Cassazione Civile, Sez. II, 12 Luglio 2011, n. 15300 SVOLGIMENTO

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Cassazione Civile, Sez. II, 12 Luglio 2011, n. 15300 SVOLGIMENTO
Cassazione Civile, Sez. II, 12 Luglio 2011, n. 15300
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
P.D., titolare della ditta individuale "omissis" corrente in omissis, conveniva in giudizio la omissis
s.p.a., per ottenere la risoluzione del contratto di fornitura di abiti da cerimonia nuziale stipulato
dalle parti e il risarcimento dei relativi danni. A sostegno della domanda, l'attrice deduceva che la
convenuta aveva violato il diritto di esclusiva ad essa concesso entro il raggio di 30 km. dal suo
punto di vendita sito in omissis, fornendo abiti da sposo ad un negozio in omissis, ove i capi erano
stati esposti ad un prezzo addirittura inferiore a quello consigliato dalla casa produttrice.
Con sentenza del 19-9-2003 il Tribunale di omissis rigettava la domanda, ritenendo, sulla base delle
prove orali raccolte, che l'esclusiva vigesse soltanto per gli abiti da sposa e non anche per quelli da
sposo e, comunque, per quelli da società e da cerimonia.
Con sentenza depositata il 1-6-2005 la Corte di Appello di omissis, nel ritenere che l'esclusiva,
inizialmente vigente solo per gli abiti da sposa, sia rimasta estesa, per fatti concludenti, anche agli
abiti da sposo (e a quelli da società e da cerimonia), in accoglimento dell'appello proposto dalla
ditta "omissis" dichiarava la risoluzione dei contratto in questione per inadempimento della omissis
s.p.a., condannando quest'ultima a pagare all'attrice, a titolo risarcitorio la somma di Euro 7.500,00,
oltre interessi e rivalutazione.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la omissis s.p.a., sulla base di cinque motivi.
La ditta "omissis" resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.c., per avere la
Corte di Appello attribuito rilevanza, ai fini della decisione, a circostanze (ritiro di uno o più abiti
dal negozio di omissis da parte dell'agente commerciale della omissis s.p.a., e loro riconsegna
gratuita alla P.;
mancata prestazione dell'interrogatorio formale da parte del rappresentante della società omissis la
cui omessa valutazione da parte del Tribunale non aveva costituito oggetto di censura da parte
dell'appellante.
Il motivo è infondato, avendo la Corte di Appello pronunciato nell'ambito dei poteri decisori ad essa
attribuiti dalla legge.
Secondo un condivisibile orientamento di questa Corte, il giudice di appello, anche in mancanza di
specifiche deduzioni, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand'anche ritenuti in parte
superflui dal giudice di primo grado, perchè in materia di prova vige il principio di acquisizione
processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad
iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione
del convincimento del giudice (v. Cass. 16-4-2008 n. 9917; 12-9-2003 n. 13430; Cass. 25-9-1998 n.
9592). Nella specie, pertanto, il giudice di appello, chiamato con i motivi di impugnazione a
rivalutare se sussistesse o meno, tra le parti, un patto di esclusiva anche in ordine agli abiti da sposo,
ben poteva valorizzare, ai fini della decisione, elementi di prova (quali le ammissioni contenute
negli scritti difensivi della convenuta in ordine all'episodio C. e la mancata presentazione del
rappresentante della stessa società a rendere l'interrogatorio formale) non presi in considerazione
dal giudice di prime cure, pur non avendo l'appellante richiesto specificamente il relativo riesame.
Così facendo, la Corte territoriale non ha affatto violato il divieto di ultrapetizione, previsto dall'art.
112 c.p.c.; nè è incorsa nella violazione dell'art. 115 c.p.c., avendo posto a base della propria
decisione emergenze processuali ritualmente acquisite, così come prescritto dalla menzionata norma
di legge.
2) Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697, 2729 e 2722 c.c..
Deduce che, poichè la stessa P. ha ammesso, nell'atto di appello, che il regolamento (unico
documento scritto, certo e concordemente richiamato dalle entrambe le parti) prevedeva l'esclusiva
solo per gli abiti da sposa, sarebbe stato suo onere dimostrare l'esistenza di un accordo contrattuale
che estendeva l'esclusiva anche agli altri abiti. Rileva che la Corte di Appello non poteva ritenere
assolto siffatto onere probatorio sulla base dei manifesti pubblicitari contenenti la fotografia di due
noti attori e la dicitura sottostante "omissis esclusivista omissis", consegnati ai clienti molto tempo
dopo gli ordini. Evidenzia altresì che la stipulazione di un patto aggiunto coevo a un contratto in
forma scritta, qual è il regolamento, deve essere necessariamente provato per iscritto, ai sensi
dell'art. 2722 c.c..
Il motivo è privo di fondamento, non tenendo conto del fatto che la Corte di Appello, nel ritenere
provata l'estensione del patto di esclusiva agli abiti da sposo e da cerimonia, ha attribuito rilevanza
decisiva alla mancata presentazione del rappresentante della società omissis a rendere
l'interrogatorio formale; comportamento al quale, valutato ogni altro elemento, ha riconnesso, ai
sensi dell'art. 232 c.p.c., il valore di ammissione dei fatti dedotti dall'attrice. Ed è noto che le
limitazioni previste dall'art. 2722 c.c., riguardano soltanto la prova testimoniale e, correlativamente
(art. 2729 c.c.), quella per presunzioni, e non anche l'interrogatorio formale, volto a provocare la
confessione giudiziale della controparte.
Nè è ipotizzabile una violazione dell'art. 2697 c.p.c., in quanto la Corte territoriale non ha applicato
erroneamente i principi che regolano la materia dell'onere della prova, ma ha ritenuto
concretamente provata, sulla base delle risultanze processuali acquisite, l'esistenza del patto di
esclusiva anche per gli abiti da sposo (e, più in generale, per quelli da società e cerimonia), dedotta
dall'attrice.
3) Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell'art. 232 c.p.c., deducendo che nella
specie, in mancanza di altri mezzi di prova da valutare, non sussistevano i presupposti per ritenere
come ammessi dalla omissis s.p.a., in virtù della mancata risposta all'interrogatorio formale, i fatti
dedotti da "omissis" con tale mezzo istruttorio.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
Giova rammentare che, ai sensi dell'art. 232 c.p.c., il giudice può ritenere come ammessi i fatti
dedotti nell'interrogatorio quando la parte non si presenti a rispondere senza giustificato motivo,
valutando ogni altro elemento probatorio. L'ulteriore elemento di prova, peraltro, non deve risultare
"ex se" idoneo a fornire la prova del fatto contestato, poichè, in tal caso, sarebbe superflua ogni
considerazione circa la mancata risposta all'interrogatorio, ma deve soltanto fornire elementi di
giudizio integrativi, idonei a determinare il convincimento dei giudice sui fatti dedotti
nell'interrogatorio medesimo (Cass. 16-5-2006 n. 11370; Cass. 22/7/2005 n. 15389).
Nella specie il giudice di appello, uniformandosi agli enunciati principi, ha legittimamente attribuito
alla mancata presentazione, senza giustificato motivo, del rappresentante della società omissis a
rendere l'interrogatorio formale il valore di ammissione della dedotta esistenza del patto di esclusiva
anche per gli abiti da sposo, nel contesto di tutte le risultanze probatorie, specificamente indicate in
sentenza (quali, in particolare, la condotta del C., agente di zona della convenuta, il quale, a seguito
di rimostranze della P., si affrettava a togliere dal mercato gli abiti da uomo della omissis s.p.a.
esposti in un negozio di omissis, nell'ambito della zona di esclusiva riservata all'esercizio
dell'omissis, acquistandoti e facendone consegna gratuita alla stessa P.; i manifesti pubblicitari
personalizzati con la scritta “omissis veste l'amore”, forniti dalla convenuta al negozio riservatario
della zona, reclamizzanti non solo abiti da sposa, ma tutto il vestiario inerente alle nozze e alle
relative cerimonie).
L'apprezzamento espresso al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, in quanto l'esercizio
del potere di valutazione della mancata risposta all'interrogatorio formale, previsto dall'art. 232
c.p.c., è riservato al giudice di merito, e non può essere censurato in sede di legittimità (Cass. 16-52006 n. 11370; Cass. 22- 7-2005 n. 15389; Cass. 15-4-2004 n 7208; Cass. 25-8-2003 n. 12463).
4) Con il quarto motivo la ricorrente lamentando la violazione dell'art. 2697 c.c., sostiene che la
Corte di Appello non poteva accogliere la domanda risarcitoria proposta dalla società "L'Angolo
degli Sposi", non avendo quest'ultima in alcun modo provato di aver subito danni e la relativa
entità.
La censura è priva di fondamento.
La Corte di Appello, nel procedere alla liquidazione dei danni in via equitativa, ha tenuto conto sia
del volume di affari sviluppato dall'attrice nel periodo in contestazione, sia dello specifico episodio
relativo alle proteste del cliente Po. (il quale ha mosso contestazioni alla società attrice e, con tutto
il suo nucleo familiare, ha soprasseduto da ordinativi per circa L. 8 milioni allorchè, dopo alcuni
mesi, ha constatato l'offerta in vendita di abiti a minore prezzo nel negozio di omissis. Non può
ritenersi, pertanto, che il giudice territoriale abbia proceduto alla liquidazione dei danni in
mancanza assoluta di elementi di prova.
5) Con il quinto motivo la ricorrente si duole della incongruità e contraddittorietà della motivazione,
nella parte in cui ha ritenuto di non dover considerare, ai fini della quantificazione dei danni, il fatto
che l'agente C. aveva restituito alla P. alcuni abiti, pur avendo attribuito rilevanza alla medesima
circostanza ai fini del riconoscimento dell'inadempienza da parte della omissis s.p.a..
Il motivo è formulato in termini generici, non confrontandosi con le specifiche argomentazioni
svolte dalla Corte di Appello, la quale, nel ritenere irrilevante, ai fini della quantificazione dei
danni, l'avvenuta restituzione di alcuni abiti alla P. da parte dell'agente C., ha fatto presente, in
particolare, che sono rimasti assolutamente indeterminati sia il numero che l'importo dei capi resi. Il
giudice di merito, pertanto, ha dato sufficiente conto delle ragioni della mancata valutazione della
condotta del C. ai fini della determinazione del quantum, con motivazione che non ha costituito
oggetto di specifica censura da parte della ricorrente.
6) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente
al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro
1.400,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.