIO PECORARO Il mistero dei meccanismi mentali Impareremo mai a "leggere" le reti neuronali ed attribuire loro un significato preciso? GIORGIO MONTAUDO a teoria della selezione naturale di Darwin ha finalmente risposto ad alcune delle classiche domande dell’umanità. Grazie a Darwin ed ai successivi 150 anni di ricerca scientifica intercorsi dalla prima formulazione della teoria, oggi sappiamo che siamo a da dove veniamo. E scusate se è poco. Siamo polvere di stelle, il prodotto più recente dell’evoluzione dell’Universo. Veniamo, assieme a tutti gli esseri viventi, da un unico ceppo di esseri monocellulari, che si sono evoluti e diversificati nell’arco di tre miliardi e mezzo di anni. L’albero filogenetico dei viventi è stato ricostruito in dettaglio, il genoma è stato sequenziato, il codice genetico è stato decifrato. Ad essere precisi, non sappiamo proprio tutto, ma è indubbio che una grande sintesi è stata realizzata. Tuttavia, come spesso accade in ambito scientifico, la soluzione di un problema apre subito altri pressanti quesiti e motivi d’indagine. Se oggi disponiamo di informazioni dettagliate sulla evoluzione biologica dei viventi e sulla lunga serie di ominidi fino a noi, la nuova frontiera è costituita dall’origine delle nostre funzioni mentali. Sappiamo come funziona il nostro corpo, abbiamo imparato a trapiantare molti dei nostri organi più vitali, i processi metabolici non sono più un mistero, siamo in grado di descrivere i processi cellulari a livello molecolare. Coltivare cellule e orientarne lo sviluppo è ormai nella realtà quotidiana. L’origine delle funzioni mentali, i meccanismi che portano alla formazione del pensiero, rimangono però un inquietante mistero. La tesi corrente è che il pensiero abbia un’origine chimico-fisica, si parla di fisicalismo, mancano però un’ipotesi meccanicistica e dati cogenti. A dire il vero, molti progressi sono stati fatti circa la conoscenza della struttura cerebrale e sul funzionamento del cervello. La scoperta più importante, che data dai tempi di Broca, nel 1860, è che le strutture cerebrali sono isolate, hanno funzioni specifiche, e quindi la mente non è un blocco unico, funziona tramite una serie di strutture specializzate. Broca scoprì che un paziente che capiva ma non sapeva parlare, aveva una lesione in un’area definita del lobo frontale. La parola ci L viene pertanto da una struttura precostruita, come pure la facoltà di comprendere il significato delle parole è localizzata nell’area di Wernicke, e l’applicazione della moderna tecnica delle bioimmagini ci fornisce oggi sempre maggiori dettagli sulle funzioni specifiche delle varie aree cerebrali. Un’altra caratteristica strutturale del cervello è l’esistenza delle reti neuronali (pare che ciascuno di noi abbia 100 miliardi circa di neuroni). I neuroni si connettono formando una misteriosa rete (più o meno persistente) per ogni informazione che il cervello vuole conservare. Le reti del sistema nervoso centrale provvedono anche alla trasmissione degli impulsi bioelettrici, generati mediante un ingegnoso gradiente di concentrazione salina nelle cellule nervose. I dati sensoriali che arrivano al cervello, per divenire pensiero devono essere decriptati, trasformati in linguaggio molecolare e avviati alle aree specifiche, dove trovano reti neuronali adatte a formulare il messaggio mentale. Per esempio, un messaggio uditivo entra attraverso l’area di Wernicke, viene tradotto, immagazzinato in reti neuronali e trasferito all’area di Broca, dove viene ritradotto in linguaggio sensoriale parlato. Se un’area è danneggiata, il resto del cervello funziona lo stesso per come può, ma si noteranno delle anomalie. Questi indubbi progressi, si riferiscono però allo hardware (cioè alla localizzazione delle varie aree cerebrali ed alle reti). Il codice neuronale, che in analogia ai computer potremmo chiamare il linguaggio macchina, è stato solo in parte decifrato. Tuttavia, siamo all’oscuro di tutto ciò che riguarda l’origine del pensiero e del software (il programma) che lo genera e ne gestisce l’attività. Una situazione simile (anche se infinitamente meno complessa) si presentò con i geroglifici egiziani. Come andavano letti? Erano simboli o lettere? Impareremo mai a "leggere" le reti neuronali ed attribuire loro un significato preciso? Il lavoro di ricerca prosegue, i dati si accumulano in attesa di ardite ipotesi che permettano di aggredire il problema. L’ignoranza non è un deterrente per lanciare una teoria vincente. A volte basta un giusta intuizione. Darwin, quando propose la selezione naturale, che sta alla base dell’evoluzione, ignorava l’esistenza dei geni e non aveva idea dei meccanismi di trasmissione dell’eredità. I MECCANISMI MENTALI RESTANO UN PUNTO INTERROGATIVO «IO SONO IL MERCATO» LIBRO DI LUCA RASTELLO SU UN IMPRENDITORE DELLA DROGA Teoria e pratica del perfetto narcotrafficante Storia di cocaina e di narcotrafficanti, storia della più grande rivoluzione economica degli anni novanta del secolo scorso. Se il narcotraffico venisse sconfitto, l’economia statunitense subirebbe perdite tra il 19% e il 22%, quella messicana, addirittura, del 63%. I cartelli colombiani della coca, ogni anno, sono in grado di investire dieci miliardi di dollari nelle banche della Florida. Investire un dollaro nella produzione della cocaina produce un ricavo di mille dollari lungo la filiera produttiva. "Io sono il Mercato", Chiarelettere, di Luca Rastello, è la storia di un imprenditore di successo, è così che il protagonista si rappresenta, ma i suoi affari sono affari di droga. Un manuale in cinque lezioni su teoria, metodi e stile di vita del perfetto narcotrafficante, attraverso il quale Rastello, scrollandosi di dosso qualsiasi moralismo e inutile pedagogismo, analizza, ragiona, informa su una delle trasformazioni più profonde che si sono realizzate in epoca recente. Lui, il narcotrafficante beccato e condannato dopo una vita di traffici e guadagni straordinari, si racconta e racconta la rivoluzione della cocaina, merce trasportata a tonnellate nei mercati del Vecchio Continente, riuscendo a infiltrare, a loro insaputa, le più insospettabili multinazionali. E’ il pioniere della consegna al buio, cocaina nascosta tra piastrelle, cavi elettrici, lavatrici, blocchi di granito, pressata tra SERGIO CAROLI CENT’ANNI FA LA GRANDE IMPRESA DELL’AMERICANO ROBERT EDWIN PEARY l 6 aprile 1909 sulle onde del telegrafo una notizia percorse il mondo come una gloria dell’umanità. Per la prima volta nella storia l’uomo aveva raggiunto il Polo Nord. Quell’uomo era Robert Edwin Peary, ingegnere della Marina degli Stati Uniti, già addetto ai rilevamenti per la costruzione del Canale di Panama. Aveva 52 anni quando insieme al suo assistente Matthew Henson, quattro Eschimesi e quaranta cani alla testa di otto slitte, realizzava l’ultima delle conquiste ideali della Terra. Era la conclusione di una gara nella quale uomini di non comuni coraggio e volontà avevano profuso le loro energie. Se nel lontano 1576 Martin Frobisher aveva riscoperto la Groenlandia (già raggiunta dai Normanni), superando per primo il circolo polare oltre l’imbocco dello Stretto di Hudson, nel 1616 Baffin aveva individuato il passaggio tra la costa NE del Nord America e la Groenlandia. Poi due secoli di silenzio, prima che Parry raggiungesse a nord le Svalbard e Ross l’isola che porta il suo nome. Ma la gara vera e propria per la conquista del Polo Nord si scatenò solo a partire dal 1895 quando il norvegese Fridtjof Nansen, rimasto imprigionato dai ghiacci a bordo del veliero "Fram" alla latitudine di 84°, organizzò una spedizione con slitte raggiungendo la latitudine artica di 86°14’. Sarà poi il Duca degli Abruzzi a L’epica conquista del Polo Nord I guidare la spedizione che, il 25 aprile 1900, si spingerà fino agli 86° 33’ 49. Fino allora nessun altro uomo si era avvicinato tanto al Polo Nord. Eroica fu l’esplorazione di quelle distese senza fine di ghiaccio, tali che spesso si ignorava dove fosse ghiaccio di mare oppure di terra. Si viaggiava a bordo di navi, ma appena la banchisa sbarrava la via, o quando il ghiaccio di recente formazione le stringeva nella sua morsa, bisognava sbarcare, calare le lunghe slitte, caricare, nei loro sacchi, viveri, tende e strumentazione scientifica a bordo di un kaiak eschimese da mettere in acqua qualora il ghiaccio si fendesse, attaccare poi la muta dei cani, e avventurarsi nel terribile gelo, senza la certezza di ritrovare la nave o i depositi di provviste che il ghiaccio poteva aver nel frattempo inghiottito. Le imprese di Nansen e del Duca degli Abruzzi avevano stuzzicato l’ambizione di Peary, che aveva già guidato esplorazioni in Groenlandia e nella terra di Ellesmere, dove aveva acquisito larga esperienza e appre- ROBERT EDWIN PEARY so a servirsi degli Eschimesi e delle loro tecniche di sopravvivenza (per esempio costruì igloo anziché utilizzare le tende). Nel 1897 fondò la "Società Artica Peary", per promuovere spedizioni polari da lui stesso condotte (non gli facevano difetto le tendenze egoistiche, mentre tra le sue ambiguità vi sarebbero maltrattamenti inflitti agli Inuit e l’abitudine ad avere rapporti intimi con le loro donne). Peary nel 1898-99 fu alla guida di una spedizione preparatoria sino alle terre americane più settentrionali, ma il congelamento di alcune dita dei piedi lo costrinse al ritorno. Nel 1900 affrontò la banchisa giungendo a 84°. Nel 1902-1903 una nuova spedizione lo portò ad 87° 6’: aveva superato Nansen e il Duca degli Abruzzi. Nella spedizione seguente, l’ultima - partito con una forza di 89 uomini (inclusi 69 Inuit) e 246 cani, - toccò il Polo. La conquista del culmine della Terra consacrava la certezza che un profondo oceano ricopriva tutta la calotta polare sino agli arcipelaghi fiancheggianti l’America e l’Eurasia. lastre di vetro, non un pesce piccolo che nasconde la coca negli ovuli gastroprotetti o nei doppi fondi delle valigie per non essere arrestato in aeroporto. Piuttosto un perfetto manager della logistica, "un sistemista", così lontano da quegli eroi del male, ferocemente affascinanti, rappresentati dal cinema di Hollywood, che progetta e crea sistemi integrati di trasporto e consegna, che fa girare droga a tonnellate come fosse merce qualsiasi in container, navi cargo. Storia e gesta di uomini insospettabili, storia di guerre e di potere. Uno sguardo dall’interno di questo mondo, uno sguardo criminale sul mondo. GIUSEPPE LORENTI Vi era però un altro uomo di indomite energia e audacia che avvertiva il fascino delle terre e dei mari polari. Era Roald Amundsen. Al ritorno, nel 1905, dal compiuto "Passaggio di Nord-Ovest", seppe dei progressi conseguiti dal Duca degli Abruzzi nella gara; dovette pure apprendere che Peary puntava allo stesso obiettivo. Armò il glorioso "Fram" e preparò il suo piano: aggirare tutto il continente americano, penetrare per lo Stretto di Bering nell’Oceano Artico, costeggiare la Siberia e farsi quindi portare dalla deriva in una zona opportuna. Era in procinto di salpare allorché apprese che Peary era arrivato al Polo attraverso i mari artici. Animato da ferrea volontà, cambiò di colpo programma. Direttosi all’Antartide, lo conquisterà al primo tentativo il 14 dicembre 1911. L’impresa di Peary è stata fin dalle origini oggetto di controversie. Se da sempre era noto che nessun membro della sua spedizione era in grado di calcolare una posizione geografica e quindi avvalorarne la riuscita, nel 1990 la National Geographic Society, appurato che la distanza e la velocità che Peary dichiarò di aver raggiunto dopo che parte della spedizione era tornata indietro "superava di tre volte la velocità seguita per spingersi fino a quel punto", concluse che, in base alle misurazioni oceaniche annotate e alle ombre nelle fotografie, non più di 5 miglia (8 km) di distanza separavano Peary dal Polo.