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CONSIGLIO EUROPEO
IL PRESIDENTE
Parma, 12 gennaio 2011
PCE 004/11
Discorso del presidente del Consiglio europeo Herman VAN ROMPUY
in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 2011
del Collegio europeo di Parma
È per me un grande piacere ed onore inaugurare questo anno accademico del Collegio europeo di
Parma.
Tanto più che tra i miei predecessori si trovano amici come Etienne Davignon, due presidenti della
Commissione e il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
E questo teatro, che meraviglia! Avrei preferito venire qui per ascoltare un'opera con mia moglie,
anziché entrare io stesso di scena; spero che se ne presenti l'occasione in futuro.
Entrando a Parma, è difficile sfuggire alla presenza di un grande scrittore francese che tutti conoscete:
i miei ospiti mi hanno perfino generosamente ospitato all'hotel Stendhal! Ed appunto Standhal, nella
"Certosa di Parma" ha scritto una frase sulla quale riflettevo venendo qui: "La politica in un'opera
letteraria è come un colpo di pistola nel bel mezzo di un concerto." Oggi, in una città così importante
per la storia della musica, in questo Teatro regio che ha visto tante opere e concerti dall'inaugurazione
- nel 1829, con la prima della "Zaira" di Bellini! – mi spiacerebbe tirare una pistolettata e rovinare
l'atmosfera, ma non posso fare a meno di parlarvi di politica; soprattutto della politica europea.
Cari studenti e studentesse della promozione Altiero Spinelli,
avete completato questo iter di studi: congratulazioni! Da oggi la vostra conoscenza delle istituzioni e
dei valori dell'Unione percorrerà l'Europa intera, a testimonianza dello spirito europeo di questo
Collegio e all'insegna di quella figura europea che fu Altiero Spinelli, la cui visione si è concretata più
di quanto egli stesso potesse immaginare, ad esempio nei poteri di cui il Parlamento europeo dispone
in seguito all'entrata del trattato di Lisbona. Uno dei due edifici del Parlamento porta perfino il suo
nome - e in quanto belga, sono fiero che l'altro edificio sia intestato a Paul-Henri Spaak.
S T A M P A
PER ULTERIORI INFORMAZIONI:
Dirk De Backer - Portavoce del presidente- +32 (0)2 281 9768 - +32 (0)497 59 99 19
Jesús Carmona - Portavoce aggiunto del presidente
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e-mail: [email protected] - internet: www.european-council.europa.eu/vanrompuy
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Quanto a voi, studenti e studentesse della promozione François Mitterrand, entrate in questo anno
accademico sotto il patronato di un uomo di Stato, visionario e misterioso, che possedeva
un'assoluta padronanza sia delle particolarità della conquista del potere, sia del grande disegno
europeo. Il direttore scientifico Alfonso Mattera ne ha ricordato a giusto titolo i meriti europei, tra i
quali figura in primis il ruolo che ha svolto nella ratifica del trattato di Maastricht e
nell'introduzione dell’euro.
Il 2011 è un anno importate per l'Italia. La settimana scorsa il presidente Napolitano è stato qui, in
Emilia Romagna, per inaugurare le festività che segnano i 150 anni dell'Unità d'Italia. Aggiungo i
miei migliori auguri per questa importante celebrazione.
Parma è una città italiana, ma anche profondamente legata alla storia e al retaggio culturale
dell'Europa: l'umanesimo, i Lumi, la musica, ma anche la ricchezza del territorio della vostra regione
ne fanno un concentrato dell'Europa. Una vocazione europea che si concreta oggi in particolare
attraverso la presenza a Parma di un'importante agenzia dell'Unione e il dinamismo del Collegio.
È in una prospettiva di lungo termine che oggi vorrei parlarvi dell'accelerazione della nostra storia e
delle sfide che ne conseguono per l'Europa, per il 2011 appena iniziato e per i decenni a venire.
Mai, nella storia del mondo, le cose sono così cambiate in così poco tempo. Negli ultimi 65 anni la
velocità di questo cambiamento è stata stupefacente e, per fortuna, nella maggior parte del tempo
nella direzione giusta, per l'umanità e per l'Europa che ha dato prova di un istinto di sopravvivenza
straordinario. Non penso solo alla riconciliazione nel dopoguerra tra nemici storici, ma anche alla
rapida scomparsa del comunismo del nostro continente: popoli che hanno ritrovato l'indipendenza o
che per la prima volta hanno ottenuto l'autonomia, anziché ripiegarsi su se stessi, hanno aderito alla
nostra Unione o vogliono entrarvi appena possibile.
Questo profondo desiderio di rinnovamento distingue anche la natura della nostra moneta comune,
l'euro. L'idea di istituire un'unità monetaria tra paesi indipendenti conteneva un'innovazione assoluta,
tutti ne erano consapevoli al momento dell'introduzione dell'euro. Quando ci siamo scontrati contro i
limiti di questa operazione, ci siamo adattati, ad esempio con la decisione d'istituire una governance
economica più forte attraverso la relazione della Task Force che ho presieduto. Rafforzeremo la
convergenza delle politiche economiche nella zona euro, forse già quest'anno. La storia avanza tra
scosse e scogli, dopo i quali è normale dover aggiustare o correggere il tiro.
Nel mondo, la democrazia indiana ha mostrato le proprie capacità economiche: decine, se non
centinaia di milioni di persone si lasciano la povertà alle spalle. Anche il sistema cinese ha dato
prova di grande flessibilità nell'integrare l'economia di mercato nel proprio modello economico. In
America latina le dittature sono quasi scomparse, un intero continente respira ora liberamente sotto
il profilo economico, anche se non ovunque allo stesso modo. Anche in Africa la crescita
economica ha subito un'accelerazione negli ultimi anni e la speranza, malgrado tutto, è aumentata.
La trasformazione pacifica del Sudafrica resta un esempio degno di nota. L'implosione non violenta
sia dell'apartheid, sia del comunismo è stata per la mia generazione una sorpresa straordinaria.
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La scomparsa della bipolarità tipica dei tempi della guerra fredda ha cambiato totalmente la scena
mondiale. Oggi le forze economiche determinano i rapporti di potere ben più delle forze militari.
Gli accordi sul disarmo servono tanto a sbarazzarci dei resti della guerra fredda quanto ad aprire
nuove strade di pace. Le guerre ai giorni nostri sono locali, e anche in questo caso sono difficili da
vincere. Il terrorismo cerca di provocare conflittualità, di destabilizzare la società. Ma neppure gli
attentati dell'11 settembre, quelli di Madrid o Londra hanno cambiato le nostre società. Non ci sono
riusciti e non riusciranno mai.
Non viviamo nel "nel migliore dei mondi" (Leibniz) ma certamente in uno migliore di quello dei
nostri genitori e dei nostri nonni, più prospero e più sicuro. Si può tuttavia percepire, soprattutto in
occidente, un senso d'angoscia, talvolta di disperazione. Per quanto strano possa sembrare, questo
indica forse che troppi cambiamenti in poco tempo alimentano il timore di nuovi cambiamenti. E'
un fenomeno di società le cui conseguenze si ripercuotono anche sulla politica.
Per questo è imperativo creare e mantenere dei nuclei e delle zone di stabilità nelle nostre società,
attraverso una protezione sociale efficace, rafforzando il potenziale delle persone grazie
all'istruzione, investendo nel "capitale "sociale e familiare per aumentare la coesione delle nostre
società, controllando e organizzando meglio l'immigrazione; ma anche attraverso parole politiche
positive, parole pubbliche che respirano la fiducia e la speranza. .
Per le nuove generazioni, l'idea europea, come dite voi, "fa parte dell'arredamento della società".
La "passione" dell'inizio, "il gusto dell'avventura" di una volta sembra scomparso. Un primo
ministro belga, Leo Tindemans, l'aveva già constatato in un famoso rapporto sull'Unione europea
che risale al 1975.
L'idea europea ha subito l'influenza del postmodernismo e della fine dei "grandi racconti". Idee e
ideali trascendentali sono stati tirati giù dal piedistallo, tra questi quello dell'Europa unita . Infine,
nella maggior parte dei nostri paesi esiste indubbiamente un certo malessere nei confronti della
politica tradizionale. Nella misura in cui riflette le politiche nazionali, questo disagio interessa
anche la politica europea.
Tutto questo è vero, signore e signori, ma ciò non toglie che l'idea europea resti l'idea politica più
generosa degli ultimi 65 anni: 500 milioni di europei attingono da quell'idea il proprio avvenire.
Perché? Semplicemente perché solo in quanto Unione, nel sottile equilibrio tra unità e diversità che
abbiamo sviluppato possiamo difendere i nostri interessi e valori nel mondo in evoluzione.
Abbiamo lasciato alle spalle una quantità di cambiamenti ma altri e più profondi ci stanno dinanzi,
sul piano economico, energetico, climatico.
La crescita dell'economia mondiale, trainata dai paesi emergenti, comporterà una penuria di energia,
di prodotti alimentari, di materie prime che facilmente può tradursi in un aumento dei prezzi se non
addirittura in un problema di disponibilità. Il prezzo del petrolio e dei prodotti alimentari sono stati i
segni precursori che abbiamo avvertito negli ultimi anni e perfino negli ultimi giorni (penso a quel
che succede in Tunisia).
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Non si tratta solo di un fenomeno di speculazione. Divieti e dazi all'esportazione hanno già costretto
il commercio a degli obblighi limitando quindi la disponibilità di alcuni beni. Non dimentichiamo
che nella fase iniziale del capitalismo occidentale colonialismo e imperialismo sono nati dalla lotta
sfrenata per le risorse rare. Non solo dobbiamo evitare questa lotta; dobbiamo provvedere, grazie ad
una cooperazione a livello mondiale, ad un uso più efficace di queste risorse. Il G20, di cui l'Italia è
membro fondatore e attivo, è la sede adatta per realizzare questa cooperazione.
Di fatto, l'interdipendenza economica non è mai stata così forte. I fattori sono noti: aumento degli
scambi e soprattutto aumento della circolazione dei capitali e internazionalizzazione degli istituti
finanziari. Tutto è sono interconnesso; quindi dobbiamo cooperare. La minaccia più grave oggi non è
la mondializzazione, che molti in Occidente temono sia un pericolo per l'occupazione. No, la sfida più
grande è mantenere il libero scambio e tenere sotto controllo, e in equilibrio, la mondializzazione.
Il rischio è creare regole che non siano universalmente riconosciute e rispettate - ad esempio nel
settore dei tassi di cambio - che devono rispecchiare i fondamentali economici. Il vertice del G20 à
Seoul (nel novembre 2010) è stato chiaro in merito, anche se tradurre le parole in atti richiederà,
come sempre, un lungo cammino. Quando le popolazioni dei nostri paesi hanno l'impressione che
non tutti rispettino le regole del gioco, nascono gli avversari della mondializzazione.
Va detto che il conto della bilancia commerciale della zona euro, nell'insieme, è in pari; non
costituisce quindi, la zona euro, un pericolo per l'evoluzione equilibrata dell'economia mondiale. La
crisi finanziaria ha mostrato fino a che punto i nostri destini sono legati. La recessione è passata, ma
i problemi restano. Il G20 deve quindi essere il forum più importante per il coordinamento mondiale
della politica economica. Deve diventare davvero un processo continuo, quindi più di un vertice
annuale, per quanto importante sia.
Nel settore dell'energia non si possono escludere nuovi sviluppi né nuove risorse. Penso alle
potenzialità del gas di scisto (shale gas) negli Stati Uniti, che in quindici mesi ha rovesciato i
rapporti sul mercato del gas. L'esperienza in seguito alle crisi petrolifere degli anni '70 ha mostrato
che è possibile aumentare fortemente la produttività. L'intensità energetica della crescita del PIL si è
da allora fortemente ridotta.
Proprio a causa dell'importanza dell'energia, la sicurezza energetica è una delle grandi priorità della
politica europea. Il nostro continente resterà in una certa misura dipendente, ma occorre garantire
l'approvvigionamento. E' una sfida che supera le possibilità del singolo paese. Il tema sarà all'ordine
del giorno del Consiglio europeo del 4 febbraio prossimo.
La sfida della sicurezza dell'approvvigionamento è legata all'istituzione di un effettivo mercato
dell'energia all'interno dell'Unione. Occorre maggiore interconnessione e una libera circolazione. La
Commissione europea propone di interconnettere tutte le "isole energetiche" entro il 2015 e
esamineremo i mezzi per conseguire questo obiettivo.
Sono in contatto con il presidente del Consiglio Berlusconi pour preparare il Consiglio europeo,
come al solito, e per poter fruire del contributo italiano alle decisioni comuni che prenderemo
insieme.
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Venendo al tema del clima, sappiamo ormai che è in gioco il destino dell'intero pianeta. Nessuno,
né voi, né io, né nessun altro, potrà dire in futuro che non sapeva; in questo caso non ci si potrà
nascondere dietro la scusa dell'ignoranza. La questione che si pone è invece la ripartizione degli
oneri ("burdern sharing"). Ed è per questo motivo che occorre sempre compiere passi equilibrati,
partendo dal principio che chi inquina maggiormente deve compiere i passi più importanti.
Il vertice di Copenaghen è stato vissuto come un insuccesso poiché le aspettative erano troppo
elevate. Ciò non di meno le decisioni prese in quell'occasione hanno costituito la base dei progressi
realizzati a Cancún. La riuscita di Cancún è dipesa per contro da aspettative piuttosto mitigate.
Ad ogni buon conto sono persuaso del fatto che i paesi possano agire in maniera decisiva solo se gli
interessi nazionali coincidono con un interesse più globale. Per alcuni sarà necessario un certo
tempo prima che si assumano nuove responsabilità a livello mondiale.
Fortunatamente le imprese, i singoli cittadini e i governi non aspettano di disporre di un accordo
internazionale giuridicamente vincolante prima di agire e prima di sviluppare o usare nuove
tecnologie pulite e verdi. È buon segno.
Per il momento l'Unione europea è l'unica regione al mondo dotata di una normativa vincolante in
materia di riduzione di CO2: meno 20% nel 2020 (rispetto al 1990). Dal 2007 l'Unione si dice
pronta ad andare oltre a condizione che sia raggiunto un accordo internazionale, che vi sia uno
sforzo globale soddisfacente e che gli altri grandi inquinatori procedano a riduzioni analoghe delle
emissioni. Era nostra legittima intenzione evitare che la società europea si assumesse da sola gli
oneri di un problema mondiale. Inoltre speravamo così di stimolare gli altri a seguirci in questo
percorso. Purtroppo, ad oggi, non sono state prese iniziative analoghe e, probabilmente, saranno
prese soltanto a termine.
Credo che l'Unione europea debba vagliare l'ipotesi di compiere, di sua iniziativa, un passo
supplementare nella riduzione di emissioni di CO2, indipendentemente da ciò che gli altri faranno o
meno. Questo passo potrebbe recarci vantaggio in termini economici, sul piano dell'innovazione e
dell'occupazione. Non si tratta più, soltanto, di essere moralmente all'avanguardia, bensì di trarre
beneficio da una sfida. Potrebbe quindi venire il momento in cui noi dovremo avviare un dibattito
sul tema in Europa, autonomamente dagli altri. E questo momento potrebbe ben essere nel 2011.
Anche riguardo all'asilo e all'immigrazione il nostro giudizio dovrà essere lucido. Su questo
argomento abbiamo perso tempo prezioso. Da 20 o 30 anni l'immigrazione è stata troppo spesso
considerata un campo di battaglia politico invece che un tema che imponeva risposte sostanziali e
rapide. Fra apologia del pluralismo culturale e stop all'immigrazione si è assistito a una
schematizzazione semplicistica del dibattito, che è invece colmo di sfide e di opportunità. Anche in
questo caso occorre sforzarsi di trovare il giusto equilibrio tra i diversi aspetti della questione.
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Ad esempio dobbiamo riconoscere il sentimento di identità e appartenenza nazionale degli
europei che a volte è stato sottovalutato. Il populismo di oggi si spiega in parte con questo
fatto.
Possiamo e dobbiamo insistere sull'integrazione degli immigrati nelle nostre società
democratiche, attorno alla lingua e ai valori democratici fondamentali.
Non v'è ragione di temere la libera circolazione delle persone dopo l'allargamento dell'Unione
ai paesi dell'Europa centrale e orientale. I timori si sono rivelati infondati.
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Dobbiamo riconoscere che lo spazio comune Schengen e il sistema di Dublino non sono
sufficienti e devono essere integrati da un sistema comune di asilo entro la fine del 2012, come
chiesto dal Consiglio europeo un anno fa. Malgrado la natura sensibile e controversa di tali
questioni in sede di Consiglio dovremmo essere in grado di giungere a una conclusione sulle
proposte della Commissione in questo settore.
Il dibattito è particolarmente legato ai problemi dei paesi che sono confrontati a
un'immigrazione illegale non controllata. Di recente il governo greco ha proposto di adottare
una misura inconsueta alla frontiera per contrastare il fenomeno. Nuovamente si pone una
questione d'equilibrio: ogni paese deve assumersi la responsabilità della propria frontiera, ma
deve esistere d'altro canto una solidarietà comune, che rispecchi - è il caso dell'agenzia
Frontex- il fatto che l'Unione europea ha, dinanzi al mondo esterno, una frontiera europea
comune.
Non abbiamo compreso pienamente che, in una situazione di declino demografico in un certo
numero di paesi, l'immigrazione e l'integrazione possono contribuire alla crescita economica.
Concludendo, all'interno dell'Unione europea dovremo discutere seriamente e costruttivamente una
politica d'immigrazione e d'asilo più comune, come peraltro auspicato dal Primo Ministro
Berlusconi e altri colleghi del Consiglio europeo. La relazione sull'attuazione del patto
sull’immigrazione e l’asilo offrirà un occasione in tal senso. Sotto molteplici aspetti si tratta del
futuro della nostra economia e del nostro modello sociale. Spero che potremo lavorare presto su
questo tema in sede di Consiglio europeo, ad esempio in giugno.
Logicamente devo ora affrontare la questione dell'Unione economica e monetaria
Com'è ovvio nel 2011 dovremo continuare a salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro.
Sviluppi dei mercati a volte anomali richiedono risposte strutturate e coerenti. Devo dire che
l'evoluzione recente non è sempre in linea con i fondamentali economici. Gli spread ad esempio
mettono in evidenza rischi di inadempimento per paesi della zona euro che sono superiori a quelli di
paesi emergenti come l'Ucraina o l'Argentina: e questo è assurdo!
Ma qual è la ragione? Innanzitutto la solidità dei fondamentali economici della zona euro. La
ripresa in termini di crescita è buona. Gli indicatori della fiducia della settimana scorsa (come il
prezzo minimo all'importazione) sono molto positivi. L'euro stesso è una moneta forte. Allorché il
tasso di cambio era 0,85 dollari per un euro nessuno affermava che l'euro fosse in pericolo! Ora che
l'euro è pari a 1,30 dollari, ossia un terzo in più, la nostra moneta è attaccata …
In secondo luogo si sottovaluta sempre la determinazione dei paesi della zona euro a prendere le
misure necessarie per assicurare stabilità alla zona, come abbiamo dimostrato nel 2010, sia sul
piano collettivo (all'inizio con il fondo di stabilità e il meccanismo di stabilità e in seguito con la
decisione di creare un meccanismo di stabilità permanente), che a livello di singolo paese, con
misure di bilancio ed economiche coraggiose.
In quest'anno ho sempre potuto contare sull'appoggio del governo italiano, in particolare in seno alla
Task Force, con il ministro Giulio Tremonti. In qualità di paese fondatore dell'euro l'Italia è, come
tutti noi, in prima linea per salvaguardare la stabilità della zona euro.
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Per consolidare l'euro occorre convergenza dello sviluppo economico e delle politiche economiche.
Bisognerebbe stimolare e, se necessario, forzare i paesi ad attuare le riforme richieste per il
rafforzamento della competitività delle loro economie e la solidità delle finanze pubbliche. A mio
parere queste misure sono possibili e fattibili.
La convergenza si realizzerà, tra l'altro, grazie agli strumenti nuovi e rafforzati proposti dalla Task
Force sulla governance economica, che stanno per essere tradotti in norma sulla base di proposte
della Commissione europea. Se avessimo ad esempio deciso più tempestivamente di instaurare il
sistema di sorveglianza macroeconomica che stiamo per mettere ora in atto avremmo potuto evitare
molti problemi di cui soffriamo oggi! Questo sistema consentirà di seguire più da vicino le
economie dei nostri paesi, la loro competitività, il rischio di bolle immobiliari e altri punti deboli, e
di prender in caso misure correttive.
A questo proposito il Consiglio europeo di marzo affronterà per la prima volta il semestre europeo,
in stretta collaborazione con la Commissione. Faremo insieme il punto della situazione e dei
progressi di ciascun paese. Quest'azione non dovrà però diventare un esercizio burocratico, dovrà
invece comportare la volontà politica di ognuno. In sede di Consiglio europeo i capi di Stato o di
governo dovranno assumersi, dinanzi ai loro colleghi, la responsabilità degli sforzi del proprio
paese. Si tratterà della "peer pressure" al più alto livello!
È uno dei modi di attuare la nuova vigilanza macroeconomica e i segnali sono incoraggianti: la
riflessione sul coordinamento economico ferve a Bruxelles e a Francoforte, come in molte altre
capitali. A mio parere la sorveglianza macroeconomica offre un quadro in cui potranno inserirsi
altre iniziative. Lavoreremo dunque nello spirito dei padri fondatori dell'euro, come Jacques Delors
e Romano Prodi anche se oggi -mi duole ricordarlo - da questa cerchia è scomparsa la voce saggia
di Tommaso Padoa-Schioppa.
I paesi della zona euro devono evidentemente ravvicinarsi più degli altri: infatti non solo
condividono un mercato, ma una moneta unica! Ciò significa che il coordinamento delle politiche
economiche dovrà essere nel loro caso maggiore, pur mantenendo i pilastri del nostro modello
sociale. Appoggiandosi sui nuovi strumenti che stiamo per porre in essere gli Stati della zona euro
possono e debbono sviluppare politiche di convergenza fondate su una volontà politica comune.
L'Unione monetaria potrebbe in tal modo essere completata da un pilastro economico più forte e
credibile. Prima di Natale, in varie interviste, ho già fatto alcuni esempi di coordinamento nella
riforma delle pensioni, o di introduzione di determinate tassazioni, concertate tra i governi. Tutti
modi per stimolare la convergenza e verso l'alto!
Non siamo tenuti ad agire tutti nello stesso modo (i nostri punti di partenza sono spesso diversi), ma
possiamo sempre apprendere gli uni dagli altri e, soprattutto, dobbiamo tutti lavorare nella stessa
direzione. Ciò che conta è arrivare a potenziare la competitività e, a quel punto, saranno gli
indicatori macroeconomici a parlare. L'importante è assicurare la conduzione.
Se le circostanze lo richiedono i capi di Stato o di governo della zona euro dovrebbero potersi
incontrare. In pratica tali riunioni sarebbero forse più efficaci all'indomani stesso di un Consiglio
europeo, che manterrebbe così la sua funzione d'impulso.
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Al Consiglio europeo di dicembre, i capi di Stato o di governo dei paesi della zona euro hanno
dichiarato "di essere pronti a fare tutto il necessario per assicurare la stabilità dell'intera zona euro".
Cercherò di ripeterlo in italiano: i leader della zona euro hanno dichiarato di essere "pronti a fare
tutto il necessario per assicurare la stabilità dell'intera zona euro". Possiamo dirlo in tutte le lingue
e il messaggio resta identico: noi difendiamo l'euro. Nel 2011 come nel 2010.
Non insisterò troppo in questo discorso sulla politica di crescita economica, per quanto essa sia
necessaria al mantenimento del nostro modello sociale e all'occupazione. Non possiamo stimolare
artificialmente la crescita mettendo in pericolo equilibri interni ed esterni; possiamo invece
accelerarla rafforzando l'offerta e, a livello europeo, servendoci del mercato unico e delle economie
di scala. Malgrado le nostre preoccupazioni per l'euro, nei mesi di marzo e giugno 2010, abbiamo
posto in essere la strategia 2020 incentrata su riforme strutturali.
Al Consiglio europeo di febbraio parleremo di innovazione, chiave della nostra riuscita economica a
medio e lungo termine. Tutti i capi di Stato o di governo ne sono consapevoli. Il tema
dell'innovazione sarà anche affrontato dal punto di vista delle grandi sfide sociali della nostra
epoca: posti di lavoro attraenti, invecchiamento e salute, economia verde e a basse emissioni di
CO2. In una parola: prepararsi al futuro!
Si è spesso predetto il "Tramonto dell'occidente". Ora, tutto quanto si è fatto dopo la seconda guerra
mondiale dimostra il contrario. Certamente sono lontani i tempi in cui alcuni dei nostri paesi erano
potenze coloniali sulla scena mondiale. Certamente la nostra importanza nell'economia mondiale
diminuisce perché, fortunatamente, altri paesi escono dalla povertà. Ciò non di meno continuiamo
nella crescita economica malgrado il nostro livello di vita molto elevato. Non bisogna dimenticare
che questo livello di prosperità è tale che, se la nostra crescita in termini di reddito pro capite è del
2%, altre economie emergenti devono raggiungere una crescita del 6 per cento per poter diminuire
lo scarto in termini assoluti. Tuttavia, ancora una volta, dobbiamo sperare che lo scarto si riduca e
che la condizione dell'umanità intera migliori.
In questo processo non bisogna sottovalutare le capacità di innovazione e flessibilità degli europei,
senza le quali essi non si sarebbero imbarcati in questa impresa audace, ossia l'Unione europea, né
avrebbero -ormai in 17 Stati- raccolto la sfida unica rappresentata dall'euro!
Agli europei vorrei dire: "Non abbiate paura". Evidentemente una certa rivendicazione storica ha
fatto il suo tempo, ma non v'è alcuna ragione di perdere la fiducia in noi stessi. Dopo la seconda
guerra mondiale, nell'atto di fondazione europea, la fiducia in qualche modo ha preso il posto
dell'arroganza … Ripeto quindi, soprattutto ai giovani: "Non abbiate paura".
In questo continente così bello, voi giovani, come tutti noi, abbiamo tutte le ragioni di credere nel
nostro futuro.
Grazie.
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