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A Un ringraziamento del tutto particolare alla mia famiglia che ha creduto insieme a me in questo progetto. Un vivo grazie alla Prof.ssa Anna Paola Mossetto, al Dott. Alessandro Renza, al Prof. Demichelis per i loro preziosi suggerimenti e a Richard Borrelli per il suo indispensabile supporto informatico. Veronica Cappellari Dal grido dell’esclusione alla conquista dell’armonia Scene alternative nel teatro quebecchese Prefazione di Anna Paola Mossetto Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno Al piccolo Simone e a mio padre con immenso affetto Ho imparato che tutti quanti vogliono vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità risiede nella forza di risalire la scarpata. Gabriel García Márquez Indice Prefazione 11 Introduzione 15 1. I volti del teatro quebecchese dal secondo dopoguerra ad oggi 1.1 Il teatro quebecchese dalla scena montrealese a quella mondiale 1.2 Il teatro del Québécois de souche: esempi di raffigurazione dell’Immigrato e dell’Amerindiano 1.3 Il teatro amerindiano: le identità prime 1.4 Il teatro dell’immigrazione: le identità altre 19 19 26 39 52 2. Temi e strutture nei teatri dell’alterità 65 2.1 La famiglia: forze centripete e forze centrifughe 2.1.1 La relazione coniugale: tra disadattamento e incomprensioni 2.1.2 La drammaturgia come strumento di denuncia della violenza coniugale 2.1.3 Conflitti generazionali 65 2.2 Emarginazione sociale e territoriale 2.2.1 Il risveglio dal sogno americano 2.2.2 L’illusorio mito del ritorno al paese natale 2.2.3 Il dramma della dépossession e la conseguente distruzione dell’indianità 65 76 91 107 107 117 125 3. La memoria fra prigione e affrancamento 3.1 I mostri della guerra fra follia e morte 3.2 Il viaggio iniziatico nel mondo ancestrale del popolo amerindiano 143 143 173 4. Linguaggi e strutture simboliche dell’immaginario 185 4.1 Arte e artificio della scrittura nel recupero dei ricordi: l’intervento mediatico 4.2 Le trame simboliche archetipiche e le costellazioni del mito nell’opera teatrale di Wajdi Mouawad 4.3 Yves Sioui Durand e il magico universo dei popoli nativi 185 199 220 Conclusione 231 Bibliografia 237 Prefazione Sebbene il discorso teorico sulla composizione multipla della società contemporanea occidentale possa apparire alquanto abusato, non tutti i gruppi nazionali hanno finora realmente sperimentato, nel proprio tessuto moderno e su vasta scala, il lavoro di fermento e di fertilità che la compresenza di apporti culturali originariamente eterogenei può indurre. Ė più che mai utile, dunque, poter attingere a modelli consolidati di collettività nelle quali, per particolari ragioni storiche e geopolitiche, si è da tempo concretamente elaborato il fenomeno dell’incontro culturale fra i Diversi. Va qui sottolineato che quest’ultimo termine, scevro da giudizi di valore riduttivi, intende al contrario esplicitare il pregio della varietà, della profusione, dei risultati imprescrittibili (per dirla con un grande autore attento alla complessità dei nostri tempi qual è stato il martinicano Ėdouard Glissant) generati dalle dinamiche di relazione fra le culture a contatto. In epoca attuale, l’Italia è uno di quei Paesi nei quali l’organismo vivo della propria cultura autoctona non ha avuto finora modo di approfittare sostanzialmente di uno scambio di inserzione, o piuttosto di intersezione, provocato dal contributo di artisti formatisi in mondi estranei, di personalità sopraggiunte per mettere a disposizione della collettività locale saperi ed poetiche frutto di esperienze maturate altrove. Questo è il paradosso del nostro Stato dalle radici millenarie ma di recente conglomerazione, e con importanti espansioni coloniali avvenute soltanto in un remoto passato. La nazione Italia non ha ancora smesso di interrogarsi sulla propria identità univoca, ma per l’accelerazione dei ritmi e dei modi di vita sul pianeta in 12 Prefazione questi albori del XXI secolo caratterizzati dai forti flussi migratori, non vi è dubbio che tale condizione è destinata a evolvere rapidamente, senza scordare che la posizione geografica della penisola da sempre rende questo territorio protagonista di incontri (e talvolta scontri) epocali. Un primo merito da riconoscere alla ricerca di Veronica Cappellari sta proprio nel condurci proficuamente su di un terreno di confronto possibile fra due realtà socioculturali solo apparentemente dissimili: il nostro Paese e il Québec, la grande Provincia francofona del Canada. Infatti, sono entrambe, pur ciascuna con modalità proprie, due società problematiche nei riguardi della sedimentazione di una propria identità strutturata e acquisita, in quanto si mostrano assai palesemente travagliate sia da pulsioni centripete (la dibattuta appartenenza a federazioni più grandi, rispettivamente quella canadese e quella europea), sia da spinte centrifughe (la crescita esponenziale della percentuale di popolazione straniera di recente insediamento). Ne deriva, perciò, l’indubbia utilità dell’osservazione di una società tipicamente nordamericana e latina al contempo, come il Québec, società vistosamente composita che anticipa in modo esemplare l’esperienza ormai planetaria, e in rapida accelerazione, della mescolanza di lingue, culture, tradizioni. Nella seconda metà del secolo scorso, il continente americano è stato in maniera preponderante la meta di migrazioni importanti tali da trasferire, attraverso frontiere dilatate, insolite scintille di pensiero e di azione che hanno portato a incrociare gli sguardi, ad aprire i dialoghi, alimentando nel migliore dei casi la curiosità per l’inconsueto anche nelle arti. La sorpresa (che resta, secondo l’insuperata definizione della modernità proposta da Apollinaire, la principale leva dell’esprit nouveau estetico) si è dimostrata strumento prezioso per indurci a considerare, ad apprezzare l’Altro. E, infondo, a riconoscere che quello che non ci somiglia è forse proprio ciò che ci rivela a noi stessi. Altra virtù del lavoro della nostra studiosa risiede certamente nell’aver saputo cogliere le sfaccettature del multiculturalismo, Prefazione 13 le tappe e le soste, gli slanci e le utopie di quel fenomeno la cui definizione scivola facilmente nelle sabbie mobili dell’ideologia, sia che si atrofizzi nei livori della ghettizzazione sia che si gonfi con i vapori dell’universalismo. Veronica Cappellari ha portato un occhio critico di grande lucidità ed equilibrio su questa tematica quanto mai presente, affrontandone teoria e modalità di realizzazione in un contesto di ineguagliabile impatto sociale come il teatro. Sulla scena, il pensiero si fa suono e gesto, raccogliendo gli accenti e i linguaggi che già di per sé sono segni distintivi e al contempo strumenti di riconoscimento e di coesione fra l’artista e il pubblico e, all’interno di quest’ultimo, fra gli individui che lo compongono. Ben rileva questa analisi, condotta con visione nitida e finezza di stile, quanto peso possa avere il proferire fuori dal coro una parola antica e desueta o una parola allofona, poiché questa parola, che è sempre comunque sinonimo di diseguaglianza, attesta l’urgenza imprescindibile e sofferta della difficile conquista da parte di migranti o di minoranze della loro accettazione sociale, mai scontata e sempre precaria. Il materiale documentario, reperito e preso in esame con cura e competenza, è obiettivamente notevole, tale da costituire un ulteriore pregio che va riconosciuto all’opera di Veronica Cappellari, la quale si destreggia egregiamente fra empatia e giudizio, restituendo con metodo rigoroso il panorama antropologico e culturale rappresentato sulle scene alternative, come vengono qui incisivamente denominate. Tuttavia, a ragion veduta, l’autrice non ha tralasciato di investigare la configurazione dell’Altro così come viene fissata nell’immaginario collettivo dalla produzione drammaturgica quebecchese de souche, dagli intellettuali cioè con legami di ascendenza europea seppur trapiantati sul Continente Nuovo in vari momenti storici. Anche questo è un tassello essenziale per la comprensione dello statu quo e degli sviluppi futuri di una comunità composita dei nostri giorni: stereotipi o pregiudizi subiscono ingrandimenti significativi grazie alla loro proiezione teatrale, senza trascurare l’attenzione per taluni sottili effetti catartici, come la fascinazione per simboli e rituali altrui, 14 Prefazione scoperte che possono contribuire a riscattare la diffidenza verso l’ignoto percepito nel prossimo, ovvero a ridimensionare sensi di superiorità ingiustificata nei suoi riguardi. L’interesse, non ultimo, di questo studio condotto nel rigore del più alto livello di formazione specialistica universitaria, va ben oltre l’originalità del progetto e le conseguenti metodologie accademiche messe a punto per la sua realizzazione. Il suo valore sta anche nell’accompagnare il lettore attraverso un percorso di conoscenza e di comprensione nei confronti di sviluppi che determinano profondamente il nostro mondo, testimoniando una volta di più quanto l’arte sia maestra di vita poiché ce ne rivela il senso in tutta la sua pienezza. A chi ancora si chiedesse quale proficua riflessione possa nascere dallo studio di poetiche e di pratiche artistiche nate in seno a comunità che affiggono stendardi rivendicativi di antichi diritti come Premières Nations, accostate a quelle espresse da soggetti etichettati con il prefisso Neo (nella fattispecie i NeoQuebecchesi), risponderemo, infine, che la sua valida lezione, della cui attualità e utilità c’è l’evidenza assoluta, verte sicuramente sulle modalità esemplari dell’edificazione sempre in fieri di quel patrimonio umanistico, nel senso più ampio del termine, indispensabile per la nostra sopravvivenza stessa, menzionato dai sociologi contemporanei con l’espressione di saperi congiunti, dando così un nome alle nostre speranze. Anna Paola Mossetto Introduzione Il presente studio prende in esame le alternative – amerindiana e migrante – nel teatro quebecchese che si sviluppano a partire dalla fine degli anni Settanta, periodo in cui il Québécois de souche inizia a interessarsi alle problematiche sociali e politiche relative non soltanto alla propria comunità, ma anche al mondo dei Nativi e dei gruppi minoritari, come quello degli immigrati, attraverso una drammaturgia che risulta essere innovativa e aperta a nuove prospettive e a nuove voci. Il teatro rievoca il passato, interessandosi della storia delle Premières Nations e dell’esperienza dei migrants, raccontata dagli stessi, dove è riscontrabile la matrice del Québec contemporaneo nell’ottica di convivenza e di scambi interculturali. Si tratta di rappresentare situazioni storiche e culturali quasi del tutto inesplorate, o rimaste nella penombra, da un punto di vista alternativo, dove la vicenda individuale assurge a valenza collettiva. L’Amerindiano e l’Immigrato sono due figure importanti per la formazione di un’identità del Quebecchese, essendo espressioni di confronto e, talora, anche di conflitto, tra realtà diverse. Possiamo parlare di un teatro eccentrico e postmoderno in quanto i movimenti minoritari rappresentativi dell’alterità resistono e tentano di coesistere con la drammaturgia quebecchese. Il teatro risponde così all’esigenza del drammaturgo, e della società che rappresenta, di definire la propria identità, intesa approssimativamente come la somma delle caratteristiche storiche, linguistiche, artistiche e culturali, alla quale, complessivamente, si rapportano gli appartenenti ad ogni singola comunità geograficamente delimitata. 16 Introduzione Rispetto all’argomento da noi posto in primo piano – la drammaturgia amerindiana e migrante – si sono individuati due momenti critici principali, corrispondenti alle due parti che compongono questo lavoro: i diversi volti del teatro quebecchese, dal secondo dopoguerra ad oggi, e i principali temi e strutture distinguibili nei teatri dell’alterità. Nella prima parte abbiamo tentato di ripercorrere la storia del teatro quebecchese, dai suoi esordi – fine anni Quaranta del Novecento – ai giorni nostri, considerando le diverse correnti drammaturgiche che si sono via via affermate nel corso dei decenni e che hanno interessato un pubblico sempre più vasto e partecipe. La seduzione e l’interesse suscitati dalla diversità culturale degli Autoctoni e degli Immigrati, conducono i drammaturghi cosiddetti Québécois de souche a muoversi verso l’altro e a redigere pièces nelle quali le figure dell’Amerindiano e dell’Immigrato rappresentano i volti di una società che vive al margine e che incontra notevoli difficoltà di inserimento. Un’ampia trattazione è dedicata alla drammaturgia amerindiana, che tende a riconoscere le identità prime, e a quella migrante che, invece, si sforza di portare sulla scena le problematiche legate all’integrazione delle identità altre nella società quebecchese contemporanea. Nel far ciò ne abbiamo tracciato gli esordi, gli apporti tematici, linguistici e strutturali. In un secondo momento, ci siamo concentrati su temi e strutture presenti nei teatri dell’alterità, con riflessioni sul problema della famiglia e delle forze centripete e centrifughe che possono metterla in crisi; sul problema dell’emarginazione sociale e territoriale che per contrasto risveglia l’Immigrato dall’illusione di un sogno americano e, nel contempo, dal mito di un possibile ritorno al paese natale, e svela all’Amerindiano il dramma dello spossessamento territoriale e la conseguente distruzione della sua indianità; sul tema della memoria fra prigionia e affrancamento, attraverso la rappresentazione del dramma della guerra o del recupero di un mondo ancestrale da parte delle nazioni autoctone; sul tema, infine, di linguaggi e strutture simboliche dell’immaginario che sfruttano e Introduzione 17 riutilizzano miti e simboli della cultura occidentale o nativa, nonché il recupero memoriale attraverso l’intervento di mezzi mediatici. Il nostro studio tenta dunque di osservare e di verificare in quale modo e con quale spessore gli autori Amerindiani e Immigrati hanno preso parte alla costituzione di un teatro quebecchese francofono contemporaneo, facendosi portavoce di un malessere sociale e identitario che si esprime attraverso una produzione drammatica non esente da apporti linguistici e tematico-strutturali innovativi. Capitolo I I volti del teatro quebecchese dal secondo dopoguerra ad oggi 1.1 Il teatro quebecchese dalla scena montrealese a quella mondiale Rispetto al romanzo e alla poesia, il moderno teatro quebecchese francofono conta una bibliografia ancora piuttosto esigua, anche perché si tratta di un genere affermatosi più recentemente rispetto agli altri due. I suoi esordi1, infatti, vengono generalmente situati verso la fine degli anni Quaranta del Novecento, allorché Gratien Gélinas, autore di Tit-Coq (1948) – considerata la prima opera drammatica autenticamente quebecchese – e Marcel Dubé, autore di Zone (1953) e di Un simple soldat (1958), iniziano a dar vita a un teatro popolare caratterizzato da una satira politica e sociale sulle trasformazioni, gli errori, le delusioni, le incertezze, le speranze, le gioie e i drammi quotidiani del popolo quebecchese2. Le opere di Gélinas e di Dubé rappresentano preziose testimonianze di una società in profonda trasformazione, come dimostra anche il riaffiorare, in esse, del tema campagna e città, 1 Gli anni Cinquanta segnano anche l’inizio di una vera drammaturgia professionale quebecchese confermata dalla fondazione e istituzionalizzazione di numerosi teatri quali il Rideau-Vert, fondato nel 1949 da Yvette Brind’Amour, e il Théâtre du Nouveau Monde, fondato nel 1951, che privilegiano testi di repertorio classico e contemporaneo; altri come il Théâtre-Club (1953), il Théâtre de l’Estoc (1957) e L’Egrégoire (1959), prediligono, invece, testi d’avanguardia. Per una conoscenza più approfondita dell’argomento, R. LEGRIS, J-M. LARRUE, A-G. BOURASSA et G. DAVID, Le théâtre au Québec. 1825-1980, VLB éditeur, Montréal 1988, pp. 102-104. 2 Lo studioso M. BÉLAIR considera questo periodo una semplice fase di transizione, durante la quale Gélinas e Dubé appaiono, con le loro œuvres canadiennes-françaises à caractère québécois, dei semplici precursori della drammaturgia quebecchese propriamente detta. Cfr. M. BELAIR, Le nouveau théâtre québécois, Lémeac, Montréal 1973, p. 9. 20 Capitolo I antico e sfruttato topos che dà vita altresì a due diverse forme di romanzo, cronologicamente determinate e connotate: rispettivamente roman du terroir (fine Ottocento) e roman de la ville (anni Quaranta). Nelle opere di questi due autori trovano espressione le contraddizioni del popolo canadese francofono alla ricerca della propria identità, tema che avrà poi ancor più largo sviluppo negli anni a cavallo tra il Sessanta - periodo della cosiddetta Révolution tranquille -, e il Settanta, in modo particolare in Les Belles-Sœurs di Michel Tremblay, pièce che segnerà una svolta decisiva all’interno della produzione teatrale quebecchese. Scritta, quasi di getto, in pochi giorni, nel 1965, rappresentata con grande successo il 14 agosto 1968 al RideauVert, per la regia di André Brassard, e vincitrice nel 1990 del prix David, Les Belles-Sœurs è un’opera di indiretta denuncia politica, che, trattando dei guasti socio-culturali prodotti dal regime di Duplessis (primo ministro quebecchese, leader del partito dell’Union nationale nel 1936 e nel 1944, che guidò il Paese mettendo in atto una politica autoritaria, conservatrice, antisindacale e nazionalista3), rappresenta, nel contempo, una tappa importante nel cammino verso la formazione di una salda identità nazionale quebecchese. In essa l’autore usa il joual4 (parlata popolare dei sobborghi di Montréal), che si rivela un potente strumento di espressione della contestazione di una società spesso bigotta, gretta e ipocrita, nella quale il dialogo fra le diverse classi sociali, fra i diversi quartieri montrealesi e fra il mondo maschile e quello femminile risulta problematico. Nel decennio Sessanta - Settanta si assiste inoltre 3 Cfr. J. HAMELIN et J. PROVINCHER, Brève histoire du Québec, Boréal, Montréal 1997, p. 106. 4 Nell’opera Littérature québécoise, Éditions TYPO, Montréal 1997, p. 355, L. MAILHOT definisce il joual di Tremblay «un "sociolecte" plutôt qu’un dialecte, et un langage culturel, non une langue», mentre in Langagement. L’écrivain et la langue au Québec, Boréal, Montréal 2000, p.128, L. GAUVIN parla di «un sous-ensemble dialectal du français, régi par un ensemble de règles structurées».