3Adamo aveva centotrenta anni quando generò un figlio a sua
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3Adamo aveva centotrenta anni quando generò un figlio a sua
Uno strano calendario Negli anni tra il 1650 e il 1654 venne pubblicata da James Ussher, arcivescovo della diocesi di Armagnac, una cittadina sita nel nord dell’Irlanda, un’opera in più volumi in cui venivano presentate le sue considerazioni e i suoi calcoli per ricostruire la cronologia storica dal giorno della creazione del mondo fino all’epoca maccabaica. Per realizzare questa cronologia l’autore si era servito delle fonti bibliche, ma le aveva integrate con dati, al tempo noti, provenienti da documenti egiziani e assiro-babilonesi. Ma come era stato possibile questo? L’idea muoveva dall’osservazione, come nel testo biblico, quando si racconta dei patriarchi, venga indicata l’età del genitore. Prendiamo come esempio il progenitore Adamo. Di lui si dice: Adamo aveva centotrenta anni quando generò un figlio a sua immagine, secondo la sua somiglianza, e lo chiamò Set. (Gn 5,3) A sua volta di Set si scrive: Set aveva centocinque anni quando generò Enos (Gn 5,6) e qualche riga dopo si aggiunge: Enos aveva novanta anni quando generò Kenan (Gn 5,9). Anche se non conosciamo il giorno e il mese delle rispettive nascite, possiamo concludere che tra la nascita di Adamo e quella del pronipote Kenan siano trascorsi circa trecentoventicinque anni. In questa ricostruzione della successione genealogica può impegnarsi ogni lettore con qualche familiarità con il testo biblico. Naturalmente ci sono degli ostacoli: da Adamo si giunge con facilità fino ai 12 patriarchi, i figli di Giacobbe, ma poi c’è la cesura rappresentata dagli anni della permanenza in Egitto, la cosidetta servitù egiziana. Fortunatamente il testo supplisce al silenzio delle genealogie con una cifra forfettaria: quattrocentotrent’anni (Es 12, 40). Numero che sembra non concordare con quanto già annunciato in una visione notturna ad Abramo: quattrocento anni (Gn 15, 13) ed è corretto da altre versioni. Ulteriori oscurità si presentano con l’epoca dei giudici, che inizia con la morte di Giosuè (Gs 24, 29-31) per concludersi con il ritiro di Samuele (1Sm 8). Non essendo la successione dinastica, il testo non sembra escludere che per alcuni l’esercizio della potestà sia stato anche contemporaneo. Ad ogni modo, facendo una stima approssimativa, cioè supponendo che ogni giudice abbia governato per quaranta anni, e ritenendo affidabile la tradizione, che ne ricorda solo dodici, si può fare semplicemente una moltiplicazione. E con ciò si arriva al tempo dei re, di cui per ognuno è ricordato l’età a cui viene insediato e quella della morte. Appianando qualche incongruenza dei nomi nella successione dinastica si giunge fino all’anno della caduta definitiva di Gerusalemme nelle mani del re dei babilonesi, Nabucodonosor. E questo avvenimento è importantissimo nella nostra ricostruzione cronologica, perché tramite le fonti extra-bibliche riusciamo finalmente ad avere una data, che non è più relativa, ma assoluta: l’anno 587-86 prima dell’era volgare. Insomma senza di questa data si potevano dedurre gli anni trascorsi tra la creazione di Adamo e la caduta della capitale, mentre con questa si poteva risalire a quando il nostro progenitore aveva visto la luce. Ma quali sono state allora, al tempo del vescovo Ussher, le conseguenze di queste elaborazioni? E hanno avuto poi anche per noi una conseguenza queste speculazioni? Per non abusare della pazienza del lettore e della tolleranza dell’editore dobbiamo purtroppo rimandare le risposte alla prossima puntata.