Il gusto proibito dello zenzero

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Il gusto proibito dello zenzero
Maria Tortora
Il gusto proibito dello zenzero
11 gennaio 2012
Non mi sorprenderebbe affatto che, tra qualche tempo, “Il gusto proibito dello zenzero” divenisse un
film. Una di quelle pellicole hollywoodiane da lancio planetario capaci di smuovere e spingere
commosse platee di lettori ad entrare in una sala cinematografica per controllare che le immagini
girate somiglino almeno un po’ a quelle che loro hanno immaginato leggendo il libro. Oppure a
smuovere e spingere gruppetti di non-lettori a comprare il romanzo per controllare se la storia
scritta somigli almeno un po’ alle sequenze viste sul grande schermo.
“Il gusto proibito dello zenzero” è uno di quei libri che mi sono stati passati a scatola chiusa. Una
sorta di regalo di un regalo, per intenderci, che restituirò senza particolare amarezza. Un
“romanzotto” che, a quanto pare, ha conquistato milioni di lettori grazie al fantomatico (ma in fondo
un po’ inflazionato) meccanismo del passaparola.
Continuo a pensare che la narrativa divenuta tanto popolare non possa che volare basso. Infatti:
Jamie Ford vola basso. Il suo merito, almeno per quel che mi riguarda, sta nell’avermi fatto scoprire
l’ennesima deportazione poco nota del XX secolo, quella subita dai giapponesi residenti negli Stati
Uniti nel periodo in cui l’America era in guerra con il Giappone. Anno 1941-42, ai tempi di Pearl
Harbor, per capire.
La storia è ambientata a Seattle e si muove tra due fasce temporali, quella datata 1942 e quella
datata 1986. A centro dei due “tempi” c’è un Henry bambino di dodici anni e un Henry adulto di
cinquantasei anni. Henry è un cinese nato in America. Nel 1942 instaura un legame profondo e
speciale con una ragazzina della sua stessa età, Keiko, giapponese americana. I tempi non sono facili
né per il piccolo cinese né, tanto meno, per la piccola giapponese. I due bambini frequentano la
stessa scuola di bianchi e si sentono vicini anche perché sono i soli due alunni ad essere trattati
come “diversi” se non addirittura, nell’interpretazione di molti, nemici. D’altro canto c’è chi non sa
distinguere a prima vista un cinese da un giapponese.
Henry è figlio unico e suo padre è un convinto, ostinato nazionalista. Questo significa che, a modo
suo e come può, l’uomo porta avanti la guerra contro il Giappone.
Nel 1986 troviamo Henry divenuto vedovo: Ethel è morta dopo una lunga malattia. Un giorno,
proprio mentre percorre la strada davanti all’Hotel Panama, l’uomo assiste ad una inaspettata scena.
La nuova proprietaria dell’hotel, rimasto chiuso per decenni, ha rinvenuto negli scantinati
dell’edificio una grande quantità di materiale lasciato lì dalle famiglie giapponesi che, nei primi anni
’40, furono costrette ad abbandonare il loro quartiere per essere deportate in campi di prigionia
appositamente realizzati in altri Stati. Per Henry è un salto nel tempo. Decide così di scendere nei
sotterranei del Panama e cercare qualcosa che, forse, può essere appartenuto alla sua amata Keiko.
Una storia molto tenera e ben congegnata, non c’è dubbio. Jamie Ford, le cui origini sono cinesi
nonostante un nome tanto americano, ha il grande onore di aver riportato sotto i riflettori un periodo
storico che per gli Stati Uniti, probabilmente, non può dirsi edificante. Nei civilissimi States, a conti
fatti, avevano allestito una macchina per la deportazione negli stessi anni in cui, in Europa, qualcun
altro portava avanti, in parallelo, un’altra deportazione. Constatazione amarissima ma non troppo
sorprendente, direi.
Pur apprezzando la Storia che c’è dentro la storia, “Il gusto proibito dello zenzero” rimane un libro
di media qualità. Vuoi per quella scia vagamente patetica che deve condurre quasi forzatamente
verso un happy end telefonato almeno trecento pagine prima della fine, vuoi per uno stile che naviga
lineare e piatto lungo tutto il romanzo. Niente di nuovo, in sostanza. Una lettura senza infamia e
senza lode. Esattamente quello che dà soddisfazione a una marea di lettori medi che si fanno
trascinare con facile passione da una vicenda che mescola verità e finzione senza pretendere
particolare impegno né grandi fervori.
1/1