L`intervento di introduzione di Ezio Elia, Presidente LVIA

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L`intervento di introduzione di Ezio Elia, Presidente LVIA
FORUM LVIA 50 anni
La cooperazione internazionale oggi:
un percorso di reciprocità
Cuneo 9 e 10 dicembre 2016
Discorso introduttivo di Ezio Elia, Presidente LVIA
Benvenuti e grazie per essere qui, grazie a chi ha trovato il tempo di
partecipare e un grazie più profondo a chi arriva da lontano, in questa che è
una delle periferie geografiche d’Italia e d’Europa. Una periferia che da
cinquant’anni esprime concreti gesti di solidarietà con altre periferie del
mondo.
Dopo cinquant’anni di storia sono talmente tanti gli amici di LVIA da
ringraziare che mi è impossibile citarli tutti. Oltre 700 volontari internazionali,
le migliaia di persone europee ed africane che hanno incrociato pezzi lunghi
o brevi ma comunque intensi della loro vita con LVIA nei diversi ruoli di
dipendenti negli uffici in Italia, di collaboratori direttamente impegnati nei
progetti, di volontari in Italia, di soci e simpatizzanti che collaborano nel
tempo libero alle nostre iniziative, di sostenitori e donatori...tutti si meritano un
grazie sincero dall'LVIA di oggi e da quella di domani. Molto più facile citare i
presidenti che si sono alternati a cominciare dal fondatore Don Aldo per
proseguire con coloro che hanno avuto il coraggio e la determinazione di
dare continuità all'associazione anche quando la freschezza dei primi anni
rischiava di perdersi: Riccardo Botta, Beppe Beccaria, Sandro Bobba.
Ma se siamo qui a ragionare sul presente e sul futuro dobbiamo anche
ringraziare la Città di Cuneo, che un po’ ci sopporta e un po’ ci coccola, il
territorio della Provincia Granda, la città di Torino, nostra seconda casa in
Italia, il suo territorio e le istituzioni regionali, con cui viviamo importanti
esperienze di cooperazione decentrata, e non dimentico le altre città in
particolare Forlì e Palermo dove siamo molto attivi.
Un grazie alla nostra Chiesta locale, che ci ha visto nascere e ci accompagna
con affetto e a tutte le Chiese d’Italia e del mondo con cui riusciamo ad
accompagnarci nel servizio ai fratelli.
Un saluto speciale a tutti coloro che conoscono Dio con altre vie ma che si
rivolgono comunque “all’unico Dio vivente, sussistente, misericordioso e
onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini”; un
grazie sincero a tutti questi fratelli che hanno saputo superare i pregiudizi e
lavorare con noi credendo in questo forma concreta della solidarietà, in
questa forma incarnata del servizio alla pace che abbiamo chiamato LVIA.
Un doveroso e sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile
la realizzazione di questo forum: la Fondazione CRC, la Banca di Cherasco,
la Provincia che ci ospita e tutti gli organizzatori interni ed esterni all’LVIA.
Voglio ringraziare infine per alcuni importanti segni che abbiamo ricevuto in
quest’anno celebrativo:
• la medaglia di rappresentanza del Presidente della Repubblica;
• il premio 2016 dell’Università della Pace Giorgio La Pira consegnatoci
dalla Commissione Giustizia e Pace della diocesi;
• l’eoliana con il nostro messaggio “Acqua è Vita” innalzata dal comune
in una rotonda;
• il premio 2016 del Volontario internazionale dell’anno che la Focsiv ha
riconosciuto al nostro Marco Alban in servizio in Burkina Faso;
• la PedalAcquAssisi, iniziativa di LVIA Palermo per portare messaggi di
pace e solidarietà, in bicicletta da Palermo ad Assisi.
Sono segnali forti che ci danno coraggio per proseguire.
Ma andiamo oltre, abbiamo convocato questo incontro per condividere idee e
ritrovarci al termine dei lavori per raccogliere i contribuiti ed elaborarli.
Domani pomeriggio infatti abbiamo convocato in palazzo Samone un
consiglio allargato a chiunque voglia proseguire il discorso in un ambito più
associativo.
Oggi e domani quindi pronunciamo e ascoltiamo tante parole ma, le foto che
scorrono di sfondo ci aiutano, davanti abbiamo persone, storie, sofferenze e
speranze.
“Le parole sono segno delle idee che sono segno delle cose”, per citare
Umberto Eco.
In un convegno quindi ci scambiamo segni, significanti che devono
diventare significati a cui conseguono delle azioni, altrimenti è solo uno
spettacolo retorico. Il primo augurio che faccio è quindi quello di saperci
ascoltare, il nostro tempo qui è utile se torniamo a casa avendo cambiato
almeno un’idea.
Mi emoziona vedere tanta gente, oratori e persone importanti convenuti
nonostante la nostra piccolezza. Come presidente di LVIA sento addosso i
50 di storia il presente e il futuro dell’associazione e non avrei il
coraggio di pronunciare neanche una parola se non avessi la serenità di
quanta concretezza, di quante cose e di quante relazioni, hanno
sviluppato e stanno realizzando in Africa e in Italia tanti fratelli africani e
italiani.
L’eoliana che vogliamo lasciare sulla rotonda della strada verso Borgo è un
segno di questa concretezza.
Alla fine del 1966 nasceva LVIA e all’inizio del ‘67, mentre la prima
volontaria si preparava alla partenza che sarebbe avvenuta in autunno, Paolo
VI pubblicava la Populorum Progressio, dove ritroviamo forse più che in
ogni altro documento, il senso della nostra associazione, valido per allora, per
oggi e per domani.
Quasi tutte le parole chiave della nostra storia le ritroviamo lì ed è stato per
noi bellissimo risentirla echeggiare e aggiornare in particolare dalla Caritas in
Veritate e dalla Laudato Sii.
Rileggete le domande del n. 47 che Paolo VI rivolge alla coscienza di ognuno
di noi e trovate il processo storico dentro cui si svolge la storia di LVIA:
Siamo pronti a mettere soldi nostri per le opere a favore dei poveri?
A pagare le tasse per sostenere l’aiuto pubblico allo sviluppo?
A pagare più cari i prodotti importati per garantire la giusta remunerazione ai
produttori?
A partire per impegnarsi nei progetti di sviluppo?
Questo parallelo temporale testimonia una bella capacità di essere presenti
alla storia, ma d’altra parte non poteva essere altrimenti avendo come
fondatore don Aldo, un protagonista della resistenza, un esempio
clamoroso di come sia importante nella vita schierarsi e impegnarsi al
momento giusto.
Anche oggi vogliamo continuare ad essere presenti alla storia, convinti che
tutti possiamo fare qualcosa, rifuggendo il grande pericolo dell’ignavia
dantesca, dei talenti sotterrati, del signorino soddisfatto, (l’uomo massa di
Ortega y Gasset), colui che per difendere il proprio benessere materiale dalla
paura della libertà altrui è pronto a rinunciare alla propria.
A questo scopo riteniamo essenziale una riflessione continua, di cui questo
forum fa parte.
Arriviamo quindi alla reciprocità
E’ una parola affascinante ma che evoca un ampio campo semantico
diversamente illuminato dai bagagli formativi e di vita che ognuno di noi ha.
Evoca la relazione tra pari ma anche un senso di misura comparativa, che
pensando all’Africa mi rinvia all’ossessione per la gemelliparità che troviamo
ad esempio nel mito del commercio Dogon.
In antropologia culturale ritroviamo la reciprocità in moltissimi aspetti a
cominciare dagli studi sul dono, ma più in specifico in antropologia economica
è una delle modalità di integrazione dell’economia nella società, intesa come
istituzione culturale basata su un senso reciproco di obbligo e di identità.
Nel filone giuridico, filosofico e morale del diritto naturale, come esposto ad
esempio al n.15 della Pacem in Terris, la reciprocità è intesa come
riconoscimento dei diritti altrui, fondamento e limite della libertà.
In economia è riconosciuta la fiducia reciproca come base essenziale per un
adeguato funzionamento del mercato, come ricordato al n. 35 della Caritas in
Veritate.
La reciprocità è un modello relazionale che si fonda sul vicinato. Sembra
paradossale proporlo qui come paradigma tra soggetti distanti. Noi crediamo
che questa distanza sia più sentita che reale. Infatti, se proponiamo questo
tema, è perché il volontariato internazionale sperimenta la reciprocità nel
vissuto individuale da tanti anni.
Tutti quelli che son partiti “per aiutare” sono tornati testimoniando un
arricchimento personale, una crescita e lo stesso dicono i nostri partner, ben
al di là delle realizzazioni tecniche che possono essere state acquisite dalle
rispettive comunità locali.
Di quest’idea ne abbiamo avuto inaspettato conforto sabato scorso quando, a
Roma in occasione del riconoscimento del premio a Marco Alban, uno degli
oratori ha definito i luoghi del volontariato quali luoghi della reciprocità,
fondata sull’assunto che tutti possono dare qualcosa, nella convivialità
delle differenze.
Don Aldo in un nostro notiziario del ‘70 scriveva che “cooperare è un
diventare insieme” che rende perfettamente il senso di progredire verso
qualcosa di inaspettato per entrambi, che discende dal reciproco impegnarsi
insieme per affrontare una sfida di giustizia.
Per noi cristiani possiamo dire, con altro linguaggio: lavorare per il Regno.
I valori di fraternità e dialogo che sono il fondamento del nostro statuto ci
portano evidentemente a costruire progetti dove nessuno ha la soluzione in
tasca ma a cercare assieme una risposta che diventi metodo sostenibile e
spesso anche esportabile, magari proprio nella nostra Europa che ha tanto
bisogno di risposte nuove a disuguaglianze crescenti.
La reciprocità sembra, di primo acchito, un concetto applicabile solo al
contesto umano, tra persone, ma oggi non possiamo dimenticare il potente
concetto proposto da papa Bergoglio dell’ecologia integrale, che ci chiede di
vivere e percepire la reciprocità con tutto il Creato, che è degno della nostra
fraternità, del nostro affetto e non solo del nostro rispetto, secondo il migliore
spirito francescano. Dire fratello sole e sorella acqua, non è sempliciotta
poesia medioevale: ci impegna in concreti scenari di azione verso
quell’intero, complesso e sconosciuto universo che spesso banalizziamo con
il termine di ambiente, quasi che fosse solo lo sfondo di un teatro. Anche se è
da 20 anni che LVIA lavora sui rifiuti, la sfida della Laudato Sii ci fa capire che
la cooperazione ha appena iniziato ad accarezzare la punta dell’iceberg
ambientale. La profonda ignoranza che ancora abbiamo del Creato è troppo
spesso una consapevolezza limitata ai migliori scienziati, mentre è ancora
molto diffuso un approccio altezzoso di matrice positivistica nei confronti della
natura.
Il motto LVIA, “ut non perdam”, dal cap. 6 del Vangelo di Giovanni, che
dall’anello dei volontari partiti abbiamo portato nella nostra tessera
associativa, si può effettivamente estendere a tutto il Creato.
La reciprocità evoca e si fonda sulla fratellanza che è dichiaratamente uno
dei valori fondanti di LVIA.
Ma la reciprocità nella dimensione collettiva, tra comunità, enti locali,
organizzazioni della società civile, istituzioni, Stati e organizzazioni
sovrastatali, è di nuovo una dimensione che si può fondare solo su una
nuova fratellanza mondiale che può darci speranza davanti alle grandi crisi
che sono senza risposta evidente: l’ambiente, il debito, i diritti negati, la
corruzione, le grandi aree de-istituzionalizzate del mondo dove imperano i
poteri alternativi delle mafie, delle multinazionali, delle reti confraternituali
degenerate.
La fraternità è una bellissima parola, fa parte delle famose (e discusse) radici
cristiane dell’Europa, ma tutti sappiamo quanto è fragile. Basta pensare a
come entra nella parola di Dio, con la storia di Caino e Abele, e a come fatica
Gesù nell’insegnarla ai suoi discepoli.
Se poi la pensiamo nella versione laica, la “fraternité” della rivoluzione
francese, troviamo il più dimenticato e forse il più tradito dei principi politici
moderni, probabilmente perché non è presidiabile con norme giuridiche ed è
il meno traducibile in azioni politiche: la libertà posso tentare di garantirla e
disciplinarla con le leggi, l’equità posso tentare di costruirla con politiche
sociali e ed economiche, ma la fratellanza non può essere delegata, è una
virtù, un principio che deve essere incarnato e interpretato da ognuno di noi.
Non può esserci un ministero della fraternità, ma il ministro al welfare non
può ottenere risultati durevoli se non c’è la fraternità, perché essa è l’antidoto
all’indifferenza, che può sempre insidiare anche le migliori legislazioni e le più
raffinate politiche. La reciprocità fondata sulla fraternità riportandoci
continuamente ad una dimensione personale, incarnata, combatte
l’irrilevanza delle persone, l’indifferenza, perché ci porta all’io e al tu, a quel
terzo autentico alternativo all’individualismo e al collettivismo, che la filosofia
recupera, a mio modesto avviso, dall’esperienza teologica che i popoli del
Libro sanno trovare nelle scritture.
La fraternità ci fa capire che non bastano libertà e uguaglianza per garantire
una vera giustizia. Non basta delegare ai sistemi giuridici ed alla mano
invisibile del mercato la soluzione dei problemi. Lo vediamo tutti i giorni e
francamente siamo anche un po’ stufi di chi continua a dire che basta poter
votare un presidente ogni tanto e aumentare il PIL per risolvere tutti i
problemi.
La reciprocità ci porta dal sociale al personale, dalla parola politica all’azione
politica.
La fraternità porta in se la diversità, la pluralità. Se fossimo dei cloni non
avremmo bisogno di sentirci fratelli invece siamo tutti diversi. Da vicino
nessuno è normale.(ecco una bellissima frase che ho letto sul muro di un
centro psichiatrico)
La sfida del lavorare assieme, del ricercare veramente “la pluralità dei
percorsi di cambiamento” (altro bel concetto del nostro statuto) è forse la
questione oggi più difficile della cooperazione.
La parola Laici che c’è nel nostro nome non solo è nata per distinguerci dai
missionari (ricordiamo che il dialogo fra i popoli è un carisma diverso dalla
missione come emerge chiaramente dal Concilio Vaticano II nella
dichiarazione “Nostra aetate”) ma continua a provocarci anche nella sua
accezione mondana, che è quella di indipendenza, di libertà intellettuale, di
apertura fondata sullo stile dialogico; è quell’atteggiamento che supporta il
NON nel concetto di ong.
I nostri progetti, nei Paesi del sud e in Italia, possono essere quindi laboratori
socio-politici, non semplici luoghi di produzione di servizi sociali o
infrastrutturali, di vicariato a pubbliche amministrazioni povere o inefficienti. O
facciamo innovazione sociale o siamo inutili come associazione.
In questo senso le attuali forme di finanziamento ci stanno strette perché
tolgono libertà progettuale a noi e, ovviamente e soprattutto, ai nostri partner
locali. Solo una crescente partecipazione anche economica della gente, dei
simpatizzanti, dei beneficiari locali, può preservare le ong da una deriva
aziendalistica che non interessa i soci LVIA. Noi non vogliamo diventare
un’azienda, sia pure del terzo settore, che vive per vincere appalti dai
finanziatori. Tra l’altro vediamo con apprensione l’allungamento della filiera
dell’aiuto con il pullulare delle agenzie e delle organizzazioni di secondo e
terzo livello, che aumentano i costi e le burocrazie come già denunciato al n.
47 della Caritas in Veritate.
E’ per salvare questa libertà che vogliamo difendere, aggiornandolo, il
concetto del volontariato internazionale.
Noi siamo tutti i giorni nelle periferie, ci scopriamo a lavorare sulle rotte
dei trafficanti, intorno alle discariche dei rifiuti, sulle frontiere dei deserti
e vediamo con rammarico le tentazioni di un ritorno all’antico della
politica internazionale, un’Europa sempre più fragile, meno politica e
più burocratica, quella burocrazia che Arendt ha, con provocatoria
intelligenza, definito il governo di nessuno.
Non regge più il modello condominiale tra le nazioni e nemmeno tra le
persone. I beni comuni sono sempre più i beni essenziali e non possono
essere gestiti come gli spazi comuni di un condominio, appaltando le pulizie a
qualche cooperativa, ma necessitano di passione e intelligenza.
L’esperienza maturata nei villaggi per la gestione dei beni comuni,
simboleggiata dall’eoliana, evidenzia un metodo che si fonda proprio
sulla reciprocità.
Il primo bene comune è la terra stessa su cui ognuno deve poter esercitare il
diritto di scegliere se restare dignitosamente sul suolo natio o andare
dignitosamente altrove.
La crisi della fiscalità, per l’elusione delle grandi potenze private finanziarie ed
economiche e l’estensione di economie informali si riverbera sulla crisi del
debito, pubblico e privato, che diventa crisi del credito e quindi crisi della
fiducia, cioè delle relazioni. Siamo tutti arrabbiati e impauriti e passiamo le
nostre giornate tra avvocati e assicurazioni, vissuti come moderni talismani
contro la paura.
Uno snodo fondamentale per migliorare l’equità dello sviluppo è il mondo
giuridico. Troppo spesso si disfano con le leggi e i grandi accordi commerciali
che hanno forza normativa quel che faticosamente si è costruito con le
iniziative di sviluppo pensate e realizzate nei villaggi e nelle periferie.
Ho aperto con l’augurio di saperci ascoltare e concludo con quello di
portare, prima nel dibattito e poi a casa, passione e gioia. Nonostante
quindi l’aria sabauda di Cuneo chiedo agli oratori e a tutti convenuti, di tirar
fuori la passione che hanno, e auguro a tutti la gioia non solo dell’incontrarci
qua, ma la gioia che nasce dalla consapevolezza che, come dice Papa
Bergoglio, il tempo è superiore allo spazio ed il nostro impegno non
resta vano.