muggia, in provincia di trieste

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muggia, in provincia di trieste
Pregledni rad
Acta med-hist Adriat 2006;4(2);235-246
Review
UDK: 614(450 Muggia)(091)
UN LAZZARETTO DELL’OTTOCENTO
NELL’ALTO ADRIATICO
- MUGGIA, IN PROVINCIA DI TRIESTE A 19TH CENTURY LAZARET IN THE UPPER ADRIATIC
- MUGGIA, IN THE PROVINCE OF TRIESTE Euro Ponte*
SUMMARY
The Hapsburg Empire set up a system of lazarets extending from the Bay of Kotor up
to Trieste to improve sanitary control over its Adriatic coast.
Trieste had three lazarets in succession, the last of which was built near Muggia, a small
town that saw a shipbuilding boom coinciding with the construction of the Suez Canal
(1867).
A rich source of information on the subject is the 1878 report written by Giovanni
Bussolin, the head of the establishment. At the time, quarantined were patients with
oriental plague, yellow fever and cholera. The lazaret was divided, according to the common practice of the time, into a “clean” and “foul” section or quarantine. The two were
separated by a wall, and the flow between them was controlled. At the turn of the 20th
century, the lazaret became a military hospital, and the site is now used for recreational
activities. The information available indicates that the facility maintained high standards
that were compatible with the knowledge of the times.
Key words: History of medicine, 19th century, Quarantine, Lazaret of Muggia,
Hapsburg Health System, Adriatic Sea, Port of Trieste
* Prof.
Euro Ponte. Insegnamento di Storia della Medicina. Università di Trieste, via G. Marconi, 18,
Italia - 34133 - Trieste
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L’Adriatico, in particolare per le fortune mercantili delle Repubbliche
di Venezia e Ragusa, era via di transito e di arrivo delle merci provenienti
dal Mediterraneo orientale. Ambedue le repubbliche sentirono l’esigenza
di strutture portuali atte ad opporsi all’arrivo di patologie esotiche.
Nell’Adriatico il primo Lazzaretto in assoluto venne attivato nel 1377
dalla Repubblica di Dubrovnik (Ragusa). La sede contumaciale venne
identificata sull’isola Mrkan prima e successivamente sulla penisola
Danĉe, ed infine a Ploĉe.
Segu!` la Serenissima Repubblica di Venezia. Il primo lazzaretto, edificato nel 1403, venne cos!` chiamato, durante un’epidemia, per corruzione
in Lazarethum da Nazarethum dal Convento e Chiesa di Santa Maria di
Nazareth su di un isola prossima a Venezia, o da San Lazzaro, fratello di
Marta e Maria, o dal nome dell’Ospedale arabo Al Hasar.
Successivamente, e in particolar modo con i provvedimenti sanitari del
’700 e dell’800, si svilupparono più aree contumaciali, di cui ricorderemo,
in area veneta e poi austro-ungarica, Malj Losinj (Lussinpiccolo) nella
baia di Cigale.
Altri lazzaretti, in epoche diverse, sotto diversi governi, seguirono,
quello a Kotor (Bocche di Cattaro) della fine del XVI secolo, a Split
(Spalato) del 1592, di Herzeg Novi (Castel Nuovo) del 1770, quelli di
Rijeka (Fiume) nel 1726 e nel 1833.
Soprattutto il dominio asburgico sent!` la necessità di accorpare in lazzaretti il controllo sanitario delle coste dell’Adriatico, facenti parte dell’impero. Si sviluppò infatti un sistema di controllo, dislocato lungo tutta
la costa da Kotor a Trieste.
Il contatto con i porti e le vie di terra verso i Balcani, significavano
immediato pericolo di epidemie. Ad esempio i traffici con l’Egitto rappresentavano un pericolo costante di peste bubbonica che “aveva culla perpetua nel Delta Nilotico”. Un articolato sistema di lazzaretti costellava la
costa dalmata e Trieste si dotò ben presto di strutture sanitarie: venne
circondata, in tempi successivi, da tre lazzaretti ben attrezzati, il primo,
detto Lazzaretto di S. Carlo o Vecchio, con edificio centrale ancora in
essere, situato in prossimità del porto più interno: un secondo, del 1768,
detto di Santa Teresa, poteva contenere 60-100 bastimenti e dare ospitalità
a “600 forastieri”.
Dato il progressivo aumento dl volume del traffico, il Lazzaretto di San
Carlo, presso l’arsenale di artiglieria, sito in via S. Carlo in Campo Marzio,
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Figura 1 Pianta, in un atlante asburgico del porto di Trieste con i promontori di
Punta Grossa e Punta Sottile
Figure 1 Map of the Port of Trieste showing the capes Punta Grossa and Punta sottile
divenne presto obsoleto, e, regnante Maria Teresa, ne venne costruito un
altro, molto ampio e funzionale che, in onore della Sovrana, venne chiamato di Santa Teresa ed inaugurato nel 1768. La costruzione della ferrovia
per Vienna, la cosiddetta Ferrovia Meridionale, inaugurata nel 1857,
importante opera di ingegneria, che comportò un ulteriore sviluppo del
porto, si inser!`, materialmente, entro il perimetro del lazzaretto, comportando di conseguenza problemi di interferenza, anche sanitaria. Il Governo
quindi decise di demolire le strutture edilizia del lazzaretto e di costruirne
ex-novo un altro. Venne scelta una sede un po’ discosta dalla città, in
vicinanza della cittadina di Muggia, che proprio in quel periodo vedeva il
suo sviluppo da paese di pescatori ad una attività cantieristica. Intanto era
intervenuta un’altra importante novità, la costruzione del Canale di Suez,
inaugurato nel 1867.
Il 23 marzo 1867 si dette inizio ai lavori, sulla linea costiera della valle
di San Bartolomeo, tra Punta Grossa e Punta Sottile. Venne colà trasferito
il portale d’ingresso in pietra che dava accesso al lazzaretto di Santa
Teresa, di stile barocco, del 1700. Il 19 marzo 1869 tutto era completato e
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l’imperatore Francesco Giuseppe visitava il nuovo lazzaretto. Questo,
come da legge dell’Impero dell’anno 1871, approvata con sovrana risoluzione il 14 aprile di quell’anno, veniva a dipendere direttamente dall’I.R.
Governo Marittimo.
Fonte preziosa di informazione, alla quale ci rifacciamo e che rappresenta, per i particolari, un unicum informativo, č la relazione inerente
l’anno 1878 di Giovanni Bussolin, direttore dello Stabilimento e segretario
del Governo, relazione che varia, con gusto ottocentesco, da elementi
descrittivi talora elegiaci ad una rigorosa e burocratica stesura di tabelle.
Vediamo ora le modalità dell’espurgo delle merci ed il controllo dei
marinai. Prima però bisogna ricordare che, nonostante fossimo nella
seconda metà dell’1800, le idee sulla contagiosità e su gli agenti infettivi
erano ancora ben lontane dalla chiarezza.
Se Ignac Semmelweis (1818-1865) era rimasto inascoltato nel 1846,
appena con Louis Pasteur (1822-1895) si giunse ad una negazione recisa
della generazione spontanea ed ad una identificazione dei microrganismi.
Ricorderemo che Pasteur non era un medico ma un chimico che, in opposizione a quanto sosteneva un altro chimico, tedesco questo, ma altrettanto famoso, Justus von Liebig, aveva sostenuto, nel 1858, che le “fermentazioni” erano innescate da microrganismi.
All’epoca vi erano delle definizioni che vanno conosciute per capire la
terminologia corrente: il contagio, trasmissione di una malattia per contatto, immediato o mediato da vesti, alimenti o, anche, aria; l’infezione,
come azione manifestata sul vivente da miasmi morbifici; miasmi come
emanazione da corpi putrescenti, animali o vegetali, o da ammalati.
Nel 1800 sostanzialmente era il colera ad essere particolarmente temuto nell’Alto Adriatico anche se il naviglio che giungeva nei porti era proveniente da posti molto lontani. Va ricordata infatti l’apertura del canale
di Suez e le rotte del Mar Rosso, oltre a quelle tradizionali verso le rive
orientali e meridionali del Mediterraneo. Il colera, endemico in Oriente,
e nell’ampia fascia mediterranea dell’Impero ottomano, si sparse per l’Europa nel 1831 ma la malattia non raggiunseTrieste. Infatti la propagazione
del contagio non avvenne per mare ma, da Kiev e dai domini dello zar, nel
regno d’Ungheria.
Dal 1835 al 1886 la città venne attraversata per dieci volte dal morbo,
per non molti mesi ogni volta ma sempre con ampio corredo di dolori e
lutti.
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I primi casi si verificarono a Trieste nel novembre del 1835 per assumere carattere epidemico dal marzo all’ottobre dell’anno dopo. La popolazione della città assommava in tale data a circa 70.000 abitanti, i colpiti
furono tra 3.500 e 4.500 con mortalità di circa il 40%. Sempre nel 1836 il
colera fu segnalato, per la prima volta, a Rijeka. Si osservò che “ne rimanevano vittime per lo più persone di forte e sana costituzione”. I porti
erano comunque affollati da navi, in arrivo ed in partenza a Trieste in
modo particolare, anche se a Rijeka vi era movimento discreto. Anche le
navi in partenza potevano essere fonte di contagio: ricordiamo infatti
un’osservazione su Trani ove il morbo giunse, nel 1836, portato da una
nave partita da Trieste. Una nuova epidemia a Trieste iniziò con un caso
manifestatosi il 13 agosto 1849, in una nave proveniente da Venezia ove,
come dice il poeta, il colera “infuriava”. La diffusione divenne comunque
importante solo dopo l’8 settembre, anche in relazione all’arrivo in città di
truppe austriache provenienti dal Veneto, reduci dalla repressione dell’indipendenza veneziana, per esaurirsi in novembre. Risultarono colpite più
di 5.000 persone su 82.000 cittadini. I deceduti superarono, anche in que-
Figura 2 Lazzaretto dall’esterno. (Editore I.R. Governo Marittimo, Tipografia del
Lloyd Austro-ungarico – Trieste 1879)
Figure 2 An outside view of the lazaret ( I. R., editor. Governo Marittimo
(Maritime Government). Printed by Lloyd of Austria and Hungary in Trieste,
1879)
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sto caso, il 40%. Fin dal 1835, a Trieste, venne formata una commissione
di membri di varia estrazione, clero, commercio, strutture sanitarie per
venire incontro agli indigenti (assistenza ai “poveri cholerosi”). Vennero
nominati dei “comitati ambulanti” formati da un medico condotto, un
ufficiale tecnico, un caposestriere, un “impiegato magistratuale” ed anche
fiduciari scelti dai cittadini, con compiti di igiene pubblica e di sorveglianza in senso lato. Le informazioni raccolte venivano ordinate e divulgate in
istruzioni, consigli ed avvertimenti. In tal senso ci si rifer!`, essendo il presentarsi del morbo non ancora ben conosciuto, a memorie di medici coloniali inglesi ed alle loro raccomandazioni. Vennero attivate anche tutte le
misure contumaciali presso i vari lazzaretti. Una nuova epidemia si ebbe
tra il giugno ed il novembre del 1855. Anche in questo periodo furono
colpite quasi 5.000 persone, con una mortalità del 48%. Nel 1866 se ne
ebbe un’altra, meno rilevante in quanto a numerosità dei colpiti, ma notevole per la gravità della forma. La popolazione superava i 115.000 abitanti e i colpiti furono, questa volta, meno di 1.000, con una mortalità,
almeno tra i ricoverati, più elevata (sul 60%). Su cifre tendenzialmente
simili si collocò un successivo episodio epidemico nel 1873. Su di una
popolazione di 125.000 abitanti, i colpiti furono poco più di 600, i ricoverati 164, la mortalità, tra questi, del 50%. L’ultima epidemia iniziò nel
1885, per diffondersi ed esaurirsi tra il giugno ed il novembre del 1886 e
fu la più devastante, nonostante la maggiore esperienza raccolta nei
decenni precedenti. Va anche detto che le autorità sanitarie, in qualche
modo, avevano fatto abitudine alla continue epidemie e l’atteggiamento
era sicuramente meno allarmistico anche di fronte ad una letalità rimasta
altissima. All’occasione venne attivato, a Trieste, un ospedale apposito in
zona ancora periferica e di campagna, l’Ospedale per malattie infettive di
S. Maria Maddalena, con padiglioni per colerosi dotati di appositi sistemi
igienici di smaltimento dei liquami. Tali padiglioni esistono ancora, anche
se, per la recentissima alienazione dell’ospedale, ormai chiuso, stanno per
essere demoliti.
Nel 1885 i verbali della prosettura riportano 4 persone decedute per
colera in dicembre. Nell’anno successivo i colpiti furono circa 900, i ricoveri per colera asiatico furono 319, con 196 decessi. A norma dei regolamenti di polizia mortuaria le salme, allontanate dopo 3-6 ore dal decesso,
venivano sepolte in fosse contenenti calce viva, avvolte in lenzuoli imbevuti di acido fenico. Ciò nonostante non vennero prese molte precauzioni
per le esequie e queste venivano spesso celebrate presso le chiese delle
singole parrocchie per poi avviare il corpo al cimitero suburbano di S.
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Figura 3 Pianta del Lazzaretto
Figure 3 Plan of the lazaret
Anna, passando più volte quindi nelle vie cittadine. L’ultimo ricovero per
colera avvenne il 15 novembre 1886.
Le disposizioni che regolavano il trattamento contumaciale si compendiano nel Regolamento generale per la sanità marittima emanato con
Sovrana Ordinanza del 15 dicembre 1851. Contumacie propriamente
dette non venivano applicate che contro la peste orientale, contro la febbre gialla e contro il colera, Le provenienze dei bastimenti si distinguevano
in patente libera, patente netta, patente brutta e patente brutta aggravata.
Il trattamento dei bastimenti, che derivava da questa diverse provenienze,
poteva essere di immediata ammissione alla libera pratica, o alla riserva di
osservazione di 24 ore (applicata ai bastimenti provenienti dalla Turchia,
qualora non muniti del prescritto certificato consolare di una potenza
cristiana) fino ai 60 giorni di contumacia tradizionale. Le merci erano
classificate come sommamente sospette, sospette, meno sospette e non
sospette. L’area di partenza delle navi per Trieste, che arrivavano all’osservazione, era ampiamente a rischio: per quanto attiene le linee di navigazione ed i siti di partenza, la relazione che qui riportiamo, e che attiene
l’anno 1878, si riferisce a bastimenti del Lloyd Austriaco, in 148 viaggi,
con pellami e lane, giunti alla contumacia dai seguenti siti: costa dalmata,
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Levante (in senso generico, fondamentalmente i domini turchi) Albania,
Grecia, Tessaglia, Egitto, e 5 viaggi da Bombay. Dal primo ottobre 1868 a
tutto il 1878 vennero sottoposti a contumacia per colera 41 piroscafi
austro-ungarici, 2 piroscafi italiani, 1 piroscafo inglese, 2 russi e 131 bastimenti a vela; per febbre gialla per 4 volte, nel 1874, 75, 76 e 78, un bastimento a vela proveniente da Rio de Janeiro.
L’interno del comprensorio era diviso, come era prassi in questo tipo di
costruzione, in una parte “netta” ed una parte “sporca” che č quella che ci
interessa di più dal punto di vista sanitario. Un muro con accesso controllato, divideva le due sezioni. All’interno della parte “sporca”, al di là di un
tratto di riva al mare, giacevano degli edifici, dipinti in giallo-arancio, e
quindi qualificatisi, dal mare, come zona sanitaria contumaciale, oltre a
zona verde alberata (pioppi, ippocastani, pini, cedri, peschi, ciliegi, cotogni). Sempre nella parte “sporca”, l’edificio più importante era quello
destinato all’alloggio dei contumacianti, che l!` soggiornavano per periodi
variabili, a seconda del tempo e dei luoghi di arrivo, L’edificio comprendeva 55 stanze. Lateralmente, in un altro edificio, veniva ospitato il personale addetto alla “disinfezione”. Infine delle tettoie ospitavano magazzini
e merci, una vasca serviva per la “disinfezione” degli animali vivi. Una
piccola chiesa ed il cimitero completavano le strutture di questo settore.
Lo spazio recintato destinato “all’espurgo delle mercanzie” era di
19.500 metri quadrati di superficie con quattro edifici, usati come magazzini e ben ventilati. Infatti la ventilazione di per sč era considerata ottimo
modo di espurgo, talvolta l’unico. Quattro locali erano destinati ai suffumigi. In questi locali le merci venivano disposte all’intorno e nel mezzo
erano collocati i recipienti da cui si sviluppavano i vapori di zolfo o di
cloro. Dopo tempi variabili da merce a merce si apriva un abbaino del
soffitto che lasciva uscire i vapori.
In tempo di peste o di epizoozia potevano giungere per via di mare
animali, vivi, sospetti di infezione: “l’espurgo” veniva eseguito attraverso
l’immersione e l’abbondante lavaggio con acqua marina in un apposto sito,
lungo il mare, in un angolo. Anche i resti degli animali, ossa, unghie,
corna, venivano sottoposti a lavaggio nel bacino o nell’immersione per i
tempi previsti. Il bacino era dotato di congegni che permettevano, in
tempi alterni, il flusso ed il deflusso dell’acqua di mare.
Particolare attenzione veniva data alle pelli ed alla lana. Era noto,
infatti, la particolare pericolosità di tali sostanze organiche nel “contagio”,
ed anche il difficile trattamento delle stesse, se non si voleva danneggiarle
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e quindi diminuire la qualità e quindi anche il guadagno. Erano esenti
dalla contumacia marittima, oltre ovviamente i carichi di pellame dei
bastimenti soggetti a libera pratica, anche le lane ed i pellami assoggettati
alla lavatura di fabbrica e certificati come provenienti da località non
infetta, e che non erano passati, o immagazzinati, in porti ove l’infezione
poteva essere presente.
Interessante la stazione di disinfezione per la corrispondenza e per la
trasmissione postale di campioni, di danaro metallico o in carta moneta. Il
sistema era in trasformazione, secondi i concetti “moderni”. Per quanto
riguarda la corrispondenza dopo perforazione si procedeva a suffumigi con
vapori prodotti con una miscela di un quarto di zolfo, un quarto di nitro e
due quarti di crusca, i soldi metallici attraverso l’immersione e sciacquamento nell’aceto, sistema che veniva proprio in quelli anni sostituito da
Figura 4 Prospetto della “Casa dei Contumacianti”
Figure 4 Elevation of the quarantine
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disinfezione mediante calore alla temperatura dell’acqua bollente, combinato con i vapori di acido fenico.
Tutti gli strumenti usati, alla fine, venivano posizionati su apposite
rastrelliere e venivano esposti all’azione del cloro.
Verso i primi del 1900 la struttura, anche per diminuita esigenza della
contumacia, iniziò a servire come struttura ospedaliera sia dei locali che
del personale militare. I militari divennero prevalenti durante la guerra
1915-18 ed anche successivamente. Dal 1945 al 1954 la struttura, posta
nell’immediato confine (a pochi metri) della Jugoslavia comunista, serv!`
come caserma per i soldati di Sua Maestà britannica e successivamente,
dopo alcuni anni di abbandono dal 1976 al 1979, il sito, rimasto proprietà
del Ministero della Difesa italiano, venne riutilizzato ed attualmente ospita residenze ed attività ricreative (bagno di mare, parcheggio, piscine, bar,
pizzeria, mensa, ecc.) dell’Esercito Italiano.
L’insieme dei dati, corroborati dall’usuale attenzione che nelle terre
dell’Impero veniva data agli adempimenti burocratici e le necessità di
preservare un porto all’epoca cos!` importante, come quello di Trieste,
dalle epidemie ci fanno costatare il buon standard della struttura, ovviamente consono alle conoscenze dell’epoca.
Ci sembra che il punto più importante sia il rilievo dato dalla relazione
del Bussolin al punto in cui scrive “… verrà probabilmente sostituito quello della disinfezione mediante calore alla temperatura dell’acqua bollente,
combinato con i valori dell’acido fenico.” Il cenno all’acido fenico ci riporta a Joseph Lister (1827-1912) che nel 1865 segnalò l’acido fenico per il
trattamento antisettico, anche se, legato concettualmente al passato, si
riferiva all’aria infetta. Il fatto che nel lazzaretto di cui parliamo si pensasse di introdurre l’importante novità, solo 13 anni dopo la segnalazione,
non può se non andare a merito dell’organizzazione della sanità marittima
e di chi ne dirigeva la parte più propriamente igienico-sanitaria.
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SAŽETAK
U vrijeme Habsburške Monarhije, na teritoriju koji se prostirao od Kotora do Trsta utemeljeno je niz lazareta radi postizanja učinkovitije sanitarne kontrole jadranske obale.
Trst je poslije imao tri lazareta, od kojih je posljednji otvoren 1869. na području Muggie,
upravo kada su se prva dva zatvarala, odnosno u doba otvaranja Sueskog kanala.
Iznimno vrijedan i bogat izvor informacija o lazaretu pruža izvještaj voditelja ustanove
Giovannija Bussolinija.
Karantena je u to vrijeme primala bolesnike od kuge, žute groznice te kolere. Prostorije
lazareta bile su, kako se u tim uvjetima prakticiralo, podijeljene na "čisti" i "kužni" dio,
koje je odjeljivao zid, a pristup je bio strogo kontroliran. Kako se XX. stoljeće bližilo, tako
je, zbog smanjenih potreba za karantenama, lazaret preuzeo funkciju vojne bolnice, dok
se danas koristi kao rekreacijski centar.
Saznanja o lazaretu govore o primjeni visokih zdravstvenih standarda koji su odgovarali
znanju toga vremena.
Ključne riječi: povijest medicine, devetnaesto stoljeće, karantena, Lazaret u Muggi,
habsburški zdravstveni sustav, Jadransko more, tršćanska luka
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