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Auguste Rodin
Le origini del genio (1864-1884)
A cura di
Aline Magnien
Flavio Arensi
Con la collaborazione di
François Blanchetière
Claudio Martino
Ettore Greco
Hélène Marraud
Testi di
Flavio Arensi
June Hargrove
Catherine Lampert
Aline Magnien
Barbara Musetti
François Blanchetière
Véronique Mattiussi
Allemandi & C.
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Auguste Rodin
Iniziativa
Le origini del genio (1864-1884)
Palazzo Leone da Perego, Legnano
20 novembre 2010 - 20 marzo 2011
Sindaco
Lorenzo Vitali
Assessore alle Attività Culturali
Maurizio Cozzi
Direzione scientifica
Flavio Arensi
Progetto di
Aline Magnien
Flavio Arensi
Ettore Greco
Claudio Martino
Mostra a cura di
Aline Magnien
Flavio Arensi
con
François Blanchetière
Hélène Marraud
Conservatore Generale del Patrimonio,
Direttore del Musée Rodin
Dominique Viéville
Conservatore Capo del patrimonio,
Direttore del servizio delle collezioni
Aline Magnien
La mostra è posta sotto
l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano
Con la collaborazione del
Musée Rodin
Dominique Viéville
Conservatore Generale del Patrimonio,
Direttore del Musée Rodin
Segretario Generale
Philippe Andre-Bernavon
Direzione organizzativa
Marina Ristori
Claudio Martino
Documentarista responsabile dei disegni
e delle fotografie
Maeva Abillard
Conservatore del patrimonio
François Blanchetiere
Coordinamento
Gabriella Nebuloni
Conservatore Capo del patrimonio
Nadine Lehni
Segreteria scientifica
Silvia Bottani
Laura Luppi
Documentarista responsabile delle sculture
Hélène Marraud
Settore opere grafiche
Francesco Garrone
Segreteria
Monica Breda
Barbara Morlacchi
Doriana Cozzi
Responsabile della gestione logistica
e amministrativa dei depositi
Diane Tytgat
Caposervizio della ricerca, della documentazione,
degli archivi e della biblioteca
Hélène Pinet
Responsabile dell’ufficio iconografico
Jérôme Manoukian
Ufficio iconografico
Anne-Marie Chabot
Conservatore Capo del patrimonio,
Caposervizio dello sviluppo
Noëlle Chabert
Responsabile del servizio culturale
Isabelle Bissiere
In copertina
Auguste Rodin, Il pensatore, particolare,
1903.
Nella pagina 2
Fig. 1. Alvin Langdon Coburn,
Ritratto di Rodin con un toque nero,
aprile 1906.
Con il patrocinio e il contributo di
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Organizzazione e promozione
Coordinamento
Alberto Rossetti
Gaia Morelli
Segreteria tecnica
Francesca Tronconi
Servizi di accoglienza e prenotazioni
Alessandra Cattaneo
Sergio Ligrone
Eventi
Ombretta Roverselli
Comunicazione
Lucia Bianco
con Umberto Pastore
Sistema di biglietteria
TicketOne
Audioguide
Storyville
Media partner
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Ufficio Stampa Città di Legnano
Elisabetta Benetti
Ufficio stampa della mostra
CLP Relazioni Pubbliche
Manuela Petrulli
Carlo Ghielmetti
Progetto di allestimento
GTRF Giovanni Tortelli e Roberto Frassoni
Architetti Associati
Catalogo edito da Umberto Allemandi & C.
A cura di
Flavio Arensi
Aline Magnien
Con la collaborazione di
François Blanchetière
Hélène Marraud
Direzione lavori
Giovanni Tortelli
con Alessandro Polo
Paola Pintossi
Testi di
Flavio Arensi
June Hargrove
Catherine Lampert
Aline Magnien
Barbara Musetti
François Blanchetière
Véronique Mattiussi
Progetto grafico
Studio Marabese
Traduzione
Giuliana Olivero
Progetto illuminotecnico
Titta Buongiorno, Volume
Redazione
Sara Pittatore
Raffaella Roddolo
Chiara Grella
Assicurazione
Reale Mutua Assicurazioni
Agenzia Marco Milesi
Trasporti
Arteria
LPArt
Allestimento
Saving
Visite guidate e laboratori didattici
Opera d’Arte
Ufficio iconografico
Valentina Razeto
Videoimpaginazione
Elisabetta Paduano
Ringraziamenti
La città di Legnano e lo staff di SALE ringraziano
Dominique Viéville, Direttore del Musée Rodin
di Parigi, Aline Magnien, Capo conservatore
delle collezioni insieme a tutto il personale del museo
che in questi anni ha lavorato alla buona riuscita
della mostra e a tutti gli studiosi che hanno elaborato
un testo per il catalogo. Un particolare
ringraziamento ai tanti sponsor che rendono
Legnano un luogo di dialogo culturale; agli Enti
pubblici e privati che da anni sostengono l’attività
espositiva. Ringraziano tutte le persone che hanno
collaborato al progetto, Civita, Umberto Allemandi
& C., Studio Marabese, CLP Relazioni Pubbliche,
Tortelli & Frassoni Architetti associati, Opera d’arte,
e tutti i fornitori.
Dedico questa mostra ai miei nonni, perché quando non si sa
dove andare si può sempre ricominciare da qualche parte che
non c’è più ma è sempre presente. Flavio Arensi
Con il contributo di
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ertamente tra le finalità che portano alla organizzazione di una mostra c’è la volontà di apportare nuovi contributi scientifici al mondo dell’arte, far conoscere culture diverse da quella nella quale agiamo, promuovere e diffondere conoscenza e bellezza. Ma questo non basta a esaurire i motivi che muovono la pubblica amministrazione.
La mostra intitolata «Auguste Rodin. Le origini del genio (1864-1884)», curata da Flavio Arensi, direttore scientifico di
SALE (Spazi Arte Legnano), e da Aline Magnien, Conservatore Capo del patrimonio e Direttore del servizio delle collezioni del Musée Rodin di Parigi, si pone come il punto di maggiore evidenza e sintesi di quella capacità, essenziale per
l’identità di una comunità e per la capacità di attrazione di un luogo, di saper restituire con un valore aggiunto inconfondibile ciò che essa dall’esterno riceve. La mostra, infatti, non solo segna un punto fermo di studi e di avvicinamento al periodo della formazione, nonché all’ascesa dello scultore francese Auguste Rodin, ma rappresenta anche una conferma della
reale apertura internazionale che la città di Legnano ha dimostrato in questi ultimi dieci anni.
Quello che la città ha voluto e saputo creare nel corso di un decennio è un vero e proprio sistema dell’arte e della cultura
come motore della comunità, come fattore di identità e di sviluppo. Due grandi spazi espositivi recuperati, Palazzo Perego
e il Castello, opere scultoree disseminate in permanenza nei parchi, nelle piazze, nelle chiese, uno spazio espressamente dedicato alla creatività dei giovani artisti, una articolata collana editoriale, una rete sempre più ampia di partner che assieme alla
Amministrazione Comunale condividono l’impegno organizzativo ed economico per la produzione di oltre trenta mostre
personali e collettive di pittura, scultura, incisione, fotografia, sono la sintesi strutturata di questo impegno.
Dopo una serie di eventi dedicati alla pittura di maestri italiani fondamentali per la nostra storia, quali Gianfranco Ferroni,
Lucio Fontana, Alfredo Chighine, Aldo Bergolli, Leonardo Cremonini, Aligi Sassu, Carol Rama e alle aperture internazionali delle mostre di William Congdon, Georges Rouault, Käthe Kollwitz, Francisco Goya, Sebastian Matta, Willy
Varlin, James Ensor, Ipoustéguy, solo per citare alcune tra le tappe più significative, segue oggi un grande appuntamento
che celebra uno tra i più conosciuti e apprezzati artisti francesi della modernità.
Con l’esposizione di 120 pezzi tra sculture, disegni e dipinti inediti in Palazzo Leone da Perego, e con la presentazione di
un ciclo fotografico nel salone delle mostre della Banca di Legnano a opera di Bruno Cattani, il quale ritrae alcuni capolavori del maestro e di Camille Claudel, si rinnova con maggiore forza la decisione di portare la grande arte in luoghi che i
cittadini frequentano quotidianamente, assecondando di nuovo il disegno di eliminare quella distanza che si interpone tra il
visitatore e le istituzioni museali, non più templi sacri della custodia, ma luoghi quotidiani dell’abitare, spazi di incontro,
laboratori di un presente che proietti gli uomini e le donne della nostra città tra gli attori che ambiscono raccogliere, recitandovi un ruolo da protagonisti, le sfide e le opportunità che si preparano davanti a noi.
Non c’è presente per una comunità che non sappia raccogliersi attorno a un valore riconosciuto; non esiste benessere senza
la determinazione nel rendere a tutti partecipabile tale valore. Alla luce di ciò, l’augurio è che questa nuova tappa del percorso espositivo di Legnano ottenga il successo che merita, introducendo il grande pubblico all’arte e alla poetica di Rodin,
e che, ancor di più, possa alimentare quella volontà di conoscenza, quella sete di bellezza che è linfa vitale di ogni civiltà che
voglia poter guardare al futuro.
LORENZO VITALI
Sindaco della Città di Legnano
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ieci anni orsono, inaugurando Palazzo Leone da Perego quale sede espositiva con una mostra dedicata al pittore americano William Congdon compimmo un atto di fede. Una scommessa sulle nostre stesse capacità, sulla risposta della
città, sul successo di un lavoro che prendeva le mosse dalla volontà di indagare il mondo dell’arte a partire dall’ambizione,
umile ma consapevole, di offrire ai nostri visitatori un’occasione di riflessione e un momento di conoscenza.
Le numerose esposizioni che si sono susseguite stagione dopo stagione in Palazzo Leone da Perego e alla Pinacoteca del
Castello, hanno fatto della nostra città un vero e proprio modello cui guardare per l’elevata qualità delle stesse e per la determinazione nell’indagare in modo sempre nuovo e originale la poetica di autori di prestigio sia nazionale, che internazionale. Mostra dopo mostra, inoltre, si è maturata sempre più la consapevolezza che Legnano sia in grado di sostenere il confronto con le istituzioni europee, pronte a instaurare e sviluppare un fecondo dialogo con chi, nel tempo, ha saputo restituire un
valore aggiunto di rigore e di passione.
A dieci anni da quella prima esposizione, SALE celebra il proprio anniversario proponendo un evento unico dedicato al
genio di Auguste Rodin, un artista che ha segnato profondamente la storia dell’arte e la cultura occidentale rivoluzionandole dall’interno.
La mostra, intitolata «Auguste Rodin. Le origini del genio (1864-1884)», nasce da un’importante partnership tra il Comune di Legnano e il Musée Rodin di Parigi, una collaborazione che testimonia come la nostra città abbia saputo accreditarsi, in ragione del nostro costante impegno e del lavoro prezioso di Flavio Arensi, che da anni ci accompagna in questa avventura assumendosene la responsabilità scientifica, come un polo di riferimento nel panorama nazionale.
La mostra in onore di Rodin, che senza dubbio si può definire storica, segna una tappa fondamentale per la città di Legnano, da un decennio dedita con costanza e impegno alla crescita dei propri spazi, e, assieme a essi, alla valorizzazione di tutto
il territorio, attraverso proposte che vogliono lasciare una traccia, l’indelebile consapevolezza che il pensiero, proposto e condiviso, sia il più potente motore di trasformazione della realtà che ci circonda.
È il messaggio di una delle immagini simbolo della mostra: «Il pensatore», scultura che nacque dopo una lunga genesi creativa sviluppatasi attorno ad alcuni disegni del Buonarroti e alla statua di Lorenzo de’ Medici sistemata nella Sagrestia nuova
di San Lorenzo a Firenze, detta appunto Il Pensieroso per il suo atteggiamento meditabondo.
Sebbene più di un secolo ci separi dalla realizzazione di questo capolavoro scultoreo, l’immagine di un uomo completamente immerso nella meditazione e la volontà rodiniana di conoscere la propria interiorità, le proprie pulsioni e i propri aneliti,
ci invitano a indagare su temi che appartengono all’uomo di ogni tempo.
Coscienti che ogni spazio che si apra alla domanda è uno spazio conquistato alla libertà di tutti.
MAURIZO COZZI
Assessore alle Attività Culturali della Città di Legnano
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«Anche Rodin non si misurò subito con l’albero.
Iniziò dal seme, per così dire sottoterra».
Rainer Maria Rilke
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ueste parole, scritte dal poeta tedesco Rainer Maria Rilke nel 1903, illustrano perfettamente, e in modo sintetico, quelli che furono gli anni della formazione giovanile del celebre scultore francese. Allo stesso tempo rappresentano una
metafora efficace della capacità, che è un segno distintivo della nostra terra lombarda, di lavorare spesso lontano dalla luce
dei riflettori per poter, silenziosamente, produrre una ricchezza i cui frutti sono offerti al benessere di tutti.
La mostra che il Comune di Legnano dedica ad Auguste Rodin è, in tal senso, sorprendente ed esemplare.
Sorprendente che nel nostro Paese sino a oggi mai una mostra abbia indagato con ampiezza e rigore l’opera di uno dei più
grandi maestri della scultura.
Sorprendente anche la capacità del Comune di Legnano nel proporre oggi una mostra in grado di offrire un contributo decisivo, a livello internazionale, per lo studio degli anni di formazione dello scultore francese.
Esemplare il metodo: un percorso di dieci anni di ricerca e di esposizioni, perseguendo la certezza che l’arte e la bellezza siano
un fattore straordinario di conoscenza, fondamento di un sentire comune, radici di una civiltà.
Pertanto, a duecentosettanta anni dalla nascita del maestro parigino, l’indagine sulla poetica rodiniana delle origini è una
riflessione cui la Regione Lombardia guarda con il più grande interesse, con l’orgoglio e la consapevolezza che il contributo di dedizione, di intelligenza, di creatività appassionata fanno di questa terra un faro di opere e cultura per la comunità dei
popoli europei.
Attraverso questa mostra, anche in vista del grande appuntamento di Expo 2015, Legnano propone dunque un evento
unico e straordinario, che porta alla città un nuovo vento internazionale, lo stesso che soffiava nella Parigi di Rodin sullo
scorcio del XX secolo.
ROBERTO FORMIGONI
Presidente della Regione Lombardia
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«L’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale,
non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso
e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma,
al contrario, porta a un confronto serrato con il vissuto quotidiano,
per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello».
Papa Benedetto XVI
È
contenuto in questo messaggio che Benedetto XVI ha rivolto agli uomini di cultura nello scenario spettacolare della
Cappella Sistina nel novembre 2009 la ragione del sostegno della Provincia di Milano e dell’Assessorato alla Cultura
alla mostra che la città di Legnano, a Palazzo Leone da Perego, ha voluto dedicare a Rodin, in ragione della qualità e del
rigore scientifico di un evento che si pone tra i più significativi del panorama espositivo nazionale.
Proporre una mostra di Rodin equivale a rimettere al centro della riflessione il tema dell’arte come avventura della conoscenza.
Per chi come la Provincia considera il «policentrismo culturale» e la diffusione su larga scala dell’eccellenza la scelta fondante dell’Assessorato alla Cultura, questo evento diviene un tassello pienamente coerente di una strategia complessiva.
Il genio di Rodin a cui il titolo della mostra fa riferimento coniuga armonicamente arte, bellezza, ricerca di un senso profondo; non c’è altro genio se non quello del lavoro per riconnettere il nesso costitutivo tra bellezza e verità che sta a fondamento del pensiero dell’Occidente e dell’Europa. L’Italia che si appresta a celebrare i 150 anni dell’Unità, ha fondato sulla
cultura e sul sapere la sua genesi che nella storia delle idee precede la vicenda unitaria. Dante, Machiavelli, il Rinascimento
e prima ancora le cattedrali erette nel Medioevo, sono stati i veri precursori della nostra Nazione. La Cultura, specie se assurta a elemento di identità, origine e appartenenza, è il cemento più forte e saldo di un popolo e di una comunità organica.
La bellezza, per Rodin, non è mai stata disgiunta dalla ricerca continua di un senso profondo da attribuire all’arte e alla sua
espressione. L’esatto opposto di chi, invece, soprattutto oggi, confonde con l’arte la volgarità, la decadenza morale, la ricerca ossessiva dello scandalo, la derisione della religione o delle tradizioni.
La bellezza può ritrovare il suo posto tra gli uomini in virtù di un ricordo o di una nostalgia, non può esaurirsi solo nel sentimento, non può languire unicamente nel pensiero. Per la società contemporanea diventa essenziale che la bellezza possa
mostrarsi educandoci tutti, a partire dalle giovani generazioni, a riconoscere quanto di vero e di profondo è nascosto in una
mirabile opera d’arte e nella fatica umana.
NOVO UMBERTO MAERNA
Vice Presidente e Assessore alla Cultura della Provincia di Milano
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«C’è un solo modo per salvare i classici: smettere
di riverirli e utilizzarli per la nostra salvezza»».
José Ortega y Gasset.
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ostrare. L’azione di accompagnare lo sguardo di un altro su un oggetto. Ci sono, in sintesi estrema, due sole possibilità perché questo possa avvenire; perché il circuito triangolare io-altro-oggetto abbia una ragion sufficiente.
O l’oggetto è additato come feticcio oppure è agito come spazio di relazione.
Intercorre un antico legame tra immagine-scultura e feticcio, come, con eccezione del cristianesimo che, per il tramite della
incarnazione, ha coredento quella forma di rappresentazione che oggi chiamiamo arte dell’occidente, da millenni testimoniato dalla (giusta) diffidenza ostracizzante delle grandi religioni monoteiste.
Il feticcio richiede adorazione, impone una relazione feticistica. L’immagine si pone cioè come limite estremo del conoscere. La devozione all’oggetto gode dell’agognato ma illusorio beneficio della certezza positivista. È conoscibile, tutto. Nessun
oltre è postulato. Anzi il termine conoscenza si sovrappone totalmente al termine possesso. Una linea che attraversa tempo
e culture per affiorare come devozione. E come non riconoscervi le idolatrie dell’oggi?
Una devozione narcotizzante che chiede una fede cieca, privata della spina della domanda, e il baratto della salvezza, se la
salvezza, cioè la salute, anche psichica, si può definire, negativamente, nella impossibilità esser definita da un oggetto o, positivamente, come compimento del desiderio, con lo sciapo piatto di lenticchie di una percezione senza giudizio, senza verità, chiusa nell’orizzonte, melmoso, del gusto. Che ha come unico porto quel nichilismo che Friedrich Hölderlin aveva profeticamente espresso in forme liriche: «Ein Zeichen sind wir, deutungslos», siamo un segno che nulla indica.
Rodin, invece, programmaticamente, dichiara che «il corpo è un calco sul quale si iscrivono le passioni». Affermazione che
chiama in causa, usando i termini del contemporaneo De Saussure, un significante, il corpo, e un significato, la passione.
Esiste allora una costitutiva, e distintiva, virtù dell’uomo nella attitudine scavare nel varco impercettibile che si apre tra percepire e conoscere: mentre si percepisce ciò che si mostra alla vista, conoscere è cercare ciò che non è lì, è, in altre parole,
postulare l’invisibile.
Ma cos’è la passione, in ultima istanza, se non il permanere della traccia del tempo, del passato, se non anche del futuro,
sulla forma del presente, cioè sul qui e ora del corpo?
Non c’è forma senza passione. Il corpo modellato è la superficie immota che rivela il moto interiore. Ma l’origine della passione, ciò che suscita il moto, lo spasimo, la ferita, sta fuori dal corpo, abita la realtà.
Allora la scultura è, immediatamente, conoscenza del mondo dentro la ineliminabile strettoia della circostanza. Abbracciato a questa circostanza, inchiodato alla realtà, Rodin non persegue l’armonia ma la verità del tempo che scava, che toglie e
aggiunge, che rimodella in un perenne atto creativo la totalità dell’esistente.
La «Porta dell’inferno» socchiude i suoi battenti sulla città dolente. E cosa può essere la città dolente se non lo specchio della
fatica di un’esistenza scandita dal trascorrere di un tempo giunto alla metà del suo cammino (ci ricorderà ancora Rodin che
il gesto dell’uomo è camminare) e dunque nel rovello della scelta, nel travaglio della libertà? Lo stesso procedimento scultoreo di giustapposizione drammatica delle parti, nella forma di una scrittura e riscrittura perpetua, quale è quella dalla Porta,
pone in primo piano l’essenza del dramma, l’energia sotterranea della scultura. Il tempo. Pietre, gessi e bronzi anelanti al
movimento. All’atto di varcare una porta. Umanità torte nella incerta instabilità di ogni passaggio, corpi scossi da contrazioni, piegati da flessioni impreviste, sorpresi in scatti repentini per arrivare, alla fine, quasi a uno smembramento presago di
nuove possibilità. Una ricerca febbrile e mai finita degli stati emotivi, delle estreme pulsioni, inseguendo costantemente quell’essere delle cose che in quanto tale non appare, non ama mostrarsi ma sta piuttosto nascosto dietro il velo di Maya del dive-
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nire e che, originariamente, si trova solo nella domanda che pone l’uomo.
Per questo la scultura di Rodin, anche sul versante della tecnica, è un atto creativo, differenziandosi, in questo, dalle concezioni platoniche dell’amato Buonarroti. Dove il nucleo pulsante della scultura è ciò che Rodin chiama carattere, cioè quell’essenza che ogni parte concorre a definire e che, d’altro canto, potentemente le parti lega nella unitaria forma del corpo, centro focale di un fascio di relazioni che da esso irradia e che a esso vengono ricondotte.
Una scultura che abbia per oggetto le passioni è, necessariamente, palinsesto del tempo, è lo spazio della scrittura e del linguaggio; dunque luogo consacrato all’emergere a coscienza della relazione dell’uomo con la grande circostanza del mutamento, del suo essere nel mondo, bramando incessantemente ciò che non muta.
Così come nessun feticcio può fare. Gli eidola, le immagini, non danno salvezza perché alieni al dramma del divenire, muti
al pungolo della domanda. Senza l’incarnazione della verità nel vortice pericoloso del tempo, nell’esperienza del mutamento, si dà solo vuota astrazione: una verità vista da nessun luogo e da nessun tempo scivola sulla china sdrucciola dell’ideologia; è, in sostanza, una non verità.
Se una definizione della salvezza si attaglia alla inquietudine della statuaria rodiniana è quella di Maria Zambrano: «E
anche il tempo alla fine si trasfigura; non si deve mettere a tacere nulla, nessuna passione intralcia, niente di ciò che ci è stato
dato si deve annichilire».
CLAUDIO MARTINO
Dirigente Settore Cultura della Città di Legnano
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el 1880, quando gli viene commissionata la «Porta dell’inferno», Rodin, nato nel 1840, ha già quarant’anni. L’artista
è attivo nel disegno e nella scultura sin da giovanissimo, avendo terminato gli studi intorno al 1885 e lavorato da quel
momento in poi presso diversi atelier. Il Secondo Impero è una fase storica durante la quale la produzione artistica nell’ambito delle arti decorative conosce un incremento notevole, già avviatosi nel periodo precedente. Lo sviluppo delle arti in una
prospettiva estetica che predilige la decorazione, l’ornamento e l’eclettismo dei motivi per sottolineare a un tempo la gloria
dell’imperatore, la predominanza della Francia e il progresso della sua industria concorre, con il sostegno attivo della corte,
alla prosperità di numerosi atelier ornatisti. Sono quindi molto richieste le sculture che tradizionalmente oscillano tra monumentalistica, cariatidi, atlanti, mascheroni e oreficeria, nel solco celliniano; e Rodin non fa eccezione alla regola. Anche se
purtroppo molte opere realizzate in quest’epoca non si sono conservate in quanto anonime, è certo che la pratica manuale
acquisita grazie a questi lavori conferirà in seguito allo scultore una duttilità e una sicurezza impagabili. La malleabilità plastica, nel momento in cui deve fondersi con la maniera, imposta tanto dall’atelier (in particolare quello di Carrier-Belleuse)
quanto dal committente, si combina inoltre con l’elasticità intellettuale ed estetica. Questi anni di formazione che vedono
così l’artista operare in direzioni differenti e farsi, letteralmente, la mano in svariate tecniche, quali la pittura, la ceramica ecc.,
costituiscono un terreno molto fertile per le tappe successive del suo percorso. Durante il lungo soggiorno a Bruxelles, dove
Rodin si rifugia soprattutto per ragioni economiche, i lavori diversi a cui si dedica, dai piccoli busti decorativi ai décor d’architettura, permetteranno all’artista di maturare un’estetica che troverà i suoi esiti nelle opere che segnano allo stesso tempo
la fine della permanenza belga, come «L’età del bronzo» (1877) o il «Giovanni Battista» (1880), e l’inizio della sua effettiva carriera di scultore. La figura umana di grandi dimensioni, che consente di riunire e di esaltare tutti le doti principali
dello scultore, come la composizione o l’anatomia, rappresenta il raggiungimento di una meta ambita. La lezione di Michelangelo, che in quegli anni Rodin va in Italia a studiare, si ritrova nelle posture tormentate delle «Le tre ombre» o
dell’«Adamo», ed è nel proprio intimo che Rodin fa suo il processo creativo del grande maestro del Rinascimento italiano,
da lui ritenuto l’ultimo dei gotici. È anche un periodo in cui Rodin dipinge molto, ritrovando così la vocazione originaria.
I suoi paesaggi della foresta di Soignes, poco conosciuti, lo mostrano attento alle coloriture e agli effetti cromatici.
La polemica sollevata nel 1877 da «L’età del bronzo» sulla questione del calco dal vero è la prima di una lunga serie che
costellerà la parabola artistica di Rodin e in parte spiega l’amarezza dei suoi testi autobiografici. È però indicativa anche della
modernità che si affaccia nell’opera di Rodin, spesso resa manifesta in una mancata corrispondenza tra le aspettative del pubblico e l’evoluzione del suo lavoro, come testimoniano gli insuccessi in occasione di concorsi per monumenti pubblici, «La
Défense» o «Bellona», ad esempio. Ma è questa stessa modernità, colta negli ambienti più avveduti degli artisti e di una certa
critica, a consentirgli l’accesso alla committenza pubblica, insieme alla concessione di un atelier presso il Deposito dei
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marmi, un’istituzione statale, che permetteva agli artisti che vi avevano accesso di lavorare nelle migliori condizioni possibili. Da un punto di vista istituzionale, la commissione della «Porta dell’inferno» (1880) fa entrare Rodin nel giro degli artisti riconosciuti e pressoché ufficiali. Ed è inoltre il frutto della sua appartenenza a una cerchia di amici la cui influenza gli è
di grande giovamento, e che lui non manca di sollecitare, come dimostra la sua corrispondenza. Da un punto di vista artistico, l’evoluzione del suo lavoro grafico, in particolare, denota come Rodin, già in partenza molto versato nel disegno, essendo stato ammesso alla École des Beaux-Arts in questa sezione, si appropri di questo strumento ed elabori in quegli anni dal
1864 al 1884 una maniera propria. È precisamente questa fase, la genesi del grande artista, che la mostra intende presentare.
Una felice occasione, dunque, questa di Legnano, per valorizzare un periodo rimasto in ombra ma molto fertile, in cui prendono forma i grandi principi estetici che guideranno l’artista lungo tutta la sua carriera. Per quanto meno nota al grande
pubblico, l’opera elaborata in questi anni potrà sorprendere, anche se, a uno sguardo attento, già contiene tutte le premesse
dei lavori a venire. È perciò con particolare favore che il Musée Rodin di Parigi ha accolto la proposta da parte della città
di Legnano di questo progetto espositivo, che organizzatori e curatori hanno voluto essere di alta levatura. Grazie all’iniziativa e alla tenacia di Claudio Martino, Flavio Arensi e Ettore Greco, la collaborazione con il Musée Rodin si è svolta in un
clima fervido che senza dubbio contribuirà alla qualità di questa mostra.
DOMINIQUE VIÉVILLE
Direttore del Musée Rodin
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Sommario
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Le prugne e le frittelle. Ricordi di gioventù di Auguste Rodin
ALINE MAGNIEN
37
Les Limbes et les Syrènes. I primi disegni di Auguste Rodin
CATHERINE LAMPERT
59
«Ceci n’est pas un peintre». Qualche riflessione intorno alla produzione pittorica
di Auguste Rodin
BARBARA MUSETTI
77
La metamorfosi di un maestro nella sua genesi: Rodin nell’atelier di Carrier-Belleuse
JUNE HARGROVE
111
Verso Sud. Il Grand Tour in Italia secondo Rodin (1876)
BARBARA MUSETTI
123
Le arti decorative nella prima parte della carriera di Rodin
FRANÇOIS BLANCHETIÈRE
139
Le relazioni sociali di Rodin viste attraverso la sua corrispondenza (1871-1884)
FRANÇOIS BLANCHETIÈRE
163
Rodin prima dell’inferno
FLAVIO ARENSI
185
Opere esposte
194
Cronologia
VÉRONIQUE MATTIUSSI
196
Bibliografia essenziale
Fig. 2. Auguste Rodin, Porta dell’inferno, 1880-1890.
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1. Auguste Rodin, Studio di nudo maschile barbuto, 1854-1857.
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Le prugne e le frittelle. Ricordi di gioventù di Auguste Rodin
ALINE MAGNIEN
A
uguste Rodin nasce alla fine del 1840 in una famiglia modesta, in cui nulla sembrava predestinarlo alla vita artistica1. Tuttavia, come lui stesso sottolinea in apertura dei Souvenirs de jeunesse, pubblicati da Dujardin-Beaumetz nel
1913: «Già da bambino, sin dove arrivano i miei primi ricordi, disegnavo. Un droghiere dal quale mia madre si serviva
avvolgeva le prugne secche in cartocci fatti con le pagine di libri illustrati, persino di stampe. Io le copiavo. Furono i miei
primi modelli»2. Molto tempo prima, nel 1887, Rodin aveva evocato con il giornalista americano Truman Howe Bartlett il ricordo delle frittelle dalle forme fantastiche che sua madre aveva cucinato per lui quando aveva cinque anni, e che
gli avevano fatto venir voglia di realizzare delle figurine umane con la pastella da friggere. Il commento è tipico della funzione di questi aneddoti: «With Auguste, his first attempt at making anything was curiously characteristic of his maturer years»3. Gli omini-frittella assumevano posture tanto particolari che divertivano il bambino, «besides indelibly impressing upon the latter’s memory his first sight of the extraordinary movements that even a dough man could be made to go
through. The reader will see, in the course of this narrative, that size and movement of figure are fundamental facts in
Rodin’s nature»4.
Questi aneddoti pongono in evidenza il talento innato, la povertà dei mezzi a disposizione, la potenza al tempo stesso del
richiamo dell’arte e, in modo premonitorio, l’opera futura. Nessuno, per quanto si sappia, ha mai messo in dubbio la
veridicità di questi racconti, e nulla lascia pensare che siano propriamente falsi; ma sappiamo bene come si debba diffidare dei racconti sull’infanzia degli artisti, rientranti molto spesso nel medesimo filone della «leggenda aurea», e anche la
lettura che qui se ne dà, nelle parole di Bartlett, ci induce a considerarli con sospetto. In un registro familiare e domestico confacente alla sua epoca, Rodin ritrova in effetti un certo numero di elementi mitologici che Otto Kurz ed Ernst Kriss
hanno di recente sottolineato5: innatezza e precocità della vocazione artistica, che si esprime con impellenza malgrado un
contesto poco favorevole, valenza in termini di presagio e di prefigurazione di questi aneddoti, ruolo del caso nell’ispirazione visiva. Con i pupazzi di pastella da friggere, non siamo molto lontani dalle «images made by chance», immagini
create dal caso, care al Rinascimento6.
Una delle finalità di questo saggio è dunque quella di interrogarsi sulla genesi dell’artista che fu Rodin, così come lui
stesso l’ha espressa, e di comprendere, al di là dei fatti che possiamo conoscere, che cosa rappresentò per lui questa nascita
del proprio «sé» di artista. Mito e realtà si confondono, tant’è vero che Rodin, in modo del tutto particolare, ha ricostruito
la propria vita e il proprio itinerario7. In ciò si deve presupporre l’influenza di una lettera programmatica scrittagli dal
padre, che menziona a più riprese la morte di Auguste, allora ventenne, e l’eternità futura, in un testo che sottintende
l’idea «il re è morto, viva il re», e che trasmette una visione eroicizzata dell’artista, in questi termini: «Che un giorno a
venire si possa dire di te, come dei grandi uomini, che l’artista Auguste Rodin è morto, ma vive per la posterità presente
e futura. È così che dopo la morte la vita continua. È così che la storia ci fa vivere nei secoli venturi. Coraggio, coraggio,
e che la posterità vi renda omaggio. Auguste Rodin non c’è più, ma esiste nei nostri cuori e non è morto. Viva l’artista» 8.
Se l’impiego del termine ha perso il suo alone di novità, e se la sua definizione si è senza dubbio evoluta moltissimo nel
XX secolo, occorre tuttavia ricordare che la parola «artista» 9 ha richiesto parecchio tempo perché fosse applicata a un pittore, e ancora di più a uno scultore10.
Come scrive lo stesso Rodin, il suo fu il percorso di un artigiano verso la libertà dell’artista 11, di un individuo inscritto in
un determinato contesto sociale che va poi a situarsi al di fuori di qualunque gerarchia 12, e che si è fatto da sé per merito
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2. Auguste Rodin, Studio di nudo maschile barbuto, 1854-1857.
3. Auguste Rodin, Studio di nudo maschile barbuto, 1854-1857.
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Fig. 3. Auguste Rodin, Ragazzo che scrive appoggiandosi
sulle ginocchia, prima del 1870.
Fig. 4. Edward Steichen, Ritratto di Rodin, 1907.
e per mezzo della sua opera. In questa costruzione, conta tanto il racconto, che sia orale, scritto e più spesso retrospettivo,
quanto il modo in cui l’artista si rappresenta o si lascia rappresentare attraverso le fotografie che lo ritraggono 13.
Questo intervento si basa principalmente su alcuni specifici testi e documenti, peraltro piuttosto rari: una nota indirizzata a Gaston Schéfer nel 1883, destinata a un articolo che quest’ultimo si riproponeva di scrivere nel 1884, e che non è mai
stata resa pubblica14; la lunga intervista rilasciata al giornalista americano Truman H. Bartlett nel 1887, pubblicata nel
188915; infine, una nota del 1906 destinata all’Accademia di Belle Arti di Berlino 16. La prossimità di Rodin rispetto a
questi testi è molto marcata, mentre è meno evidente in quelli di Paul Gsell o di Dujardin-Beaumetz, pur essendo anche
questi ultimi degni di nota17. Le fotografie e i ritratti di Rodin delineano in parallelo un’evoluzione della sua immagine
che qui non sarà che tratteggiata in filigrana (figg. 3-5, 9).
Il testo più datato, indirizzato a Schéfer, molto breve e accompagnato da una ancor più breve lettera di presentazione, si
inserisce in quello «spazio autobiografico» che si sviluppa nella seconda metà del XIX secolo18. In questa nota, avvalendosi della terza persona, Rodin si autodefinisce «l’artista», cosa che forse rappresenta a un tempo un’affermazione, il segno
di uno sdoppiamento e la traccia di questa genesi di un «altro», diverso dall’uomo reale, secondo un’idea che già rispecchiava la lettera scritta da Jean-Baptiste Rodin al figlio. Nella nota del 1906, al contrario, la narrazione è in prima persona, e l’artista vi rivendica il suo passato di artigiano: «Non sapevo quello che so ora, ovvero che l’ornamento non è meno
nobile della figura umana o animale», anche se richiama le sue frequentazioni, nel 1883, del «mercato dei cavalli», di cui
sono testimonianza tele e disegni19 (tav. 7).
Una delle costanti di questi testi è il loro mettere in luce un’eccezionale capacità di apprendimento e di comprensione:
a quindici anni, «so già disegnare, ma capisco immediatamente ciò che un allievo più anziano di me mi dice sul modo
di far emergere i contrasti di una figura, una settimana e mi è tutto chiaro»20; la sinteticità e la formulazione tendono
quasi a dare di Rodin l’immagine di un autodidatta, inoltre, elemento che ricorre a più riprese nei suoi racconti, l’artista non si riconosce alcun maestro21. Questa capacità di autoformazione, già percepibile nell’episodio dei fogli di carta
del droghiere, è, secondo Bartlett, una delle caratteristiche e uno dei punti di forza di Rodin: «In that expression [I don’t
want any professors] he summed up himself, without knowing it, as able to exemplify in the years to come one of the
profoundest facts of individual art progress - the capacity to go alone [...] and in debt to no human professional influence»22. Si ritrova qui, del resto, un topos molto antico che risale, attraverso l’intermediazione di Plinio il Vecchio, sino
al retore Duride di Samo, e che Vasari riutilizzerà23. Questa rivendicazione è ricollegabile al «diventare celebre senza
un maestro», idea che implica la forza del destino a cui sottostà l’eroe dell’aneddoto, il quale viene così a inscriversi nel
contesto accademico del XIX secolo richiamandosi al tema romantico dell’artista maledetto e solo24. Indicativo è a questo riguardo il caso di Barye, presso il quale «va per pochissimo tempo», Barye «l’uomo dal genio ancora incompreso,
grande come i più grandi»25.
Una delle caratteristiche che denotano l’artista, a differenza dello scultore ornatista, è il saper padroneggiare la figura. Il
termine ritorna a più riprese: «La figura che avevo studiato e compreso», «Entro da Carrier-Belleuse dove faccio anche
figura»26. Per comprendere a fondo l’insistenza di Rodin, occorre tener presente la valorizzazione estrema della figura
umana in un sistema in cui la gerarchia dei generi è molto importante. Se, in ambito pittorico, il dipinto storico occupa
da tempo il primo posto, la figura (umana, qui si intende) domina la gerarchia della scultura. La «figura» è quindi la
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4. Auguste Rodin, Studio di nudo maschile di fronte, 1855-1860.
5. Auguste Rodin, Studio di nudo maschile da tergo, 1855-1860.
6. Auguste Rodin, Studio di nudo maschile con bastone in mano, 1854-1857.
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scultura «pura», slegata da incarichi commerciali come decorazione e ornamento, e che, di conseguenza, consacra l’artista. Questa opposizione si trova abbozzata sin dal 1883, quando Rodin menziona i suoi lavori a Bruxelles o ad Anversa per il monumento a Loos, quando conclude dicendo: «E questo rappresenta un bagaglio considerevole di figure decorative»27.
Ma la figura, «L’età del bronzo», è «pressoché rifiutata», come già lo era stato «L’uomo dal naso rotto», o quanto meno
«collocata male». È evidente come Rodin costruisca il suo testo e la sua storia in base a una retorica del rifiuto e della rivincita: «L’uomo dal naso rotto» «è rifiutato dal Salon», ma sir Frédéric Leighton «l’ha messo nel suo atelier», allo stesso
modo di una quindicina di artisti, tra i quali «Cazin, Lhermitte, Léopold Flameng» 28 (tav.16).
L’accusa di calco dal vero, sollevata nel 1877 in merito a «L’età del bronzo», per offensiva che possa esser stata, si ricollega tuttavia a un altro tema della letteratura artistica, quello dell’artista divino, capace come Pigmalione di creare un’opera vivente; come Zeusi, di imitare così bene la natura che gli uccelli vanno a becchettare i chicchi d’uva o, meglio ancora, capace come Parrasio di ingannare lo stesso Zeusi grazie a una cortina dipinta a trompe-l’œil 29. Occorre sottolineare
che, se le malelingue del circolo artistico che esponeva l’opera avevano formulato tale ipotesi, l’articolo dell’«Étoile belge»
che, citandola, aveva dato fuoco alle polveri, era però di tono molto encomiastico. Ma, coscientemente o meno, le lettere
di sostegno che Rodin sollecita ai suoi amici belgi, l’incisore Gustave Biot o lo scultore Antoine Félix Bouré (e di cui del
resto loro stessi si stupiscono), contribuiscono a far montare l’affaire30. La polemica si volge a vantaggio di Rodin, perché
se si è in grado di modellare in un modo simile, come ricorda Bartlett, si è anche al di sopra di tutti gli altri 31: secondo un
ricorrente schema narrativo, ciò che era cominciato male si ribalta poi in una vittoria, per questo tanto più eclatante.
In questi testi, emerge costantemente l’opposizione fra il mondo degli «arrivati» e quello di gioventù, opposizione della
quale Rodin diventa il portabandiera: «Il genere dell’artista è una condanna emessa dai suoi professori» 32, rivendicazione
confermata quando afferma: «È rifiutato dalla scuola di Belle Arti (grande fortuna)» 33. Ma, prosegue Rodin, «allievi, studiosi, indipendenti amano la figura»34. Non si può fare a meno di considerare tutte le connotazioni attribuite al termine
«indipendente» nella seconda metà del XIX secolo35. Un’indipendenza che si sposa con l’audacia: le decisioni del sottosegretario di Stato alle Belle Arti, Edmond Turquet (l’acquisto dell’«Età del bronzo» e del «San Giovanni Battista», la
committenza della «Porta dell’inferno» nel 1880) si pongono quindi sotto questo segno: costui «osa», dice Rodin a più
riprese, «crede nell’artista»36 (fig. 8)
Il medesimo rifiuto accademico viene sottolineato per quanto concerne il «San Giovanni Battista»: «Tendenza giudicata sempre negativa dal punto di vista di coloro che sono arrivati, e che ne saranno demoliti, ma apprezzata dai giovani e
da coloro che vanno verso l’espressivo»37. «L’artista», dice Rodin di se stesso, «pensandosi sempre solo, non scoraggiato
da una tale ingiustizia, va avanti»38. Senza dubbio, nelle figure del «San Giovanni Battista», non si può non vedere una
rappresentazione dell’artista, uomo che cammina e predica nel deserto. Anche «L’uomo dal naso rotto» è una sorta di
autoritratto, non fosse che per via della somiglianza con Michelangelo39. Questa idea d’ingiustizia è ricorrente. Nel 1906,
sarà nuovamente messa in evidenza da Rodin nella sua nota: «La giustizia non è mai stata dalla mia parte, e tutti i miei
sforzi sono stati misconosciuti come le mie opere», «Bisogna giungere ad anni recenti perché mi venga resa giustizia da
paesi stranieri». Se a Parigi si mostra un timido segnale di giustizia, «un germe di questa giustizia», viene poi «sempre
ritirata»40. Questa amarezza, nel momento che, dopo il 1900, Rodin è considerato il massimo scultore vivente, echeggia
ferite non ancora guarite del tutto, come quella dell’insuccesso del «Balzac», rifiutato nel 1898 41. Occorre tuttavia sottolineare che, nel 1887, Bartlett scrive: «He is one of the greatest artists that France has ever produced, and has be so ranked
by the best art judges in the world»42.
Al contesto ufficiale dei Salon e dei «professori», Rodin oppone quello dell’atelier, luogo di creazione e di verità artistica43, in cui l’uomo dal naso rotto trova il suo posto, e luogo di ritrovo del gruppo, nel quale si augura (forse per compensare una mancanza) di essere riconosciuto, e il cui valore esprime in questi termini: «Ormai l’artista ha un gruppo intorno a sé, ormai la sua reputazione è costruita, piccola e negli atelier, e andrà lontano» 44.
Il racconto pone dunque in evidenza la lotta, sostenuta non tanto per sbarcare il lunario quanto per l’affermazione di un
percorso individuale45: «Ho sempre avuto un mio atelier in cui lavoravo la domenica, e la sera e la mattina quando mi
era possibile». Un percorso certamente più difficile da trovare nella misura in cui si è «senza pensione e senza mezzi». La
commissione della «Porta dell’inferno», che Rodin non menziona nel testo del 1906 ma che commenta nel 1883, rappre22
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7. Auguste Rodin, Cavallo, 1864.
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Fig. 5. Anonimo, Ritratto
di Rodin con un berreto
e un abito macchiato,
1880 circa.
Fig. 6. Stephen Haweis
e Henry Coles, Ritratto di
Rodin con un toque nero,
1903-1904.
Fig. 7. Edward Steichen,
Rodin, la mano destra
nella barba, 1907.
senta quindi il modo per conquistare questa libertà: «Felice di potersi liberamente dedicare alla scultura come ha desiderato per tutta la vita, lavora con la fortuna degli artisti d’altri tempi» 46. L’affermazione è tanto più sorprendente se si considera che gli «artisti d’altri tempi» hanno lavorato, come se non di più degli artisti romantici e degli artisti del XIX secolo, in un sistema di costrizioni. Peraltro, la «Porta» è un elemento architettonico decorativo, legato a una struttura che,
pur non avendo mai visto la luce, comunque costituisce a priori una costrizione e non una libertà. Tuttavia, Rodin
ormai lavora in proprio, e a suo nome. In questa occasione ottiene anche un atelier finanziato dallo stato, in rue de l’Université, privilegio che manterrà per tutta la vita, ed entra a far parte della cerchia di artisti che beneficiano di committenze pubbliche.
Nei suoi racconti, stupisce in effetti osservare lo scarto tra i fatti in sé e per sé e il modo in cui sono stati vissuti da Rodin,
attraverso la restituzione che ne viene compiuta. Certo, agli esordi la sua carriera non sarà stata delle più prestigiose, e lo
smacco alla École des Beaux-Arts sicuramente molto doloroso47, ma nel 1887 ha ricevuto la Legione d’Onore, un riconoscimento attribuito solamente a circa un quinto degli artisti48. All’epoca ha 47 anni, quasi 48, dato che il conferimento reca la data del 31 dicembre 1887. A titolo di confronto, Jean-Jacques Henner (1829-1905), pittore, insignito del
Grand Prix de Rome, quindi con una carriera ufficiale che può essere raffrontabile, ottenne la Legione d’Onore il 1 °
novembre 1875, cioè a 46 anni. Rodin è nominato ufficiale della Legione nel 1887, commendatore nel 1898 e grand’ufficiale il 9 aprile 1903. Nel maggio 1906, all’epoca in cui redige questo testo (che non sarà mai inviato) per l’Accademia
di Berlino, dove è stato eletto il 20 aprile 1906, a Praga gli è stata dedicata una mostra con la quale l’associazione artistica ceca Manes ha voluto consacrarlo, e in occasione della quale è ricevuto come un capo di stato 49.
Rodin rievoca poi, in questi testi, la monotonia della propria vita («ecco com’è monotona la mia vita»), insieme ai
«pazienti studi»50 che sin dalla giovinezza sono per lui motivo di gioia, ed è su questo aspetto che vorrei concludere. È
interessante, in effetti, notare la presenza di questo elemento, che emerge poco dopo l’«artista scoraggiato», come si descrive nella nota del 1883. Rilke, in una lettera del 1908, ricorda a Rodin fino a che punto gli sia debitore per avere imparato questa virtù della pazienza, elevata dai Padri della chiesa a una delle maggiori virtù del cristianesimo, per la sua forte
vicinanza alla virtù teologica della speranza e perché permette di sopportare tutte le oppressioni 51. L’artista vi appare quindi come Giobbe (il «paziente assoluto»), esposto all’ostilità del mondo, ma anche confortato nella propria dimensione cristica.
Nei testi presi in esame, in cui prevale l’idea dell’ingiustizia, Rodin e i suoi interlocutori hanno dunque integrato questo
nuovo aspetto del XIX secolo, che il genio sia per forza incompreso, divenendo così portavoce del fatto che «nella loro lotta
contro l’Accademia, i pittori (e particolarmente i “rifiutati”) potevano fare affidamento su tutto il lavoro di invenzione
collettiva (cominciato con il Romanticismo) della figura eroica dell’artista in lotta, un ribelle la cui originalità si misura
in base all’incomprensione della quale è vittima o dello scandalo che suscita» 52. Il genio non sta quindi solamente nel creare un’opera, bensì nel creare se stesso.
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8. Auguste Rodin, D’après «L’infanzia di Bacco» di Poussin, 1860 circa.
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10. Auguste Rodin, Jean-Baptiste Rodin, 1860.
9. Auguste Rodin, Jean-Baptiste Rodin, 1860.
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11. Auguste Rodin, Pierre-Julien Eymard, 1863.
12. Auguste Rodin, Ritratto di Rose Beuret, 1865.
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13. Auguste Rodin, Ragazza che ascolta, 1875.
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14. Auguste Rodin, Ragazza con cappello guarnito di margherite, 1865-1870.
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Fig. 8. Auguste Rodin, Jules Dalou, 1883.
Fig. 9. Gertrude Käsebier, Rodin davanti alla «Porta
dell’inferno», la mano sinistra sulla testa del Barone
d’Estournelles de Constant, 1905.
15. Auguste Rodin, L’uomo dal naso rotto, 1874-1875.
1
A ben vedere, nella sua parentela ci sono tuttavia dei legami con il
mondo delle arti: una delle sue zie materne lavorava presso il compositore
François Auber e un’altra presso Michel Martin Drolling, professore alle
Belle Arti (R. BUTLER, La solitude du génie, Parigi 1998, p. 13). Uno zio
acquisito, Jean Stanislas Coltat, fabbricava medaglie e oggetti religiosi.
2
Souvenirs de jeunesse, in E. DUJARDIN-BEAUMETZ, Entretiens avec Rodin,
Parigi 1913, p. 111.
3
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, sculptor (1889), in A. ELSEN, Rodin.
Readings on his Life and Work, Englewood Cliffs, NJ 1965, pp. 13-190
(«Nel caso di Auguste, è curioso che il primo tentativo di dare forma a
qualcosa fosse così in attinenza con i suoi anni più maturi»). Il brano prosegue: «When he was five years of age, his mother was one day frying
some cakes, the dough of which was first rolled thin, like pie crust, and
then cut up into various fantastic forms, before it was dropped into the
boiling fat. These fanciful forms attracted the boy’s attention, and he
asked his mother to let him make some men to fry» («Quando aveva cinque anni, un giorno osservò sua madre mentre preparava delle frittelle,
con un impasto sottile, come la pasta di una crostata, dal quale, prima di
immergerlo nel grasso bollente, ritagliava dei pezzi sagomati in vario
modo. Queste forme fantastiche attrassero l’attenzione del bambino, che
chiese alla madre di lasciargli fare delle figurine umane da friggere»).
4
Ibid., p. 17 («Inoltre si impresse indelebilmente nella memoria di
quest’ultimo la prima volta che vide gli straordinari movimenti che anche
un omino di pasta poteva essere indotto a fare. Il lettore vedrà, nel corso di
questo racconto, che dimensione e movimento della figura sono elementi
fondamentali nella natura di Rodin»).
5
O. KURZ ed E. KRISS, La Légende de l’artiste, Parigi 2010.
6
H. W. JANSON, The «image made by chance» in Renaissance Thought, in M.
MEISS (a cura di), De artibus opuscula XL. Essays in honor of E. Panofsky,
New York 1961, vol. I, pp. 254-266. Lo stesso Rodin è un estimatore del
caso: «Una frattura è sempre opera del caso; o il caso è assai artista», in Les
Cathédrales de France, citato in P. JUNOT, Rodin et les métamorphoses d’Icare, in ID., Chemins de traverse. Essais sur l’histoire des arts, Losanna 2007, p.
349, nota 76.
7
Cfr. J. HOLDERBAUM, Portrait sculpture, in P. FUSCO e H. W. JANSON (a cura di), The Romantics to Rodin, French Nineteenth-Century Sculpture from North American Collections, Los Angeles 1980, pp. 36-52.
8
Citato in R. BUTLER, La Solitude du génie cit., pp. 17-18.
9
In italiano nell’originale [N.d.T.].
10
Ricordiamo che occorre attendere la fine del XVIII secolo e il Dictionnaire des artistes del 1776 dell’abate de Fontenay per vedere il termine utilizzato nella sua accezione moderna, cfr. M. WASCHEK, Introduction aux actes
du colloque, in Les «Vies» d’artiste, Parigi 1996, p. 17.
11
«In breve, ho cominciato come artigiano, e in seguito sono divenuto
artista. È il metodo migliore, il solo», citato in C. JONES, Formation d’un
sculpteur, in F. BLANCHETIÈRE (a cura di), Corps et décors. Rodin et les arts
décoratifs, catalogo della mostra (Musée Rodin, Parigi, 16 aprile - 22 agosto 2010), Parigi 2010, p. 6.
12
In una lettera del 16 agosto 1860 indirizzata a sua zia, Rodin parla dello
zio, Paul Hildiger, muratore o intonacatore: «Gli dirai che il bambino di
allora ha una condizione simile alla sua, dato che conosce il gesso molto
a fondo, essendo una delle cose della [sua] professione, per cui possiamo
ben dire di avere qualche analogia, considerando i nostri camici imbrattati e bianchi di gesso», Correspondance, t. 1, p. 23.
13
Queste ultime non presentano mai il carattere spontaneo delle fotografie
attuali; si sa peraltro che anche le foto per i documenti d’identità venivano elaborate in funzione del loro uso.
14
Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, Ms 2971-II, corrispondenza G. Schéfer.
15
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor cit., passim.
16
Nota autografa conservata presso la Princeton University Library, Rare
Books and Special collections (Fascicolo Rodin, folio 4), pubblicata per
esteso in C. KEISCH, Rodin dans l’Allemagne de Guillaume II, Parigi 1998,
pp. 103-104.
17
P. GSELL e A. RODIN, L’Art, Parigi 1911 ed E. DUJARDIN-BEAUMETZ, Entretiens avec Rodin cit.
18
P. LEJEUNE, Je est un autre, Parigi 1980, p. 69. Schéfer si era specializzato in queste biografie letterarie.
19
C. KEISCH, Rodin dans l’Allemagne de Guillaume II cit., p. 103.
20
Ibid.
21
Secondo T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor cit., p. 13, «L’età
del bronzo» al Salon del 1877 recava la dicitura: «Pupil of Messrs. Barye
and Carrier-Belleuse» («Allievo dei Signori Barye e Carrier-Belleuse»).
Tuttavia, lo stesso autore riferisce la dichiarazione di Rodin alla madre: «I
don’t want any professors. I can work it through alone» («Non voglio
professori. Posso farcela da solo»), ibid., p. 18.
22
Ibid. («In quell’espressione [non voglio professori] egli riassume se stesso, senza saperlo, nonché la capacità di incarnare, negli anni a venire, uno
degli aspetti più profondi del progresso artistico individuale: la capacità di
farcela da solo [...] e senza essere in debito nei confronti dell’influenza
professionale di nessun’altro»).
23
Uno dei casi più conosciuti è quello di Giotto, pastorello scoperto da
Cimabue, exemplum di cui il XIX secolo andrà molto ghiotto.
24
Cfr. O. KURZ ed E. KRISS, La Légende de l’artiste cit., pp. 30-31.
25
Nota a G. SCHÉFER, 1883.
26
C. KEISCH, Rodin dans l’Allemagne de Guillaume II cit., p. 103.
27
Nota a G. SCHÉFER, 1883.
28
Ibid. Su «L’uomo dal naso rotto», rifiutato al Salon del 1865, cfr. R.
BUTLER, La solitude du génie cit., pp. 33-34: come ricorda l’autrice, è al
Salon del 1865 che l’«Olympia» di Manet sollevò scandalo.
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Ingannare il proprio rivale vale di più che ingannare gli uccelli; questo
paradigma della rivalità si ritrova nella lettera di A. Bouré, che oppone
l’ignoranza degli artisti belgi, facili dunque da ingannare, alla finezza dei
circoli parigini, LAS, 15 aprile 1877, AMR.
30
Cfr. Biot, 26 aprile 1877, AMR: «Trovo strano che a Parigi sia necessaria un’attestazione come quella che mi richiedete», e aggiunge: «Voi arriverete, malgrado tutto, e chissà che tutto questo scalpore di oggi non possa
essere una fortuna per voi». Bouré, 15 aprile 1877, AMR, è anche più stupito e definisce la cosa un «increscioso contrattempo» che sarà presto
dimenticato. La lettera di sostegno dei francesi arriva più tardi, nel 1880:
cfr. Correspondance, t. I, p. 53. La lettera è firmata da Dubois, Falguière,
Carrier-Belleuse, Chapu, Chaplain, Thomas e Delaplanche.
31
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor cit., pp. 13-14: «If it is not a
cast from nature, he who made it is stronger than we are» («Se non è un
calco dal vero, chi lo ha fatto è migliore di noi»).
32
Nota a G. SCHÉFER, 1883.
33
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor cit., p. 19, attribuisce a
Dalou l’affermazione secondo cui la scuola «would have killed [him]»
(«lo avrebbe ucciso»). Su questa modernità incarnata da Rodin, si veda
la testimonianza di uno scultore sconosciuto citata da Bartlett, ibid., pp.
41-42.
34
È per mantenersi su questa posizione che Rodin depenna l’annotazione
che «l’Età del bronzo all’esposizione del Belgio ha avuto la medaglia
d’oro»? (nel 1880), per spostarla però più avanti, in realtà, cfr. nota a G.
Schéfer, 1883. Per dettagli sull’accoglienza tributata a «L’età del bronzo»,
cfr. T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor cit., p. 15. Secondo quest’ultimo, «L’età del bronzo» dovrà, agli occhi di Rodin, «to answer to
himself as to whether fate had forever destined him to be a workman or
would not possibly reveal to him that he was an artist» («dargli una risposta sull’essere stato destinato dal fato a essere per sempre un operaio oppure rivelarlo come artista»), p. 14.
35
Nel 1889, G. GEFFROY, Le Statuaire Rodin, in «Les Lettres et les arts»,
settembre 1889, p. 289, menziona «la viva aria di indipendenza»» che
caratterizza Rodin. Il primo Salon des Indépendants apre nel 1884.
36
L’aver raggiunto una posizione di potere consente a Turquet di commissionare opere anche a Dalou, di cui conosceva il lungo esilio a Londra.
37
Nota a G. SCHÉFER, 1883.
38
Ibid.
39
M. KUHLEMANN, Tête d’expression: Physiognomisches Ausdrucksideal und
abstraktes Bildnis, in K. VATSELLA e A. PFEIFFER (a cura di), Rodin und
die Skulptur im Paris der Jahrhundertwende, catalogo della mostra (Paula-
Modersohn-Becker Museum, Brema, 27 febbraio - 21 maggio 2000; Städtische Museen, Heilbronn, 16 giugno - 1° ottobre), Brema 2000, pp. 136145. «La tradizione di autoritrarsi come artista geniale e incompreso deriva da Michelangelo, Delacroix e infine Rodin (che espose la maschera
dell’“Uomo dal naso rotto” con il titolo “Maschera di Michelangelo”)»,
ibid., p. 143.
40
C. KEISCH, Rodin dans l’Allemagne de Guillaume II cit., p. 104.
41
Commissionato nel 1891 dalla Société des Gens de Lettres, il «Balzac»
presentato nel 1898 è oggetto di un violento rifiuto, cfr. A. LE NORMAND-ROMAIN (a cura di), 1898. Le Balzac de Rodin, catalogo della
mostra (Parigi, Musée Rodin, 16 giugno - 13 settembre 1998), Parigi
1998.
42
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor cit., p. 16. («È uno dei più
grandi artisti che la Francia abbia mai prodotto, e considerato tale dai
migliori critici d’arte del mondo»).
43
Si ricordi anche che, nel 1863, Napoleone III aveva creato il Salon des
Refusés. Per il ruolo occupato dall’atelier nell’arte e nella letteratura del
XIX secolo, cfr. la sintesi di P. JUNOT, L’atelier comme auto-portrait, in ID.,
Chemins de traverse, cit. pp. 285-304. Questa opposizione è rilevata da T.
H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor cit., pp. 41-42.
44
Nota a G. SCHÉFER, 1883.
45
Nel 1860, Rodin scrive a sua sorella Maria di avere cinque franchi al
giorno.
46
Citato in C. KEISCH, Rodin dans l’Allemagne de Guillaume II cit., p. 106,
nota 346.
47
Cfr. ad esempio A. BOIME, The Academy and French Painting in the Nineteenth Century, II ed., New Haven 1986.
48
N. HEINICH, Etre artiste. Les Transformations du statut des peintres et des
sculpteurs, Klincksieck, Parigi 1996, p. 30.
49
C. KEISCH, Rodin dans l’Allemagne de Guillaume II cit., p. 99.
50
Ibid., p. 104.
51
LAS di Rainer Maria Rilke a Rodin, 9 dicembre 1908, AMR: «Sempre
di più ricorro a questa pazienza che mi avete insegnato con il vostro esempio tenace; questa pazienza che, sproporzionata alla vita ordinaria che
sembra imporci la fretta, ci pone in relazione con tutto quello che ci supera».
52
P. BOURDIEU, Les Règles de l’art, Parigi 1992, pp. 192-193. Anche il
suo amico O. Mirbeau si colloca a tutti gli effetti in questo registro, cfr. la
sua corrispondenza con Rodin e i suoi articoli critici: O. M IRBEAU, Correspondance avec Auguste Rodin, a cura di P. Michel e J.-F. Nivet, Tusson
1988, passim.
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16. Auguste Rodin, L’uomo dal naso rotto, 1864.
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17. Auguste Rodin, Uomo nudo a cavallo, 1880-1882 circa.
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Les Limbes et les Syrènes. I primi disegni di Auguste Rodin
CATHERINE LAMPERT
VARIAZIONI SUL TEMA
Se riunissimo le svariate centinaia di disegni eseguiti da Rodin prima, all’incirca, del 1887 e li sfogliassimo come pagine
di un album, sarebbe molto difficile presagire, da questa sola evidenza, la genesi di un grande artista. La suggestione che
se ne ricava è quella di un individuo ossessivo la cui immaginazione «vive» attraverso il disegno. La figura nuda disadorna, il suo principale soggetto, è introdotta nel regno del bidimensionale slegata da un contesto specifico, una situazione
quasi impossibile da replicare in scultura, almeno per come si praticava all’epoca. Come l’aria, il foglio bianco è una
sorta di invito per immagini indeterminate, perennemente mutabili, sfondi simili a nebulose, vapori o altre indicazioni di
un territorio primigenio, ultraterreno, un luogo svincolato da gravità, tempo o interpretazione.
Nei primi anni di Rodin, i tipi umani derivano dal lessico preferenziale dei suoi datori di lavoro, artefici di una scultura decorativa destinata a un mercato mondano. I corpi sono sempre impersonali, e gli uomini dalla muscolatura possente e le donne flessuose spesso sono colti in situazioni del tutto innaturali, come un «Cavaliere che regge un bacile» o una
donna che sorregge in alto numerosi bambini, diventando una metafora, «Tempo di primavera». Ancora nel 1876 troviamo quattro giganti contorti ridotti a fungere da piedistallo per una jardinière (il «Vaso dei Titani»), così come le figure allegoriche di «industria, arti, commercio e navigazione» siedono a cavalcioni dell’enorme plinto oggi circondato dal
traffico della città di Anversa (il monumento a Loos). Al contrario, nei disegni, molte di queste figure appaiono più
come parenti rinnegati. Ad esempio, l’uomo solitario che corre con una gamba sollevata visto da dietro (tav. 91) è raffrontabile a molti altri disegni che ritraggono una posa simile da angolazioni affini o differenti. In questo particolare schizzo, la figura solleva in alto una corona, e il corpo è a un tempo statico, appoggiato a un plinto, e in movimento, nel suo
protendersi verso un grande piano architettonico che riflette la luce, vagamente mosso da cornici. Come tipo, una figura
con la schiena inarcata all’indietro, si ritrova in una scultura, «L’uomo che cade», figura maschile torturata, una prima
volta ridotta a torso, nel 1885 cinta da un serpente e, a più riprese, abbinata a una figura femminile. Nelle fasi iniziali
della storia della «Porta», una fotografia del gesso del grande rilievo in corso di lavorazione rivela questa figura spasmodica o estatica, ora letteralmente «L’uomo che cade», fissata all’architrave sporgente dell’anta sinistra. I suoi arti sono
sospesi, alle spalle un paesaggio aereo, ultraterreno1.
Non sorprenderà, quindi, che uno degli aspetti più stimolanti, quando si esaminano le centinaia di primi disegni, sia
l’andare a caccia di prototipi e varianti al di qua e al di là del confine tra bi- e tridimensionale, non perché i lavori su carta
vadano considerati come studi preliminari, bensì perché hanno in comune tutta una serie di figure simili. L’abitudine di
Rodin a un’oculata parsimonia nel suo lavoro gli derivava dalla formazione conseguita alla «Piccola Scuola» (la Scuola imperiale speciale di disegno e matematica). I giovani studenti iniziavano disegnando, per lo più copiando, opere d’arte già esistenti, soggetti tratti dalle collezioni di scultura (molte delle quali calchi in gesso) e di oggetti decorativi della
scuola nonché dalla sua «biblioteca» di incisioni e riproduzioni. Anche le visite canoniche al Musée du Louvre (e alla
Bibliothèque Impériale e al Cabinet des Estampes) facevano parte del programma educativo.
Un taccuino, l’«Album 1», squinternato nel marzo del 1930, contiene numerosi schizzi dettagliati del fregio del Partenone, che gli allievi potevano studiare sul calco del Louvre o in trasposizione grafica attraverso le stampe. Su uno dei fogli
(tav. 24) Rodin ritrae una processione di sette figure drappeggiate, in cui la mancanza di accenti o espressioni ben si
accorda con i profili dai nasi diritti e con l’analogo allineamento delle anfore che reggono. Ciò che si percepisce è la pre37
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Fig. 10. Auguste Rodin, Tritone, 1879.
Fig. 11. Auguste Rodin, Bambino nudo con le braccia levate, ante 1870.
Fig. 12. Auguste Rodin, Adunanza di ombre, 1880 circa.
Fig. 13. Auguste Rodin, Foglio con schizzo d’après Michelangelo,
1875-1876 circa, particolare.
cisione informe, la funzionalità tipiche di un campionario. Solo una di queste figure antiche, con la toga di prammatica
(tav. 25) è colorata come un damerino alla moda (e con riferimento alla policromia originale del fregio greco). Il personaggio ricompare in un foglio monocromo come uno di una coppia (inv. Musée Rodin D5103) e, nuovamente, in una
versione molto più rifinita che include anche un auriga con dei cavalli chiari e scuri (inv. Musée Rodin D7219). In
«Corteo d’après il fregio del Partenone» (tav. 23) compaiono alcune chiazze di acquerello; benché capigliature, zoccoli e
muscoli siano poco dettagliati, la scena è relativamente più naturalistica del suo duplicato eseguito a matita e inchiostro
marrone su carta da ricalco (inv. Musée Rodin D61). È possibile seguire questo stesso filone di indagine, soprattutto esaminando i disegni più tardivi, in tutti i casi in cui vi siano molti esemplari eseguiti a ricalco, scontorno e acquerello trasparente così come titoli tratti dalla mitologia e dalla letteratura, con il modello dal vero che funge da trampolino offrendo una ricca gamma di analogie e allusioni.
RIFLESSI NEL TEMPO DEI PRIMI LAVORI SU CARTA
Lo studio dei primi disegni di Rodin richiede cautela unitamente a un certo grado di intuizione nel paragonare stili e
motivi, trattandosi di opere senza data, senza titolo (anche se spesso recano annotazioni) e per larga parte tenute nascoste
durante la vita dell’artista. C’è un generale consenso su quali siano i lavori probabilmente eseguiti negli anni in cui Rodin
era studente e immediatamente dopo, quando lavorò come apprendista nelle imprese commerciali che si occupavano di
decorazione ornamentale, all’incirca fra il 1854 e il 1864. L’analisi dei motivi e delle annotazioni che hanno chiari riferimenti con il Belgio, dove Rodin visse dal 1871 al 1877, aiuta a stabilire una sorta di traiettoria, intercalata dagli schizzi, presenti in quantità minore, che possono interpretarsi come risposte dirette alle opere viste durante i mesi di permanenza in Italia, all’inizio del 1876.
I cinque volumi ordinati numericamente dell’Inventaire des dessins pubblicati dal Musée Rodin (1984-1992) generano raggruppamenti affascinanti, ma non del tutto affidabili, in quanto non sempre contemporanei. Nel complesso dei lavori
attribuiti al periodo dell’«apprendistato» ci sono fogli che sembrano collegarsi a specifici incarichi o prestazioni a cui
Rodin voleva far fronte, come il disegno di un Atlante nudo (inv. Musée Rodin D364) o una serie di opzioni per la decorazione di vasi (fig. 17). Nel corso degli anni questa «funzionalità» si riduce, mentre persistono i vari filoni specifici per
ciascun soggetto, ad esempio disegni di cavalli e di bambini. In quest’ultimo caso, alcuni neonati in pose contorte potrebbero essere degli studi dal vero del figlio di Rodin e Rose Beuret, nato nel gennaio 1866; in un certo numero di schizzi si
vedono dei putti attorniati da viticci, motivo analogo al disegno per un vaso (inv. Musée Rodin D7676), simile a «Gli
elementi», prodotto per la Manifattura di Sèvres nell’autunno del 1879. In quello stesso anno Rodin lavora con il famoso scultore Charles Cordier alla decorazione della facciata di Villa Nettuno a Nizza; una delle figure più impressionanti è un bambino dal ventre rigonfio, quasi mostruoso, oppure, un «Tritone» ermafrodita è per molti versi simile ai cherubini inarcati all’indietro (come in fig. 11) e al corpo adulto slanciato osservato da diverse angolazioni che compare su un
foglio dei più rimarchevoli, associato agli studi dal vero successivi al viaggio in Italia (fig. 13). I bimbetti grassottelli tornano sulla carta ancora nel 1900, quando Rodin disegna una jardinière per il barone Vitta. Si potrebbe presumere che la
nudità impudente e la scompigliata intimità consentite da questo motivo anticipino e costituiscano un banco di prova per
uno dei temi fondamentali dell’opera successiva di Rodin, l’esistenza prelapsaria, cioè antecedente al peccato originale.
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Preparano il terreno per quella tanto profondamente sentita espressione del piacere sessuale, afferrato dalla vita, spogliato
di ogni pretesto.
Osservando i lavori di questa fase iniziale, c’è da essere esitanti nell’applicare categorie di «immaturità», o «crescente sicurezza», o «scarabocchi da studente» per individuare un momento di cesura. Kirk Varnedoe, il massimo studioso che, con
autorevolezza, ha affrontato i primi disegni di Rodin in testi pubblicati negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, ha
tentato una cronologia servendosi proprio di queste definizioni, sostenendo la necessità di «una catena di indagini interconnesse»2. Come altri specialisti di Rodin, Varnedoe ha inteso, a ragione, fugare l’idea che il talento dell’artista sia scoppiato all’improvviso più o meno nel 1877. Secondo la sua ipotesi, la trasformazione «dei primi lineari disegni a matita in
prefigurazioni più pienamente compiute, eseguite ad acquerello e inchiostro, di tenebrosi rilievi era già ben avviata negli
anni settanta dell’Ottocento, se non prima [...]. Spesso questo implica una sorta di scavo archeologico, volto a individuare le varie stratificazioni del lavoro in una determinata immagine, che possono essere indicative di stadi ampiamente
distinti nei ripensamenti di Rodin relativi un certo motivo»3. Uno degli esempi citati è il piccolo schizzo (inv. Musée
Rodin D2036) che si presume essere uno studio del bassorilievo in bronzo di Germain Pilon al Louvre, un «Sepolcro»
(1580-1585 circa). Varnedoe data la versione di Rodin al «c. 1855, parzialmente rielaborata in un momento successivo»
e osserva: «Rodin conservava scrupolosamente, dai suoi anni di studente, i vari pezzetti di carta contenenti queste annotazioni in apparenza umili, esitanti, e vi tornava in continuazione nell’arco di lunghi periodi di tempo. Rielaborò a più
riprese determinate figure, ne aggiunse altre, modificando le immagini sotto il profilo iconografico e stilistico per adeguarle alle sue idee del momento. Così, in inv. Musée Rodin D2036, ad esempio, le linee a inchiostro più corsive e le chiazze di acquerello più unificanti delle figure sulla destra datano a un periodo di molto successivo a quello della prima stesura della scena. Spesso, in casi del genere, tutti i tratti di matita originari si trovano seppelliti al di sotto delle varie ulteriori rielaborazioni che hanno completamente ricreato l’immagine»4.
Ora che abbiamo la possibilità di accedere a un corpus di lavori più vasto e ben documentato, compresi alcuni recenti acquisti effettuati dal Musée Rodin, sembra piuttosto difficile presumere un ritorno a varie riprese su singoli schizzi
in un arco di dieci anni o più. È tuttavia vero che, per un periodo di svariati anni, Rodin ha spesso prodotto delle versioni di soggetti a figura singola o multipla in cui l’anatomia era raffigurata écorchée o «scorticata» (cioè eliminando la
pelle per rendere evidente la costruzione muscolare della figura). I fasci nerboruti e gli angoli affilati danno a volte l’impressione di un’armatura, anziché di un corpo umano. Spesso questi veloci bozzetti sono incollati su nuovi supporti,
in particolare fogli di registri contabili o carta da lettere monogrammata, e le sequenze esplorano motivi con dirette attinenze a Dante, conducendo alle famose prefigurazioni, poi riconosciute come elementi della sua poetica, che potrebbero essere state alla base di uno dei pannelli per la «Porta», quando Rodin immaginava di trattare quest’opera come una
serie di singole scene illustrate in bassorilievo (fig. 12). In alcuni disegni che datiamo all’incirca al 1880-1882 i contorni dei protagonisti sono drasticamente semplificati, fino al punto di ridursi, come nel «sepolcro», a teste circolari,
muscoli ovali, con molti schizzi che sono poco più che scarabocchi. I tratti a inchiostro e le lumeggiature ad acquerello possono sembrare alquanto crudi, aggiunti per suggerire una fonte di luce e aumentare la profondità; in altre parole,
i disegni associati a soluzioni poi trasposte in proporzioni enormemente maggiori nella «Porta», un reticolo di dodici
pannelli, sono talvolta estremamente sommari e criptici. Ma, come vedremo, contemporanei a queste immagini vi sono
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18. Auguste Rodin, Cavaliere, 1880.
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19. Auguste Rodin, Corsa di cavalli, ante 1880.
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20. Auguste Rodin, Uomo che trattiene un cavallo imbizzarrito, 1880 circa.
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Fig. 14. Auguste Rodin, Donna rapita da un centauro, 1880 circa.
altri disegni, con effetti pittorici quasi «neri», fogli le cui tonalità in chiaroscuro esprimono visioni profondamente tragiche, strazianti.
Anziché applicare criteri di crescente «competenza», nell’esame di questi primi disegni, è talvolta più fruttuoso osservare
motivi e tipi fisici salienti sottoposti a progressive trasformazioni, alcune delle quali associabili a soluzioni presenti in lavori contemporaneamente in corso, e altre che si mostrano in linea con le più selvagge fantasie dell’artista. I cavalieri che vi
compaiono, ad esempio, potrebbero essere attinenti all’ambizione, comune fra gli scultori del XIX secolo, di ottenere la
committenza per una statua equestre. In parecchie immagini rielaborate Rodin sottopone il soggetto cavallo-cavaliere a
un trattamento assimilabile al Romanticismo (tav. 21). In vari fogli gioca con la relazione tra la forma del cavallo e quella dell’uomo (tavv. 20, 22); talvolta l’animale si metamorfizza nel centauro fantasmagorico e lussurioso, che regge la sua
femmina fatta prigioniera (fig. 14). Sfogliando le pagine dell’Inventaire, progressivamente ci si rende conto del perché questo artista, che stava lottando per affermare la propria voce e la propria reputazione, e che frequentemente cambiava direzione, abbia ritenuto così importante conservare questi minuscoli frammenti di carta. Più illuminanti di citazioni su una
rivista o del compendio di un’evoluzione stilistica, e realizzate negli anni in cui si sentiva inferiore ai contemporanei che
esponevano nei Salon di Parigi («Non ho mai pensato di essere niente più di un operaio»), queste immagini estremamente ossessive appartengono a una categoria più ampia di lavori, attinente al rapimento estatico e alla trasformazione, e sono
spie cruciali della direzione verso la quale l’immaginazione e l’ambizione di Roden lo stanno portando.
TRADIZIONE E MODERNITÀ
Horace Lecoq de Boisbaudran, leggendario professore della Piccola Scuola, aveva fama di incoraggiare i suoi allievi nel
crearsi quante più possibili occasioni per osservare. Quando il suo testo, L’éducation de la Mémoire Pittoresque, fu riedito, nel
1913, una lettera di Rodin ne costituì la prefazione. Lo scultore vi ammetteva che, ai tempi della scuola, lui e il suo amico
Alphonse Legros non avevano compreso quanto fossero fortunati: «Je me rappelle très bien la rotonde en bas où les élèves
copiaient des gravures du XVIII siècle. Car malgré l’originalité de son enseignement il gardait la tradition, et son atelier était,
on pourrait dire un atelier du XVIII»5. Parlando a nome di un altro contemporaneo, Henri Fantin-Latour, Rodin descriveva i bagni al fiume in cui gli studenti maschi posavano l’uno per l’altro e le sessioni di pittura in un giardino circondato da alte mura, a Montrouge, vicino a un cabaret. Lecoq sottolineava che, se un artista abituava la propria mente a conservare in memoria le immagini, sarebbe riuscito meglio a catturare fugaci effetti di luce, movimenti, cieli o gesti umani.
Malgrado appartenesse alla generazione degli impressionisti e fosse consapevole della pittura en plein-air, Rodin era istintivamente conservatore nel suo modo di prendere dalla «natura», e alquanto esitante quando si confrontava con soggetti
esterni della «vita moderna». Un disegno presente in quello che si chiama album Mastbaum (consistente di trentasette
pagine, probabilmente eseguito nel periodo 1863-1864 è forse una veduta di una delle piscine per i bagni all’aperto ormeggiate lungo la Senna6. La linea raffazzonata di Rodin traccia la posa quasi immobile del giovane in piedi di profilo e una
figura simile seduta sul bordo dell’acqua. Ci sono due bizzarre figure distese lungo il margine inferiore e una strana coppia (i generi e l’azione, forse un’aggressione, una scena indistinta e incongruente). Questa pagina viene citata come esempio di uno spontaneo voler fermare sulla carta un attimo di vita, ma è invece qualcosa di molto più contrastato, essendo
in parte osservazione, in parte allucinazione.
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Fig. 15. E. Freuler, Fotografia di «Ugolino assiso», 1877.
In genere, quando affronta il repertorio dei gruppi di figure, avvinghiate fra loro e passionali, Rodin mostra la propria
affinità con il lirismo di artisti del XVIII secolo come Clodion e Prud’hon. A un certo punto, verso la fine degli anni sessanta, si sperimenta nello stile orientalista con la sua intrinseca deformazione esotica della realtà, immaginando una
«Scena orientale con cavalli e un asino» (tav. 29) e un disegno affine con gli stessi cavalli impennati. Entrambi questi
lavori denotano un grado di diligente cura per la prospettiva e il dettaglio. Nulla di questo sfondo descrittivo sopravvive
nella più concitata, più irrazionale «Scena orientale» con diversi personaggi (tav. 27), per la quale il supporto cartaceo è
stato invaso di pastose pennellate di acquerello su cui Rodin ha congiunto tre elementi, un torso femminile acefalo (le
linee dei drappeggi simili a costrizioni fisiche), un uomo in turbante che abbraccia una donna con bambino e una porzione di un’altra figura in tunica tagliata dal margine destro del foglio.
Uno studio a gessetto e carboncino, che potrebbe essere contemporaneo, costituisce una copia dell’«Infanzia di Bacco» di
Poussin conservata al Louvre (tav. 8). La composizione è alquanto fedele allo scenario silvestre dell’originale, tuttavia,
lo sguardo dell’osservatore si posa con disagio sul corpo esposto di una donna semidistesa dalla carnagione pallida. Rodin
è chiaramente alla ricerca di mezzi per evocare a un tempo disponibilità e intangibilità, una qualità che descriverà in
seguito come l’atmosfera che permea opere d’arte meravigliose, citando l’esempio del poeta che più ammirava, Victor
Hugo, in letteratura (e nell’acquerello) e di Antoine Watteau, in pittura e nell’acquerello, un artista, quest’ultimo, che
«avvolgeva i suoi affascinanti e malinconici amanti in ombre misteriose»7.
Quanto profondamente la tradizione pittorica sia inglobata nell’opera di Rodin è ovviamente un tema vasto (e controverso). Nel 1911, parlando con Paul Gsell, Rodin ricordava le sensazioni provate quando da novizio visitava il Louvre.
«“Quante volte”, mi disse, “sono venuto qui in passato, quando avevo appena quindici anni, o giù di lì. All’inizio sentivo il desiderio violento di essere un pittore. Il colore mi attraeva. Andavo spesso al piano superiore ad ammirare i Tiziano e i Rembrandt. Ma, ahimè, non avevo abbastanza denaro per comprare tele e tubetti di colore. Per copiare sculture
antiche, invece, mi bastavano carta e matite. Così ero costretto a lavorare soltanto nelle sale del piano terra, e presto sviluppai una passione tale per la scultura da non poter pensare più a nient’altro”»8.
Studiare l’opera di Rubens fu una conseguenza specifica del fatto di trovarsi nelle Fiandre. Rodin copiò numerosi dipinti: un ritratto di «Adrienne Perez» ad Anversa, almeno un disegno e le scene di gruppo, «Il colpo di lancia, Gesù in
Croce tra i due ladroni» e «Il matrimonio per procura di Maria de’ Medici a Firenze». In seguito, amava paragonare lo
spirito dei grandi artisti, esprimendo opinioni di questo genere: «Così Rembrandt è spesso un poeta sublime e Raffaello
spesso un vigoroso realista [...]. Per Rembrandt, la bellezza non è altro che l’antitesi riconosciuta fra la vacuità dell’involucro fisico e la radiosità interiore [...]. Ad esempio, Delacroix è stato accusato di non saper disegnare. Al contrario, la
verità è che il suo disegno si abbina meravigliosamente al suo colore. Come il colore, è un disegno rude, febbrile, esaltato. Possiede vivacità e impeto [...] dunque i mezzi espressivi dei geni sono diversi tanto quanto le loro anime» 9.
Benché istintivamente attratto dalla tradizione pittorica occidentale, e pur essendo diventato un ritrattista che lavorava con
l’argilla, ispirato al punto da trasformare il genere, Rodin non mostrò mai la stessa facilità o apertura sperimentale nell’usare la pittura a olio o nell’analizzare l’opera di artisti suoi pari che dipingevano. D’altro canto, se si considerano i lavori su carta come un corpus unico, dagli anni di apprendistato a tutta la fase dei disegni «neri» (1880-1883 circa), è sbalorditivo come spesso queste opere riflettano lo spirito e la tecnica di pittori così diversi come Rubens, Delacroix e persi43
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no Poussin. Talvolta queste associazioni sono indotte in considerazione dell’abitudine di Rodin di applicare strati di
acquerello diluito e contorni marcati per determinare una sorta di monocromatico chiaroscuro, o flusso, che sottende a
una materia sessualmente e tematicamente ambigua nonché a una frenetica, quasi violenta sensazione di estasi. Verso la
fine della vita di Rodin, si assiste a un curioso capovolgimento: osservando i particolari di svariati «ingrandimenti», di
tipi «classici» tanto diversi fra loro come «Cibele» e «L’uomo che cammina», lo sguardo, nella vasta superficie di argilla
porosa, si sofferma sui dettagli. Le protuberanze e le cavità non anatomiche sono analoghe alla rappresentazione grafica
delle carni e alle sensazioni date da un pennello o da una spatola che applicano impasto sulla tela o acquerello sulla carta.
L’equazione fra la natura dei segni e le emozioni da esprimere è spinta all’estremo.
DISEGNARE POSE PLASTICHE O LA VITA
Gli allievi della Piccola Scuola, per disegnare il corpo umano, avevano a disposizione modelli professionisti, sempre
maschi, e il giovane Rodin, come i suoi contemporanei, ne raffigurava l’anatomia in maniera accurata, modulando con
lo sfumino le prominenze dei muscoli. In parecchi dei fogli che ci sono giunti, una violenta fonte di luce laterale crea,
quasi artificialmente, un contorno scuro (tav. 1) e sono visibili tracce che indicano le corde che tenevano in posa gli arti
del modello, quasi a sottolineare, anche in questo, l’artificialità della situazione. Rodin, in seguito, lamentò il fatto che i
modelli stessi fossero stati corrotti dal contesto accademico che imponeva loro questo genere di pose: «La gente va in estasi per pose che in natura non si sono mai viste e che vengono considerate artistiche perché richiamano quei bacini spinti
in avanti in cui indulgono i modelli italiani quando vengono adescati per posare. E questo è ciò che in genere si chiama
“bel disegno”. In realtà è solo destrezza manuale, buona per impressionare i guardoni» 10.
Una curiosa serie di disegni a gessetto delle figure di Michelangelo nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo (una delle
Cappelle Medicee) ritorna su questo stile altamente rifinito. Rodin tenta di impadronirsi dell’imponenza e della sensualità di sculture come l’«Aurora», il «Giorno» e la «Notte» (tav. 73), che eccedono le dimensioni naturali, scegliendo una
prospettiva bassa e ravvicinata che ne rafforza il modellato ritmico, la monumentalità e l’effetto della superficie marmorea uniti alla potenza che emana dall’attimo prima del risveglio e prima dell’oblio. I cinque fogli sono stati datati all’incirca al 1877 sulla base del fatto che non sarebbe stato possibile eseguire delle opere così rifinite in situ e nel giro di poche
ore, inoltre, nell’unica lettera in cui Rodin descrive il suo itinerario italiano, dice di aver visitato la cappella fiorentina
l’ultimo giorno dei cinque trascorsi nella città. Per cui si è ipotizzato che i disegni siano studi dei calchi in gesso installati alla École des Beaux-Arts, il museo dei calchi situato in rue Bonaparte, e molto probabilmente eseguiti dopo il ritorno
a Parigi, nel marzo del 1877. Purtroppo ciò che vediamo ha sofferto dell’intervento di restauratori che hanno trattato le
scoloriture e le macchie della carta enfatizzando eccessivamente i contrasti e facendo risultare alcune parti, come le teste,
rozze e inerti11.
Le più tardive affermazioni di Rodin sul lavoro di altri artisti si richiamano a uno dei suoi desideri, il raggiungimento di
una grande arte ponendosi su un piano superiore rispetto a quello dell’imponenza e del mouvement, il dinamismo della
figura: «Ciò che nei disegni di Michelangelo si dovrebbe ammirare non sono le linee di per sé, l’audacia degli scorci e la
maestria nel rendere l’anatomia, bensì la potenza terrificante e disperata di questo Titano. Gli imitatori di Buonarroti, i
quali, mancando della sua anima, hanno copiato in pittura le sue pose arcuate e le muscolature tese, non hanno fatto altro
che cadere nel ridicolo»12.
Nella lettera dall’Italia citata in precedenza, Rodin scriveva: «J’ai fait des croquis le soir chez moi, non pas d’après ses
oeuvres mais d’après tous les échafaudages les systèmes que je fabrique dans mon imagination pour le comprendre, eh bien
je réussi selon moi à leur donner l’allure ce quelque chose sans nom que lui seul sait donner» 13. Questo passaggio, frequentemente citato, giunge al termine di un racconto in buona parte dedicato a descrivere alla compagna Rose l’esperienza del viaggio, in particolare il percorso del treno attraverso il tunnel del Moncenisio («è come la galleria di una talpa»)
sino alle alte quote, durante cui Rodin osservava ogni cosa dal finestrino aperto. Vi menziona tre «impressioni durature»:
i bastioni di roccia delle Alpi, la cattedrale di Reims e la Sagrestia Nuova. Si ha la sensazione che la vertigine, il senso
del nuovo e la forza emotiva suscitati dal vedere figure gotiche e rinascimentali in situ abbiano trasformato la sua idea di
lotta, di impegno, impregnando la sua sfida con un nuovo desiderio di viaggio, interiore questa volta. Rodin, a quel
punto artista di trentacinque anni, inizia a convincersi di poter meglio emulare Michelangelo aprendosi all’«immagina44
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21. Auguste Rodin, Cavaliere al galoppo, ante 1870.
22. Auguste Rodin, Cavaliere di profilo, 1880 circa.
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25. Auguste Rodin, Studio di personaggio antico, ante 1870.
23. Auguste Rodin, Corteo d’après il fregio del Partenone, ante 1870.
24. Auguste Rodin, Portatrici di offerte d’après il fregio del Partenone, ante 1870.
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Fig. 16. Auguste Rodin, Donna seduta, studio di nudo nella
campagna brabantina, 1871-1877.
zione», all’«indicibile», all’«allure», quell’anima che sente quando disegna, il tutto filtrato, certo, nella struttura e nel contorno, rispettando la prospettiva, ma traendo dalla costrizione e dalla tensione qualcosa di estremo, ricreando l’ebbrezza
e la vulnerabilità percepite in presenza dell’arte del grande genio.
L’opera non ancora completa a cui rimette mano dopo il ritorno a Bruxelles, «Lo sconfitto» (poi reintitolata «L’età del
bronzo»), diventa l’obiettivo immediato, però non necessariamente è il lavoro più rivelatorio di quegli anni. Mentre era a
Firenze, molto probabilmente, Rodin si era recato all’Accademia, dove si trovavano esposti i calchi in gesso dei bozzetti15 di Michelangelo, braccia, torsi e altre parti del corpo. «Il conte Ugolino», sua opera memorabile, presenta un tipo fisico che ricorda le schiene ricurve degli ignudi16 di Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina e il celebre «Torso Belvedere». Una vecchia fotografia scattata da E. Freuler della figura acefala pesantemente seduta su una tavola poggiata sul
pavimento (fig. 15) ne rivela la superficie segnata, bozzolosa. Questa strana figura a gambe incrociate è rimasta in gesso;
è il lavoro a cui Rodin si riferì nel 1877 definendolo «questa grossa figura», e presenta una chiara relazione, per la stessa
intensità che emana, con alcuni disegni (tav. 22).
LA FORESTA DI SOIGNES, «IL DOMINIO DEI SENTIMENTI»
In base a quanto da lui stesso affermato, gli anni trascorsi da Rodin e Rose in Belgio furono ricordati come i più felici
della sua vita. La coppia si trasferì nel 1872 nel villaggio semirurale di Bas-Ixelles, nel circondario di Bruxelles. Secondo
la sua biografa Judith Cladel, nei giorni liberi, le domeniche, Rodin trascorreva la mattinata al Musée des Moulages,
allora collocato nel Palais des Académies, e il pomeriggio in giro per chiese o passeggiando nella foresta di Soignes, il
luogo «que son esprit a fructifié»17. Lecoq era noto per spronare i suoi studenti, quasi tutti di estrazione operaia, alle letture, soprattutto di poesia. Rodin disse a Cladel che il suo amore per Omero, Virgilio e Dante, così come per Victor
Hugo, Musset e Lamartine datava ai tempi della sua gioventù. In Belgio, si dice, aveva sempre un libro in mano, anche
traduzioni di Seneca, Plutarco e Shakespeare: «Muré dans ses pensées, les poches pleines de livres qu’il lisait avidement
pendant ses repas et, même en parcourant les rues, le besoin de se cultiver était devenu chez lui une passion: toutes ses
facultés mûrirent en même temps»18.
Alcuni ricordi di quegli anni furono messi per iscritto in occasione del suo primo ritorno in Belgio, nel 1910, gli alberi
alti e slanciati della foresta paragonati alle forme allungate e agli archi delle cattedrali gotiche. A prendere nota delle riflessioni di Rodin fu Sandor Pierron, critico ed editore del giornale «L’Indépendance belge». I temi ribaditi e i raffronti sono
simili alle parole di Rodin contenute in questo testo, trascritto e adattato da Charles Morice, che accompagna l’antologia
di disegni architettonici pubblicata nel 1914, Les Cathédrales de France.
«Ces fûts des arbres ne se comptent plus ombres noires qui revenant sur moi, se distinguent, s’escortent et s’analysent. [...]
La route au loin capricieuse monte cachée par les branches des arbres [...]. Le silence est béni en cet endroit et ami de
tous les hommes de réflexion».
«Ces fûts oh cela c’est les colonnes fines hautes, du Gothique, ces branches transversales qui ont différentes profondeurs
paraissent des oiseaux mystérieux toujours en grand vol».
«Partie de la forêt sombre. Je me rappelle Dante».
«Ah! Watteau c’est votre passage ici. C’est votre âme qui subjugue la mienne»19.
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Fig. 17. Auguste Rodin, Vaso Delafosse d’apres Roger Max, particolare.
Fig. 18. Auguste Rodin, Foglio di studi, 1875-1876 circa, particolare.
Fra i paesaggi che appartengono al periodo belga ci sono due disegni di donne, eseguiti a olio su carta incollata su cartoncino. La figura nuda (fig. 16) che siede con le gambe semidistese ha tratti e fisico credibili, simili a quelli che attribuiamo a Rose, in ogni caso le imperfezioni del volto e del petto fanno pensare a una persona viva, a qualcuno che si sente
dolorosamente consapevole e vulnerabile nel posare all’aperto, con lo scenario reso più bizzarro dall’aggiunta di una casupola sullo sfondo20. Rodin, che era naturalmente attratto dall’amorale fascino neoclassico dell’arte del XVIII secolo, sembra qui incerto su come entrare in una tradizione moderna il cui linguaggio è ironico e provocatorio, oltre che una versione esaltata dell’esperienza della vita reale. La mente va alle ragazze in riva al fiume di Courbet e al «Déjeuner sur l’herbe» di Manet (1863), nonché alle difficoltà che doveva avere Rodin in questa fase nel muoversi fra un’arte che potesse
essere approvata in pubblico e un’arte che rispondesse alla sua sensibilità erotica.
LA CONCILIAZIONE DI DUE PRATICHE
Una delle cose a cui verosimilmente si dedicò Rodin nei mesi che precedettero la sua partenza da Bruxelles, nel marzo
1877, fu di riunire un centinaio all’incirca di piccoli disegni su fogli più grandi, poi rilegati in un album («Album II»,
squadernato nel 1930). Christina Buley-Uribe definisce questi assemblaggi come «un magazzino di idee» e sottolinea
come, non a caso, essi coincisero con il completamento della prima scultura firmata con il proprio nome, «L’età del bronzo», e, sempre per conto proprio, con la partecipazione a una gara (per un monumento a Byron, sottoposto nel 1877),
preparandosi quindi a una carriera di più alto profilo, sul solco dell’ammirazione e delle controversie che «L’età del bronzo» stava suscitando21. Molte di queste immagini appartengono al repertorio di due figure umane unite fra loro, alcune
accompagnate da annotazioni del tipo «Niobè, martire», «Massacro degli innocenti», altre accostate a sculture della
Madonna col Bambino o a un’eroticissima Leda e il cigno. Una posa (tav. 75) anticipa la scultura intitolata «Adamo»,
una figura con la testa china e volta verso la spalla sinistra. Ci sono numerosi studi della statua equestre di Donatello presente a Padova, «Il Gattamelata», e schizzi di disegni della stessa opera eseguiti da Michelangelo, distribuiti in diverse
pagine. Talvolta la scelta delle disposizioni sembra rivelatoria. Su uno dei fogli (tav. 71), sotto una schiera di uomini atletici e vigorosi in varie pose stanti, Rodin colloca frammenti di scene colte da vicino, più emotive, come un gruppo ispirato a un’opera di Donatello nella chiesta di Sant’Antonio a Padova, e il motivo di una donna con bambino.
Sembra uno strano caso che, al suo ritorno a Parigi, Rodin abbia vissuto periodi di ritiro analoghi a quello di Soignes
(in contrasto con le ben note battaglie per discolparsi dalla disonorevole accusa di aver fatto ricorso, per «L’età del bronzo», al calco dal vero). L’opportunità si presentò quando accettò di lavorare a contratto per la Manifattura della porcellana di Sèvres, dove eseguì splendidi pezzi unici decorati. Il libro di Roger Marx, Auguste Rodin. Céramiste, pubblicato
nel 1910, illustra disegni e bozzetti completi di dettagli dei vasi realizzati, insieme a un registro delle ore lavorate dal giugno 1879 al dicembre 1882. Marx menziona i ricordi di un altro artista impiegato alla Manifattura, Taxile Doat, che
divenne amico di Rodin. Doat raccontava di come Rodin venisse disturbato nel lavoro dalla campana della pausa di
mezzogiorno, avendo la sensazione di essere svegliato, restio com’era a farsi «strappare dal sogno che gli riempiva la mente
e svaniva in presenza di altri», e descriveva le quiete passeggiate compiute nel vicino parco di Saint-Cloud 20. Pur tenendo conto delle esigenze estetiche della Manifattura di Sèvres, di cui era all’epoca direttore Albert-Ernest Carrier-Belleuse, e dei limiti imposti dalla tecnica «pasta su pasta», si percepisce un cambiamento nella temperatura psicologica di que49
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26. Auguste Rodin, Scena orientale, ante 1870.
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27. Auguste Rodin, Scena orientale, ante 1870.
28. Auguste Rodin, Paesaggio orientale, ante 1870.
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29. Auguste Rodin, Scena orientale con cavalli e un asino, ante 1870.
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30. Auguste Rodin, Scena orientale con cavallo imbizzarrito, ante 187.
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31. Auguste Rodin, D’après «Il matrimonio per procura di Maria de’ Medici a Firenze» di Rubens, 1871-1877.
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32. Auguste Rodin, D’après «Il colpo di lancia» di Rubens, 1871-1877.
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Fig. 19. Auguste Rodin, Uomo che tiene in braccio un bambino, 1880 circa.
ste scene. Le figure intente in gioiosi quadretti arcadici sui grandi vasi, «Il giorno», «La notte», nelle versioni disegnate
sono più mosse e vigorose, oppure elastiche e intrecciate come in «Limbi e sirene». L’interpretazione del genere dipende
dalla curvatura dello stomaco, concavo-maschile e protuberante-femminile, con slittamenti tra fauno e bambino o madrepadre e bambino (poco importa, la figura di Ieconia del soffitto della Cappella Sistina). Il tono sotteso è talvolta violento e tenero a un tempo, e viene da pensare all’uso ripetuto dei motivi da parte di Rodin. Una composizione «sur la pâte
d’un vase en cours d’exécution»21 presenta un uomo riccioluto e accovacciato che si ritrova davanti al petto di una donna
in piedi con la gamba sinistra sollevata (fig. 17).
Questa mostra si conclude con la fase in cui Rodin ha cominciato a realizzare le opere molto originali della prima metà
degli anni ottanta. Durante i primi stadi di progettazione della «Porta», come spiegherà nel 1900 a Serge Basset, quando
prefigurò le forme ispirate a Dante, la sua «espressione» era «lapidaria nel vero senso della parola», in riferimento cioè
all’intaglio della pietra, ovvero elegante e concisa, come i bassorilievi su questi vasi, che richiedevano forti contrasti per
articolare le lumeggiature e le linee di contorno incise. All’epoca della lettera scritta a Léon Gauchez, nel maggio del
1883, Rodin sta cambiando, come lui stesso annota a margine: «L’espressione nel poeta è sempre primitiva e scultorea, a
me pare»24.
Le figure cupe e solitarie, autoriflessive, come «Eva», in posa stante al suolo, e «La creazione dell’uomo» o «Adamo»,
diventano un filone ricorrente nell’opera matura di Rodin. Modelli come Adèle e César Pignatelli, che frequentano regolarmente il nuovo atelier presso il Deposito dei marmi, offrono fantastiche opportunità di riprodurne il candore e l’energia ferina. Nel frattempo, molto dello spirito dei disegni «neri» viene introdotto nell’accoppiamento, più amorale, di figure umane flessuose, in pose febbrili, modellate in scala ridotta rispetto a quella naturale, anche se molto spesso possono
essere trasformate, colate in gesso e adattate con la stessa libertà applicata ai prototipi disegnati su carta, a quelle figure
tracciate, sottoposte a collage e più volte rielaborate. L’«Uomo che tiene in braccio un bambino» e «Dante che cade
all’indietro» e la donna rannicchiata, invertiti piuttosto improbabilmente e miracolosamente combinati su carta, sono ora
la «La donna accovacciata» e «L’uomo che cade»; la reinvenzione erotica della madre che regge in alto un bambino è
«Io sono bella». Le spigolose figure di «Mercurio» (fig. 20) dei primi anni somigliano ad «Avarizia e Lussuria», due agili
figure sospese nello spazio.
La replicazione delle forme, soprattutto di faunesse inginocchiate e «donne dannate», inizia a essere organizzata in gruppi e inserita nel profondo recesso del timpano della «Porta», con figure ammassate insieme come se fossero in un disegno.
Rodin ritorna a un contesto profondamente ultraterreno, l’idea dei pannelli e di un rigido progetto architettonico viene
oltrepassata, lo sfondo è sostanzialmente innaturale, un paesaggio di scolorite barriere e cavità: in ultimo, tutto questo si
potrebbe considerare un’estensione dell’illusione spaziale creata dagli impulsivi segni fatti sulla carta. Osservando questi
fogli, ci rendiamo conto che la determinazione di Rodin nel voler estrarre e rafforzare le forme essenziali è ciò che i primi
disegni e le sculture successive hanno in comune, il dare libero sfogo a una sensazione di violenza per mezzo di aspre inserzioni prodotte su forme morbide con la penna d’oca e l’inchiostro o macchie di torbido acquerello simili a marosi di tempesta, che anticipano l’importanza della luce nella forma tridimensionale. Il tema ricorrente dell’enlèvement, il ratto, se
considerato nel suo più sottile significato di rimozione o cattura, oltre che di stupro e rapimento, esprime la visione profonda di un regno liberato, un mondo poetico parallelo.
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Fig. 20. Auguste Rodin, Mercurio, 1880 circa.
1
12
«L’uomo che cade» è citato per la prima volta nel 1885 e risulta fissato
all’architrave nella fotografia della «Porta» scattata da William Elborne nel
1887. Cfr. A. LE NORMAND-ROMAIN, Les Bronzes de Rodin, Parigi
2007, vol. II, p. 430.
2
A. ELSEN, Rodin Rediscovered, catalogo della mostra (National Gallery of
Art, Washington, 28 giugno 1981 - 2 maggio 1982), Washington DC 19811982 e K. T. VARNEDOE, Rodin as a Draftsman. A Chronological Perspective,
in A. ELSEN e K. T. VARNEDOE, The Drawings of Rodin, New YorkWashington 1972. Varnedoe evidenzia inoltre la trasformazione della scena
biblica in un evento più mascolino rispetto all’originale (in parte perché i panneggi sono omessi), K. T. VARNEDOE, The Early Drawings, in G. ERNSTGERHARD, Auguste Rodin. Drawings and Watercolours, Londra 1985, p. 15.
3
K. T. VARNEDOE, The Early Drawings cit., p. 18.
4
A. ELSEN, Rodin Rediscovered cit., p. 160.
5
Rodin nella prefazione a H. LECOQ DE BOISBAUDRAN, L’Éducation de
la mémoire pittoresque, Parigi 1913, p. 4. («Ricordo molto bene la rotonda in
basso dove gli allievi copiavano stampe del XVIII secolo. Perché, malgrado
l’originalità dei suoi insegnamenti, egli [Lecoq] custodiva la tradizione, e il
suo atelier era, si potrebbe dire, un atelier del XVIII secolo»).
6
C. RIOPELLE, Rodin and Michelangelo, a study in artistic inspiration, Philadelphia Museum of Art. The Mastbaum Album, 1981-49-1, comprensivo di 37
fogli, album facente parte della collezione del Philadelphia Museum of Art.
Donazione di Mrs Jefferson Dickson. Christopher Riopelle indica le
influenze dei rilievi di Michelangelo come possibili fonti di questo schizzo,
p. 84, e J. DE CASO, Rodin’s Mastbaum Album, in «Master Drawings», vol.
X, estate 1972, pp. 155-161 suggerisce l’ubicazione della scena del bagno.
7
A. RODIN, L’Art. Entretiens réunis par Paul Gsell, Parigi [1911] 1997, pp.
108 e 82.
8
Ibid.
9
Ibid., pp. 47 e 45.
10
Ibid., p. 41. Inventaire I, la nota a piè di pagina di cat. D5104 riferisce che
sul retro c’è scritto: «Mr Rodin, élève de Mr Belloc» («Sig. Rodin, allievo
del Sig. Belloc») e «Rodin-Belloc», identificando il pittore che all’epoca era
direttore della Piccola Scuola.
11
K. T. VARNEDOE, The Early Drawings, in E.-G. GÜSE, Auguste Rodin.
Drawings and Watercolours, Londra 1985, p. 24. Cfr. A. LE NORMANDROMAIN, Rodin et Michel-Ange: «Le fragmentaire, l’hybride et l’inachevé», in ID. (a
cura di), Rodin et L’Italie, catalogo della mostra (Villa Medici, Roma, 5 aprile - 9 luglio 2001), Roma 2001, p. 40. Lo «Studio d’après il “Narciso” di Valerio Cioli», 1877, tav. 72, è collocato in questo gruppo perché si riteneva che a
quel tempo Cioli fosse presso Michelangelo. Allo stato presente, il disegno
mostra incoerenze nell’orientamento di pelvi, gambe e testa, con effetti distorcenti sull’anatomia, rendendo poco convincente, secondo la mia opinione, un
accostamento con il ragazzo accovacciato di Cioli (per di più, non è dimostrato che Rodin abbia avuto accesso diretto alla figura di Cioli-Michelangelo).
A. RODIN, L’Art cit., p. 42.
A. RODIN, Correspondance de Rodin 1860-1917, ordine dei testi e note di
Alain Beausire e Hélène Pinet, vol. I, Parigi 1985, p. 34 («Ho fatto degli
schizzi la sera a casa mia, non ispirandomi alle sue opere, ma ispirandomi
a tutte le mie costruzioni mentali, ai sistemi che fabbrico nella mia immaginazione per comprenderle, ebbene sono riuscito, secondo me, a donar loro
l’allure, quel qualcosa di indicibile che lui solo sa imprimere»).
14
C. RIOPELLE, Rodin and Michelangelo, a study in artistic inspiration, Philadelphia Museum of Art. The Mastbaum Album, 1981-49-1.
15
In italiano nell’originale [N.d.T.].
16
In italiano nell’originale [N.d.T.].
17
J. CLADEL, Rodin. Sa vie glorieuse, sa vie inconnue, Parigi 1936, p. 107
(«che ha fatto fruttificare il suo spirito»). Cfr. R. BUTLER, Hidden in the
Shadow of the Master. The model-Wives of Cézanne, Monet, and Rodin, New
Haven-Londra 2008, p. 258.
18
Ibid., p. 105 («Chiuso nei suoi pensieri, le tasche piene di libri che leggeva avidamente mentre mangiava, e anche camminando per strada, il bisogno di coltivarsi era divenuto per lui una passione: tutte le sue facoltà maturano allo stesso tempo»).
19
A. LE NORMAND-ROMAIN (a cura di), Vers L’Age D’Airain, Rodin en
Belgique, catalogo della mostra (Musée Rodin, Parigi, 18 marzo - 15 giugno
1997), Parigi 1997, p. 188, da note manoscritte conservate negli archivi del
Musée Rodin, VIIA4a («I fusti di questi alberi non potrebbero avere
ombre più nere, che ritornano su di me, si distinguono, si scortano, si analizzano. [...] La strada in lontananza capricciosa si inerpica nascosta dai
rami degli alberi [...]. Il silenzio è benedetto e questo luogo è amico di tutti
gli uomini di pensiero». / «Questi fusti, oh sono le colonne altissime, del
Gotico, questi rami trasversali che hanno profondità differenti paiono
uccelli misteriosi sempre librati in volo». / «Parte della foresta è cupa. Mi
ricorda Dante». / «Ah! Watteau, qui siete passato voi. È la vostra anima
che soggioga la mia»).
20
Ibid., p. 223. Il testo per «Donna seduta, studio di nudo nella campagna
brabantina» (fig. 16) recita: «Ce nu observé d’après un modèle est sans
doute le seul qu’il ait peint» («Questo nudo eseguito basandomi su un
modello è probabilmente il solo che abbia dipinto»), un giudizio presumibilmente formulato per distinguere il lavoro da un’altro schizzo, di dimensioni simili, di una figura accovacciata con fiori, «Studio di donna con
Amore» in cui lo scenario, e il sentimento, sembrano più artificiosi.
21
(«Sulla pasta di un vaso in corso d’esecuzione»).
22
C. BULEY-URIBE, Rodin, Londra 2006, p. 204.
23
R. MARX, Auguste Rodin. Céramiste, Parigi 1910, pp. 30-31.
24
L. GAUCHEZ, in «L’Art», Vienna, 13 maggio 1883. Per una trattazione più esaustiva cfr. C. LAMPERT, Rodin, Sculpture and Drawings, New
Haven-Londra 1986 e A. LE NORMAND-ROMAIN, Auguste Rodin Drawings & Watercolours, Londra 2006.
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33. Auguste Rodin, Vecchio casolare sul pendio della collina a Boitsfort, nella foresta di Soignes, 1871-1877.
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«Ceci n’est pas un peintre».
Qualche riflessione intorno alla produzione pittorica
di Auguste Rodin
BARBARA MUSETTI
Il y a là du poète, du dessinateur,
du sculpteur, du peintre
et de l’homme heureux de respirer tout cela,
et son modèle la nature1.
«CECI N’EST PAS UN PEINTRE»
L’affermazione potrebbe assomigliare molto a un non sense magrittiano se non fosse che Rodin, un pittore, lo è stato davvero. Certo,
si tratta di una produzione privata, non destinata al grande pubblico e limitata nel tempo - riconducibile essenzialmente al periodo belga -, ma la riflessione teorica intorno alla pittura (oltre che alla sua pratica) è stata fondamentale nella formazione dell’«artista»
Rodin.
PITTURA O SCULTURA?
A differenza della scultura praticata da numerosi pittori nel corso del XIX secolo2, ampiamente studiata3, la pittura degli scultori
non ha avuto né la stessa fortuna critica né lo stesso numero di adepti4, attivi nella maggior parte dei casi in un ambito strettamente
privato. Si tratta tuttavia di un fenomeno estremamente interessante. Fu la generazione romantica, forse più interessata all’espressione che al mestiere, a fornire il maggior numero d’esempi in materia5. Il caso più noto è certamente quello dello scultore animalista Antoine-Louis Barye (1795-1875), che traspose in una serie di paesaggi piuttosto sommari gli animali che studiava con grande
precisione anatomica al Museum di Parigi6. Molti dei suoi acquerelli, tecnica di predilezione, furono esposti anche ai Salon. Interessanti anche i casi di James Pradier (1790-1852), che realizzò tra il 1834 e il 1838 qualche dipinto di storia e alcuni ritratti, e d’Antonin Moine (1796-1849) che cominciò la sua carriera proprio come pittore prima ancora di consacrarsi alla scultura. Un caso a
parte è quello dello scultore Antoine Etex (1808-1888), autore di numerosi dipinti di storia, di ritratti e di pannelli decorativi più
volte esposti ai Salon, il quale, grazie anche alle sue attività di architetto, incisore e scrittore, sembra aspirare maggiormente alla
figura dell’artista «universale» rinascimentale. In altri casi, la pittura fu una sorta di ripiego nei confronti di una carriera da scultore in difficoltà. È il caso di Jean-Baptiste-Auguste Clésinger (1814-1883), rifugiatosi a Roma dopo una serie di insuccessi parigini, consacrandosi alla pittura di paesaggio. Meno numerosi, ma non per questo meno interessanti, gli esempi più vicini a Rodin.
Tra gli scultori definiti dalla critica «très peintre»7 figura Paul Dubois (1829-1905), che a partire dal 1875 espose ogni anno al
Salon una serie di ritratti particolarmente apprezzati8. Alexandre Falguière (1831-1900) praticò parallelamente le due arti9, così
come il suo compagno alla Villa Medici, Jean-Baptiste Carpeaux (1827-1875), con il quale mostra anche alcune affinità stilistiche. Sebbene, come Rodin, Carpeaux dipinse essenzialmente per sé stesso e una ristretta cerchia di famigliari e amici, la sua produzione pittorica è assolutamente degna di nota; realizzato su un arco di tempo relativamente breve (1856-1875), il corpus dei suoi
dipinti conta circa centottant’otto opere, che spaziano dai temi di storia al ritratto, dal paesaggio alla natura morta. Eppure, quando al Salon del 1859 il già citato Clésinger aveva presentato tre dipinti firmati «Le sculpteur Clésinger», qualcuno aveva gridato
ancora allo scandalo. «Ma Orcagna lo faceva» - replicherà Théophile Gautier, osservatore dell’evento - «anche lui possedeva dei
talenti multipli, e dopo di lui i grandi e meravigliosi artisti del Rinascimento non si preoccuparono di utilizzare di volta in volta
lo scalpello, la tavolozza, la squadra. All’epoca la specializzazione [...] non era stata ancora inventata e il genio si muoveva liberamente in una sfera enciclopedica. Architettura, scultura, pittura non sono forse tre province dello stesso regno, tre forme della stes59
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34. Auguste Rodin, Chiatta in riva al canale Willebroek, 1871-1877.
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35. Auguste Rodin, Uscendo dalla foresta di Soignes verso Auderghem, 1871-1877.
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36. Auguste Rodin, Lo stagno della Patte d’oie a Groenendael, nella foresta di Soignes, 1871-1877.
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37. Auguste Rodin, Case rosse in riva all’acqua verso Boitsfort, nella foresta di Soignes, 1871-1877.
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38. Auguste Rodin, Paesaggio belga, (1871-1877).
39. Auguste Rodin, La vecchia Boitsfort, nella foresta di Soignes, 1871-1877.
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40. Auguste Rodin, Il Coin du Balai a Boitsfort, nella foresta di Soignes, 1871-1877.
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41. Auguste Rodin, Bosco ceduo di querce e betulle nella foresta di Soignes, 1871-1877.
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sa idea, tre lati di un triangolo? Il cervello che concepisce una di queste forme è atto ad assimilare facilmente le altre due. Michelangelo, Leonardo, Raffaello e ben altri lo hanno provato»10. Ci troviamo qui di fronte a uno dei topoi della letteratura artistica di tutti
i tempi - il primato delle arti, il Paragone - ma anche a uno dei temi più cari alla «mitologia» rodiniana, ovvero il confronto, e in
un certo senso la presunta filiazione, con i grandi maestri rinascimentali, in particolare modo Michelangelo. Per Rodin, così come
per molti artisti della sua generazione, lo scultore fiorentino non incarna solo l’apice di una singola disciplina artistica, ma il modello stesso dell’artista «universale».
IN PRINCIPO ERA LA PANGEA
Paul Valery diceva che l’uomo nasce multiplo e muore singolo. Rodin non sfuggì alla regola visto che nella sua giovinezza fu
attratto da varie discipline. In effetti, prima ancora di scolpire il francese si consacrò alla pittura, esitando sulla strada da intraprendere.
È alla Petite École che Rodin visse il «periodo germinativo» della sua vita «durante il quale la [sua] propria natura si piantò solidamente in un suolo stabile, senza nessun ostacolo, in cui furono piantati i semi del [suo] sviluppo futuro»11. L’insegnamento era
allora dominato dalla forte personalità di Horace Lecoq de Boisbaudran che professava un metodo rivoluzionario basato sulla
pratica del disegno di memoria12. Pur esigendo dai suoi studenti una conoscenza assoluta delle tecniche tradizionali, Lecoq rispettava le loro personalità che invitava a sviluppare. Benché Rodin non abbia frequentato regolarmente l’atelier di Lecoq - come i
suoi contemporanei Fantin-Latour, Dalou e Legros13 - ricorderà sempre con grande riconoscenza l’insegnamento del suo maestro14. Alla Petite École si copiavano ogni mattina i modelli del XVIII secolo; per i pittori: Boucher e Van Loo, per gli scultori
Bouchardon e Clodion; per tutti la copia dal nudo, d’après le stampe della collezione della Scuola. La passione di Rodin per la
scultura non riduceva la sua curiosità per gli altri settori artistici, soprattutto quelli non insegnati alla Petite École. Nel pomeriggio
il giovane francese raddoppiava l’allenamento, passando varie ore al Louvre, dove copiava Michelangelo, Raffaello e gli antichi.
Alla Bibliothèque Nationale sfogliava e copiava le tavole delle grandi opere illustrate, quali il classico Monuments de la monarchie
française di Bernard de Montfaucon15. La sera poi seguiva i corsi di nudo, questa volta dal vivo, all’École des Gobelins16. È qui,
intorno al 1855, che realizza le sue prime accademie a olio (tavv. 4-5). L’interesse per la tecnica della pittura, che non era insegnata alla Petite École, gliela trasmetterà Pierre Leuset, «un vecchio pittore» specialista di animali, amico del padre, presso il quale il
giovane Rodin guadagnava qualche soldo spolverando le tele17 e che gli «spiegherà qualche piccola cosa» sulla materia18.
Ma cosa rappresenta Rodin quando al posto della terra sceglie di utilizzare il pennello? La pittura del francese è totalmente indipendente dalla sua scultura, non essendone né lo studio preparatorio né tanto meno la copia. A differenza di altri scultori - Canova
ad esempio - il francese non utilizza mai il pennello come strumento d’indagine della composizione, della resa dei volumi o della
superficie. Dopo i primi timidi tentativi è il ritratto, in seguito molto frequentato, il primo genere pittorico praticato da Rodin.
Queste prime tele, dallo stile ancora esitante e dalla tavolozza cupa, raffigurano essenzialmente membri del suo entourage, la sua
famiglia - il padre, un amico (Abel Poulain) e la compagna Rose Beuret19. «Perché cercare lontano le ragioni per dipingere? Ciò
che è più vicino a noi, di più personale, è anche ciò che è più universale e più capace di commuovere gli uomini»20 - dirà più tardi
Rodin. La stessa ricerca d’«intimità» e di «patetismo» figurerà tra le caratteristiche apprezzate nell’opera di uno degli artisti contemporanei maggiormente ammirati da Rodin - Eugène Carrière - l’unico artista, insieme a Fidia e Michelangelo, indicato da
Rodin nel suo celebre Testamento come modello da imitare. Questo confronto costante con la produzione pittorica contemporanea
è testimoniato dalle numerose amicizie intrattenute da Rodin con i principali pittori del suo tempo e, soprattutto, dall’impressionante numero di dipinti - acquistati o scambiati con le sue sculture - collezionati nel corso della sua vita21.
Ci sono poi due generi nei quali l’artista ha scelto di esprimersi esclusivamente in pittura: l’inevitabile copia dei grandi maestri e il
paesaggio, tra tutti i generi pittorici, il solo che, per sua natura, è inaccessibile alla scultura.
Il Belgio, terra di grandi pittori, e primo paese straniero visitato da Rodin, saprà aprire i suoi appetiti in questi ambiti, in un
momento della sua vita durante il quale la nobile arte lo contende ancora alla scultura. Durante i sei anni trascorsi in Belgio, per
lavorare al seguito dello scultore Carrier-Belleuse, Rodin ha l’occasione di scoprire il paese, andando di città in città, in un «continuo incanto»22 alla scoperta dei grandi maestri locali: Van Dyck, Teniers, de Snyders, de Jordaens e soprattutto Rubens, che
definisce «un’ossessione [che] ti entra nel corpo»23. Sfruttando il metodo di Lecoq, Rodin trascorre molte ore nei musei di fronte
ai dipinti che cerca di riprodurre a memoria, in un secondo momento. «Aveva ripreso il gusto per la pittura » - racconta Coquiot
- «gli capitava pure di riprodurre a memoria un’opera di Rubens, e facendo e rifacendo la strada da casa al museo, e viceversa,
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42. Auguste Rodin, Strada di campagna a Watermael, nella foresta di Soignes, 1871-1877.
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Fig. 21. Auguste Rodin, Cambogiana da utilizzare come Gloria, 1906-1907.
arrivava ad ottenere un’interpretazione di massima soddisfacente»24. Alcune di queste copie sono ancora allo stato di studio - è il
caso del «Cristo crocifisso» di Rubens del Koninklijk di Anversa - dove Rodin cerca la composizione su una quadrettatura ancora visibile (tav. 32); in altri casi lo scultore concentra il ricordo su una parte del modello originale - è il caso del «Ritratto d’Adrienne Perez» - dalla cui copia elimina, rispetto all’originale, tutto l’apparato ornamentale.
VARIAZIONI. SE LA NATURA FOSSE UN ARCHITETTO?
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, è in Belgio e non in Italia25 che Rodin scopre la Natura. Durante le ore di
riposo, lo scultore era solito passeggiare nelle foreste del Brabante, alle porte di Bruxelles26. Ispirato dai luoghi, dove Rodin
confessa d’aver trovato «la sua musa selvaggia»27, si consacra al paesaggio. La foresta si rivela ai suoi occhi come una straordinaria composizione architettonica, più volte comparata a quella delle amate cattedrali. Le sue geometrie, colte sur le vif,
durante dei momenti «di felice solitudine»28, danno vita a una trentina di dipinti di piccolo formato29, tutte concepite sugli
stessi modelli - vedute della campagna, ai margini della foreste o sui bordi di un lago - «nel momento di un’ispirazione dolcemente commossa, in cui l’adorazione istintiva della natura obbediva, si conformava a un desiderio irresistibile di descrizione
sincera»30. Sono tutti olii su carta - più economica rispetto alla tela per un artista nel bisogno -, successivamente incollati su
cartoni, in epoca sconosciuta ma probabilmente posteriore a Rodin31. Lo scultore non ha mai firmato i suo dipinti, non se ne
è mai separato32 e tanto meno fatto commercio, fatto che spiega la loro presenza unicamente al Musée Rodin di Parigi. Questi
dati permettono anche di escludere categoricamente la paternità rodiniana dei numerosi paesaggi conservati in collezioni private, tutti su tela e firmati, caratterizzati da una densa pasta bianca, mai usata da Rodin, che cominciarono a circolare quando
l’artista era ancora in vita33. Rapidità d’esecuzione e una pennellata vigorosa fatta di «accordi rotti e quasi velati, [in cui] si
sposano i bruni e i verdi, i rossi e i gialli, qua e là accentuati dall’inserzione di una pennellata più pura, grassa, vellutata»34,
sono le caratteristiche principali di quasi tutti questi paesaggi. Rodin agisce come un autodidatta, nell’urgenza e interamente
sottomesso alla pressione dell’istante. Come in scultura, anche in campo pittorico l’assenza di una formazione accademica fornisce all’artista francese una maggiore libertà espressiva. Rodin mostra un grande interesse per le qualità atmosferiche.
Quest’ultimo elemento, unito alla spontaneità d’esecuzione, alla coincidenza cronologica e, non ultima, all’amicizia con
Monet, ha forse potuto tentare qualcuno nel riconoscere in lui una «tendenza impressionista». In realtà lo scultore non ebbe
nessun legame con questo movimento, che non comprendeva completamente35, preferendogli l’arte di un Carrier o di un
Puvis de Chavanne. Tra il 1875 e il 1877, data delle due prime esposizioni impressioniste a Parigi, Rodin viveva ancora in
Belgio. Quando poi rientrò in Francia, il suo interesse per la pittura era oramai stato definitivamente spodestato da quello per
la scultura. Nell’accezione tecnica o stilistica del termine, i paesaggi di Rodin non sono «impressionisti», sono piuttosto atipici, personali e sicuramente portatori di un certo modernismo. Quando dipinge, Rodin è ben troppo geloso della propria
libertà per ispirarsi a una qualsiasi teoria, avvicinarsi a un gruppo o ancor meno sostenere una tendenza. Se la scelta del soggetto, la composizione, la maniera di trattare la luce sono tributari della concezione del paesaggio della generazione precedente
- quella dei Corot, Caruelle d’Aligny, Daubigny e soprattutto Ravier - Rodin evolve rapidamente verso uno stile più personale, più libero. L’esecuzione fine e leggera, in punta di pennello, quasi si trattasse di un acquerello, permette all’artista una
grande precisione d’annotazione dei particolari. Se influenza c’è stata, si dovrebbe forse cercare in altre direzioni. Rodin è particolarmente sensibile alla sensualità della luce, alla fugacità dei colori. Spesso i suoi motivi sembrano diluirsi in macchie
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43. Auguste Rodin, Chiatta in riva al canale Willebroek, verso Vilvorde, 1871-1877.
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44. Auguste Rodin, Scorcio di villaggio verso Boitsfort, nella foresta di Soignes, 1871-1877.
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imprecise di colori caldi, evocando certe forme d’astrazione raggiunte, ad esempio, in alcuni schizzi di Gustave Moreau o,
forse ancor di più, nel carattere visionario delle opere atmosferiche di William Turner. Sander Pierron, il critico e redattore
de «L’Indépendance belge», il primo a occuparsi della pittura di Rodin, a proposito di queste opere parla «d’impressionismo
cosmico», definizione che ci sembra ben più appropriata. La stessa rapidità d’esecuzione la si ritrova anche nei disegni a sanguigna d’analogo soggetto, caratterizzati da una grande sicurezza compositiva, sempre eseguiti in assoluta indipendenza dai
dipinti. Infatti, così come per le sue sculture, anche in pittura Rodin non realizzò mai nessun disegno preparatorio. Una volta
rientrato in Francia, questi dipinti furono riposti definitivamente in una cartella, dove rimasero nascosti per oltre trent’anni.
La pittura di Rodin non fu mai vista dai suoi contemporanei. Mai esposta, mai mostrata nel suo atelier, questa produzione
non può quindi aver avuto alcuna incidenza sulla comunità artistica del tempo, ancor meno sulla ricezione critica dello scultore; ma «lo spirito di Rodin non si ferma» - scrive Bourdelle - «non puo’ fermarsi»36.
IL CERCHIO SI CHIUDE
Nel 1907, all’età di sessantasette anni, Rodin riceve la commissione più inattesa di tutta la sua carriera: affrescare l’antico seminario
di Saint-Sulplice37. È la prima volta che lo Stato francese incarica uno scultore di un’impresa normalmente riservata ai pittori.
L’idea era venuta a Henri Dujardin-Beaumetz, allora sottosegretario alle Belle Arti e grande ammiratore di Rodin, dopo la visita alla mostra di disegni dello scultore tenuta nell’ottobre del 1907 nella galleria di Bernheim-Jeune. Dujardin-Beaumetz sostiene
pienamente Rodin, nel quale riconosce «una forte e particolare disposizione verso una nuova arte decorativa monumentale ad
affresco»38. Nonostante ciò le reazioni della critica saranno piuttosto scettiche. Dopo la definitiva consacrazione ottenuta grazie
all’Esposizione dell’Alma, nel 1900, Rodin era ormai mondialmente conosciuto e riconosciuto come, probabilmente, il più
grande artista francese del XIX secolo. Tale titolo però non includeva certo la qualifica di pittore - tanto meno di affreschista - attività che Rodin aveva abbandonato da oltre trent’anni.
Ma per il francese l’affresco non è una tecnica anodina, simboleggiava ai suoi occhi l’ultimo anello di congiunzione tra sé e Michelangelo (questa volta quello della Sistina), il suo costante punto di riferimento. Benché non avesse mai praticato questa tecnica, lo
scultore aveva un’idea ben precisa del risultato al quale voleva arrivare: «Fino ad oggi non ho mai dipinto ad affresco; tuttavia
questo lavoro non sarà nuovo per me. L’affresco è un’arte più vicina alla scultura che alla pittura; è l’intermediario tra il bassorilievo e il quadro. [...] i colori non sono solamente uniti e poco variati ma anche ridotti di tono»39. Per questa monumentale impresa
Léonce Bénédite propone a Rodin un tema pensato espressamente per lui: il paradiso, in contrappunto all’inferno della «Porta».
Rodin non poteva essere che entusiasta di questa scelta; sul fondo della sala la «Porta dell’inferno» sarebbe stata circondata dagli
affreschi del Paradiso. «Ma è la Sistina!»40 esclamerà radioso. Al centro avrebbero preso posto tutte le sue opere maggiori, permettendo al visitatore di leggere il suo lavoro come in una sorta di Divina Commedia contemporanea. Una volta definito il tema, Rodin
lo immagina abitato dalle sue danzatrici «Cambogiane» che ben si adattano all’andamento lineare dell’affresco. Rodin realizza
prima su carta il risultato esatto che avrebbe voluto ottenere, attraverso una serie di variazioni sul tema delle Cambogiane tradizionali, rivisitate ad acquerello in una gamma di toni naturali, più «italiani» (ocra, gialli chiari, verde acqua, azzurri). Per questo
grande ciclo decorativo lo scultore vuole fare del vero affresco, considerato più resistente della tela riportata, come aveva fatto, ad
esempio, Puvis de Chavanne al Panthéon. Per questo Rodin chiede l’aiuto a persone competenti del suo entourage: innanzitutto
alla pittrice Marie Cazin, moglie dell’amico pittore Jean-Charles C. H. Cazin; in seguito si rivolge alla sua nuova allieva Jeanne
Bardey, che aveva già praticato la tecnica e poteva quindi fornirgli tutto il materiale necessario; infine, al «praticien» C. H. Charlier che esegue quattro degli affreschi concepiti da Rodin41. A partire dal 1913 il progetto di trasferimento del Musée du Luxembourg sarà progressivamente accantonato, per essere completamente abbandonato dopo lo scoppio della prima guerra mondiale.
Poco importa. Contrariamente a qualsiasi aspettativa, è proprio nella pittura che inizia e si conclude la carriera del più grande
scultore francese del XIX secolo.
1
3
Bourdelle parlando dei dipinti realizzati da Rodin in Belgio. A. BOURChemin faisant. Notes et relations de voyages 1901-1927, a cura di M.
Kopylov e C. Lemoine, Parigi 2010, p. 42.
2
Tra i pittori che praticano la scultura tra XIX secolo e l’inizio del XX secolo figurano Gericault, Daumier, Degas, Gauguin, Bonnard, Renoir, Matisse.
La scultura di pittori è stata l’oggetto di importanti mostre in diverse occasioni:
J. L. PRAT (a cura di), Les peintres sculpteurs, catalogo della mostra (Museum
Frieder Burda, Baden-Baden), Baden Baden 2008; ID. (a cura di), La Sculpture des peintres, catalogo della mostra (Fondation Maeght, Saint Paul de Vence,
2 luglio - 19 ottobre 1997), Saint Paul de Vence 1997; B. DORIVAL, La sculp-
DELLE,
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ture de peintres en France de Géricault à nos jours, in «Journal de psychologie», s.l.
1978; M. LAURENT (a cura di), Sculptures de peintres, catalogo della mostra
(Musée Rodin, Parigi), Parigi 1973.
4
In epoche più lontane si possono citare gli esempi di Gian Lorenzo Bernini
(1598-1680), l’autore di numerosi ritratti dipinti; Pierre Puget (1620-1694), che
riprodusse numerose opere del suo maestro Pietro da Cortona, e Antonio
Canova (1757-1822). Quest’ultimo realizzò una serie di piccoli quadretti a
soggetto mitologico, composizioni studiate anche in cera e a grisaille.
5
Il tema è stato affrontato da Laure de Margerie in occasione della mostra
«Carpeaux peintre», cfr. L. DE MARGERIE, Carpeaux peintre et sculpteur, in P.
RAMADE e L. DE MARGERIE (a cura di), Carpeaux peintre, catalogo della
mostra (Musée des Beaux-Arts, Valenciennes, 8 ottobre 1999 - 3 gennaio 2000;
Musée du Luxembourg, Parigi, 24 gennaio - 2 aprile 2000; Van Gogh Museum, Amsterdam, 21 aprile - 27 agosto 2000), Parigi 1999, pp. 81-84.
6
Tra il 1863 e il 1864 Rodin frequenta i corsi di anatomia zoologica d’Antoine-Louis Barye al Muséum national d’Histoire naturelle di Parigi, dove lo
scultore era stato nominato professore di disegno e scultura animalista nel 1854.
7
BENJAMIN-CONSTANT, Promenade de peinture aux Salons de 1898, in «Le
Figaro», 7 maggio 1898.
8
Seppur di minor interesse, bisogna aggiungere a questa breve lista anche una
serie di nudi femminili dipinti in paesaggi dello scultore Antonin Mercié
(1845-1916).
9
Tale produzione sarà molto apprezzata da Rodin, che di Falguière preferiva
la produzione pittorica. Ne testimonia il fatto la presenza, nella collezione privata dello scultore, del dipinto «Dieci studi su legno copia da maestri spagnoli», Parigi, MR, inv. P.7298.
10
T. GAUTIER, Chapitre XI. Feuilleton du 23 juin 1859, in W. DROST e U.
HENNINGS (a cura di), Exposition de 1859, Heidelberg 1992, pp. 74-75.
11
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, sculptor, in «The American Architect
and Building News», 1889, n. 25, p. 65.
12
H. LECOQ DE BOISBAUDRAN, L’Éducation de la mémoire pittoresque et la formation de l’artiste, H. Laurens, Parigi 1913. Sul metodo di Lecoq, le sue implicazioni pedagogiche e la sua diffusione, cfr. M. V. THIELEMANS, «The Afterlife of Images. Memory and Painting in Nineteenth Century France», tesi di
dottorato, Johns Hopkins University, 2001 (manoscritto); C. P. CEN-DOESSACHATE, Lecoq de Boisbaudran and Memory Drawing. A teaching course between
Idealism and Naturalism, in G. P. WEISBERG, The European Realist Tradition,
Bloomington 1982, pp. 242-289.
13
Tra gli allievi più illustri vi figurano anche Guillaume, Frémiet, Chapu, i
Regamey, Lhermitte, Carrier-Belleuse.
14
Sull’influenza dell’insegnamento della Petite École sull’arte di Rodin, si rinvia al saggio in questo volume di J. HARGROVE, La metamorfosi di un maestro
nella sua genesi: Rodin nell’atelier di Carrier-Belleuse, 77-109.
15
Questa densa organizzazione delle giornate comprendeva anche i corsi di letteratura e storia al Collège de France, le visite alle gallerie e alle biblioteche della
città, le conferenze d’anatomia al Musée Dupuytren. Cfr. F. GRUNFELD,
Rodin, Parigi 1988, p. 30.
16
I corsi d’arte organizzati dalla manifattura dei Gobelins, inizialmente destinati al personale e alle loro famiglie, erano gratuiti e aperti anche a un pubblico esterno. Comprendevano lo studio del disegno, dell’antico e del modello
vivente.
17
R. BUTLER, Rodin. La solitude du génie, Parigi [1993] 1998, p. 16.
18
La confidenza di Rodin, fatta a René Cheruy, è citata in F. GRUNFELD,
Rodin cit., p. 31. La pittura di animali tenterà invece molto poco Rodin, a
eccezione di un «Cavallo» (tav. 7) visto al mercato di San Marcel (non lontano
dai Gobelins), realizzato nel 1864, quando abitava al numero 96 di rue
Lebrun.
19
Esiste anche un «Autoritratto», eseguito nel 1886-1888. Musée Rodin, Parigi, P. 7250.
P. GSELL, Propos de Rodin sur l’art et les artistes, in «La Revue», 1 novembre
1907, p. 96.
21
Testi di riferimento in materia rimangono i saggi di C. JUDRIN, Rodin et
les peintres de son temps, in Rodin et la sculpture contemporaine, atti del convegno
(Musée Rodin, Parigi, 11-15 ottobre 1982), Parigi 1983, pp. 51-63; ID.,
Rodin, les peintres et l’Espagne, in «Revue du Louvre. Études», 1998, n. 3, pp.
75-82.
22
G. COQUIOT, Le vrai Rodin, Jules Tallandier, Parigi 1913, p. 92.
23
(Comoedia), Une peinture de Rodin, in «France et Allemagne», 8 maggio
1913.
24
G. COQUIOT, Le vrai Rodin cit.
25
In Italia, a differenza dei pensionnaires della Villa Medici, la cui formazione si
basava essenzialmente sullo studio dei classici, dei maestri del Rinascimento e
della natura, Rodin sembra essere totalmente impermeabile a questo ultimo elemento.
26
Si tratta di Tervueren, Groenendael, Overyssche, zone particolarmente ricche di foreste, celebri luoghi di caccia dell’imperatore Massimiliano, da secoli
fonte d’ispirazione per numerosi pittori, da Jacques d’Artois a un gran numero
di maestri minori del XIX secolo.
27
G. COQUIOT, Le vrai Rodin cit., p. 221.
28
G. GEFFROY, Auguste Rodin et son oeuvre, in «La Plume», 15 dicembre 1900,
n. 328, p. 35.
29
Sull’argomento si veda: C. JUDRIN, Paysages de la forêt de Soignes et de la campagne brabançonne, in A. LE NORMAND-ROMAIN (a cura di), Vers l’Age
d’airain. Rodin en Belgique, catalogo della mostra (Musée Rodin, Parigi, 18
marzo - 15 giugno 1997), Parigi 1997, pp. 185-192.
30
S. PIERRON, Auguste Rodin peintre du Brabant, in «Le Flambeau», Bruxelles,
luglio 1935, n. 7, pp. 74-75.
31
A conferma di quanto detto, esistono ancora alcuni di questi dipinti su carta
libera. C. JUDRIN, Paysages de la forêt de Soigne et de la campagne Brabançonne, in
F. VANHAECKE e L. DERYCKE (a cura di), Rodin et la Belgique, catalogo
della mostra (Palais des Beaux-Arts, Charleroi, 7 settembre - 14 dicembre
1997), Charleroi 1997, p. 86.
32
La sola eccezione è rappresentata da un paesaggio donato dall’artista al primo
conservatore del Musée Rodin, Léonce Bénédite. Cfr. Vendita della collezione
di M.me Léonce Bénédite, Hôtel Drouot, Parigi, 31 maggio 1928, cat. 137.
33
In alcuni casi questi quadretti, tutti contemporanei di Rodin, furono sottoposti all’attenzione dell’artista stesso. Come lo suggerisce C. Judrin, è possibile
ipotizzare che un pittore omonimo abbia potuto beneficiare dell’equivoco.
Cfr. C. JUDRIN, Paysages de la forêt cit., p. 86.
34
S. PIERRON, Auguste Rodin peintre cit., p. 76.
35
Rimproverava agli impressionisti di non saper disegnare. Tuttavia, nella sua
collezione privata figurano opere di Monet, Pissarro, Renoir e Van Gogh.
36
A. BOURDELLE, Chemin faisant cit., p. 43.
37
Il seminario, dismesso dopo la separazione tra Stato e Chiesa, nel 1905, doveva accogliere le collezioni del Musée français des artistes vivant conservate fino
a quel momento all’Orangerie del Musée du Luxembourg. La vicenda è stata
ricostruita da C. BULEY-URIBE, Les Cambodgiennes pourraient-elles figurer les
anges du paradis?, in J. VILAIN (a cura di), Rodin et les danseuses cambodgiennes. Sa
dernière passion, catalogo della mostra (Musée Rodin, Parigi, 16 giugno - 17 settembre 2006), Parigi 2006, pp. 63-69.
38
DUJARDIN-BEAUMETZ, in O. GRAUTOFF, August Rodin, «Monatschefte», novembre 1911.
39
Anonimo, Le maître Rodin va peindre à fresque la chapelle de Saint-Sulplice, in
«Paris Journal», 29 settembre 1911.
40
L. BÉNÉDITE, Le musée Rodin, in «Les Arts au musée Rodin», 1918, n. 168,
numero speciale, p. 14.
41
Sulle varie tappe che hanno accompagnato questo progetto si rinvia a C.
BULEY-URIBE, Les Cambodgiennes cit., pp. 64-65.
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45. Auguste Rodin, Cascina con frutteto verso Groenendael, all’ingresso della foresta di Soignes, 1871-1877.
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46. Auguste Rodin, Orfanella alsaziana, 1871.
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La metamorfosi di un maestro nella sua genesi:
Rodin nell’atelier di Carrier-Belleuse
JUNE HARGROVE
I
l posto occupato da Auguste Rodin nella storia della scultura ci induce a concentrare l’attenzione sugli esiti della maturità, diversamente dalla scarsa considerazione che suscita invece il suo periodo formativo. Mentre ricercava, sin dagli inizi,
una propria visione artistica, negli anni trascorsi a lavorare alle dipendenze di altri Rodin accumulò una ricca gamma di competenze e di procedure che gli sarebbero state fondamentali per i futuri successi. La fase più intensa della sua carriera coincise con l’affermarsi, grosso modo dal 1875 al 1905, della seconda rivoluzione industriale, che favorì l’età dell’oro della scultura. Nel XIX secolo la pratica della scultura si trasformò radicalmente in virtù della tecnologia, la quale non solo ne facilitava
l’effettiva esecuzione, ma moltiplicava esponenzialmente le opportunità per un artista di trarre profitto da questa attività. Di
fatto, nessun aspetto del processo scultoreo rimase privo di conseguenze, e lo scultore fu costretto ad adattarsi all’«arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica», secondo la celebre definizione di Walter Benjamin1.
Rodin si trovò a dover mediare nel tiro alla fune tra i vantaggi materiali offerti da questa nuova era e la figura dello scultore,
con la sua soggettiva genialità. Le fondamenta della sfaccettata parabola artistica della maturità furono gettate nell’atelier di
Albert-Ernest Carrier-Belleuse (1824-1887), l’archetipo dell’artista-imprenditore che accoglieva a braccia aperte l’età della
riproducibilità tecnica di Benjamin. Nella descrizione che ne fece Edouard Lockroy, Carrier-Belleuse «C’est presque une
machine à sculpter [...]. Chaque jour sortent de son atelier des bustes, des ornements, des statues, des statuettes, des bronzes,
des candélabres, des cariatides; bronze, marbre, plâtre, albâtre, il taille tout, il façonne tout, il creuse tout; mais que cette machine a d’esprit, d’imagination, de verve! Parfois on lui croirait du génie»2. Questo saggio intende non tanto ribadire l’evoluzione dell’indiscussa originalità artistica di Rodin, quanto invece approfondire in che modo le sue prime esperienze gli abbiano
consentito di mettere a frutto la lezione appresa da Carrier-Belleuse.
Già solamente la portata dell’operazione costituiva per Rodin un modello esemplare, da cui poter imparare come organizzare e gestire con efficienza e profitto un atelier grande e complesso: tutti quei compiti pratici che, due decenni più tardi, lo stesso Rodin avrebbe delegato ad altri3. Benché esista una scarsa documentazione sull’effettivo funzionamento dell’atelier di Carrier-Belleuse, da quanto si dispone è possibile tracciare un quadro verosimile delle sue attività. Analogamente, se il ruolo di
Rodin non può essere specificato nel dettaglio, abbiamo sufficienti indizi per farci un’idea della sua partecipazione a questo
atelier. Al di là della logistica attinente alla produzione scultorea, è illuminante vedere come la strategia di Carrier-Belleuse,
di essere a un tempo uno statuaire (cioè un artista che esponeva le proprie sculture) e un uomo d’affari, rappresentò un paradigma per l’estremamente ambizioso giovane apprendista.
Carrier-Belleuse aveva appena tredici anni quando diventò ciseleur (cesellatore), ma verso il 1839 già lavorava alla modellatura presso i prestigiosi orafi Fannière Frères. Grazie a Pierre David d’Angers, nel 1840 fu ammesso alla École des Beaux-Arts,
dove strinse amicizia con Jules Salmson. Secondo quest’ultimo, Carrier-Belleuse non vi si era iscritto «pour y poursuivre les
études profondes du statuaire», bensì per acquisire «le tour de main», l’abilità manuale indispensabile a un ciseleur4. Dopo
alcuni mesi, lasciò l’accademia per guadagnarsi di che vivere con una pratica artistica più commerciale. Frequentò i corsi serali alla École Royale de Dessins et de Sculpture d’Ornement, la cosiddetta «Petite École», in cui fra i suoi amici vi era JeanBaptiste Carpeaux. Carrier-Belleuse fu un tipico prodotto della Piccola Scuola; ne sposò appieno le premesse di un progresso sociale da perseguire attraverso le arti industriali. Mantenendosi fedele a questa filosofia, per tutta la vita avrebbe dato lezioni di disegno, in corsi gratuiti, la sera, ad allievi che durante il giorno lavoravano alle dipendenze di altri, come aveva fatto lui
per oltre quindici anni. Negli anni quaranta, fu dipendente di numerosi atelier e manifatture. Procurò dei modelli alla fab77
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48. Auguste Rodin, Amore stante, 1871.
47. Auguste Rodin, Venere, 1871.
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49. Auguste Rodin, Venere e Amore, 1871.
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50. Auguste Rodin, Il bagno di Venere, 1871.
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51. Auguste Rodin, Segreto d’amore, 1871.
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Fig. 22. Albert-Ernest
Carrier-Belleuse,
Baccante, 1863.
Fig. 23. Louis CarrierBelleuse, Albert CarrierBelleuse nel suo
atelier, 1874 circa.
brica di porcellane di Michel Aaron, dove i suoi gruppi venivano ingranditi da Carpeaux5. Nel 1850, fu assunto dalla Minton’s China Works, in Gran Bretagna.
La generazione precedente, vale a dire scultori come James Pradier e Jules Klagmann, aveva avuto modo di apprezzare i benefici apportati dalle invenzioni tecnologiche del momento. I miglioramenti introdotti nella tecnica della fusione già avevano fatto
nascere numerose fonderie che producevano bronzi artistici6. La macchina di Collas, perfezionata negli anni quaranta, consentiva ai laboratori di ingrandire o ridurre meccanicamente i modelli. Era utilizzabile sia con i marmi che con i bronzi e, insieme ai nuovi strumenti per l’intaglio del marmo, rendeva le lavorazioni in serie di dimensioni variabili un’opzione lucrativa.
Carrier-Belleuse e i suoi contemporanei si erano fatti le ossa fornendo modelli ai nascenti stabilimenti industriali, che stavano
alimentando la moda della scultura di piccole dimensioni nella classe media allora in ascesa. Emmanuel Frémiet e Carpeaux
erano tra i giovani artisti che, intorno alla metà degli anni cinquanta, esploravano le opportunità di lavorare a contratto per l’industria, ma nessuno raggiunse la portata delle attività intraprese da Carrier-Belleuse. Quest’ultimo ritornò a Parigi in tempo per
l’Esposizione Universale del 1855, proteso verso le tante ricche occasioni che si offrivano agli scultori del Secondo Impero. Si
trasferì con la famiglia in un appartamento situato in rue de La Tour d’Auvergne, dove installò un atelier nel giardino7. Presto il suo raggio d’azione si allargò in tutte le direzioni, dalle mostre, i monumenti, i ritratti, le decorazioni architettoniche ai
progetti commerciali e industriali. Mantenne i rapporti con società britanniche, mentre si accingeva a stabilirne di analoghi con
altre francesi, producendo ceramiche, lavori in metallo, oggetti funzionali, serie figurative e design ornamentale.
Pur avendo in precedenza manifestato scarsa inclinazione verso la più nobile professione di statuaire, dopo il suo ritorno a Parigi Carrier-Belleuse si rese conto dei vantaggi che uno status più elevato avrebbe apportato alle sue ambizioni commerciali. Iniziò a realizzare dei lavori adeguati per essere presentati ai Salon annuali, scegliendo temi in grado di suscitare l’attenzione dell’imperatore e del suo entourage. «La morte del generale Desaix» (1859), un soggetto del Primo Impero, fu pensato per piacere a Napoleone III. Allo stesso modo, la voluttuosa «Baccante» (1863) corrispondeva ai notissimi gusti del sovrano, che la
acquistò con i suoi fondi personali per i giardini delle Tuileries (fig. 22).
Rodin entrò nell’atelier di Carrier-Belleuse una prima volta nel 1863, su consiglio del fotografo Charles Aubry, che lo spronava a cercarsi «un datore di lavoro di classe superiore». Dopo una breve interruzione, vi fece ritorno nel 1864, inizialmente
dividendosi tra questo laboratorio e quello dei Fannières Frères8. Non avrebbe potuto scegliere momento più propizio per
unirsi a Carrier-Belleuse, che era in pieno rigoglio, né trovare un atelier più istruttivo per la sua futura carriera. Se anche altri
laboratori di scultura del XIX secolo seguivano un percorso simile, in cui i tradizionali modelli di apprendistato lasciavano
posto alla più capitalistica prassi di assumere persone per incarichi specifici, nessuno sopravanzava l’assortimento di attività
messe in piedi in rue de La Tour d’Auvergne (fig. 23). Come in seguito lo descrisse uno dei suoi visitatori, «Mais que de
merveilles dans les ateliers...! quelle vie! quelle animation! Le maître a dessiné le modèle, pétri la glaise ou divisé le marbre.
Cinquante praticiens, artistes de tous genres, travaillent sous sa direction. L’un dégrossit la pierre, l’autre passe les plâtres à la
cire, un troisième recouvre de linges mouillés les groupes achevés [...]»9.
Al momento dell’arrivo di Rodin, nell’atelier si respirava il successo riscosso dalla «Baccante». Carrier-Belleuse proseguì nel
filone del plauso popolare, nel 1866, con «Angelica» (fig. 24), una statua in marmo a grandezza naturale ispirata all’Orlando furioso, nella quale le contorsioni del corpo nudo fanno pensare alle pose analoghe che Rodin avrebbe in seguito concepito
per la «Porta dell’inferno». Anche se si sarebbe tentati, è rischioso azzardare ipotesi sull’effettivo grado di collaborazione di
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Fig. 24. Albert-Ernest Carrier-Belleuse,
Angelica, 1866.
Fig. 25. Desroches-Valnay,
Discussione circa la nuova
organizzazione delle Belle Arti.
Riunione di artisti nell’atelier dello
scultore Carrier-Belleuse, 1870.
Fig. 26. Albert-Ernest Carrier-Belleuse,
Venere che disarma Cupido,
ante 1889.
Rodin alle composizioni realizzate nell’atelier di Carrier-Belleuse negli anni che videro i due lavorare insieme, perché è raro
poter trovare riscontri per i singoli particolari delle opere. Tuttavia, come suppone James Hargrove, la dinamica sensualità
insita in molte delle composizioni di Carrier-Belleuse che implicano il corpo femminile anticipa la sessualità esplicita dei nudi
di Rodin. Per giunta, la ricezione delle figure femminili sessuate di Carrier-Belleuse deve avere impresso nella mente del giovane artista il fatto che, nel contesto giusto, l’erotismo poteva guadagnarsi il pubblico apprezzamento, diversamente da quanto avvenuto con «La danza» di Carpeaux, che si era attirata critiche deplorevoli10.
Immaginiamo come un timido, insignificante ventiquattrenne, che per anni si è definito un «operaio»11, all’improvviso si
ritrovi in un atelier alla moda pieno di animazione, con svariate decine di modellatori, fonditori, squadratori, scalpellini, rifinitori e diversi altri lavoranti, tutti che contribuivano alla realizzazione di opere d’arte per clienti di vario genere, alcuni dei
quali andavano e venivano nel corso della giornata. Il contrasto con i laboratori ornatisti da cui proveniva dev’essere stato sbalorditivo. Per di più, lavorando fianco a fianco con altri giovani artisti di talento, quali Alexandre Falguière, Almire Huguet
e Jules Dalou, Rodin iniziò a farsi degli amici.
Carrier-Belleuse aveva brillantemente capito come muoversi per raggiungere il successo. Creò intorno a sé una rete professionale basata sulla partecipazione al comitato direttivo della Société nationale des beaux-arts, un’associazione (che ebbe vita
breve) fondata nel 1861, comprendente duecento membri, fra cui artisti, mercanti, collezionisti, politici, funzionari statali e
giornalisti. L’ultimo atto ufficiale della società, prima della sua chiusura nel 1864, fu la commissione a Carrier-Belleuse di un
busto per Eugène Delacroix, da poco scomparso12. Alla luce delle relazioni sociali del suo nuovo principale, non è troppo
sorprendente che Rodin abbia esposto il suo busto del padre «Pierre-Julien Eymard» (tav. 11) presso la Société nationale des
beaux-arts nel 1863, prima di partire per il Sud della Francia13.
Per tutta la vita, Carrier-Belleuse mantenne un ruolo preminente in svariate organizzazioni professionali, talvolta anche ospitando riunioni nel proprio atelier (fig. 25). Espose i suoi design industriali presso la Union Centrale des Beaux-Arts Appliqués à l’Industrie, oltre che in varie Esposizioni Universali e fiere commerciali. A volte vi allestiva un proprio stand, altre
volte presentava i suoi oggetti commerciali presso quelli delle manifatture. Nel 1868, istituì la vendita diretta al pubblico dei
suoi lavori, tenendo delle aste esclusive presso l’Hôtel Drouot, che ebbero un successo tale da indurlo a esportarle in sedi internazionali, come Londra e Bruxelles.
Anche se non intraprese mai iniziative imprenditoriali della portata di quelle di Carrier-Belleuse, Rodin adottò una politica
analoga di intensa esposizione del proprio lavoro. E il suo saper cogliere i vantaggi derivanti dal fatto di coltivare relazioni con
critici, mercanti, politici, collezionisti e via dicendo traeva certamente origine dall’aver osservato in azione il fascino esuberante del suo antico principale. Rodin aveva un posto di bordo ring nel 1867, quando la rete sociale di Carrier-Belleuse e il gran
daffare che quest’ultimo si era dato produssero come risultato, fra l’acclamazione della critica, una profusione di riconoscimenti, tra cui la Medaglia d’onore al Salon, una medaglia d’oro all’Esposizione Universale e la Legione d’onore.
La produzione di terrecotte nelle cosiddette «edizioni» in serie rappresentò un passo naturale per Carrier-Belleuse, trattandosi di un processo radicato nella tradizione ceramica, che già conosceva per averlo visto alla Minton’s, applicato alle statuette
in porcellana bianca a pasta dura. Il metodo di produzione delle figure in porcellana non era cambiato molto dal XVIII secolo, per cui a Carrier-Belleuse fu sufficiente esaminare precedenti biscuit e terrecotte e adattare la pratica alle ceramiche moderne. Gli operai specializzati erano esperti nei rispettivi stadi della fabbricazione, passandosi il lavoro dall’uno all’altro nell’equi85
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53. Auguste Rodin, Bambini che si abbracciano (variante), 1880-1883 circa.
52. Auguste Rodin, Flora, 1870-1875.
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Fig. 27. Albert-Ernest Carrier-Belleuse, Busto di donna, 1865 circa.
Fig. 28. Albert-Ernest Carrier-Belleuse e Auguste Rodin, L’Innocenza
tormentata dall’Amore, 1868 circa.
valente artigianale di una catena di montaggio. I requisiti per creare gli stampi e assemblare le parti prima della cottura erano
profondamente familiari a Carrier-Belleuse, così come la manipolazione dell’argilla14. Sin dagli anni sessanta erano disponibili delle piccole fornaci in grado di cuocere terrecotte alte fino a un metro, un’apparecchiatura di cui il laboratorio di rue de
La Tour d’Auvergne era sicuramente dotato.
L’intenso studio dell’arte dell’ultimo secolo influì vivamente sullo stile di Carrier-Belleuse dopo il suo ritorno in Francia, nel
1855, e presto decori e trattamenti rococò presero il posto della maniera rinascimentale che aveva in precedenza coltivato. L’artista intraprese la fabbricazione di gruppi in terracotta (fig. 26) allo scopo di allettare una borghesia abbiente, ansiosa di dimostrare il proprio gusto raffinato nei nuovi appartamenti e hôtels particuliers che sorgevano lungo le strade e i viali della Parigi del
barone Haussmann. Carrier-Belleuse eccelleva nella produzione di terrecotte che davano l’impressione di essere sculture modellate a mano anziché calchi in serie, grazie alla sua tecnica di finitura delle superfici. In questo adottò la tecnica di Clodion, che
prevedeva la rilavorazione dell’argilla mentre era ancora umida, strofinando le superfici per nascondere i segni delle giunzioni.
Iniziò a creare una serie di busti di donna ispirati a soggetti di fantasia, ornati con un’ampia gamma di cappelli e acconciature floreali, e anche gioielli, che sarebbero rimasti per trent’anni uno dei classici delle sue edizioni commerciali (fig. 27). Il
principio che seguiva era un’estensione della pratica diffusa alla fine del XVIII secolo da Jean-Antoine Houdon, che partiva
dalla stessa forma di base per modificarla poi in una fase successiva, aggiungendovi, dopo la colata dallo stampo, accessori di
vario genere, che potevano essere pressoché identici oppure più differenziati. Come si può facilmente immaginare, gli oggetti
destinati alla produzione commerciale, per i quali insieme al modello venivano venduti i diritti di riproduzione, erano privi
di questa attenzione rivolta al singolo esemplare.
Per i vari interventi decorativi venivano impiegati degli specialisti. Almire Huguet creava i fiori e i frutti che ornavano i busti
di Carrier-Belleuse. Fu per tutta la vita amico di Rodin, il quale nel 1874 gli fece un busto che ritraeva la moglie (tav. 59),
vivacizzato da un ramoscello di fiori di melo, senza dubbio di Huguet, secondo la moda imposta dal loro principale, per
entrambi punto di riferimento nel reale e nell’immaginario15. Senza dubbio Rodin prese parte alla creazione di alcuni di questi busti, per la semplice ragione che l’atelier ne produsse una grande quantità prima del 1870, e che erano il risultato del lavoro di molte persone. Le prime incursioni di Rodin nel mondo del commercio presentano una forte somiglianza con i tipi generici sfornati da Carrier-Belleuse.
A partire dagli anni sessanta, anche le figure e i gruppi prodotti da Carrier-Belleuse emanano la joie de vivre dell’Ancien Régime. Ninfe e baccanti, fanciulli giocosi e disinibiti, nudi fascinosi erano i pilastri delle sue vendite. Rodin assunse un ruolo
sempre più importante nel trasformare i bozzetti sommari di questi gruppi in modelli pronti per edizioni da immettere sul mercato. Sin da subito, il giovane scultore espresse il massimo del suo talento nel modellato. La sua facilità nel manipolare la creta
sarebbe divenuta leggendaria, ma già negli anni sessanta le sue capacità erano più che evidenti. Gli fu quindi assegnato nel
giro di poco l’incarico di trasformare gli schizzi preliminari del maestro in maquettes per le edizioni decorative.
I materiali e le tecniche diffusisi con la rivoluzione industriale legittimavano quei processi nei quali un progetto passava attraverso numerosi stadi prima che il prodotto finale arrivasse sul mercato. Provenendo dalle arti applicate, Carrier-Belleuse non
costituiva certo un’eccezione nel delegare ad assistenti le successive fasi della realizzazione delle proprie idee. Apprezzò fin da
subito l’intera gamma delle opzioni industriali, con più fervore e competenza rispetto ai concorrenti, cosa che gli concedeva un
margine competitivo. Estese i limiti di questa pratica, ma nel XIX secolo una scelta di questo tipo non era affatto inusuale.
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54. Auguste Rodin, Ragazza con bambino, 1875.
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55. Auguste Rodin, La lorenese, 1874.
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56. Auguste Rodin, Suzon, 1875.
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57. Auguste Rodin, Dosia, 1874.
58. Auguste Rodin, Diana, 1875.
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59. Auguste Rodin, M.me Huguet, 1874.
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60. Auguste Rodin, M.me Cruchet, 1878.
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Il livello a cui Rodin era in grado di imitare uno stile altrui era notevole. Smentisce l’aneddoto secondo cui Carrier-Belleuse
si sarebbe invece lamentato del contrario: «Sacré nom de Rodin, lavora per me da dieci anni, e non sono riuscito a trasferirgli la mia impronta. Non sarà mai capace di modellare come voglio io»16. Al di là di quanto sia inverosimile che CarrierBelleuse abbia mai proferito un’idea del genere, da parte sua Rodin si vantava del fatto che «nessuno potrebbe finire [i modelli di Carrier-Belleuse] bene come me»17. Ciò nonostante, l’opera di Carrier-Belleuse mantennne uno stile coerente, a prescindere dal fatto che Rodin ci mettesse mano. Anni dopo Rodin confidò allo scrittore Léon Maillard che «“il suo compito era
meramente di seguire, molto rigidamente, le disposizioni e i motivi di Carrier-Belleuse”, ma [...] era libero di fare qualunque
aggiunta volesse purché non in contraddizione con lo stile di Carrier»18. Il maestro esercitava un severo controllo, a cui si deve
quel certo je ne sais quoi che con la sua morte scomparve.
Rodin fu testimone di prima mano del virtuosismo di Carrier-Belleuse e della flessibilità della sua visione artistica. Esattamente come gli accessori di un busto erano intercambiabili, o i gruppi potevano essere modificati, allo stesso modo, senza battere
ciglio, Carrier-Belleuse riconvertiva le sue figure e composizioni in design funzionali. Se lo smaccato carattere commerciale
di questa prassi del «mescola e abbina» era molto lontana dalle aspirazioni ben più elevate di Rodin, tuttavia il suo processo
estetico si intrise indelebilmente di questa idea di un potenzialmente infinito riaggregare, riarrangiare, ritoccare un determinato pezzo. Il suo sistema del marcottage (la creazione di nuove composizioni a partire da elementi preesistenti) va letto come
un’estensione delle tecniche di Carrier-Belleuse, derivate dalla manifattura delle ceramiche. L’innovazione di Rodin fu di trasformare questi metodi di lavoro in una componente manifesta dell’espressione estetica, dando priorità al processo concettuale nella creazione di sculture monumentali.
Nel 1869 Carrier-Belleuse ottenne da Léon Suys (1823-1887) la committenza delle opere di scultura per la facciata della Borsa
di Bruxelles, per cui, quando l’anno seguente la Francia dichiarò guerra alla Prussia, si trasferì al Nord con la famiglia per
sfuggire all’inasprirsi del conflitto. Rodin fu arruolato nella Guardia Nazionale nel settembre del 1870, ma presto congedato
a causa della sua miopia. Dopo che il terribile assedio di Parigi ebbe termine, Carrier-Belleuse gli fece avere un lasciapassare
perché lo raggiungesse in Belgio, nel febbraio del 187119. Il principale incarico di Rodin era quello di completare i modelli
per i fregi della Borsa, rendendoli pronti per essere scolpiti in pietra. Anche se nella realtà dei fatti il lavoro non era particolarmente gratificante per il giovane artista, inaspettatamente il viaggio in Belgio rappresentò per lui un’opportunità cruciale, poiché gli consentì di non essere presente durante le vicende della Comune di Parigi. Dato che viveva sulla Butte Montmartre,
non lontano dalle punte più estreme della violenza comunarda, e visto il suo milieu sociale, sarebbe stato per lui molto probabile essere travolto dalla foga del momento con conseguenze terribili: l’esilio, come per Dalou, se non la morte.
A Bruxelles, Rodin continuava a trasformare gli esuberanti schizzi di Carrier-Belleuse in modelli smerciabili per le manifatture locali. Sander Pierron, un critico dell’epoca, asserì che «L’Innocenza tormentata dall’Amore» fosse opera della mano
di Rodin20. La figura femminile e i putti presentano una potenza di modellato e una fisicità tali in effetti da accreditare l’intervento di Rodin. Inoltre, la versione firmata «Bruxles 1871 Carrier-Belleuse», la cui fusione fu eseguita dalla Compagnie
anonyme des bronzes, ha favorito l’ipotesi che Rodin avesse lavorato al gruppo per conto del suo principale nella primavera di quell’anno. Tuttavia, non necessariamente la composizione fu realizzata, né allora né mai, in Belgio. Una terracotta
(fig. 28), oggi nel Musée Rodin di Parigi, firmata «A Carrier», lascia pensare che non sia stata eseguita più tardi del 186821.
Se il modello originale fosse stato terminato soltanto nella primavera del 1871, sarebbe stato sui generis, per un lavoro fatto
dopo il 1868, essere firmato con il patronimico singolo22. Qualunque ne sia la data, «L’Innocenza tormentata dall’Amore»
costituisce un parametro temporale per la collaborazione fra i due artisti, consentendo il confronto con altri lavori di Carrier-Belleuse e di Rodin.
Rodin imitò la maniera popolare e i soggetti del suo principale nelle proprie serie concepite intorno al tema di Venere, le quali,
se catturano l’aura rococò delle terrecotte del maestro, non mostrano né la stessa giocosità erotica né la tipica forma densamente modellata. Rodin criticò Carrier-Belleuse per il suo lavorare solo raramente con modelli dal vivo: «La premura si sostituiva al pensiero e all’osservazione, veniva praticato un cattivo stile di modellazione e una maniera di rifinire altrettanto reprensibile»23. Ma in seguito si sarebbe contraddetto, quando con orgoglio affermò che «in riconoscimento del suo speciale talento
di figuriste, era l’unico fra gli assistenti dell’atelier che fosse autorizzato da Carrier-Belleuse a lavorare da un modello nudo»24.
Si sa poco su come e quando Carrier-Belleuse usasse modelli dal vivo, ma in questo caso l’ironia sta nel fatto che quasi certamente Rodin non si servì di una modella per il nudo femminile eseguito nei primi tempi che si trovava in Belgio.
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Sotto certi aspetti «Il bagno di Venere» (tav. 50) è paragonabile all’«Innocenza tormentata dall’Amore». Tuttavia, come
osserva Antoinette Le Normand-Romain, «lorsqu’on le compare à des oeuvres sans doute immédiatement postérieures à la
rupture entre Rodin et Carrier [...], on ne peut manquer d’être frappé par la modestie de celles-ci par rapport à l’“Innocence
tourmentée par l’amour”. Elles sont a la fois plus petites de dimensions et plus simples de style». E prosegue: «La virtuosité
dans le travail de la terre, dont il avait fait preuve à Paris, lui était rendue possible alors par son appartenance à l’atelier de Carrier-Belleuse. Il y disposait de moyens qui l’aidaient grandement et, ceux-ci disparus, il n’eut pour ressource que de s’orienter
vers des œuvres plus modestes»25.
Senza dubbio, Rodin offrì in vendita le proprie creazioni a manifatture belghe, benché forse non prima che il suo maestro
facesse ritorno a Parigi, nel 1871. Ad esempio, tutto ciò che si sa per certo in merito al busto di «Suzon» (tav. 56) è che la
Compagnie anonyme des bronzes ne vendette delle fusioni prima del 187526. In ogni caso, qualunque sia stata la tempistica,
Rodin in seguito lamentò il fatto che Carrier-Belleuse si fosse adombrato nel vedere i lavori del suo dipendente nelle vetrine
dei negozi, considerandola slealtà, e di conseguenza lo avesse licenziato27. Questo racconto potrebbe anche contenere degli elementi di verità, ed essere forse ciò che Rodin pensava all’epoca (sicuramente pone Rodin in una luce migliore e fa apparire
Carrier-Belleuse come «il cattivo»). Nondimeno, i commenti di Rodin che ci sono pervenuti in merito ai suoi primi anni
sono successivi ai fatti di due o tre decenni, e le loro incoerenze riflettono questo sfasamento temporale.
Le iniziative indipendenti di Rodin potrebbero non essere state l’effettiva causa della lite fra i due avvenuta in Belgio. Pur
essendo questa per lungo tempo la spiegazione accettata, studi recenti presumono che una ragione più plausibile fosse l’amor
proprio ferito del maestro. Alla fine del 1876, quando un Rodin sul lastrico contattò un amico per verificare se Carrier-Belleuse fosse disposto a riprenderlo con sé, quest’ultimo espresse risentimento per il fatto che il suo ex dipendente si fosse preso
gioco di lui alle sue spalle nell’atelier28. Tuttavia, per quanto potesse essersi offeso a causa di queste indiscrezioni, Carrier-Belleuse riammise Rodin nell’ovile e, quando il giovane artista tornò nella capitale francese, nel 1877, fu impiegato come figuriste, a quanto pare con il privilegio di lavorare su modelli nel proprio atelier29.
Poiché questo accordo gli garantiva una certa libertà, Rodin era in grado di fare dei calchi personali di modelli che poi sottoponeva al suo principale. L’esempio meglio documentato è il «Vaso dei Titani», in cui le quattro cariatidi muscolose di
Rodin che reggono la giardiniera sono firmate Carrier-Belleuse (tav. 69)30. In una prospettiva storica, i Titani rappresentano
la prova tangibile dello scambio artistico che intercorreva fra i due.
Altre circostanze dimostrate rafforzano la probabilità che, lungi dal risentirsi per le ambizioni di Rodin, Carrier-Belleuse al
contrario le sostenesse. Una lettera inviata a Rodin nell’autunno del 1878 conferma gli accordi per mettere in vendita «La lorenese» (tav. 55), un busto di fantasia nello stile delle edizioni commerciali del suo principale31. Più interessante dei termini dell’accordo è l’intestazione della carta da lettere, in cui si specifica che lo stabilimento di M.me Cahours presentava un’esposizione permanente dei lavori di Rodin, edizioni in marmo e terracotta che avrebbe potuto benissimo aver prodotto. E CarrierBelleuse aveva sicuramente fatto da intermediario in questo contratto.
Analogamente, nel 1880 Carrier-Belleuse raccomandò Rodin per la committenza di una statua per il nuovo Municipio, che
si tradusse poi nel ritratto a grandezza naturale di d’Alembert32. La coerenza nelle varie iniziative di appoggio intraprese da
Carrier-Belleuse a favore di Rodin, mentre quest’ultimo lottava per conseguire uno status professionale, dovrebbe essere riconosciuta come uno schema ricorrente. Che tra l’altro è congeniale all’immagine attribuita al più anziano scultore.
Allo stesso tempo, Rodin rinnovava i suoi sforzi per esporre al Salon, mettendosi in lista come allievo dei signori Barye e CarrierBelleuse. L’opera sottoposta nel 1877 era un gesso che aveva già esposto a Bruxelles, e che divenne noto come «L’età del bronzo».
Una crescente ondata di critiche negative si sollevò insieme all’accusa che il nudo maschile fosse un calco dal vero. Nessuno poteva rivendicare il talento eccezionale di Rodin per il modellato con più convinzione di Carrier-Belleuse, il quale, inequivocabilmente, si levò in difesa dell’autore de «L’età del bronzo» vittima di calunnie33. Questa vicenda molto nota interessa qui solo in
quanto suffraga il duraturo appoggio di Carrier-Belleuse nei confronti di Rodin, che si avvicinava ormai ai quarant’anni.
Più tardi Rodin ebbe a dire che nessuno dei suoi datori di lavoro «mi trattò come un uomo» 34. Ruth Butler ha riconosciuto
questo cri de coeur per ciò che era: il fatto che costoro facessero delle correzioni al suo lavoro deve essere stata un’umiliazione indicibile per un artista dotato e sensibile come Rodin35. Nella sua intervista con Bartlett, lo scultore fu tranchant rispetto a CarrierBelleuse, «un uomo dei suoi tempi in scultura. Niente di ciò che ho fatto per lui mi è mai interessato» 36. Si lamentò anche di
essere stato pagato iniquamente (lo stesso Rodin, com’è noto, si sarebbe poi dimostrato tirchio con i suoi lavoranti) 37. Ma, come
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62. Auguste Rodin, Il dottor Jules-Adrien Thiriar, ante 1874.
61. Auguste Rodin, Il generale Margueritte, 1882-1884.
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63. Auguste Rodin, Alexandre Van Berckelaer, 1875.
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64. Auguste Rodin, Henry Thorion, 1875-1876.
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65. Auguste Rodin, Atlante, gomito destro piegato
all’esterno, 1874.
66. Auguste Rodin, Cariatide, 1874.
67. Auguste Rodin, Atlante, gomito sinistro piegato
all’esterno, 1874.
a p. 104
68. Auguste Rodin, Ugolino assiso, 1875 circa.
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suppone Frederic Grunfeld, «le sue affermazioni erano dettate dall’animosità residua dell’ex dipendente scontento» 38. Con il
senno di poi, questo rivela il prezzo da pagare in termini emotivi che gli anni di vassallaggio avevano richiesto a un artista che
anelava alla libertà di una condizione non ancora raggiunta. Eppure, verso la fine della sua vita, nel citare un lungo elenco
delle tecniche di atelier che aveva praticato nel corso degli anni, Rodin ammetterà: «tout cela s’est révélé utile. Ce sont les matériaux qui m’intéressent. En bref, j’ai commencé artisan, et je suis ensuite devenu artiste. C’est la bonne, la seule méthode» 39. E
in un giudizio più obiettivo espresso su Carrier-Belleuse, confessò di non aver «mai rimpianto» quegli anni e «mai parlato del
suo maestro se non con rispetto e anche con un po’ di ammirazione»40.
Nel gennaio del 1876, Carrier-Belleuse divenne direttore artistico della Manifattura della porcellana di Sèvres, un posto che
mantenne sino alla morte, nel 1887. Rodin fu uno dei nuovi talenti che assunse, offrendo all’artista ulteriori opportunità di
mettere in pratica il proprio istinto creativo. Insistendo per ottenere un trattamento speciale per il suo protégé, Carrier-Belleuse
precisava: «M. Rodin est un artiste de beaucoup de mérite et d’un talent fort souple; qu’en conséquence, on doit trouver les
moyens de le mettre à même d’appliquer son talent à des choses nouvelles», aggiungendo che «il dessine dans la perfection» 41.
Non solo Rodin era pagato meglio di chiunque altro (centosettanta franchi come onorario versato in anticipo e tre franchi all’ora), ma gli era permesso di stabilire i propri orari. Era libero di esplorare nuove strade estetiche e di sperimentare tecniche. Il
suo lavoro per Sèvres conservava il sapore dell’eredità settecentesca della manifattura, e allo stesso tempo gli consentiva di
esprimere il proprio stile personale, che ai materiali delicati abbinava le sue caratteristiche decorazioni vigorose.
Benché questo impiego debba essere stato a un tempo gratificante e remunerativo per Rodin, forse la conseguenza più importante della sua collaborazione con Sèvres fu l’amicizia che nacque con Maurice Haquette, segretario amministrativo della manifattura, e con il fratello Georges, che vi insegnava nella scuola interna. Georges era cognato del nuovo sottosegretario di Stato,
Édmond Turquet. I due fratelli fecero un’intensa attività di lobby a favore di Rodin, il quale, al di là del recente scandalo sorto
intorno a «L’età del bronzo», era praticamente sconosciuto. Con ogni probabilità, senza il loro intervento dietro le quinte, Turquet non avrebbe mai commissionato la «Porta dell’inferno»42. Pur non avendo consapevolmente pianificato questa catena di
eventi, fu ancora una volta Carrier-Belleuse ad aver offerto a Rodin quell’opportunità che avrebbe avuto un impatto determinante sul futuro dell’artista.
Nel 1882, quando Rodin pose termine alla sua collaborazione con Sèvres, il suo gesto di commiato fu il vivido ritratto di Carrier-Belleuse (tav. 105). Incarnando lo spirito del XVIII secolo che il suo ex maestro aveva emulato, il busto denota l’affinità di
Rodin per l’arte di quel periodo, un gusto che acquisì per il tramite dell’anziano scultore. Come Rodin affermerà in seguito,
«Carrier-Belleuse avait quelque chose du beau sang du XVIIIe siècle; il y avait du Clodion en lui; ses esquisses étaient admirables; à l’exécution, cela se refroidissait; mais l’artiste avait une grande valeur réelle; il ne se servait pas de moulages d’après nature, lui!»43. Una versione in bronzo del busto fu collocata sulla tomba di Carrier-Belleuse nel 1888, per volere della vedova.
Considerate le dinamiche di due personalità molto forti mosse da profonde ambizioni artistiche, c’è da stupirsi che la loro relazione sia andata avanti per più di vent’anni. L’apprendistato di Rodin nell’atelier di Carrier-Belleuse fu favorito dalla portata del giro d’affari, dagli strumenti disponibili per modellare l’argilla, dalla solidarietà di una squadra di modellatori (non ultimo dei quali il maestro stesso) e dalla pressione a produrre, fattore non trascurabile; tutto ciò fece deviare Rodin dai ristretti
binari della Piccola Scuola per farlo entrare nel regno della statuaria. Non solo questo laboratorio era impegnato nella scultura ad ampio respiro, dal design industriale alle figure da esporre alle mostre, impiegando una vasta gamma di assistenti, ma le
polivalenti capacità dell’artista che ne era il motore generavano una sinergia senza rivali. Rodin avrebbe potuto guadagnarsi
di che vivere e fare esperienza nella meccanica della scultura in molti altri atelier contemporanei; tuttavia, entrando nel territorio di Carrier-Belleuse, fece l’incontro con quello che era a tutti gli effetti un artista del suo tempo.
Ciò che di intangibile Rodin assorbì dalla vicinanza con Carrier-Belleuse potrebbe essere anche più significativo dei particolari specifici. L’intercessione del maestro nel corso degli anni, in congiunture critiche, per Rodin deve essere stata, per quanto
inconsapevole, un po’ come la protezione di un angelo custode, che spiana il cammino in tanti piccoli modi impercettibili. E
l’artista più anziano fu certamente un modello di ruolo più di quanto il giovane sarà disposto ad ammettere. Verrebbe da chiedersi che cosa sarebbe accaduto se Rodin fosse rimasto a sfacchinare in laboratori ornatisti poveri di energia creativa e privi di
una vera guida. Nessuno degli altri atelier in cui lo scultore aveva lavorato per oltre vent’anni si elevò al di sopra della mediocrità. Malgrado le rimostranze, verso la fine della sua vita Rodin disse a Gustave Fuss-Amoré che Carrier-Belleuse era stato «il
maestro a cui devo di più [...] a lui devo il potere di fare con le mani tutto ciò che voglio; è così che si dovrebbe cominciare»44.
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69. Albert-Ernest Carrier-Belleuse e Auguste Rodin, Piedistallo con Titani, 1878.
70. Albert-Ernest Carrier-Belleuse e Auguste Rodin, Giardiniera con Titani, 1878.
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W. BENJAMIN, The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction, in
Illuminations, New York 1969, pp. 219-253; trad. it. L’opera d’arte nell’epoca
della sua riproducibilità tecnica, Torino 1955-2000.
2
E. LOCKROY, Le Monde des Arts, in «L’Artiste», vol. 77, 1865, p. 40.
(«È praticamente una macchina per scolpire [...]. Tutti i giorni il suo
atelier sforna busti, ornamenti, statue, statuette, bronzi, candelabri, cariatidi; bronzo, marmo, gesso, alabastro, taglia di tutto, lavora di tutto,
scolpisce di tutto; ma quanto ingegno, quanta immaginazione, quanta
verve possiede questa macchina! Talvolta lo si direbbe un genio»). Per
una rassegna generale cfr. J. HARGROVE, The Life and Work of Albert
Ernest Carrier-Belleuse, New York 1977, e J.-C. LEFEBVRE, Albert
Ernest Carrier-Belleuse (1824/1887), in «Revue de la Société d’histoire de
Montmorency», n. 27, 2009, pp. 78-105. Lefebvre ha cortesemente recensito il mio testo.
3
Per un approfondimento della relazione di Rodin con Carrier-Belleuse,
cfr. R. BUTLER, Rodin, The Shape of Genius, New Haven, CT. 1993, in
particolare il cap. 5, A Sculptor’s Assistant, pp. 55-68; R. BUTLER MIROLLI, «The Early Work of Rodin and its Background», tesi di dottorato,
Institute of Fine Arts, New York University, 1966; e C. JONES, Formation
d’un sculpteur, in F. BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di), Rodin. Les
arts décoratifs, catalogo della mostra (Palais Lumière, Evian, 13 giugno - 20
settembre 2009), Evian 2009, pp. 10-15. Sono grata a Ruth Butler per i
suoi commenti a questo testo.
4
J. SALMSON, Entre deux Coups de Ciseau, souvenirs d’un sculpteur, Parigi
1892, p. 70 («Per aver modo di studiare profondamente la statuaria»).
5
L. RIOTOR, Carpeaux, Parigi 1906, pp. 16-17.
6
C. CHEVILLOT, Les Stands industriels d’édition à l’Exposition universelle de
1889: l’exemple de Barbedienne, in «Revue de l’art», 1992, n. 95, pp. 61-67,
presenta un resoconto dettagliato dell’importanza assunta dalla tecnologia
per la scultura. Catherine Chevillot mi ha cortesemente lasciato consultare
il dattiloscritto del suo Sculpteurs et mouleurs au XIXe siècle: évolutions théoriques
et réelles, per il convegno «Renouveau et invention: la sculpture à travers
l’histoire de ses matériaux», Bruxelles, Université Libre, Leeds, Centre
Henry Moore, 13-15 ottobre 2005; sarà pubblicato nel 2010 in inglese.
7
J.-C. LEFEBVRE, Carrier-Belleuse cit., p. 90; al numero 13 (oggi 15) di
rue de La Tour d’Auvergne.
8
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor, in «The American Architect
and Building News», XXV, 15 giugno 1889, n. 689, ristampato in A.
ELSEN (a cura di), Auguste Rodin. Readings on His Life and Work, Englewood Cliffs, NJ 1965, pp. 13-109, cit. p. 25. I Fannières Frères erano amici
di Carrier-Belleuse sin dagli anni trenta, perciò sarebbe stato altamente
improbabile che quest’ultimo ignorasse che Rodin continuò a lavorare per
loro.
9
Da una nota reperita nella Bibliothèque historique de Paris, annessa al
resoconto di Georges Davray di una vendita all’Hôtel Drouot, Parigi, 23
dicembre 1874, citata per esteso in J. HARGROVE, Carrier-Belleuse cit., p.
236 («Ma che meraviglia in quell’atelier...! che vita! che animazione! Il
maestro disegna il modello, plasma l’argilla o divide il marmo. Cinquanta lavoranti esperti, artisti di tutti i generi, seguono le sue direttive. Uno
sbozza la pietra, l’altro passa la cera sui gessi, un terzo ricopre di panni
umidi i gruppi ultimati [...]»).
10
Cfr. J. HARGROVE, Sensuality and the Feminine in the Sculpture of Auguste
Rodin, in «Serious Pleasures: Sensuality, Programmatic Display, and
Sculptural Aesthetics in France 1870-1900», tesi di dottorato, University
of Pennsylvania, 2005, pp. 381-442.
11
R. BUTLER, Genius cit., p. 102, che cita le note manoscritte di Bartlett
conservate alla Houghton Library Harvard. Ibid., p. 57, cita anche Adrien
Gaudez da questa stessa fonte: «Nessuno di quelli che conobbero Rodin da
Carrier-Belleuse avrebbe potuto avere la benché minima idea del suo futuro successo, né che in lui ci fosse qualcosa».
12
A. ROBAUT, L’Oeuvre Complet de Eugène Delacroix, Parigi 1885, p. LVI.
Sono grata a Isabelle Mayer-Michalon per questo riferimento.
13
T. H. BARTLETT, Rodin, in A. ELSEN, Auguste Rodin cit., p. 23. È difficile immaginare che Rodin avrebbe avvicinato Martinet senza l’incoraggiamento di Carrier-Belleuse, se non la sua presentazione. L. HUSTON, Le
Salon et les expositions d’art: réflexions à partir de l’expérience de Louis Martinet
(1861-1865), in «Gazette des beaux-arts», 1990, n. 116, pp. 45-51.
14
Per il processo di fabbricazione della porcellana sono debitrice del
manoscritto inedito di Tamara PRÉAUD, La Sculpture en biscuit à Sèvres au
XVIIIe siècle: Questions techniques, 2009. Per maggiori dettagli su come
venisse convertita in terracotta, cfr. J. LARSON, Carrier-Belleuse: Master of
Terracotta Sculpture Technique, in Cast of distinction. A private collection of terracottas by Albert-Ernest Carrier-Belleuse, Sotheby’s, catalogo d’asta, 13
novembre 2007, pp. 16-24.
15
A. LE NORMAND ROMAIN, De «La Toilette de Vénus» à «L’Age d’airain»:
les oeuvres signées «Rodin», in ID. (a cura di), Vers «L’Age d’airain». Rodin en
Belgique, catalogo della mostra (Musée Rodin, Parigi, 18 marzo - 15 giugno 1997), Parigi 1997, pp. 69-80, cit. p. 74, e il busto, cat. 42, pp. 155156.
16
T. H. BARTLETT, Rodin, in A. ELSEN, Auguste Rodin cit., p. 102. R.
BUTLER, Genius cit., p. 57, citando le note manoscritte di Bartlett conservate alla Houghton Library Harvard, riprende l’affermazione di Jules
Debois secondo cui Carrier-Belleuse disse: «Non riuscirò mai a ottenere da
lui una composizione come le mie. È uno strano tipo».
17
T. H. BARTLETT, Rodin, in A. ELSEN, Auguste Rodin cit., p. 26.
18
L. MAILLARD, Auguste Rodin, statuaire, Parigi 1899, p. 32.
19
R. BUTLER, Genius cit., p. 67. Secondo Butler e me, questo è un esempio di come l’effetto collaterale dell’intervento di Carrier-Belleuse a nome
di Rodin abbia influito in modo radicale sulla vita del giovane.
20
S. PIERRON, François Rude et Auguste Rodin à Brussels, in «La Grande
Revue», Parigi, 1° ottobre 1902, pp. 138-162, cit. p. 154.
21
F. BLANCHETIÈRE, Notices des oeuvres, in F. BLANCHETIÈRE e W.
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SAADÉ (a cura di), Rodin. Les arts décoratifs cit., pp. 22-23.
22
L’artista cambiò la propria firma in Carrier-Belleuse intorno al 1868
per evitare confusioni con nomi simili, probabilmente Joseph Auguste
Carrier (1800-1875).
23
T. H. BARTLETT, Rodin, in A. ELSEN, Auguste Rodin cit., p. 25.
24
F. V. GRUNFELD, Rodin, a biography, New York 1998, p. 57, che cita
Malvina HOFFMAN, Yesterday is Tomorrow, New York 1965, p. 47.
Hoffman era una scultrice americana che passò un breve periodo nell’atelier di Rodin agli inizi del Novecento.
25
A. LE NORMAND ROMAIN (a cura di), Vers «L’Age d’airain» cit., pp.
69-70. («Se la si compara a opere presumibilmente subito successive alla
rottura fra Rodin e Carrier [...], è inevitabile stupirsi per la modestia di
queste ultime in confronto all’“Innocenza tormentata dall’Amore”.
Sono sia più piccole come dimensioni che più semplici nello stile». E
prosegue: «Il virtuosismo nel lavorare l’argilla, di cui aveva dato prova a
Parigi, gli era stato allora reso possibile dal fatto di appartenere all’atelier
di Carrier-Belleuse. Là disponeva di mezzi che l’aiutarono notevolmente e, una volta venuti questi a mancare, non gli rimase altro da fare che
orientarsi verso opere più modeste»). L’autrice tratta le Veneri alle pp.
117-123, e «L’Innocenza» alle pp. 109-110.
26
Ibid., pp. 150-151.
27
T. H. BARTLETT, Rodin, in A. ELSEN, Auguste Rodin cit., p. 28. A.
LE NORMAND ROMAIN (a cura di), Vers «L’Age d’airain» cit., pp. 6971, aggiunge ulteriori dettagli a questa vicenda. Il resoconto di Bartlett
del 1889 narra questo incidente a diciotto anni di distanza. Tuttavia,
Rodin aveva lavorato per altri artigiani e laboratori mentre era alle dipendenze di Carrier-Belleuse, come i Fannière Frères o per la facciata del
Théâtre des Gobelins, quindi non è affatto scontato che lo scultore più
anziano avesse delle obiezioni verso una doppia attività lavorativa di
Rodin. Inoltre, gli unici casi che si conoscano di lavori di Rodin commercializzati da ditte belghe datano a dopo la partenza di Carrier-Belleuse da Bruxelles.
28
R. BUTLER, Genius cit., pp. 102-103, nota 11, per la lettera a Rodin
da Léon Fourquet, datata 28 dicembre 1876 conservata negli archivi del
Musée Rodin.
29
F. V. GRUNFELD, Rodin cit., p. 108, che parafrasa Frederick LAWTON, Francois-Auguste Rodin, Londra 1907, p. 47.
30
H. W. JANSON, Rodin and Carrier-Belleuse: The Vase des Titans, in
«The Art Bulletin», vol. 50, n. 3, settembre 1968, pp. 278-288. Per
recenti approfondimenti sulla storia dei Titani, cfr. Alan P. DARR, Two
newly acquired sculptures by Rude and Rodin in the Detroit Institute of Arts, in
La sculpture en Occident: Etudes offertes à Jean-René Gaborit, Musée du Louvre, Parigi 2007, pp. 273-283.
31
Sono debitrice a François Blanchetière per questo riferimento, che deriva dagli archivi del Musée Rodin.
32
F. BLANCHETIÈRE, in F. BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di),
Rodin. Les arts décoratifs cit., p. 48.
R. BUTLER, The Paris Salon, in ID., Genius cit., pp. 106-123, in particolare p. 120 per la difesa della statua condotta da Carrier-Belleuse e da
altri. A. LE NORMAND ROMAIN (a cura di), Vers «L’Age d’airain» cit.,
p. 265. Rodin si era messo in lista quale studente degli stessi due artisti
sin dalla prima volta che tentò di esporre al Salon, nel 1864.
34
T. H. BARTLETT, Rodin, in A. ELSEN, Auguste Rodin cit., p. 38.
35
R. BUTLER, Genius cit., p. 113.
36
T. H. BARTLETT, Rodin, in A. ELSEN, Auguste Rodin cit., p. 26.
37
Ibid., p. 338, i suoi practiciens non se la passavano meglio di lui quand’era presso Carrier-Belleuse.
38
F. V. GRUNFELD, Rodin cit., p. 54.
39
V. FRISCH e J. T. SHIPLEY, Auguste Rodin, a Biography, New York
1939, p. 191, citato in C. JONES, Formation d’un sculpteur, in F. BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di), Rodin. Les arts décoratifs cit., p. 12
(«tutto questo si è rivelato utile. Sono i materiali che mi interessano. In
breve, ho cominciato da artigiano e sono poi diventato artista. È il metodo giusto, il solo»). R. BUTLER, Genius cit., p. 180, riporta come Rodin
pensasse che «gli scultori principianti dovrebbero imparare a elaborare i
bozzetti di un maestro alla maniera dei practiciens, come aveva fatto lui per
Carrier-Belleuse».
40
J. E. S. JEANÈS, D’après nature. Souvenirs et portraits, Ginevra 1946,
Memoirs, p. 129, citato in F. V. GRUNFELD, Rodin cit., p. 55.
41
R. BUTLER, Genius cit., p. 144 («Il Signor Rodin è artista dagli innumerevoli meriti e dal talento molto flessibile; di conseguenza, occorre trovare il modo di consentirgli di applicare il suo talento a cose nuove»,
aggiungendo che «disegna alla perfezione»). La citazione francese è tratta da F. BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di), Rodin. Les arts décoratifs cit., p. 124, e nota 30, Archives Manufacture nationale de Sèvres,
Ve, n. 7, f. 31 (1° luglio 1879). Per una rassegna generale sul suo lavoro
a Sèvres, cfr. i saggi e le notizie di F. BLANCHETIÈRE, in F. BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di), Rodin. Les arts décoratifs cit., pp. 82-131
e i suoi saggi in questo volume, Le arti decorative nella prima parte della carriera di Rodin, pp. 123-137, e Le relazioni sociali di Rodin viste attraverso la sua
corrispondenza (1871-1884), pp. 139-161.
42
R. BUTLER, Genius cit., pp. 145-149, a p. 145 afferma che «il ruolo
della famiglia nell’aiutare [Rodin] a ottenere la committenza [...] non
può essere sopravvalutato».
43
F. DUJARDIN-BEAUMETZ, Entretiens avec Rodin, Parigi 1992, p. 81
(«Carrier-Belleuse aveva qualcosa del buon sangue del XVIII secolo;
aveva in sé qualcosa di Clodion; i suoi schizzi erano ammirevoli; una
volta eseguiti, si spegnevano; ma l’artista era davvero di gran valore; non
si serviva di calchi dal vero, lui!»).
44
G. FUSS-AMORÉ, Mes Souvenirs Parisiens: Auguste Rodin, in «La
Revue Belge», 15 luglio 1929, citato da F. V. GRUNFELD, Rodin cit., p.
54.
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Fig. 29. Auguste Rodin, Foglio con schizzo d’apres Michelangelo, 1875-1876.
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Verso Sud.
Il Grand Tour in Italia secondo Rodin (1876)
BARBARA MUSETTI
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienza1.
L’inizio delle relazioni tra Auguste Rodin e l’Italia ha una data ben precisa: marzo 1876. È in quel periodo che lo scultore
viaggia per la prima volta oltr’Alpe. Ha trentasei anni, lavora da circa venti, ma la notorietà tarda ad arrivare. Rodin parte
come un viaggiatore qualsiasi, senza nessun supporto accademico, da solo e a proprie spese. Il Grand Tour di Rodin non ha
nulla a che vedere con la grande macchina istituzionale e i vantaggi che ne conseguono previsti per i vincitori del Prix de Rome:
la borsa di studio, un soggiorno di studio di cinque anni a Roma, la rete di conoscenze creatasi tra i pensionnaires stessi, la possibilità d’essere introdotti nel milieu francese di Roma, ecclesiastico, mondano, nelle diverse comunità artistiche presenti in
città2.
Per Rodin le cose andranno diversamente; l’ingresso nella cerchia della «Grande Scultura» non sarà cosa semplice. Fallito per
ben tre volte il concorso d’ammissione all’École des Beaux-Arts di Parigi - anticamera del Prix de Rome - Rodin dovrà accontentarsi della formazione ricevuta alla Petite École, una scuola che preparava al disegno tecnico e alle arti decorative e applicate,
nella quale si formavano artigiani, decoratori, scalpellini3. Una buona scuola, ma non abbastanza prestigiosa da meritare il
titolo di «Grande École», ovvero la Scuola di Belle Arti, e neppure abbastanza ricca per poter garantire ai propri studenti di
formarsi nei luoghi della cultura classica e rinascimentale.
Ritenendo necessario alla sua carriera d’artista lo studio dei maestri italiani, per poter viaggiare Rodin deve quindi contare su
una rendita personale e, di conseguenza, attendere che ciò sia materialmente possibile. Per sbarcare il lunario si mette al servizio di altri artisti4, in particolare di Ernest Carrier-Belleuse5, uno degli scultori più in vista del Secondo Impero, per il quale
lavora già dal 1864 e che segue in Belgio per partecipare a diversi cantieri di decorazione monumentale durante gli anni difficili della Comune di Parigi6. I rapporti tra i due artisti si deteriorano rapidamente e Rodin decide di mettersi in proprio, consacrandosi soprattutto alla produzione di una serie di piccoli gruppi in terra cotta e di busti decorativi che riscuotono un certo
successo commerciale. I guadagni così ottenuti sono destinati a finanziare il viaggio tanto desiderato. Finalmente anche lui farà
parte della schiera di artisti francesi che da oltre due secoli e mezzo si confrontavano con l’arte italiana come componente essenziale della loro formazione7.
Nel corso della sua vita Rodin tornerà in Italia altre quattordici volte, scoprendo e riscoprendo numerose città e monumenti 8,
invitato nelle più prestigiose esposizioni, accolto dalla comunità artistica italiana come una sorta di vate. Ciò nonostante, questo
primo viaggio italiano, realizzato nel più totale anonimato, rappresenterà ai suoi occhi un momento fondatore nel proprio percorso d’artista e d’uomo: la scoperta dei maestri del passato, il confronto con Michelangelo - «che mi ha chiamato in Italia»9 e, non ultima, la rivalsa su un sistema che lo aveva in qualche modo rifiutato.
A differenza dei soggiorni successivi, molto più documentati e commentati dalla stampa internazionale, sappiamo molto poco
di questo primo viaggio. A queste date Rodin non è ancora ossessionato, come lo sarà in seguito, dalla volontà di documentare ogni sua singola azione; diversamente da molti altri artisti-viaggiatori, in particolare il suo collega Antoine Bourdelle10,
Rodin scriverà poco, la lingua non sarà mai per lui un materiale facilmente malleabile11; di quel periodo ci rimane una sola let111
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Fig. 30. Auguste Rodin, Fogli di studi d’après Michelangelo,
1875-1876.
tera, spesso citata, scritta durante il viaggio e destinata alla compagna Rose Beuret, rimasta in Belgio e qualche ricordo, talvolta
confuso, confidato molti anni dopo ad amici e giornalisti. In realtà è soprattutto al disegno che lo scultore affida la custodia delle
emozioni e della memoria; come un sismografo, la punta della matita (o della penna) lascia sui numerosi taccuini di viaggio le
tracce della geografia e della storia delle esperienze vissute. Preoccupato dallo scarso tempo a disposizione, raramente Rodin può
permettersi i tempi lunghi della copia12, alla base del processo di apprendimento accademico e di cui disponevano invece i suoi
colleghi del Prix de Rome; così, come sottomesso a una sorta di bulimia grafica, il disegno diventa ossessione, necessità, una
seconda lingua. Sui numerosissimi disegni e schizzi realizzati dal vero (tav. 71) o a memoria, la sera in albergo, Rodin prende
confusamente appunti, annota tutto: il nome delle opere, dei monumenti, degli artisti più conosciuti - Donatello, Raffaello,
Cellini, Della Robbia - e di quelli meno noti - è il caso di Vincenzo Rossi -, l’indirizzo di una trattoria fiorentina. Molto tempo
dopo il suo ritorno in Francia questi fogli saranno smembrati dai taccuini, accuratamenti selezionati, per essere poi incollati
dall’artista su grandi fogli di carta pregiata ricomposti in una serie di album13. Attraverso questo particolare procedimento d’assemblaggio, divenuto in seguito piuttosto abituale per l’artista, Rodin crea nuove composizioni, nelle quali mescola luoghi,
opere, tecniche. Nell’intento di rielaborare completamente l’impressione originale vissuta in situ, lo scultore si serve di questi piccoli schizzi come di una sorta di antologia alla quale attingere successivamente, accostando, per libera associazione, nessi tematici, pose analoghe, rielaborando a posteriori precise composizioni14 (figg. 29-30). Queste immagni, che rivelano l’interesse per
il nudo, maschile e femminile, rappresentano l’occasione di «un riesame e un consolidamento dell’opera precedente»15. L’Italia risulta così come una tappa iniziatica vivificata dalla memoria.
Per il suo personale Grand Tour Rodin dispone di pochi soldi - cinque franchi al giorno mangiando «non sempre regolarmente
perchè mi occupo del mio stomaco solo quando non c’è più nulla da vedere»16 - e di poco tempo, poco più di un mese, durante
il quale, a partire dal Belgio, attraverserà in treno una parte della Francia (con una sosta particolare a Reims per visitare la cattedrale) e poi l’Italia, che raggiunge attraverso le Alpi. Visiterà Torino, Genova, Pisa, Siena, Firenze, Roma, Napoli, per poi risalire e sostare ancora un giorno nel capoluogo toscano e concludere con una rapida visita a Padova e Venezia17. Nella forma e nei
tempi il Grand Tour rodiniano è più vicino alle modalità del turismo moderno nascente, sempre più rapido e insaziabile, che non
all’elogio della lentezza decantato dai tanti vaggiatori che lo hanno preceduto nel tempo. «Ovunque incontro dei turisti quasi
tutti francesi, qualche inglese» - scrive lo scultore a Rose - nei quali sembra quasi riconoscersi «sto diventando come un qualsiasi
viaggiatore un po’ ardito, mi trovo bene»18. Come questi turisti Rodin approffitta delle innovazioni tecnologiche, abbandonando
carrozze e cavalli in favore del treno il quale, grazie al nuovissimo tunnel del Fréjus, inaugurato nel 1871, permette di attraversare le Alpi in poche ore, suscitando l’ammirazione dello scultore. Se a prima vista l’itinerario del Grand Tour rodiniano sembra
rientrare pressapoco nella tradizione del viaggio tradizionale19, quello effettuato essenzialmente dai pittori, un’analisi più attenta
delle opere e dei monumenti ammirati dall’artista francese rivela invece un filo conduttore tutto «scultoreo».
Il primo impatto di Rodin con l’Italia avviene nella sabauda Torino20, forse la più francese delle città italiane, ragione non sufficiente per suscitare l’immediato entusiasmo dello scultore che nota soprattutto il cattivo tempo e le conseguenze di una statuomania celebrativa dilagante che gli farà osservare che tutte le piazze hanno «della scultura contemporanea molto brutta compreso Marochetti»21.
In seguito Rodin scende verso la Liguria. A Genova ignora Van Dick ma scopre le opere dell’amato Pierre Puget 22, di cui
aveva studiato il «Milone di Crotone» al Louvre e di cui ammirerà, tre anni più tardi, «La peste a Milano» e un «Satiro» a Mar112
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71. Auguste Rodin, Foglio di studi d’après Donatello e monumenti italiani, 1875-1876.
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72. Auguste Rodin, D’après il «Narciso» di Valerio Cioli, 1877.
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73. Auguste Rodin, D’après l’«Aurora» di Michelangelo, 1877.
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74. Auguste Rodin, Foglio di studi d’après Michelangelo e monumenti italiani, 1875-1876.
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75. Auguste Rodin, Foglio di studi d’après Michelangelo, 1875-1876.
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Fig. 31. Auguste Rodin, Foglio di studi, 1876.
siglia. Nella città ligure vede probabilmente il «San Sebastiano» e il «San Alessandro Sauli» nella basilica di Carignano23 «più vicino a Michelangelo nel particolare ma meno Puget del solito»24 - due opere che si distaccano dal classicismo drammatico dei marmi francesi in favore di una rappresentazione emozionata e barocca25. Poi, attraverso «più di cento tunnel»26, lo scultore percorre tutta la Riviera di Levante prima di raggiungere la Toscana: Pisa, Siena e infine Firenze, vero obiettivo di questo
lungo periplo. Della visita nelle due prime città non sappiamo molto; la rapida sosta pisana deve concentrarsi quasi esclusivamente intorno alle opere della piazza dei Miracoli: il duomo, con le sculture di Nicola Pisano e la collezione di bassorilievi antichi conservati nell’adiacente campo santo. Ma più tardi, a partire dal 1898, Pisa diventerà una tappa obbligata ogni volta Rodin
si recherà in Italia in cerca di marmi27. Lo stesso anno dichiarerà d’essere venuto a cercare un modello d’ispirazione per la sua
«Torre del lavoro» proprio nella celebre torre pendente pisana. Sulla tappa senese non disponiamo di nessuna informazione;
possiamo forse ipotizzare una visita al duomo, e agli splendidi marmi di Jacopo Della Quercia. Significativa in questo itinerario toscano l’assenza di una tappa sia ad Arezzo, per visitare gli affreschi di Piero della Francesca nella basilica di San Francesco, che ad Assisi, santuario di Giotto, due tra le mete irrinunciabili per tutti i pittori stranieri in viaggio in Italia28.
Ma Rodin sogna Firenze.
Le ragioni del viaggio in questa città - numerose e complesse - sono già state chiarite29: innanzitutto l’esigenza personale di un
rinnovamento artistico, la ricerca di nuove fonti di fronte alle quali Rodin avrebbe potuto confrontare la realizzazione di una
scultura così problematica come «L’età del bronzo»; ma non sarà estranea alla sua decisione anche la forte impressione provocata dai festeggiamenti fiorentini dedicati al quarto centenario della nascita di Michelangelo - nel settembre 1875 - molto lodati
dalla stampa internazionale, soprattutto francese. Firenze, che da poco aveva perso il ruolo di capitale d’Italia, cercava in quegli anni di imporsi come caposaldo culturale e artistico attraverso queste celebrazioni e le numerose iniziative che ne sarebbero
conseguite.
Fino a quella data Rodin si era tenuto a una certa distanza dal grande maestro toscano, ma la risonanza dei festeggiamenti,
gli articoli pubblicati nella rivista «L’Art»30 (che aveva perfino creato il concorso «Michelangelo Prix de Florence», in
contrapposizione all’accademico Prix de Rome31), le conferenze sull’argomento, forse ascoltate a Bruxelles32, avevano certamente contribuito a spingerlo verso la partenza. A differenza degli altri scultori che intraprendono il viaggio in Italia, in
cerca dei grandi modelli classici, Rodin devia il centro del suo itinerario da Roma a Firenze, in una sorta di pellegrinaggio
dei luoghi michelangioleschi essenzialmente scultorei, per tentare d’ottenere «da questo grande mago [...] un po’ dei suoi
segreti [...] qualche cosa d’indefinibile che solo lui sa dare»33. Il soggiorno fiorentino si trasforma rapidamente in una sorta
d’omaggio alla patria ideale dell’arte. L’immagine di una Firenze michelangiolesca si pone così in netta opposizione a quella
di una Roma raffaellesca34. Del resto questa passione per l’opera dello scultore fiorentino non è che la punta estrema di una
tendenza neorinascimentale - il fiorentinismo scultoreo - molto alla moda presso gli scultori francesi (Paul Desbois, Antonin Mercié, Alexandre Falguière, Eugène Delaplanche, René de Saint-Marceaux e il belga Charles der Stappen) a partire
dal Salon del 187235, soprattutto attraverso il recupero del linguaggio di Donatello e Verrocchio. Nonostante i numerosi
tesori pittorici presenti a Firenze, Rodin sembra attratto essenzialmente dal «potenziale scultoreo» della città toscana. Sulla
strada di Michelangelo Rodin incontra i grandi maestri del primo Rinascimento: Donatello, di cui apprezza soprattutto il
monumentale «Gattamelata» a Padova, più volte disegnato dal francese; Verrocchio, il cui «Monumento a Colleoni» figura
tra le poche opere viste a Venezia36; Cellini, con il suo modellato preciso, ma «nessuno dei suoi allievi né dei suoi maestri
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Fig. 32. Auguste Rodin, Foglio di studi, 1876.
fanno come lui [Michelangelo]. Non capisco bene perchè dal momento che vado cercando fra i suoi allievi diretti, ma evidentemente è in lui, e solo in lui, che si trova il segreto»37. Seguendo un ideale percorso michelangiolesco a Firenze, Rodin
visita il duomo, dove scopre la «Pietà Bandini»; il museo del Bargello, che accoglie il «David-Apollo»; la rinnovata casa
Buonarroti, definita dalla stampa francese come una sorta di «santuario» e dove potrebbe aver visto la «Centauromachia»; il
museo dell’Accademia, in cui trionfano il «David» e il «San Matteo» e i calchi e le riproduzioni di vario tipo, giunte per la
mostra del centenario, grazie agli scambi internazionali con collezioni pubbliche e private; queste opere, secondo il desiderio degli organizzatori, avrebbero dovuto costituire una sorta di museo michelangiolesco permanente (non privo di erronee
attribuzioni)38 e di cui la mostra del 1875 rappresentava la prova generale39. Ma è soltanto a partire dal quinto giorno del suo
breve soggiorno fiorentino che Rodin, in maniera quasi iniziatica, scopre la sacrestia di San Lorenzo. Le Tombe medicee il «Pensieroso», il «Giorno» e la «Notte» lo turbano enormemente: «Tutto quello che ho visto in fotografia in gesso non dà
la minima idea della sagrestia di San Lorenzo»40; «Quando andai in Italia, con la testa piena di modelli greci che avevo studiato appassionatamente al Louvre, mi ritrovai sconcertato di fronte alle opere di Michelangelo. Smentivano in ogni
momento tutte le verità che credevo d’aver acquisito»41. Come lo ricorda Malvina Hoffman, allieva di Rodin, il maestro trascorse molte ore di fronte a queste opere nell’intento di indentificare le tracce dei colpi lasciati dallo scalpello e gli effetti precisi che avrebbero potuto dare42: «Bisogna vedere queste tombe di profilo, di tre quarti»43 spiega Rodin. Di fronte a queste
sculture44 - tutte caratterizzate da una struttura in torsione e da un aspetto non finito - Rodin non cerca il soggetto o l’ispirazione di un’opera isolata ma piuttosto il «segreto» del maestro, una nuova riflessione sulla natura stessa della scultura, un
«nuovo sistema»45 di composizione, in particolare nella maniera d’infondere la vita nel corpo umano, liberandolo dall’aspetto stereotipato della scultura contemporanea. È in quel luogo, più che nella Cappella Sistina, che matura, grazie a Rodin,
la rinascita di Michelangelo nell’arte europea del XIX secolo. In virtù di una rilettura più sensibile, sempre più lontana
dall’accademismo e dal naturalismo, lo scultore francese umanizza la grandezza eroica di questo linguaggio antico, elevandolo al rango di simbolo.
Nel 1875, a Firenze, era stato riesumato per Michelangelo l’aggettivo «divino» che attribuiva all’artista lo statuto di portatore di valori morali e artistici assoluti. Michelangelo diventa così l’ideale e il modello dell’uomo moderno. L’artista fiorentino coronava un percorso di recupero della sua arte incaricata di veicolare le aspirazioni di certe nazioni europee: innanzitutto l’Italia, afflitta dalle conseguenze della retorica del Risorgimento e desiderosa di superare, anche in ambito artistico,
le scuole regionali, in favore di uno stile eroico e nazionale; ma anche la Francia, ferita dalla guerra del 1870 e dall’esperienza dolorosa della Comune, sembrava essere interessata più alla forza che alla grazia del «citoyen» Michelangelo46. A
Parigi, nel 1864, i fratelli Goncourt avevano dato conto nel loro Journal di una discussione molto interessante riguardante
i «modelli» più significativi per la contemporaneità; Hippolyte Taine aveva indicato Shakespeare, Dante, Michelangelo e
Beethoven come le «quattro cariatidi dell’umanità», scelta che aveva fatto reagire Sainte-Beuve: «Mais tout ça c’est la force.
Et la grâce?».
Ma in Francia, come in Italia del resto, a queste date non si parla più di grazia; è la forza ora a essere venerata e Michelangelo
ne diventa l’esempio supremo.
Durante tutta la sua vita, Rodin ha sempre avuto ben chiaro quale significato aveva avuto per lui questo primo viaggio in Italia. Alla fine degli anni ottanta considerava ancora la Cappella Medici come la cosa più impressionante che avesse mai visto 47.
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C. KAVAFIS, Itaca, in ID., Poesie, Milano 1991, collana «Poesia del Novecento», p. 47.
2
L’organizzazione del Prix de Rome e della vita dei pensionnaires alla Villa
Medici è stato analizzato in: O. BONFAIT (a cura di), Maestà di Roma da
Napoleone all’Unità d’Italia: d’Ingres à Degas: les artistes français à Rome, catalogo della mostra (Villa Medici, Roma, 7 marzo - 29 giugno 2003), Milano
2003, vol. 2; A. LE NORMAND, La tradition classique e l’esprit romantique. Les
sculpteurs de l’Académie de France à Rome de 1824 et 1840, Roma 1981, pp. 1339.
3
Sugli anni di formazione alla Petite École si rimanda al saggio in questo
volume di B. MUSETTI, «Ceci n’est pas un peintre». Qualche riflessione intorno
alla produzione pittorica di Auguste Rodin, pp. 59-74.
4
Sull’argomento si veda C. JONES, Formation d’un scultpteur, in F. BLANCHETIÈRE (a cura di), Corps et décor. Rodin et les arts décoratifs, catalogo della
mostra (Musée Rodin, Parigi, 16 aprile - 22 agosto 2010), Parigi 2010, pp.
10-15.
5
Sui rapporti tra Rodin e Carrier-Belleuse si rinvia al testo in questo volume di J. HARGROVE, La metamorfosi di un maestro nella sua genesi: Rodin nell’atelier di Carrier-Belleuse, pp. 77-109.
6
Dopo un primo soggiorno durante l’estate del 1870, Rodin si trasferisce a
Bruxelles nel febbraio del 1871.
7
Dalla ricchissima letteratura sull’argomento segnaliamo in particolare: B.
CHAVANNE (a cura di), Fascinante Italie. De Manet à Picasso 1853-1917, catalogo della mostra (Musée des Beaux-Arts, Nantes, 20 novembre 2009 - 1°
marzo 2010), Parigi 2009; G. COGEVAL e U. POHLMANN (a cura di),
Voir l’Italie et mourir. Photographie et peinture dans l’Italie du XIX e siècle, catalogo
della mostra (Musée d’Orsay, Parigi, 7 aprile - 19 luglio 2009), Parigi 2009;
D. VAUTIER (a cura di), Tous les chemins mènent à Rome. Voyages d’artistes du
XVI e au XIX e siècle, catalogo della mostra (Musée communal, Yxelles, 11 ottobre 2007 - 27 gennaio 2008), Bruxelles 2007; Y. HERSANT, Italies. Anthologies des voyageurs français au XVIII e et au XIX e siècle, Parigi 1988.
8
Per una panoramica più generale sui viaggi italiani di Rodin, si veda B.
MUSETTI, «La réception critique d’Auguste Rodin en Italie ente la fin du
XIX e et le début du XX e siècle», tesi di dottorato diretta da B. Foucart e B.
Cinelli, Università Paris-IV Sorbonne, Parigi 2008.
9
Parigi, AMR, lettera di Rodin a Antoine Bourdelle, 1° luglio 1907.
10
Bourdelle fu un infaticabile viaggiatore e scrittore. Il racconto de suoi viaggi è stato recentemente pubblicato in: A. BOURDELLE, Chemin faisant. Notes
et relations de voyages 1901-1927, a cura di M. Kopylov e C. Lemoine, Parigi
2010.
11
In effetti, anche nel caso di scritti firmati da Rodin o apparsi sotto suo nome
l’artista fece appello a diversi collaboratori per la stesura dei testi. Sull’argomeno cfr. L. QUATTROCCHI, Auguste Rodin o l’angoscia del monumento, in A.
RODIN, L’arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell, a cura di L. Quattrocchi,
Milano 2003, pp. 163-167.
12
A testimonianza di quanto detto possiamo citare una serie di studi a carboncino, d’eccellente fattura, copie di opere di Michelangelo realizzate da
Rodin dopo il suo rientro in Francia: «Madonna con Bambino» (MR D.
5116), la «Notte» (MR D. 5119), l’«Aurora» (MR D. 5117), il «Giorno»
(MR D. 5118). Le dimensioni (maggiori rispetto ai disegni provenienti dai
taccuini) e la tecnica (quella del carboncino, molto più lenta e delicata),
escludono l’ipotesi di una realizzazione in situ. Questi disegni furono molto
probabilmente eseguiti da Rodin di fronte ai calchi dell’Accademia di Belle
di Arti di Parigi. C. BULEY, Foglio di studi, in A. LE NORMAND-ROMAIN
(a cura di), Rodin e l’Italia, catalogo della mostra (Villa Medici, Roma, 5
aprile - 9 luglio 2001), Roma 2001, p. 51 e V. MATTIUSSI, Roma, «un luogo
in cui, alla mia età, studio ancora», in A. LE NORMAND-ROMAIN cit., pp. 2025.
13
Dopo una prima campagna di catalogazione, questi album furono smontati nel marzo del 1930.
14
È il caso della testa del «Mosé» di Michelangelo o del «Gattamelata» di
Donatello a Padova che compare in molti di questi assemblaggi. C.
BULEY, Foglio di studi cit., p. 50. Cfr. anche: A. LE NORMAND-ROMAIN,
Des dessins «pétris dans l’encre», in ID. e C. Buley-Uribe, Auguste Rodin. Dessins et aquarelles, Parigi 2006, pp. 6-10. Per una visione completa di questa
produzione si rimanda a C. JUDRIN, Inventaire des dessins du musée Rodin,
Parigi 1987, t. 1.
15
J. K. T. VARNEDOE, Rodin as a Draftsman. A Chronological Perspective, in
A. ELSEN e J. K. T. VARNEDOE, The Drawings of Rodin, New YorkWashington 1972, p. 50.
16
A. RODIN, Correspondance de Rodin 1860-1917, testi classificati e commentati da A. Beausire, F. Cadouot, H. Pinet e F. Vincent, Parigi 1985, vol. 1,
p. 34, n. 13.
17
Cfr. R. BUTLER, Rodin. La solitude du génie, Parigi [1993] 1998, pp. 57-60.
18
A. RODIN, Correspondance de Rodin cit., p. 34, n. 13.
19
Da questo percorso tradizionale Rodin esclude buona parte del Sud Italia,
spingendosi rapidamente, almeno in questo primo viaggio, solo a Napoli,
dove sceglie di vedere le sculture greche e romane del Museo Archeologico altra scoperta memorabile, in particolare un «Apollo» e una piccola «Venere» - a discapito delle visitatissime pitture di Pompei ed Ercolano. Cfr. F.
GRUNFELD, Rodin, Parigi 1988, p. 112.
20
In seguito Rodin tornerà a Torino altre due volte: la prima nel 1898, ospite, nella sua casa della Madonna del Pilone, del giornalista Antonio Mucchi; la seconda, nel 1901 quando, sulla strada per Venezia, dove figurava
come invitato d’onore alla Biennale, viene ricevuto trionfalmente dalla
comunità artistica cittadina capeggiata dal critico Giovanni Cena. Sui rapporti tra Rodin e l’ambiente culturale torinese si rinvia a B. MUSETTI, L’opera di Auguste Rodin nell’interpretazione critica di Giovanni Cena, in «Annali di
Critica d’Arte», Torino 2006, n. 2, pp. 241-270.
21
A. RODIN, Correspondance de Rodin cit., p. 34, n. 13. Il riferimento è evidentemente al grande monumento equestre di Emanuele Filiberto eretto da
Carlo Marochetti nel 1838 nella piazza San Carlo.
22
La passione per Puget rientra nell’interesse più ampio che Rodin ha più
volte dimostrato nei confronti del XVIII secolo e dei suoi predecessori. Il tema
è stato indagato da A. MAGNIEN, Du noir et du repos, in F. BLANCHETIÈRE
(a cura di), Corps et décor cit., pp. 220-227.
23
Cfr. M. F. GIUBILEI, Da Rodin a D’Annunzio: un monumento ai Mille per
Quarto, in M. F. GIUBILEI e C. OLCESE SPINGARDI (a cura di), Garibaldi. Il mito. Da Rodin a D’Annunzio: un Monumento ai Mille per Quarto, catalogo
della mostra (Galleria d’Arte Moderna, Genova, 17 novembre 2007 - 2
marzo 2008), Firenze 2007, pp. 15-16.
24
A. RODIN, Correspondance de Rodin cit., p. 34, n. 13.
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Sulla presenza di Puget a Genova, cfr. K. HERDING, Puget scultore, in G.
BRESC-BAUTIER ed E. GAVAZZA (a cura di), Pierre Puget (Marsiglia 16201694). Un artista francese e la cultura barocca a Genova, catalogo della mostra
(Centre Vieille Charité e Musée des Beaux-Arts, Marsiglia, 28 ottobre 1994
- 30 gennaio 1995; Palazzo Ducale, Genova, 4 marzo - 4 giugno 1995),
Milano 1995, pp. 22-35.
26
Ibid.
27
Situata a poche decine di chilometri sia dalle città di Carrara e Serravezza, dove Rodin andava a rifornirsi di marmo, sia da Firenze, Pisa rappresentava una tappa fondamentale nell’itinerario toscano dello scultore. A partire
dal 1901 aggiungerà a questo itinerario anche le città di Lucca, Livorno e il
borgo marino dell’Ardenza (Livorno), dove lo scultore sarà ospite di Hélène von Hindenburg.
28
Sulla fortuna di Piero, si rimanda al fondamentale testo di R. LONGHI,
Piero della Francesca, Firenze 1963. Sulla riscoperta di Piero da parte dei pittori francesi del XIX secolo, cfr.: L. CHELES, Piero della Francesca et la peinture française de Puvis de Chavannes à Matisse, in B. CHAVANNE (a cura di),
Fascinante Italie cit., pp. 59-65.
29
Sull’argomento cfr.: F. FERGONZI, La scoperta di Michelangelo: qualche ipotesi sulla settimana fiorentina di Rodin e sulle sue conseguenze, in M. M. LAMBERTI
e C. RIOPELLE (a cura di), Michelangelo nell’Ottocento. Rodin e Michelangelo,
catalogo della mostra (Casa Buonarroti, Firenze, 11 giugno - 16 settembre
1996), Milano 1996, pp. 115-129.
30
Creata nel 1875 da Eugène Véron, la rivista «L’Art» mira a conquistare
un posto tra gli amatori d’arte antica, gli operatori del mercato contemporaneo e i collezionisti di stampe. La rivista promuove il ritorno a una forma stilistica anti-accademica, che va dai greci fino al Rinascimento fiorentino,
dall’arte fiamminga al purismo del XIX secolo. Durante il suo primo anno
di vita la rivista sceglie Michelangelo come nume tutelare, consacrando
numerosi articoli alle celebrazioni fiorentine, accompagnati da una ricca
serie di illustrazioni. Nelle pagine della rivista Firenze appare come una sorta
di luogo mitico in cui coesistono le sculture di Michelangelo, Donatello,
Cellini, ma anche le memorie dantesche. Cfr. F. FERGONZI, La scoperta di
Michelangelo cit., pp. 116-118.
31
Si tratta di un premio di cinquemila franchi attribuiti a un giovane artista
presente al Salon e scelto da una giuria presieduta dal direttore dell’École des
Beaux-Arts, Eugène Guillaume; la somma è destinata a un soggiorno di
due anni a Firenze. Ibid., p. 119.
32
Tra i numerosi delegati giunti a Firenze per celebrare Michelangelo figura
anche il rappresentante del Belgio, Louis Alvin. Al momento del suo rientro in patria, elogia i grandiosi festeggiamenti in occasione di una conferenza
alla quale Rodin ha forse assistito, o di cui fu comunque probabilmente a
conoscenza, come suggerisce Ruth Butler, grazie ai numerosi articoli entusiasti consacrati all’evento e alla «riscoperta» di Michelangelo da parte della
stampa belga, articoli pubblicati durante tutto l’autunno. Cfr. R. BUTLER,
Rodin. La solitude du génie cit., p. 57.
33
A. RODIN, Correspondance de Rodin cit., p. 34, n. 13.
34
In effetti la permanenza di Rodin a Roma, in occasione di questo primo
viaggio, sarà molto limitata e caratterizzata, ancora una volta, da una preferenza michelangiolesca e, in ogni caso, scultorea. Come ci indicano le annotazioni rinvenute su una serie di disegni, tra i luoghi visitati da Rodin figu-
rano infatti la chiesa di San Pietro in Vincoli, dove ammira la Tomba di
Giulio II e in particolare il «Mosé», che disegna ripetutamente; i Musei
Capitolini, dove studia un bassorlievo raffigurante Diana e Endimione; la
tomba di Angelo Cesi, opera dello scultore Vincenzo Rossi in Santa Maria
della Pace. Solo molti anni più tardi, a partire dal 1912, Rodin eleggerà
Roma come una sorta di patria ideale dell’anima. Sui viaggi romani effettuati da Rodin tra 1912 e 1915 si rinvia a: V. MATTIUSSI, Roma, «un luogo in
cui, alla mia età, studio ancora» cit., pp. 20-25.
35
R. BUTLER, Rodin and the Paris Salon, in A. ELSEN (a cura di), Rodin
Rediscovered, catalogo della mostra (National Gallery of Art, Washington,
28 giugno 1981 - 31 gennaio 1982), Boston-New York 1981, pp. 19-49; F.
FERGONZI, La scoperta di Michelangelo cit., p. 116; F. FERGONZI, Seduzioni
michelangiolesche sui contemporanei di Rodin, in «Acme. Annali della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università di Milano», vol. L, 1, gennaio-aprile
1997, pp. 259-267.
36
Anche in questo caso, sorprende la scarsa attenzione che Rodin consacra a
una tra le città italiane più sognate e visitate dai grand tourists dell’epoca. L’aspetto «pittorico» della città doveva probabilmente essere di minor richiamo per
uno scultore. Se i grandi maestri del colore quali Tiepolo, Veronese, Carpaccio, vengono apparentemente ignorati, un marmo romano raffigurante «Leda e
il cigno» del Museo di San Marco figura in uno dei taccuini di Rodin.
37
A. RODIN, Correspondance de Rodin cit., p. 34, n. 13.
38
M. ANGLANI, Il Museo Michelangiolesco e l’evoluzione della Galleria dell’Accademia tra Ottocento e Novecento, in F. FALLETTI (a cura di), L’Accademia,
Michelangelo, l’Ottocento, Livorno 1997, pp. 37-53.
39
Cfr. S. CORSI, Cronaca di un centenario, in ID. (a cura di), Michelangelo nell’Ottocento. Il centenario del 1875, catalogo della mostra (Casa Buonarroti,
Firenze, 14 giugno - 7 novembre 1994), Milano 1994, pp. 14-30. Il progetto del museo si realizzò solo nel 1909 per volontà di Corrado Ricci, direttore delle Gallerie Fiorentine dal 1903. Solo allora, con il nulla osta di Casa
Savoia, si tolsero i «Prigioni» dalla Grotta di Boboli e la «Vittoria» dalle collezioni del Bargello, mentre il torso di «Divinità fluviale» e il «San Matteo»
giunsero dall’Accademia di Belle Arti. F. GIUBILEI, Da Rodin a D’Annunzio: un Monumento ai Mille per Quarto, in M. F. GIUBILEI e C. OLCESE
SPINGARDI (a cura di), Garibaldi cit., pp. 16-17.
40
A. RODIN, Correspondance de Rodin cit., p. 34, n. 13.
41
A. RODIN, L’Art. Entretiens réunis par Paul Gsell, Parigi [1911] 1997, p.
267. Sulle conseguenze della visione delle opere di Michelangelo su Rodin,
cfr.: A. LE NORMAND-ROMAIN, Rodin et Michel-Ange: Le fragmentaire,
l’hybride, l’inachevé, in A. LE NORMAND-ROMAIN (a cura di), Rodin e l’Italia cit., pp. 38-46.
42
M. HOFFMAN, Sculpture Inside and Out, New York 1939, p. 160.
43
A. RODIN, Correspondance de Rodin cit., p. 34, n. 13.
44
Rodin si interessa soprattutto a opere della maturità michelangolesca, tutte
caratterizzate da un violento contrapposto, fatto che lo distingue dal gruppo
dei neofiorentini, attratti principalmente dai temi più «statici» del «David» e
del «San Giovanni Battista».
45
R. BUTLER, Rodin. La solitude du génie cit., p. 59.
46
Ibid., p. 60.
47
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, sculptor, in «The American Architect
and Building News», 9 febbraio 1889, n. 685, p. 65.
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Fig. 33. Auguste Rodin, «La Tragedia» e «La Commmedia», decorazioni per la loggia dell’antico Théâtre des Gobelins, 1869.
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Le arti decorative nella prima parte della carriera di Rodin
FRANÇOIS BLANCHETIÈRE
S
enza dubbio sembrerebbe difficile, oggi, immaginare il nome di Rodin apposto come firma su uno svuotatasche, un
letto in legno scolpito, una credenza o dei vasi in porcellana di Sèvres. Tuttavia, simili oggetti esistono e sono assolutamente autentici: la produzione decorativa di Rodin merita di essere studiata e rivalutata, soprattutto per quanto concerne la
prima parte della sua carriera, che è la finalità di questa mostra1.
PRIMA DEL 1870: QUALCHE SPORADICA TESTIMONIANZA
La formazione artistica iniziale di Rodin lo destinò a questo genere di attività, essendo stato allievo della «Piccola Scuola»
fra il 1854 e il 1857. La denominazione ufficiale di questa istituzione era all’epoca «École impériale et spéciale de dessin, de
mathématiques, d’architecture et de sculpture d’ornement pour l’application des beaux-arts à l’industrie»2, molto eloquente
rispetto al fatto di garantire una solida formazione tecnica basata sull’apprendimento del disegno e destinata a fornire eccellenti artigiani ai mestieri artistici. Sono numerosi i futuri artisti passati dai banchi di questa scuola3, e Rodin avrebbe menzionato sempre con riconoscenza questa sua prima fase formativa.
Dopo aver fallito il concorso d’ammissione alla École des Beaux-Arts (la «Grande Scuola», quella che permetteva di concorrere al Prix de Rome e di seguire quindi la via maestra), Rodin riuscì molto presto a trovare lavoro per diversi committenti e proprietari di atelier di scultura decorativa. Sia ben chiaro, il termine «arti decorative» va qui intesto nella sua più
ampia accezione, dal piccolo oggetto d’arte, come il gioiello, alla grande decorazione monumentale. Grazie a una delle rare
lettere di quel periodo che ci sono pervenute, si ha testimonianza della commissione di un piccolo gruppo da parte degli orefici Fannière Frères, nel marzo 1867. La missiva non riferisce nulla di specifico sull’opera, né sulla sua destinazione, ma ci
lascia comunque intravedere quale fosse il tipo di ordinazioni che all’epoca Rodin riceveva da parte di svariati atelier.
Analogamente, nell’ambito della decorazione d’architettura, è probabile che Rodin abbia preso parte a molti cantieri in
Parigi e altrove, poiché le città francesi conobbero durante il Secondo Impero estesi e radicali sviluppi. Sotto l’impulso del
barone Haussmann, in particolare, Parigi vide sorgere pletore di nuovi edifici che richiedevano di essere decorati, cosa che
costituiva una vera manna dal cielo per gli scultori. Per quanto concerne Rodin, tuttavia, abbiamo di questo periodo un
solo esempio, datato 1869: si tratta delle figure ritraenti «La Tragedia» e «La Commedia» che ornano la loggia della facciata dell’antico Théâtre des Gobelins, nella capitale (fig. 33). Rodin creò questi bassorilievi allegorici conformandosi alle esigenze di questo tipo di decorazione: occorreva adeguarsi alla forma semicircolare della loggia progettata dall’architetto, e rendere evidente, per i passanti, che quell’edificio era un teatro. L’espressione dei corpi e dei volti, così come gli attributi delle
due figure, consentono loro di espletare questa funzione. È pressoché certo che non sia stato Rodin a tagliare la pietra di questi rilievi, essendo in genere un compito affidato a uno sbozzatore, l’artigiano specializzato in questo.
Rodin era invece soprattutto un modellatore, e il suo talento in questa tecnica iniziava a essere riconosciuto dal suo principale datore di lavoro, Albert-Ernest Carrier-Belleuse. Se si è potuto stabilire che Rodin entrò nell’atelier di quest’ultimo nel
1864, e che lavorò per lui a varie riprese nel corso di una ventina d’anni4, è difficile affermare con precisione quale parte ebbe
il giovane scultore nell’abbondante produzione del suo principale. Si sa che era considerato uno dei migliori quando si trattava di rifinire i modelli sbozzati dal maestro5, in particolare statuette e gruppi destinati a essere prodotti in materiali diversi:
bronzo, marmo, porcellana e soprattutto terracotta. Quando avrebbe iniziato a produrre per conto proprio, all’inizio del
decennio successivo, Rodin si sarebbe ispirato ancora ampiamente alle tecniche e all’estetica del suo vecchio principale.
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76. Gaudenzio Marconi, Auguste Neyt, modello per «L’età del
bronzo», 1877.
78. Gaudenzio Marconi, L’età del bronzo modellato in gesso, 1877.
77. Gaudenzio Marconi, Auguste Neyt, modello per «L’età del
bronzo», 1877.
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79. Auguste Rodin, L’età del bronzo, 1875-1876.
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80. Auguste Rodin, Progetto di monumento, 1880.
Fig. 34. Anonimo, La fontana del Trocadéro, 1878 circa.
1870-1877: IL PERIODO BELGA
È Carrier-Belleuse a mandare Rodin a Bruxelles, inizialmente per qualche settimana alla fine del 1870, poi in modo permanente a partire dal febbraio 18716. La capitale belga viveva allora una fase di sviluppo e di rigenerazione urbana analoga a
quella parigina di un decennio prima, e agli scultori non mancava certo il lavoro. Rodin vi si era recato per aggiungersi
all’équipe costituita dal maestro per realizzare le decorazioni della Borsa di Bruxelles, ma i due si ritrovarono molto presto in
disaccordo, probabilmente per ragioni sia personali che commerciali7. È verosimile che Rodin, che all’epoca aveva già oltrepassato la trentina, desiderasse una maggiore autonomia, ma ciò che conosciamo della sua produzione di quel periodo denota che in realtà rimase nell’orbita di Carrier-Belleuse. A conferma di ciò, il gruppo di statuette composto a partire da una figura di giovane donna seduta (detta «Venere») e da un piccolo «Amore» (tavv. 47-51) ricalca il tenore aggraziato che aveva
determinato il successo del suo principale. La tecnica che utilizzò per queste opere (assemblaggio e declinazione di elementi
di base tratti dai medesimi stampi) è peraltro tipica delle produzioni veloci ed economiche degli atelier di scultura decorativa.
Rodin nel corso degli anni sviluppò questa tecnica, al punto di farla diventare, alla fine della propria carriera, il suo procedimento di creazione preferito, aprendo la via a certe pratiche dell’arte moderna.
Nel solco di questo filone, realizzò numerosi piccoli busti, quali «Dosia» (tav. 57), «Flora» (tav. 52) o «Suzon» (tav. 56).
Quest’ultimo soggetto, del quale Rodin vendette il modello con i diritti di riproduzione alla Compagnia dei Bronzi di Bruxelles, fu prodotto da questa società in molteplici dimensioni e materiali: marmo, bronzo, terracotta, biscuit. Inoltre, veniva
proposto nel catalogo della Compagnia montato su diversi supporti, dal classico peduccio alla pendola da caminetto, cosa
che ne fa un perfetto esempio di utilizzo di una scultura per una destinazione squisitamente decorativa.
Le caratteristiche estetiche delle opere di questo tipo ne agevolavano l’impiego nei contesti più svariati. Conferendo loro
un’espressione poco caratterizzata, Rodin privilegiava l’eleganza e lo charme a detrimento del significato. Uno di questi
busti è noto con un gran numero di titoli molto vaghi, ispirati a soggetti del XVIII secolo tornati di moda sotto il Secondo
Impero: «Modestia», «L’Innocenza», «La concordia del villaggio», «La figlia di M.me Angot»... Questo stesso busto è
anche stato diffuso con il titolo «La lorenese», collocandosi in questo caso in una categoria differente, a fianco dell’«Orfanella alsaziana»: opere che facevano leva sull’indole nazionalista e sentimentalista di un pubblico francese fortemente segnato dalla perdita dell’Alsazia e della Lorena, le due regioni cedute alla Prussia in seguito alla guerra del 18708. L’«Orfanella alsaziana» conobbe un sicuro successo, e Rodin la espose frequentemente dal 1871 al 18849, e ne fece eseguire numerosi
esemplari dallo sbozzatore Tréhard fino agli anni ottanta10.
Solo a partire dalla metà degli anni settanta Rodin diede prova di una maggiore ambizione plastica nelle sue sculture potenzialmente decorative. Opere come la «Ragazza che ascolta» (tav. 13) o «Ragazza con bambino» (tav. 54) sono di dimensioni più grandi rispetto a quelle degli anni precedenti, e la loro composizione mostra un’accresciuta maestria, pur conservando un carattere elegante e aggraziato.
Infine, nell’ambito della decorazione monumentale, si conoscono numerose opere realizzate da Rodin su edifici di Bruxelles. Benché, a quanto sembra, il suo ruolo nella decorazione della Borsa sia stato limitato a causa della rottura con CarrierBelleuse, prese per contro parte attiva ai lavori eseguiti con il suo associato belga, Van Rasbourgh, per la decorazione del
Palazzo reale, del conservatorio e di diversi immobili privati. Nel 1928 il Museo Rodin si è visto offrire la «Cariatide» e gli
«Atlanti» in stucco realizzati da Rodin per la facciata dell’edificio situato al 37-39 del boulevard Anspach (tavv. 65-67).
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81. Auguste Rodin,
Studio per il «San
Giovanni Battista»,
1878.
Fig. 35. Auguste Rodin,
Motivo decorativo
cartouche entre deux
amours, 1876-1877.
Fig. 36. Auguste Rodin,
Tre bambini nudi,
1876-1877.
Come per la decorazione della loggia del Théâtre des Gobelins, di cinque anni prima, lo scultore dovette adeguarsi al progetto dell’architetto, riuscendo tuttavia a conferire a queste figure monumentali molte caratteristiche personali. La leggerezza della loro posa e la fluidità del modello, in particolare, denotano l’ammirazione di Rodin per i grandi artisti del Rinascimento italiano, Michelangelo in primis. È proprio per approfondire la sua conoscenza dell’opera di questo maestro, d’altronde, che all’inizio del 1876 Rodin compì un viaggio in Italia11.
1877-1884: LA PRIMA MATURITÀ
Reduce da questo periplo iniziatico, Rodin giunse a eseguire la sua prima grande figura stante, «L’età del bronzo», che
all’inizio del 1877 espose a Bruxelles. Riponeva molte speranze in quest’opera, dato che aveva nel frattempo deciso di tornare a Parigi con l’obiettivo di imporsi nel milieu artistico. La ricezione di questa scultura al Salon del 1877 fu inferiore alle
aspettative: una parte della critica lodò la precisione e la naturalezza del modello, ma un’altra parte sollevò la questione dell’utilizzo della tecnica del calco dal vero, mettendo così in dubbio l’onestà dell’artista12.
Deluso, Rodin fu costretto a lavorare ancora per altri. Molto presto, prese parte al cantiere per la decorazione del Palazzo del
Trocadero, la cui costruzione all’epoca era appena stata terminata in vista dell’Esposizione Universale che doveva aver luogo
a Parigi l’anno seguente, nel 1878. Sotto la direzione dell’impresario Legrain, Rodin realizzò quindi i modelli dei grandi
mascheroni utilizzati come zanche per le arcate delle fontane situate ai piedi delle terrazze del palazzo. Lo scultore, a quel
punto, era ormai in pieno possesso dei suoi mezzi plastici, e queste teste ispirate alle grottesche in voga nei giardini rinascimentali furono accolte come ottimi esiti: fu però Legrain a riceverne gli allori, perché Rodin restava uno scultore pressoché
sconosciuto che metteva il proprio talento al servizio dei suoi datori di lavoro.
In quello stesso 1877, ci fu la riconciliazione con Carrier-Belleuse, sette anni dopo il dissidio che li aveva separati in Belgio.
Per lui Rodin realizzò, probabilmente nel 1878, le quattro figure maschili che ornano il piedistallo del «Vaso dei Titani»
(tav. 69): curvi per lo sforzo, questi colossi dai muscoli prominenti e dalle pose contorte rappresentano uno dei migliori esempi dell’ispirazione michelangiolesca di Rodin. Come avveniva di prassi nel processo di creazione del modello per un oggetto decorativo destinato alla fabbricazione in esemplari multipli, dalle figure modellate da Rodin furono ricavati degli stampi per la riproduzione seriale. Si conoscono molte copie di questa giardiniera in terracotta, materiale probabilmente utilizzato dall’atelier di Carrier-Belleuse per la diffusione di questo modello; altre sono in maiolica fine, prodotte dal ceramificio
di Choisy-le-Roi, un’importante manifattura che, a partire dal 1878, avrebbe impiegato uno dei figli di Carrier-Belleuse
come direttore artistico13.
Nel mese di giugno dell’anno seguente, il 1879, è ancora una volta Carrier-Belleuse a dare lavoro a Rodin, facendolo entrare come decoratore alla Manifattura della porcellana di Sèvres14. Lo scultore aveva l’incarico di ricercare nuovi tipi di decorazioni per le nuove forme di vasi che il suo principale aveva creato per questa prestigiosa istituzione. Dopo essersi formato
nelle tecniche tradizionali della decorazione su porcellana, Rodin produsse rapidamente dei décor molto personali, traboccanti e vigorosi, poco preoccupati dell’ortodossia tecnica o estetica. Divenne esperto, in particolare, nella decorazione a pasta
riportata (applicazioni di strati successivi di pasta liquida sulla superficie del vaso crudo) e a intaglio (rimozione di pasta per
mezzo di incisione e raschiatura), creando dei motivi molto originali, trattati come quelli che in quel periodo disegnava e
modellava per la sua grande opera, la «Porta dell’inferno».
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82. Auguste Rodin, Busto di san Giovanni Battista, 1879.
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83. Adolphe Braun, «San Giovanni Battista» nell’atelier, 1881.
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84. Auguste Rodin, San Giovanni Battista, 1880.
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85. Auguste Rodin, La Défense, 1879.
Fig. 37. Auguste Rodin, L’idillio, 1883-1884.
L’impiego a Sèvres garantiva a Rodin un introito regolare, dal momento che aveva deciso di lavorarvi per svariati giorni al
mese. Al contempo, continuava a lavorare anche per altri artisti, come lo scultore Charles Cordier, che raggiunse a Nizza
nell’agosto 1879 per realizzare i modelli delle cariatidi e dei mascheroni destinati a ornare la facciata di Villa Nettuno15. Produsse anche numerosi gruppi di bambini, dello stesso tenore aggraziato che aveva dominato il suo periodo belga, ma con
composizioni più ariose e con materiali più di prestigio (marmo e bronzo, soprattutto), mentre i piccoli gruppi dei primi
anni settanta erano principalmente in terracotta. «L’idillio» (fig. 37) e i «Bambini che si abbracciano» (tav. 53) costituiscono due esempi eccellenti di questa produzione che Rodin destinava a una clientela più altolocata che in precedenza: la prima
versione dell’«Idillio» fu eseguita in marmo per il mercante, collezionista e critico d’arte belga Léon Gauchez, direttore dell’influente rivista «L’Art»16; i «Bambini che si abbracciano», dal canto loro, finirono nella galleria del grande collezionista
inglese Constantin Ionides, che li apprezzò tanto da acquistarne due esemplari, nel 1881 e nel 1882, uno in gesso e l’altro in
bronzo17.
A quell’epoca, Rodin era già impegnato in un’opera di assai maggiore levatura che avrebbe cambiato il suo destino, ma che
attiene in tutto e per tutto alla decorazione monumentale: la «Porta dell’inferno», originariamente deputata a integrarsi nella
facciata del Museo delle Arti decorative che si voleva istituire a Parigi. Il lavoro era stato commissionato a Rodin nel 1880
con l’appellativo di «porta decorativa» ornata di «bassorilievi rappresentanti la Divina Commedia di Dante»18. Nel corso
del tempo, Rodin trasformò questo progetto in un capolavoro del tutto indipendente dal contesto architettonico, tuttavia
mantenendo sempre, nella struttura della «Porta» come in buona parte dei suoi dettagli, qualcosa che richiamava la sua iniziale vocazione decorativa19.
Troppo spesso si pensa che questa committenza abbia segnato un punto di rottura improvviso nella carriera di Rodin, e che
lo scultore in seguito non abbia più avuto la necessità di dedicarsi a una produzione decorativa. In realtà, l’evoluzione della
sua parabola artistica ha avuto uno svolgimento più lento20 e, soprattutto, Rodin non si è mai davvero staccato dall’ambito
delle arti decorative: il successo, a partire dalla metà degli anni ottanta, gli permise di scegliere le commissioni anziché doverle accettare indiscriminatamente, ma lo scultore non ritenne impossibile, nel 1891, immaginare di realizzare un posacenere
per René Lalique, né, all’inizio del XX secolo, creare delle fioriere e dei timpani monumentali per la villa La Sapinière,
costruita a Evian, sulle rive del lago Léman, da uno dei suoi mecenati, il barone Vitta21.
1
Una recente esposizione ha proposto una sintesi su questo tema: cfr. F.
BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di), Rodin. Les arts décoratifs, catalogo
della mostra (Palais Lumière, Evian, 13 giugno - 20 settembre 2009), Evian
2009 (ripresa con il titolo «Corps et décors, Rodin et les arts décoratifs», Musée
Rodin, Parigi, 16 aprile - 22 agosto 2010); sul letto e la credenza, p. 12.
2
Cfr. R. FROISSART-PEZZONE, «L’esprit heureux se déroule en ornements».
Sculpture et décoration en France au temps de Rodin, in F. BLANCHETIÈRE e W.
SAADÉ (a cura di), Rodin. Les arts décoratifs cit., pp. 52-71.
3
Fra gli scultori più anziani di Rodin, citiamo in particolare Carrier-Belleuse, di cui parleremo, o anche Carpeaux, che in seguito riuscì a superare
il concorso di accesso alla École des Beaux-Arts.
4
Cfr. il saggio in questo volume di J. HARGROVE, La metamorfosi di un maestro nella sua genesi: Rodin nell’atelier di Carrier-Belleuse, pp. 77-109.
5
T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor, in «The American Architect
and Building News», XXV, 15 giugno 1889, n. 689, ristampato in A.
ELSEN (a cura di), Auguste Rodin. Readings on His Life and Work, Englewood Cliffs, N. J. 1965, pp. 13-109.
6
Per tutto il periodo belga di Rodin, cfr. A. LE NORMAND-ROMAIN (a
cura di), Vers «L’Age d’airain». Rodin en Belgique, catalogo della mostra
(Musée Rodin, Parigi, 18 marzo - 15 giugno 1997), Parigi 1997.
7
Cfr. il saggio in questo volume di J. HARGROVE, La metamorfosi di un maestro nella sua genesi: Rodin nell’atelier di Carrier-Belleuse, pp. 77-109.
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Negli anni successivi alla sconfitta, numerosi artisti sfruttarono questo
filone; citiamo ad esempio il pittore Jean-Jacques Henner, con «L’Alsazia», sottotitolata «Essa attende» (1871, Musée Jean-Jacques Henner,
Parigi), che raffigura una giovane donna in costume alsaziano che guarda
in viso lo spettatore, come per interrogarlo sulla data in cui la sua regione
rientrerà a far parte della Repubblica.
9
Cfr. A. BEAUSIRE, Quand Rodin exposait, Parigi 1988.
10
Cfr. la corrispondenza Tréhard, archivi del Musée Rodin.
11
Cfr. il saggio in questo volume di B. MUSETTI, Verso sud. Il Grand Tour
in Italia secondo Rodin (1876), pp. 111-121.
12
Su questa vicenda, cfr. A. LE NORMAND-ROMAIN (a cura di), Vers
«L’Age d’airain» cit.
13
Esemplari completi (piedistallo e vasca) sono conservati al Petit Palais Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris (cfr. F. BLANCHETIÈRE e W.
SAADÉ [a cura di], Rodin. Les arts décoratifs cit., pp. 24-25), al Detroit
Museum of Art e al Museo Lazaro Galdiano di Madrid (cfr. ibid., opuscolo supplementare per la ripresa al Musée Rodin.
14
Su Rodin a Sèvres, cfr. ibid., pp. 82-131.
La villa è andata distrutta, ma le cariatidi sono conservate al Musée des
Beaux-Arts di Nizza; cfr. F. BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di),
Rodin. Les arts décoratifs cit., pp. 74-76.
16
Cfr. il saggio in questo volume di F. BLANCHETIÈRE, Le relazioni sociali
di Rodin viste attraverso la sua corrispondenza 1871-1884, pp. 139-161.
17
Cfr. A. WATSON, Constantin Ionides: Rodin’s first important English patron,
in «Sculpture Journal», n. 16.2, 2007, pp. 27-29 e figg. 3 e 8.
18
Questa titolazione figura sul retro della committenza del 16 agosto 1880.
19
Cfr. F. BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di), Rodin. Les arts décoratifs cit., pp. 86-87 e 132-165.
20
Cfr. il saggio in questo volume di F. BLANCHETIÈRE, Le relazioni sociali
di Rodin viste attraverso la sua corrispondenza 1871-1884, pp. 139-161.
21
Cfr. F. BLANCHETIÈRE e W. SAADÉ (a cura di), Rodin. Les arts décoratifs cit.: sul progetto per Lalique (mai realizzato?), p. 116; sulle commissioni per Vitta, pp. 188-190 e 206-213.
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Le relazioni sociali di Rodin viste attraverso
la sua corrispondenza (1871-1884)
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S
e l’intento è quello di delineare con la massima accuratezza possibile la vita di Rodin, abbiamo a disposizione una
fonte assolutamente imprescindibile: la corrispondenza inviata e ricevuta dall’artista. Si tratta di documenti di prima
mano, quanto mai soggettivi, e che vanno quindi analizzati prendendo in qualche modo le distanze, ma che ci forniscono informazioni uniche, non rinvenibili altrove. Questa fonte è tuttavia sempre parziale, e per molteplici ragioni. Innanzitutto, talvolta è impossibile comprendere le allusioni di cui sono infarcite le lettere, poiché ciò che ai corrispondenti era
evidente non aveva necessariamente bisogno di essere esplicitato: il titolo di un’opera, ad esempio, può non sempre essere
preciso (bastava parlare del «piccolo gruppo» e tutti capivano ciò a cui ci si riferiva), né magari si dice il motivo di un
appuntamento («Vi aspetterò domenica fino alle 5», senza ulteriori dettagli).
Del resto, in genere si scrivono lettere lunghe e particolareggiate solo quando ci si trova a grande distanza e si hanno delle
cose da domandare o da spiegare con esattezza. Se è possibile vedersi tutti i giorni, non c’è bisogno di scrivere pagine su
pagine, poiché i chiarimenti si possono dare a viva voce; e non se ne conserva, in questo caso, traccia alcuna. Questa è la
ragione per cui la corrispondenza di Rodin diventa importante solo da quando lascia Parigi per stabilirsi a Bruxelles: da
quel momento in poi sente la necessità di scambiare informazioni per iscritto con amici, colleghi e collaboratori rimasti a
Parigi. Allo stesso modo, le sue relazioni con le varie personalità belghe ci appaiono con maggior nitore quando lascia Bruxelles per fare ritorno a Parigi, nel 1877, perché da lì in avanti gli scambi di lettere con il Belgio si intensificano.
Spesso, infine, si vorrebbe poter mettere in rapporto le lettere scritte dall’uno o dall’altro corrispondente con quelle inviate
alla stessa persona da Rodin: queste ultime ci sono in effetti pervenute in grande quantità, perché l’artista le conservava scrupolosamente, mentre abbiamo accesso alle loro controparti solo in rari casi (lettere di Rodin alla sua compagna, Rose Beuret, o lettere acquisite dal museo come lasciti testamentari dei corrispondenti, o ancora, fondi d’archivio donati a istituzioni pubbliche)1.
Espresse tutte le dovute riserve, resta nondimeno evidente che la corrispondenza è il mezzo più appropriato per delineare
un quadro delle relazioni sociali di Rodin fra il 1871 e il 1884 all’incirca, vale a dire durante il periodo della sua residenza in Belgio, quindi in concomitanza con il suo ritorno a Parigi e infine nel corso della prima metà degli anni ottanta,
quando inizia a imporsi sulla scena artistica.
FRA PARIGI E BRUXELLES
Per carenza di fonti, sappiamo poco delle relazioni sociali di Rodin a Parigi prima del suo trasferimento in Belgio, avvenuto nel febbraio del 1871. Ci sono pervenute alcune lettere di datori di lavoro e committenti (in particolare per dei busti),
che lasciano intuire la modestia delle condizioni di lavoro dell’artista a quell’epoca. La corrispondenza intercorsa con la
sua famiglia e qualche amico ci offre uno scorcio della sua vita affettiva: gli scambi con l’amico scultore Léon Fourquet,
residente a Marsiglia, evocano le letture del giovane e alcune preferenze in ambito artistico. Vi si legge anche della delusione per non aver superato il concorso di ammissione alla École des Beaux-Arts, e nel dicembre 1858 Fourquet cerca di consolarlo: «Poiché ciascuno ha il proprio destino [...], prendila con coraggio, e se non potrai elevarti nella figura, che tu possa
farlo almeno nell’ornamento».
Una volta giunto a Bruxelles, Rodin non interrompe i rapporti con gli amici parigini; per la maggior parte sono colleghi,
e pare quasi che tra di loro si sia creata una sorta di associazione. Almire Huguet, uno specialista di modellatura di orna139
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86. Auguste Rodin, «La Défense», testa del genio alato, modellino, 1879.
87. Auguste Rodin, «La Défense», testa del guerriero, 1879
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Fig. 38. Gustave Biot, Portrait de Rodin, 1877.
88. Auguste Rodin, «La Défense», torso del genio con testa, 1879.
menti floreali, così gli scrive l’11 ottobre 1871: «Volevo darvi notizie in merito alla nostra federazione e al nostro atelier»,
del quale rimangono solo sei membri, «Gratien [?], Birambeau [?], Ledru, Jassier [?] e noi due». Malgrado la precarietà
della sua situazione economica, Rodin conservò per qualche tempo un atelier a Parigi, e pare vi facesse delle veloci puntate quando si rendeva necessario. Aveva, a Parigi, e poi a Bruxelles, diverse persone che lavoravano per lui, in base ai bisogni del momento, esattamente come faceva il suo vecchio principale Carrier-Belleuse2. La ferrovia permetteva il regolare
invio di opere in corso di esecuzione, dalla Francia al Belgio e viceversa. In questo senso, il 5 settembre 1874, Almire
Huguet annuncia a Rodin di avergli spedito la «cassa contenente il busto della piccola alsaziana, quello con l’acconciatura con tralci di vite e quattro altre acconciature», sperando che Rodin li trovi «conformi al programma» che gli aveva assegnato. È probabile che il busto di «M.me Huguet», sua moglie (tav. 59), abbia dunque viaggiato fra Parigi e Bruxelles,
in quanto, pur se l’autore di questo ritratto è Rodin, si può supporre che i fiori di ciliegio che ne ornano la base siano opera
di Huguet.
La «piccola alsaziana» menzionata in questa lettera corrisponde all’«Orfanella alsaziana» (tav. 46), di cui, fra il 1871 e il
1885, lo sbozzatore Henri Tréhart tagliò molti esemplari in marmo. Anche Léon Fourquet, l’amico di gioventù, si mise
al servizio di Rodin: a lui si deve l’esecuzione, nel 1875, della versione in marmo dell’«Uomo dal naso rotto» (tav. 16).
Questa opera fu la prima scultura di Rodin accettata al Salon di Parigi, insieme al busto di «M. Garnier», realizzato nel
1870. Garnier dirigeva un’impresa di costruzioni, ed era anche lui rimasto in contatto con lo scultore; diede il proprio consenso a che Tréhart andasse a prendere il suo busto in vista della presentazione al Salon, a patto che una «testa ideale coronata di fiori da M. Huguet» gli fosse consegnata a titolo di cauzione3. Si vede quindi come tutte queste persone, con cui
Rodin manteneva dei rapporti a Parigi, fossero anche reciprocamente in contatto fra loro.
A Bruxelles, Rodin si integrò rapidamente nel milieu artistico locale. Gli scultori della squadra costituita da Carrier-Belleuse per il cantiere della Borsa rappresentarono la prima cerchia delle sue relazioni. Lo scultore aveva già lavorato in precedenza con alcuni di loro, come Joseph Van Rasbourgh, che molti amici parigini di Rodin senza dubbio conoscevano:
dal settembre 1871, lo pregano regolarmente di salutare «Joseph»4. Nel febbraio 1873 i due si associarono allo scopo di
poter far fronte a committenze più importanti, come le grandi figure per il monumento al borgomastro Loos, ad Anversa.
Si sono forse considerate con eccessiva compiacenza le parole piuttosto pungenti pronunciate in seguito da Rodin in merito a Van Rasbourgh5: sembra difficile poter credere che un’associazione professionale nata all’insegna dell’amicizia, e durata parecchi anni, abbia potuto essere così negativa, ma Rodin ebbe sovente il dente avvelenato nei confronti dei suoi collaboratori.
Gli amici belgi più importanti compaiono piuttosto tardi nella corrispondenza: è solo all’inizio del 1877, quando la vicenda relativa a «L’età del bronzo»6 interessò Bruxelles, che si rivela l’esistenza di queste relazioni. Ricordiamo che Rodin
espose questo nudo maschile, la sua prima figura di grandi dimensioni, al Circolo artistico di Bruxelles nel gennaio 1877,
e che, se la critica fu complessivamente positiva, un giornalista insinuò la possibilità che l’artista avesse fatto ricorso al calco
dal vero. Rodin se ne adombrò, volle difendersi e si appellò, fra altri suoi conoscenti, all’influente critico d’arte Jean Rousseau. Nei primi giorni del febbraio 1877, quest’ultimo, ammalato, non poté ricevere Rodin: «Mi vedo costretto a rimandare a martedì prossimo la serata che avremmo dovuto trascorrere da me insieme a Biot e sua moglie», gli scrive il 6 febbraio. Una volta guarito, pubblicò un lungo articolo7 in cui si spendeva nella difesa e nella spiegazione di quest’opera che
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89. E. Fiorillo, La Défense, genio alato, 1879.
90. Eugène Druet, La Défense davanti alla «Porta dell’inferno», 1898 circa.
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poteva sembrare strana in quanto apparentemente priva di soggetto. Quanto a Gustave Biot, l’amico comune citato da
Rousseau, aveva acquisito un’invidiabile reputazione come disegnatore e incisore: il ritratto che fece di Rodin è un buon
esempio del suo talento (fig. 38). Quando la polemica rimbalzò a Parigi, questi due amici, come vedremo, si premurarono entrambi di scrivere delle lettere di sostegno.
IL RITORNO A PARIGI
Dopo il viaggio in Italia8, all’inizio del 1876, Rodin meditò di ritornare a Parigi. Una lettera del fedele Léon Fourquet
datata 18 dicembre 1876 ci informa sui preparativi di questo rientro, nonché sull’utilità delle relazioni parigine dello scultore: «Mi sono recato da M. Carrier, dopo avergli detto che avevi intenzione di tornare a Parigi e chiesto se prevedeva la
possibilità di farti lavorare. Ha cominciato col dirmi che sei un uomo difficile da impiegare, di carattere poco gradevole,
pur convenendo che saresti molto adatto per intraprendere ciò che desidera». Alla fine, Carrier-Belleuse acconsentì a trovare del lavoro a Rodin, a condizione che quest’ultimo facesse «una sorta di ammenda onorevole» sottoforma di lettera di
scuse in merito alla lite scoppiata fra loro sei anni prima. «È una seccatura per te essere obbligato a lavorare di nuovo per
gli altri», concludeva Fourquet, lamentando, quanto a se stesso, di non fare altro che questo.
Rodin aveva tuttavia ambizioni più elevate, poiché confidava sul fatto che «L’età del bronzo» gli permettesse di farsi notare. Ma, ahimè, i sospetti riemersero prima ancora dell’apertura del Salon, il 1° maggio. Lo scultore conobbe un periodo di
abbattimento, come disse in molte lettere spedite durante il mese di aprile alla sua compagna Rose Beuret, rimasta a Bruxelles: «Sono davvero triste, la mia figura è ritenuta bella da Falguière9, ma si dice che sia un calco dal vero». Molto presto, i suoi amici belgi reagirono. Alexandre Van Berckelaer, al quale Rodin aveva fatto il ritratto a Bruxelles (tav. 63),
scrisse una lettera di appoggio in cui attestava la buona fede dello scultore. Gustave Biot si mostrò il più attivo nel far valere le proprie relazioni: «Stamane ho visto Rousseau e, dopo aver parlato di voi, mi ha mandato dal pittore Smits, il quale
mi ha formalmente promesso che scriverà al suo amico, lo scultore Paul Dubois», scrisse il 26 aprile, aggiungendo: «Non
ammetto che vi perdiate d’animo, questo è per voi il momento di lottare. Con le attestazioni che noi vi mandiamo, le lettere che saranno inviate in vostro favore, andate senza timore a trovare questi signori, con coraggio e speranza».
Anche Rousseau, che nel frattempo aveva ottenuto un posto importante, gli scrisse: «Avrete forse appreso che il governo
belga mi ha nominato direttore delle Belle Arti. Mi auguro che contribuirete con un invio al successo delle nostre esposizioni, e se mi sarà dato di poter essere d’aiuto a farvi rendere la giustizia che meritate, contate su di me, vi appoggerò sempre, con piacere»10. In occasione di questa vicenda, Rodin entrò in contatto con numerosi importanti artisti francesi: oltre
agli scultori Falguière e Dubois, citati in precedenza, ebbe anche l’opportunità di conoscere il pittore Alexandre Cabanel,
grazie a Biot, e lo scultore Gustave Crauk, per il tramite di Modeste Carlier, un artista francese residente a Bruxelles.
A dispetto di tutte queste manifestazioni di sostegno, il primo comitato convocato dall’amministrazione delle Belle Arti
per giudicare la buona fede di Rodin non si concluse in suo favore. Ci vollero altri incontri e altre raccomandazioni perché la polemica trovasse una soluzione positiva, tre anni più tardi. Durante questo periodo, Rodin lavorò lungamente al
suo «San Giovanni Battista» (tav. 84), il cui busto (tav. 82), al Salon del 1879, gli valse il primo riconoscimento ufficiale (una modesta menzione d’onore). L’anno seguente, grazie ai suoi amici belgi, lo scultore vendette una bella prova in
bronzo di quest’opera a un eminente collezionista, Jules Lequime11. Malgrado questi primi successi, Rodin faticava a vivere della sua arte. Carrier-Belleuse gli permise di ottenere un introito regolare facendolo entrare come decoratore alla Manifattura di Sèvres, nel giugno 187912; qui entrò in contatto con un segretario d’amministrazione il cui aiuto si sarebbe rivelato di capitale importanza, Maurice Haquette.
Il caso volle che costui fosse un parente prossimo di Edmond Turquet, allora sottosegretario di Stato alle Belle Arti;
Haquette perorò così bene la causa del suo amico che Turquet accettò di convocare un secondo comitato, all’inizio del
1880, allo scopo di definire la vicenda de «L’età del bronzo». Ma l’esito non fu più favorevole del primo, e ci volle una lettera molto encomiastica, datata 23 febbraio e firmata da vari eminenti scultori, per conquistare la vittoria: «Permetteteci,
Egregio Sottosegretario di Stato, di sollecitare il vostro benevolo appoggio in favore del Signor Auguste Rodin scultore.
[...] il “Giovanni Battista”13, la “Creazione dell’uomo”14, il “Busto della Repubblica”15 e soprattutto la sua statua
dell’“Età del bronzo”, sono testimonianze di un’energia e di una potenza di modellato molto rare [...]. Il nostro apprezzamento unanime e sincero ha la finalità di mettere a tacere le accuse di calco dal vero che sono assolutamente false». Non ci
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91. Auguste Rodin, Nudo maschile da tergo contro un piedistallo,
con una corona, 1880.
92. Auguste Rodin, Progetti di monumenti, 1880 circa.
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93. Charles Michelez, «Bellona» nell’atelier, con «San Giovanni Battista» e «L’uomo dal naso rotto», 1881.
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94. Charles Michelez, «Bellona» nell’atelier, con «San Giovanni Battista» e «L’uomo dal naso
rotto», 1881.
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95. Auguste Rodin, Bellona, 1880 circa.
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96. Auguste Rodin, Bellona, 1881.
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si sorprenderà di trovare in calce a questa lettera i nomi già visti di Carrier-Belleuse, Dubois e Falguière, insieme ad altri
fra cui Henri Chapu. Il 4 maggio, Gustave Biot si rallegrò con Rodin di questa iniziativa: «Trovo superba la condotta
degli scultori francesi, Dubois, Chapu, ecc. ecc. [...]. La lettera che hanno scritto in tuo favore è un’ottima cosa, e questa
opinione, così spontaneamente espressa, dei maestri, dei grandi maestri francesi della scultura, è per te un onore». L’amministrazione, pressata da Turquet, acquistò infine il gesso e commissionò immediatamente un bronzo de «L’età del bronzo», che fu esposto al Salon del 1880.
È evidente che a quel punto Rodin aveva compiuto un salto di qualità: il suo talento di scultore era ormai riconosciuto da
artisti molto affermati, e questo grazie alla qualità delle sue opere, in parte, ma anche certamente per via del suo carattere e
delle relazioni che aveva saputo costruirsi nel corso degli anni, prima in Belgio e poi in Francia.
LA CARRIERA SPICCA IL VOLO
Rodin si mostrò riconoscente, e molti degli amici belgi beneficiarono di suoi favori in contraccambio: donò, ad esempio,
un piccolo marmo al critico Jean Rousseau, che il 30 ottobre lo ringraziava; quanto a Biot, a partire dal giugno 1880 ebbe
l’appoggio di Rodin presso Turquet per essere, come desiderava, nominato cavaliere della Legione d’onore16. Il 9 dello stesso mese, un loro comune amico, lo scultore belga Paul de Vigne, residente a Parigi, ringraziava Rodin per averlo presentato a Chapu, uno dei firmatari della decisiva lettera citata in precedenza. A sua volta, qualche mese più tardi De Vigne
si spese a favore de «L’età del bronzo» in quanto membro della giuria della sezione di scultura al Salon di Gand, dove il
bronzo ricevette una medaglia d’oro, il primo riconoscimento ufficiale di questo livello per Rodin. Si vede dunque come
fosse fondamentale, in questa piccola cerchia, il reciproco mutuo aiuto fra artisti.
A poco a poco, i rapporti di Rodin con i suoi amici belgi si diradarono, mentre si svilupparono i contatti a Parigi. La buona
intesa con il sottosegretario di Stato alle Belle Arti, Edmond Turquet, proseguì con la committenza della «Porta dell’inferno», nell’estate del 1880. In partenza si trattava di un progetto relativamente modesto, al quale non fu data alcuna pubblicità: timorosamente, la stampa non ne fece cenno se non quando Turquet lasciò il suo posto, nel novembre 1881. Ciò nonostante, Rodin si era gettato a corpo morto in quest’opera, tanto da conferirle una portata inattesa, e da suscitare l’ammirazione di tutti gli artisti e i critici che lo scultore ammetteva nel proprio atelier. La «Porta» divenne così il suo miglior biglietto
da visita, pur restando un’opera non ufficiale, dato che fu esposta in pubblico solamente una volta con Rodin ancora in vita,
nel 1900, e in forma incompleta. Nel maggio del 1881, Rodin ringraziò Turquet per quanto aveva fatto per lui regalandogli un’opera, il «Leone che piange» (tav. 97), destinata a decorare la tomba della moglie dell’amico, da poco deceduta.
D’altro canto, all’inizio degli anni ottanta si assiste alla ripresa di alcune amicizie di vecchia data. Rodin rinnovò i rapporti, ad esempio, con Jules Dalou, nel 1880, quando quest’ultimo fece ritorno dall’esilio londinese17, quindi con Alphonse Legros, un pittore che aveva conosciuto sui banchi della «Petite École». Nel luglio del 1881 Rodin andrà a trovarlo a
Londra, dove costui risiedeva dal 1863; qui era divenuto un eminente professore di incisione, e Rodin poté avvantaggiarsi dei suoi consigli e delle sue relazioni in Gran Bretagna. Ben presto lo scultore attirò l’attenzione di varie personalità del
mondo artistico britannico: il collezionista Alexander Ionides, che gli avrebbe comprato numerose opere18, il pittore sir
Frederic Leighton, presidente della Royal Academy, e soprattutto il critico d’arte William Ernest Henley19. Quest’ultimo
intrattenne con Rodin una fitta corrispondenza, e fu il suo più fervente sostenitore inglese per mezzo della rivista che dirigeva, «The Magazine of Art». A lui si deve per buona parte il successo di Rodin in Gran Bretagna.
Contemporaneamente, a Parigi, la cerchia delle relazioni di Rodin continuava ad allargarsi. Lo scultore suscitò l’attenzione di parecchi critici, tra cui quelli dell’influente rivista «L’Art», che pubblicò regolarmente immagini delle opere di
Rodin accompagnate da articoli di encomio. Il direttore di questa pubblicazione, nonché mercante, collezionista e critico
di origine belga, Léon Gauchez, subentrò in un certo senso a Jean Rousseau nel ruolo di consigliere e difensore di Rodin,
il quale nell’estate del 1883 lo ringraziava: «Voi sapete quanto profondamente mi tocchi l’interesse che mi mostrate e so
anche che il successo deve sorridere agli uomini energici di temperamento come il vostro».
Rodin instaurò legami di amicizia anche con numerosi artisti la cui reputazione era già saldamente consolidata, come i pittori Jean-Charles Cazin, Léon Lhermitte e Jules Bastien-Lepage; tutti, nelle loro lettere, gli tributano una reale ammirazione unita a un affetto sincero. Nella tradizione degli scambi amichevoli fra artisti, in questo periodo Rodin modellò
parecchi ritratti di suoi amici20, molti dei quali a loro volta fecero lo stesso. Così avvenne nel caso di Laurens e Legros,
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97. Auguste Rodin, Leone che piange, 1881.
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98. Sèvres e Auguste Rodin, Placchetta
«Fanciulla con bambino», 1881-1882.
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99. Sèvres e Auguste Rodin, Cratere di Pompei «La notte», 1881-1882.
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100. Sèvres e Auguste Rodin, Vaso Shanghai «Donna con bambino»,
1881-1882.
101. Sèvres e Auguste Rodin, Vaso Shanghai «Fauno con bambino»,
1881-1882.
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102. Victor Pannelier, «Busto di M.me Roll» nell’atelier, 1883.
103. Auguste Rodin, Busto di M.me Roll, 1882-1883.
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105. Auguste Rodin, Busto di Albert-Ernest Carrier-Belleuse, 1882.
104. Auguste Rodin, Busto di Jean-Paul Laurens, 1882.
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Fig. 39. Auguste Rodin, Busto di Victor Hugo, 1883.
mentre il pittore Alfred Roll gli donò una grande tela come ringraziamento per il busto in marmo che ritraeva sua moglie
(tavv. 102-103). Rodin eseguì anche il ritratto del suo maestro Albert-Ernest Carrier-Belleuse (tav. 105) e del pittore JeanPaul Laurens (tav. 104). Esposti al Salon del 1882, queste due opere valsero allo scultore il primo vero successo di critica, che
seppe alimentare ringraziando i giornalisti autori di questi articoli. È così che entrò in contatto con l’eccentrico Edmond Bazire, al quale il 20 giugno 1882 scriveva: «Signore, ho avuto la fortuna di fare una scultura di vostro gusto [...]. Sarei felice [...]
di andare a rendere visita al critico d’arte che ha tanto favorevolmente accolto il mio lavoro». L’incontro tra i due fu fruttuoso, poiché nei mesi che seguirono Bazire si diede un gran da fare per permettere a Rodin di eseguire il ritratto di uno dei più
grandi personaggi del XIX secolo, Victor Hugo: «Caro amico, se domenica sera siete libero, indossate il vostro abito da sera
e incravattatevi di bianco, e fatevi trovare alle nove in avenue Victor Hugo, 50. Siete stato annunciato al maestro, e sarei lieto
e orgoglioso di presentarvi», comunicava nel febbraio del 1883. Di fatto, il «Busto di Victor Hugo» (fig. 39) fu la prima opera
celebre di Rodin, sin dal momento della sua presentazione al Salon del 1884.
Bazire non si fermò qui, bensì fu il principale artefice dell’ingresso di Rodin nella mondanità: in una lettera datata probabilmente al febbraio 1883, parla sia della visita che vorrebbe fare all’atelier dello scultore in compagnia di M.me Dorian sia della
riunione di un comitato di carità che doveva tenersi da M.me Dorian, concludendo «la vostra presentazione in questa casa sarà
un’eccellente cosa». Aline Ménard-Dorian era l’ereditiera di una ricca dinastia industriale, e aveva messo la sua fortuna e le sue
relazioni al servizio delle ambizioni politiche di George Clemenceau, una delle principali figure della sinistra radicale. Il suo
salotto era uno dei più importanti luoghi d’incontro delle élite politiche, letterarie e artistiche, in un’epoca in cui i personaggi
politici erano per la maggior parte anche letterati, giornalisti o direttori di giornali, e spesso si piccavano di essere pure critici
d’arte. Rodin si recò a più riprese anche nel salotto di Juliette Adam, che qualche anno prima era servito da trampolino di lancio per la carriera politica del grande leader repubblicano Léon Gambetta. A partire dal 1883, Rodin intrattenne con queste
signore dei rapporti regolari, come dimostrano i numerosi inviti ricevuti da loro. Ebbe anche l’opportunità di stabilire dei legami di amicizia con molte personalità di primo piano, cosa che trasformò definitivamente la sua posizione nel mondo artistico.
Si vede dunque come la carriera di Rodin, dopo due decenni trascorsi in ombra, conobbe nel giro di qualche anno una
notevole accelerazione. In Belgio, era stato uno scultore apprezzato, le cui opere non si distinguevano però in modo netto
dalla produzione dei colleghi. L’affermazione del proprio talento e della propria unicità sarebbe iniziata davvero solo a partire dal suo ritorno in Francia, con la serie delle grandi figure quali «L’età del bronzo», «San Giovanni Battista» e
«Adamo», circondate da numerose altre opere che vennero notate per la loro potenza e originalità. La cassa di risonanza
rappresentata dal ribollente milieu artistico parigino gli permise di avanzare nel cammino, sostenuto da amici solidali e
sempre più numerosi. L’effetto di rete giocò molto efficacemente in suo favore, e se Rodin non ebbe, se non abbastanza
tardi, intorno ai quarant’anni, un esordio sottolineato dal riconoscimento dei suoi pari e della critica, è comunque evidente il fatto che seppe, meglio di molti altri, attirarsi le simpatie di molti ammiratori. La svolta impressa all’inizio degli anni
ottanta non tardò a produrre i suoi effetti: a partire dal 1884, Rodin ottenne regolarmente delle commissioni da parte di
comitati ufficiali in cui sedevano, fianco a fianco, deputati, giornalisti e artisti amici. In questo contesto, la «Porta dell’inferno» rappresenta, a un tempo, l’esito dell’efficacia della rete di amicizie che si cominciava a creare intorno a Rodin e un
mezzo per lui di dimostrare il proprio talento agli occhi di un pubblico selezionato, portato nel suo atelier da amici e ammiratori che contribuirono così a diffondere la fama di uno scultore che era in procinto di imporsi fra i grandi.
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Salvo diversa indicazione, queste lettere sono conservate negli archivi del
Museo Rodin; le lettere scritte dallo scultore sono state pubblicate: A.
BEAUSIRE, H. PINET e F. CADOUOT (a cura di), Correspondance de
Rodin, Parigi 1985-1992, 5 tomi.
2
Cfr. i saggi in questo volume di J. HARGROVE, La metamorfosi di un maestro nella sua genesi: Rodin nell’atelier di Carrier-Belleuse, pp. 77-109, e di F.
BLANCHETIÈRE, Le arti decorative nella prima parte della carriera di Rodin, pp.
123-137.
3
Lettera di Garnier a Rodin, 3 febbraio 1875.
4
Lettera di Tréhart a Rodin; anche in una lettera dell’11 ottobre 1871,
Huguet augura «buone cose a Joseph e a tutti».
5
Cfr. in particolare T. H. BARTLETT, Auguste Rodin, Sculptor, in «The
American Architect and Building News», XXV, 15 giugno 1889, n. 689,
p. 29 (testo ripubblicato in A. E. ELSEN, Auguste Rodin. Reading on His
Life and Work, Englewood Cliffs, NJ 1965, pp. 13-109, qui si fa riferimento a questa edizione): «A good-for-nothing drunkard, as well a worse than
useless assistant in the studio» («Un ubriacone buono a nulla, un assistente in studio più scadente che utile»); in generale, sulla collaborazione dei
due cfr. A. LE NORMAND-ROMAIN (a cura di), Vers «L’Age d’airain».
Rodin en Belgique, catalogo della mostra (Musée Rodin, Parigi, 18 marzo 15 giugno 1997), Parigi 1997.
6
Su questa vicenda cruciale per la carriera di Rodin, cfr. A. LE NORMAND-ROMAIN (a cura di), Vers «L’Age d’airain» cit.
7
Jean Rousseau, Revue des arts, in «L’Echo du Parlement belge», 11 aprile
1877.
8
Cfr. il saggio in questo volume di B. MUSETTI, Verso Sud. Il Grand Tour
in Italia secondo Rodin (1876), pp. 111-121.
9
Scultore all’epoca molto in vista, membro della giuria del Salon.
10
Lettera di Rousseau a Rodin, 31 maggio 1877; di fatto Rodin continuò a esporre regolarmente in Belgio dopo il suo ritorno in Francia, in particolare a Bruxelles, Anversa e Gand (cfr. A. BEAUSIRE, Quand Rodin exposait, Parigi 1988).
11
Cfr. le lettere di De Vigne (27 maggio 1887) e di Biot (8 giugno 1880).
12
Cfr. il saggio in questo volume di F. BLANCHETIÈRE, Le arti decorative
nella prima parte della carriera di Rodin, pp. 123-137.
13
«San Giovanni Battista», tav. 84.
14
«Adamo», tav. 117, che allora non era mai stato esposto.
15
«Bellona», tavv. 95-96.
16
Lettere di Biot à Rodin, 4, 8 e 28 giugno 1880.
17
Dalou era partito per Londra nel 1871 dopo la caduta della Comune di
Parigi, nella quale era stato implicato.
18
Cfr. «Bambini che si abbracciano», tav. 53, come anche la prima fusione del «Pensatore», del 1884 (cfr. A. WATSON, Constantin Ionides: Rodin’s first important English patron, in «Sculpture Journal», n. 16.2, 2007).
19
Sulle relazioni fra Rodin e la Gran Bretagna, cfr. A. LE NORMANDROMAIN e C. LAMPERT (a cura di), Rodin, catalogo della mostra (Royal
Academy, Londra, 23 settembre 2006 - 1° gennaio 2007; Kunsthaus,
Zurigo, 9 febbraio - 13 maggio 2007), Londra e Zurigo 2006-2007.
20
Cfr. A. MAGNIEN (a cura di), La fabrique du portrait. Rodin face à ses modèles, catalogo della mostra (Musée Rodin, Parigi, 10 aprile - 23 agosto
2009), Parigi 2009.
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106. Auguste Rodin, Torso di Adèle, 1878.
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Rodin prima dell’inferno
FLAVIO ARENSI
A Gabriele
per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che mena alla perdizione, e molti son quelli che
«E ntrate
entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che mena alla vita, e pochi son quelli che la trovano»
1
«Aprite la porta, dunque, e vedremo i verzieri, berremo la loro acqua fredda che la luna ha traversato.
Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.
Erriamo senza sapere e non troviamo rifugio»2.
«Il genio non sta quindi solamente nel creare un’opera, bensì nel creare se stesso [...] »3. Si conclude con un’apertura poetica il testo di Aline Magnien che anticipa e indirizza in questo volume l’analisi dedicata al periodo formativo di Auguste
Rodin, dall’ausilio alla bottega di Albert-Ernest Carrier-Belleuse fino alla progettazione della «Porta dell’inferno» (fig. 2),
con una panoramica inedita sulla pittura e sulla produzione decorativa, due argomenti pressoché sconosciuti al grande pubblico. Un ventennio che dal 1864 al 1884 (in verità si principia coi lavori accademici) non soltanto modifica il linguaggio
del genio francese, ma segna inevitabilmente il futuro della scultura occidentale, declinandola verso approdi poi ripresi per
tutto il XX secolo, e forse ancora validi. La «Porta» viene commissionata dallo stato francese nel 1880, quando Rodin, quarantenne, riscuote i primi consensi decisivi; il suo intero progetto diventa uno dei cardini del suo personale catalogo, un
punto di approdo e una ripartenza, nonché la fucina di idee e forme per il futuro. Con essa lo scultore assembla il portato
di tanti anni di sacrifici, un periodo di ricerca molto intenso, e graduale, attraverso cui perviene a una migliore comprensione della scultura antica, delle sue logiche, della sua pittoricità intima, e da qui trasduce in una nuova grammatica. Come in
un diario annota i ricordi visivi o concettuali della sua professione e vicenda, riformula le tappe della crescita artistica, assomma, elabora, elimina i momenti salienti del suo studio.
Fondamentale è il soggiorno belga, del quale restano quasi sconosciuti i dipinti dedicati alla foresta di Soignes (tavv. 33-45),
caratterizzati da una particolare attenzione alla luce e da una pennellata veloce, in cui l’impasto del colore permane arioso,
inerendo alla grande poetica di Jean-Baptiste Corot e Gustave Courbet (certi cieli ricordano i bianchi delle sue cascate o
delle nuvole più fratte). La pittura di Rodin lascia presto il posto al disegno, una costante dell’autore e probabilmente un
abecedario in cui ammassare gli appunti presi in ordine sparso quindi rimessi in gioco per modellare. Lo stretto rapporto
intessuto con Carrier-Belleuse, per quanto altalenante, serve da ginnasio e gli permette di sopravvivere e condurre i propri
esprimenti in parallelo alla produzione ordinaria. Le piccole sculture di gusto affinano la tecnica e gli consentono di afferrare la sensibilità dell’epoca, pur spostandosi pian piano dalla risacca stilistica settecentesca, ammiccante il classicismo, verso
un confronto serrato con la statuaria antica. Tale percorso viene indicato chiaramente da due capisaldi come «L’uomo dal
naso rotto» (1864, tav. 16) e «L’età del bronzo» (1875-1876, tav. 79): il primo pare un omaggio a qualche busto della Roma
imperiale o, come spesso si afferma, al ritratto di Michelangelo Buonarroti eseguito da Daniele da Volterra (detto il Braghettone per aver coperto le pudenda dei nudi affrescati sulla volta della Cappella Sistina), il secondo, che avrebbe dovuto trattenere una lancia in pugno, diventa l’inno alla classicità. Sono estremi compiuti a distanza di un decennio e rivelano con
quanto sforzo la scultura di Rodin cerchi in principio l’approvazione dei circoli artistici francesi, aggirandosi fra schemi
consolidati, pur non rinunciando a controllare soluzioni personali o recepire quelle più audaci (si pensi alle riforme di JeanBaptiste Carpeaux, persino alla sua pittura accostabile per atmosfera a quella del collega). Queste due sculture sono tutta163
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107. Auguste Rodin, Porta dell’inferno (secondo bozzetto), 1880.
108. Auguste Rodin, Porta dell’inferno (terzo bozzetto), 1880.
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109. Auguste Rodin, Ugolino e i suoi figli, 1882.
Fig. 40. Giuseppe Guerreschi, Ragazza e soldato (Liberation), 1961.
via più trattenute rispetto agli esiti successivi, ancora troppo contratte dalla necessità di stupire attraverso la perfezione della
tecnica. Un assillo che promuove l’accusa d’aver formato «L’età del bronzo» da un moulage, e che a lungo funge da freno
alla piena e approdata libertà espressiva. Ancora nel 1885, a proposito dei personaggi della «Porta dell’inferno» Rodin afferma: «[...] per dimostrare che sapevo modellare dalla natura quanto gli altri, avevo deciso, ingenuamente, di eseguire sulla
porta figure più piccole del naturale»4. Ingenuamente, appunto. Le tormentate vicende delle due opere sono note, così come
i rifiuti dolorosi al Salon, i sostegni o i contrasti suscitati nel mondo accademico, e per quanto oggi entrambe sembrino scostarsi molto dai risultati più maturi, si intravede il germe di una necessità che sta per esplodere, un bisogno nuovo di leggere la natura. Nella cronologia di Rodin gli anni settanta debbono intendersi alla stregua di un periodo piuttosto attivo per
la carriera: nel 1875 il busto marmoreo dell’«Uomo dal naso rotto» è finalmente accettato ed esposto al Salon parigino, nel
1877 il gesso de «L’età del bronzo» viene presentato a Bruxelles e poi a Parigi, l’anno successivo inizia a lavorare al «San
Giovanni Battista» e del 1879 sono le commissioni per la manifattura di Sèvres e il concorso per il monumento «La Défense». Cruciale risulta il 1876, quando Rodin intraprende il primo viaggio in Italia e attende allo studio di Michelangelo ricavando una lettura del passato attraverso lenti nuove. Il «San Giovani Battista» (1880, tav. 84) è dirompente. L’armonia non
è più costruita su un progetto di minimi equilibri, ma di rigorosi disequilibri, di parti che dialogano fra loro scavando la
forma con un’originalità diversa, spuria, eppure eloquente, in cui ogni porzione è modellata da sola, poi riunita, con una
valutazione complessa della forma d’insieme, dove le parti non sono di grazia perfetta, ma di drammatica autenticità, che
non significa assomigliare alla natura, ma creare con la natura (lo sa bene Giuseppe Penone). Il bozzetto in gesso dell’opera è ancora più intenso (tav. 81), parla alle nostre generazioni come fosse di oggi. Qualche mese fa un ragazzino di quasi
cinque anni, davanti a un quadro del 1961 di Giuseppe Guerreschi5 (fig. 40) in cui la scena barbara delle guerre palestinesi tinge per toni sordi e grigi, si è fermato chiedendo: «Ma qui cosa è successo?». Al di là dell’aneddoto sorprendente per l’età
del protagonista, poche volte all’epoca di Rodin, e poche volte oggi, un manufatto artistico fa sorgere questa domanda con
la disinvoltura dei bambini. «Cosa è successo» dovremmo chiedercelo di fronte al «Bozzetto di san Giovanni Battista» perché potrebbe riferirci della società mutilata di oggi, come del resto avvicinare la «Pietà Rondanini» fa scaturire il senso di
frammentata inadeguatezza dell’uomo chiamato all’orrore della nostra epoca, eppure sono di secoli addietro. Rodin non è
solo uno scultore; Rodin è un uomo che realizza un’esistenza, non produce una scultura ma v’immette la sua personale storia e insieme riesce a far identificare ancora oggi l’intera schiatta terrena con i suoi artefatti; l’intimità precipua del suo modellare risiede nel rendere il dettaglio di un sentimento un affare univoco benché di massa, fuori dal tempo e dei confini delle
nazioni. Cos’è il grido del guerriero ne «La Défense» (tav. 85) coi muscoli che si lanciano, se non uno dei piccoli figuranti della sua «Porta dell’inferno»? E insieme l’eruzione di un grido profondo, come un lamento fra i dannati: affatto diverso,
asciutto, denso, sintetico, rispetto alla bocca spalancata de «La Marseillaise» del 1833-1836, di François Rude, che pure deve
aver indicato la strada da seguire.
Le tante figure che nel corso della sua carriera Rodin tocca, dagli amorini greci a «Bellona» (tavv. 95-96) rinunciano sempre di più a essere la sublime copia del modello ideale, per entrare nel concreto del mondo. La «donna accovacciata» (tav.
115) per esempio è assorta in un gesto da toeletta segreta, ma non per voyeurismo piuttosto per far entrare la normalità dei giorni nell’opera d’arte. Ci sono elementi della «Porta» che da soli sintetizzano la caducità cui siamo sottoposti, ce ne sono invece che evocano con eleganza l’eros, lasciano intendere il piacere dell’incontro, dunque - d’improvviso - la disperazione, come
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110. Auguste Rodin, Adolescente disperato, 1882.
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111. Auguste Rodin, L’uomo che cade, 1882.
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112. Auguste Rodin, L’eterna primavera, 1884.
113. Auguste Rodin, Il bacio, 1885.
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fossero i gusti di un pasto completo e allettante ma con portate talvolta amare, dolci, altre ributtanti, metafora della vita di
ognuno. Curioso è soffermarsi sui diversi sviluppi della figura di Ugolino della Gherardesca6: nell’«Ugolino assiso» (1875
circa, tav. 68) il linguaggio antico, in particolare quello ammirato e leggendario del «Torso Belvedere» di Apollonio che
tanto influenzò Michelangelo, basta a sostenere il peso dell’immagine scultorea, mentre con «Ugolino e i suoi figli» (1882,
tav. 109) lo svolgimento narrativo si amplia, non cerca soltanto la posa assoluta, ma produce un moto esistenziale. Se confrontata con l’omonima realizzazione di Carpeaux del 1861, cui l’«Ugolino e i suoi figli» dimostra un debito importante,
si può rilevare come nel primo caso la tragedia sia statica, raccolta in un unico blocco piramidale, simbolica, senza possibilità di appello alla interpretazione tragica principale, laddove in Rodin l’azione si dipana e i vuoti assumono valore psicologico quanto la posa dei personaggi, tutti a sottolineare lo stento, persino l’ambiguità della circostanza descritta da Dante
nel verso «Poscia più che il dolor poté il digiuno»7, con la sua doppia chiave esplicativa: il conte ormai impazzito si ciba
della progenie, oppure si arrende alla fame che obnubila le ultime forze, avvilite dalla sorte toccata ai figli. L’«Ugolino» di
Rodin occupa la sezione bassa del battente di destra della «Porta», è cuore della disfatta, quella preannunciata da «L’uomo
che cade» (tav. 111) posizionato dalla stessa parte, in alto al centro; le due ante sono una débâcle consortile in cui gli spazi
vuoti avvolgono e accolgono anche lo spettatore, come un’onda che ritira e aggetta verso l’esterno. I riflessi sul bronzo scuro
paiono una sorta di mare profondo più che di vampate di fuoco, e tutto in questo oceano portato alla ribalta e poi nascosto
diventa un recipiente saturo di possibilità e impossibilità umane.
La «Porta dell’inferno», come la Sistina o la «Scuola d’Atene», aggiunge al gesto artistico un complesso tessuto di rimandi esperienziali e intellettuali. A Rodin non interessa il linguaggio della monumentalità, anzi il «monumentalismo», soprattutto quello che fraintende Michelangelo o dissemina di brutte sculture le città, poiché il particolare continua a rivestire la funzione espressiva dominante: la pelle dell’opera chiede il confronto con la luce e lo sguardo più che con lo spazio circondante, ricerca il contatto col pubblico, non distanzia ma avvicina; persino l’uso curioso e continuativo della fotografia8, sulle quali stampe egli
appunta le modifiche da apportare ai bozzetti o le varianti alle statue terminate, nel retour costante alle possibilità dell’opera più
che alla sua reale modifica, individua altresì nuovi spunti, scende in un alveo ristretto dove le dimensioni e la tridimensionalità
sono ridefinite bidimensionalmente. Rodin individua nella fotografia non la rappresentazione del contenuto ma la sua presentazione, stacca ciò che è vero dalla sua apparenza, e su questa elabora e riflette la forza intrinseca della poetica personale. È un
ragionamento che estranea ancor di più l’opera dalla grandiosità del monumentalismo, e stringe i margini dell’osservatore entro
il foglio albuminato, entro i contorni «privati» del ricordo, pur con il sapore dirompente e vitale che hanno le sue opere; la lezione del Buonarroti sulla luce/ombra è chiara: nel «Mosè» lascia ai riflessi luminosi il senso epidermico della materia elaborando
pagine raffinate di mistero; lo ha capito anche il regista Michelangelo Antonioni, ormai anziano, intrecciando nel suo documentario9 i silenzi, i pensieri, il senso stesso della vecchiezza, gli scuri e i chiari della scultura, la sua superficie, accarezzata e osservata, come chi di carezze ne ha elargite tante, però quelle al marmo candido sono più dolci; allora l’incomunicabilità di tante
sue pellicole divengono davanti al «Mosè» la comunicabilità oltre la parola. Proprio attraverso la traduzione michelangiolesca
del modellato antico Rodin recupera significati nuovi, una «comunicabilità» riformata che oltrepassa e unisce i mezzi espressivi mentre recupera la dimestichezza formativa della decorazione, non intesa in senso dispregiativo bensì nell’etimo originale (dal
verbo latino condecoro) ossia conferire dignità, arricchire la superficie, dare bellezza («Piedistallo con Titani», tav. 69).
La «Porta» pare un grande telero in cui le forme si alzano come un’apparizione, fuoriescono per simboli che oggi diremmo dell’inconscio o residui di cognizione, e descrivono le traiettorie di una biografia diventata collettiva: è come fosse il
vento che in certi grandi artisti rinascimentali gonfia le vesti, alza le figure dal suolo, unendo tutti con un unico filo destinale. Viene da pensare ai corpi di Tintoretto, o ai manieristi toscani, ma in verità la pittura scultorea di Rodin è antica, da
reperire nei marmi romani, nelle loro barbe perforate dal trapano e giocate sui chiaroscuri, nei ritratti dalle dimensioni concettualizzate, sempre leggermente più piccoli o più grandi del vero, perché del vero non siano la mimesi ma la rappresentazione. Si parla a ragione di un costrutto simile a quello dei portali delle cattedrali, e il paragone calza qualora si aggiunga però che l’agilità delle sagome, il loro ritmo, rimanda più al Donatello dei bassorilievi di Padova, con le figure che accalcano e distribuiscono i pesi nello spazio formando blocchi di ombre e fenditure, dove le parti più dense alludono alla
(sacra) confusa gioiosità dei baccanali: ci si potrebbe domandare quanto certi sprofondamenti ed emersioni abbiano sedotto Gustave Moreau. Sono le stesse dinamiche dei Calvaires bretoni più complessi, in cui l’architettura iconografica scorre
in flussi di immagini che si ampliano o ritirano secondo la volontà drammaturgica dell’autore. Accade ugualmente e ancor
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114. Auguste Rodin, Fugit Amor, ante 1885.
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Fig. 41. Auguste Rodin, La mano di Dio, 1891.
115. Auguste Rodin, La donna accovacciata, 1882.
più nei Sacri Monti alpini (si pensi all’ultima strabiliante stazione realizzata da Gaudenzio Ferrari per la Via crucis di Varallo), l’abitudine di integrare pittura e scultura affinché l’impatto d’insieme giunga all’osservatore in chiave di una effettiva estrapolazione dalla vita. Poi vi sono i richiami a Michelangelo e alla Sistina (ancora una volta un rimando pittorico) dove il
«Giudizio» sviluppa nella medesima direzione verticalizzante, senza alcun frazionamento degli spazi, come invece avviene
nella volta: una scelta che deve aver pesato nello sviluppo della ripartizione interna delle ante. Le prime maquette della «Porta»
(tavv. 107-108), malgrado mantengano una struttura ripartita degli spazi, ricercano la fluidità della «recita». Nella terza compare il «“Pensatore” su un elemento di capitello» (tav. 119), e la struttura portante è per lo più decisa, ma si possono ancora
leggere i frazionamenti in quadrati-teatro in seguito unificati. Anche da altri documenti si risale alla prima volontà del maestro di approcciare l’incarico svolgendolo come fosse un portale dell’antichità. Inizialmente egli pensa a otto pannelli quadrati disposti sui due battenti, con altrettante figure sui pilastri laterali. Il rimando deve essere stato senza dubbio alla «Porta del
Paradiso» di Lorenzo Ghiberti a Firenze: completamente rivestita d’oro si contrappone al nero notturno dell’inferno di
Rodin, forse un parziale controcanto, che mantiene in sottofondo la musicalità di certi gruppi in sbalzo del toscano, ma lega
ogni cosa all’uomo, alla natura che lo circonda e avvinghia. É proprio il ritmo dei corpi e delle situazioni che in Rodin diventa scultura: il suo battito ctonio emerge lentamente dal basso della «Porta» e concentra man mano che assurge; un crescendo
in cui il pensatore prende il posto del Cristo sui portali gotici, perché l’epifania qui è laica.
Negli stessi anni in cui lavora alla «Porta» Rodin riceve l’incarico per i «Borghesi» (1885) e così tenta di portare al contatto
diretto pubblico e monumento, avvicinandolo al piano della vita reale, eliminando quindi lo zoccolo e compiendo ancora
un passo più azzardato (e incompreso) di rottura con le concezioni correnti di una statuaria ormai, come scrive Arturo Martini, «lingua morta». Prima di ciò è evidentemente tentato di superare i recinti liminali che la scultura impone. Nella concezione originale la «Porta» si sarebbe vista fronteggiata da Dante-pensatore, con un’idea installativa giunta a maturazione
solo più tardi nella storia del Novecento, non totalmente afferrata dallo stesso mastro:
Davanti a quella porta, ma su una roccia, Dante assorto in profonda meditazione, concepisce il progetto del suo poema. Dietro di lui ci
sono Ugolino, Francesca, Paolo, tutti i personaggi della Divina Commedia. Il progetto non sarà portato a termine. Magro, ascetico nella
sua veste dritta, il mio Dante, separato dall’insieme, avrebbe perso ogni significato. Guidato dalla prima ispirazione, ho concepito un
altro «Pensatore», un uomo nudo, accoccolato su una roccia, sulla quale si contraggono i suoi piedi. Il pugno sui denti, medita. Il pensiero fecondo cresce lentamente nel cervello. Non è un sognatore. È un creatore10.
E il «creatore» sta come Gesù sull’ingresso della cattedrale e racchiude sotto di sé non le storie dell’Antico o Nuovo Testamento, ma una parabola di umanità in tutte le sue molteplici derivazioni. Nelle culture sciamaniche, lo stregone - il marakame nella lingua Huichol - attraverso la trance chiede agli spiriti di annunciare i motivi di una infermità e nel contempo di
offrire le soluzioni per guadagnare la pace col mondo dei morti. Lo sciamano stanzia come il pensatore di fronte alla sua
visione, entro cui le storie, le vicende e le profezie si muovono, o raccontano. Un fascino dal sapore ancestrale a cui gli intellettuali del Novecento - anche grazie all’apporto junghiano - hanno guardato con sempre maggiore interesse, tanto almeno
d’aver spinto l’artista tedesco Joseph Beuys a individuare nel gesto e nella saggezza sciamanica, anzi nella compartecipazione dei piani esistenziali e dei mondi, il valore reale dell’opera artistica.
«Il pensatore» di Rodin crea, anzi, siede a rimirare la creazione che si forma e trasforma costantemente, come se dal magma
uscissero e si ritirassero le forme-pensiero, quello che nella civiltà indiana sono le manifestazioni di mantra e yantra. È dunque una
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116. Auguste Rodin, Eva, 1881.
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117. Auguste Rodin, Adamo, 1880.
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118. Auguste Rodin, Le tre ombre, 1881.
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119. Auguste Rodin, «Pensatore» su un elemento di capitello, 1881-1882.
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Fig. 42. Ipousteguy,
Homme passant
la porte, recto, 1966.
Fig. 43. Ipousteguy,
Homme passant
la porte, verso, 1966.
Fig. 44. Alberto
Giacometti, Homme
qui marche II, 1960.
presenza eccezionale, come il Dio della Genesi che osserva la propria creazione e sente che è bella (il termine ebraico tov - bello
- suona come un soffio); «Il pensatore» è Dio nel suo settimo giorno, quando l’esistenza ormai data permette il riposo ammirato,
la serenità del divenire. La sua mano, quella creatrice che tocca l’Adamo sistino, non a caso ritorna come elemento prerogativo
in molte sculture di Rodin, e alcune addirittura se ne richiamano direttamente, come il ciclo «La mano di Dio» (fig. 41). Tutto
nella «Porta» scaturisce da una meditazione sulla natura, che significa anche sulla natura artefatta dell’uomo, l’arte, le culture:
ciò che è ascrivibile all’uomo esiste su questi battenti; ogni elemento deriva da un’origine mnemonica cancellata e ristabilita. Del
resto fin da studente Rodin è spronato dal maestro Horace Lecoq de Boisbaudran a memorizzare le opere dei musei per poi riprodurle secondo il gettito dell’abilità personale anziché farne una copia pedissequa. Quello che lo scultore ha incontrato nei giorni
andati ritorna come eco e si aggiunge ai giorni presenti. Il Belgio, le committenze, i taccuini disegnati, tutto rientra nell’immaginario della «Porta» che è un libro sacro; senza dubbio il «Pensieroso» delle Tombe medicee favorisce l’ideazione del «Pensatore», quindi l’Adamo della Sistina - già ricollocazione del «Discobolo» sull’asse orizzontale, dove il braccio non tende più per lo
sforzo di lanciare il disco, ma cerca il tocco di Dio - diventa l’«Adamo» (tav. 117) traslando in verticale di 45 gradi l’asse della
figura dipinta, sicché il braccio sinistro non più disteso è ora caduco verso il basso, ma resta parallelo alle gambe in una posa che
chiude le traiettorie della scultura all’interno di una cornice, se non protettiva, proteggente.
Interessante è l’inserto de «Le tre ombre» (tav. 118) che sormontano e fuoriescono dal portale, ancora uno stratagemma che la
pittura del XX studia per aggirare i limiti spaziali della tela esportando al di fuori del telaio altri interventi o installazioni. Questi tre personaggi, che derivano da una reiterazione dell’«Adamo» parzialmente modificato, sono il recupero paradigmatico di
quel nuovo umanesimo, probabilmente già ravvisabile nel clima generale, poi ordinato da Jaques Maritain nel corso degli anni
trenta del Novecento con una svolta integrale, che però in Rodin resta come una anticipazione profana e attenta alla realtà. «Le
tre ombre» si sfiorano, si toccano, si congiungono, col braccio sinistro teso verso il basso, come l’Aristotele della «Scuola di
Atene» di Raffaello che con la mano rivolta verso terra indica il mondo esperienziale, la natura; o in meditazione, come i danzatori tribali intorno al fuoco, immobili a danzare con il tempo; o tre spiriti che raccontano la loro vita, come i tre dannati che
fermano Dante nel XXV canto. In ogni caso è l’avventura della creazione condotta all’estremo, alla sua realizzazione umana.
Ma, guardandoli oggi, sono anche i tre canoni della scultura (e cultura) che Rodin unisce: quella antica revisionata attraverso
Michelangelo, quella a lui contemporanea che diventa anche decorazione e monumento, quella che lascia ai posteri una stella
polare, come appunto un creatore solo riesce e si permette di fare. Davanti a essa è necessario mettere in pausa l’affanno del quotidiano; star fissi sul soglio di una cataratta che separa il passato e il futuro dello scultore, e per termini estensivi l’intera umanità, probabilmente come fu la porta attraversata da Dante nel III canto dell’Inferno, per la quale si entra nella città dolente di
Lucifero. Tanto lo scultore che il poeta giungono alla loro soglia «Nel mezzo del cammin»11 della loro vita ed entrambi in un
momento complesso della personale vicenda professionale e umana, ossia persi o dispersi «per una selva oscura ché la diritta via
era smarrita»12; non dovrebbe essere stato difficile per Rodin ritrovarsi nei versi della Commedia, e comunque in ciascuna occasione la porta segna una svolta dai contorni simbolici che lasciano intravedere quello che è stato e quello che sarà: una sorta di
viaggio - anche iniziatico - che permette a Rodin di rimutare la trama stessa della scultura, o per dirla con le parole usate da
Cennino Cennini per Giotto, «la ridusse al moderno e l’ebbe certo più compiuta che avesse mai nessuno»13. La porta stretta è
fin dalla letteratura protocristiana un motivo di riflessione. Nel 1910 André Gide usa il passaggio evangelico di Matteo per intitolare la propria condizione e condotta laica, e non senza motivo il capolavoro di Rodin potrebbe elencare la delicata vividez181
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za di certi scorci del romanzo. Anche nel caso del libro, la porta indica il varco che trasmuta, sul cui ciglio bisogna stanziare per avvedersi di cosa è perduto e cosa guadagnato. La «Porta d’Oriente» (fig. 46) di Mimmo Paladino fin dal titolo offre
un indirizzo interpretativo alchemico, poiché volge verso il sorgere del Sole, che in molte religioni è delegato della divinità.
Come spesso accade, Paladino non determina fino in fondo l’ortodossia esegetica, ma lascia sia lo spettatore a decifrare il
messaggio o a costituirne uno nuovo in base alle suggestioni dell’incontro. Gli indizi che lascia, come la posa della figura o
le scarpe innestate sulla superficie bronzea, scandiscono l’ineluttabilità del viaggio. Che sia un ingresso o una uscita ha poco
senso in una visione magica dell’esistenza dove ogni inizio è una fine e ogni fine un inizio (il simbolo del serpente che si
morde la coda in molte tradizioni misteriche esplicita questo concetto atavico): il gesto di attraversare la porta ricorda quello del neonato che dalla vita intrauterina entra nella vita mondana, ed è uno degli emblema del libro tibetano Bardo Thodol
in cui si disegna con immagini prodigiose la metempsicosi degli spiriti nella ruota del Samsara, oppure accoglie il catecumeno che cerca il fonte battesimale e riceve la vita nuova attraverso il Cristo. Il transito dalla porta è un battesimo dello spirito e della carne, e chi lo compie promuove un gesto di sostanziale cambiamento, non soltanto per sé ma per l’intera umanità. Lo scultore francese Ipousteguy presenta alla Biennale di Venezia del 1964 il bronzo dell’«Homme passant la porte»
(figg. 42-43), unendo la geometria essenziale dell’uscio con la forza muscolare e intraprendente del soggetto di sapore rodiniano. Porta e uomo sono lì un tutt’uno, e forse esprimono esattamente ciò che accade l’attimo dopo in cui la figura femminile di Paladino appare sulla soglia, quando deve decidere il sentiero da intraprendere. Il passo decisivo è «L’uomo che cammina» di Rodin, sulla colonna, senza capo, o la trasfigurazione esistenziale operata da Alberto Giacometti (fig. 44), che
cerca nell’essenza ultima il detrito di ogni parabola vivente, facendo incedere nello spazio una silhouette talmente filiforme da
annullare anche le ultime rimembranze di carne. Dopo può esserci soltanto il genio che crea se stesso, il genio che davanti
all’opera rende concreto il suo abitare il mondo, il suo partecipare della creazione. Uno dei migliori poeti spagnoli, Antonio Machado, suggerisce al viaggiatore «son tus huellas / el camino, y nada mas; / caminante, no hay camino, / se hace camino al andar»14. Certi uomini temono di non trovare sentieri già aperti per raggiungere chissà quale meta, altri invece sono
talmente colmi di paura e astio per gli inciampi occorsi sulla strada che rinunciano a continuare, e potrebbe essere una sconfitta; poiché per quanto sia stato faticoso calpestare le impronte che ormai ci seguono, non potremo sapere con certezza quali
territori attendano e quante sorprese. Di converso, l’uomo che sta aperto al confronto col mondo, anzi diventa misura del
mondo, come l’«Uomo eroico» (fig. 47) di Ettore Greco - dai volumi bourdelliani semplificati per masse - testimonia un
passaggio avvenuto, una conquistata liberazione, senza essersi discostato dall’ambito infallibile della natura o della realtà, da
quello sacrale dell’«esperienza». Allora il genio non crea solamente se stesso, bensì la stessa esistenza del mondo. Il genio ha
il coraggio di creare il suo cammino.
«Nel Mar delle Tenebre / quando il sole svanirà / alla fine del viaggio e del tempo, / una luce mirabile occuperà / lo sguardo e gli orizzonti per ogni dove / e nel silenzio brillerà / l’Isola dei Giardini»15.
1
Matteo 7:13-14.
S. WEIL, La porta, in Poesie, Le Lettere, Firenze 1993.
3
A. MAGNIEN, Le prugne e le frittelle. Ricordi di gioventù di Auguste Rodin, p. 24.
4
«Auguste Rodin», in La France, 18 febbraio 1885, cit. p. 60 in D. JARRASSÉ, Rodin. Forma e movimento, Keybook Arte-Rusconi, Santarcangelo
di Romagna 2002.
5
Giuseppe Guerreschi, «Ragazza e soldato (Liberation)», 1961, coll.
Maria Bellinzona.
6
La leggenda riferibile a Ugolino della Gherardesca si deve al contributo esclusivo di Dante Alighieri, che inserisce il conte, vissuto nel XIII
secolo, nel XXXIII canto dell’Inferno, fra i traditori (era ghibellino ma
patteggiò per i guelfi). Rinchiuso nella torre della Muda insieme ai figli
Gaddo e Uguccione, e i nipoti Anselmuccio e Lapo, fu lasciato morire
di fame. Secondo Dante, i prigionieri morirono per inedia lentamente e
tra atroci sofferenze, e prima della fine i figli pregarono il padre di cibarsi
delle loro carni.
2
7
D. ALIGHIERI, Divina Commedia, Inferno, canto XXXIII, v. 75.
Non è questo il momento per approfondire la funzione che la fotografia
ha nel lavoro di Rodin. A tal proposito vedasi l’ottimo volume di H.
PINET, Rodin et la photographie, Gallimard Musée Rodin, Parigi 2008.
9
Michelangelo Antonioni, Lo sguardo di Michelangelo, 2004.
10
Auguste Rodin a Marcel Adam, in «Gil Blas», 7 luglio 1907.
11
D. ALIGHIERI, Divina Commedia, Inferno, canto I.
2
Ibid.
3
C. CENNINI, Il libro dell’arte, Neri Pozza, Vicenza 2003.
4
«Viaggiatore, / sono le tue orme / la strada, nient’altro; / Viaggiatore, /
non esiste un sentiero, / la strada la fai tu andando». A. MACHADO, Tutte
le poesie e prose scelte, Mondadori, Milano 2010.
5
«Dar daryâye zolmat khorshid ke nâpadid shod / dar pâyâne safar o
zamân nuri shegeft âvar / negâhrâ por khâhad kard va afaqhâ barâye har
kojâ / va andar khâmushi jazireye bâghhû khâdad derakhshid». L’uomo dell’isola dei giardini (traduzione dal persiano di Angelo Arioli).
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120. Auguste Rodin, Il pensatore, 1903.
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Fig. 45. Bruno Cattani, Il pensatore, 2000.
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Opere esposte
Il numero d’inventario si riferisce alla catalogazione
del Musée Rodin di Parigi.
1. AUGUSTE RODIN
«Studio di nudo maschile barbuto»
(«Académie d’homme barbu»), 1854-1857
Carboncino su carta, 60,2 x 44,7 cm.
Inv. D.05114.
9. AUGUSTE RODIN
«Jean-Baptiste Rodin», 1860
Olio su tela, 40 x 30,5 cm.
Inv. P.07247.
10. AUGUSTE RODIN
«Jean-Baptiste Rodin», 1860
Bronzo, 41,5 x 28 x 24 cm.
Inv. S.00971.
2. AUGUSTE RODIN
«Studio di nudo maschile barbuto»
(«Académie d’homme barbu»), 1854-1857
Carboncino su carta, 60,7 x 46 cm.
Inv. D.05105.
11. AUGUSTE RODIN
«Pierre-Julien Eymard», 1863
Gesso colorato, 59,2 x 29,6 x 30,1 cm.
Inv. S.01720.
3. AUGUSTE RODIN
«Studio di nudo maschile barbuto»
(«Académie d’homme barbu»), 1854-1857
Carboncino su carta, 61,5 x 45 cm.
Inv. D.05106.
12. AUGUSTE RODIN
«Ritratto di Rose Beuret» («Portrait de Rose Beuret»),
1865
Olio su tela, 46 x 38 cm.
Inv. P.07237.
4. AUGUSTE RODIN
«Studio di nudo maschile di fronte»
(«Académie d’homme vu de face»), 1855-1860
Olio su tela, 83,8 x 40,5 cm.
Inv. P.07231.
13. AUGUSTE RODIN
«Ragazza che ascolta» («Jeune fille aux écoutes»),
1875
Gesso, 65,7 x 24,3 x 27,4 cm.
Inv. S.02491.
5. AUGUSTE RODIN
«Studio di nudo maschile da tergo»
(«Académie d’homme vu de dos»), 1855-1860
Olio su tela, 82,5 x 40,5 cm.
Inv. P.07230.
14. AUGUSTE RODIN
«Ragazza con cappello guarnito di margherite»
(«Jeune fille au chapeau fleuri de marguerites»),
1865-1870
Terracotta, 64 x 37,8 x 30,7 cm.
Inv. S.00212.
6. AUGUSTE RODIN
«Studio di nudo maschile, con bastone in mano»
(«Académie d’homme, un bâton à la main»),
1854-1857
Lavis su carta, 27,5 x 11 cm.
Inv. D.05104.
7. AUGUSTE RODIN
«Cavallo» («Cheval»), 1864
Olio su cartone, 31,3 x 40,7 x 2,7 cm.
Inv. P.07241.
8. AUGUSTE RODIN
«D’après “L’infanzia di Bacco” di Poussin»
(«Copie d’après l’“Enfance de Bacchus” de Poussin»),
1860 circa.
Carboncino e lumeggiature di biacca su carta,
25 x 33,6 cm.
Inv. D.00296.
15. AUGUSTE RODIN
«L’uomo dal naso rotto» («L’Homme au nez cassé»),
1874-1875
Marmo, 44,8 x 41,5 x 23,9 cm.
Inv. S.00974.
16. AUGUSTE RODIN
«L’uomo dal naso rotto» («L’Homme au nez cassé»),
1864
Bronzo, 46,8 x 18,9 x 16 cm.
Inv. S.00496.
17. AUGUSTE RODIN
«Uomo nudo a cavallo» («Homme nu montant à
cheval»), 1880-1882 circa
Matita, penna, inchiostro e tempera su carta,
14 x 15,5 cm.
Inv. D.06897-6898.
185
18. AUGUSTE RODIN
«Cavaliere» («Cavalier»), 1880
Pennello e lavis bruno su carta crema rigata,
19,3 x 8,3 cm.
Inv. D.00400.
19. AUGUSTE RODIN
«Corsa di cavalli» («Course de chevaux»), ante 1880
Penna e inchiostro bruno su carta da spolvero,
9,3 x 19,5 cm.
Inv. D.00416.
20. AUGUSTE RODIN
«Uomo che trattiene un cavallo imbizzarrito»
(«Homme retenant un cheval cabré»), 1880 circa
Matita nera su carta grigia, 11,7 x 14,2 cm.
Inv. D.00405.
21. AUGUSTE RODIN
«Cavaliere al galoppo» («Cavalier au galop»),
ante 1870
Mina di piombo, acquerello e lavis grigio su carta
crema, 10, 6 x 11, 6 cm.
Inv. D.00152.
22. AUGUSTE RODIN
«Cavaliere di profilo» («Cavalier de profil»), 1880
circa
Mina di piombo, penna e lavis grigio su carta crema
rigata, 11,5 x 13,9 cm.
Inv. D.00414.
23. AUGUSTE RODIN
«Corteo d’après il fregio del Partenone» («Cortège
d’après la frise du Parthénon»), ante 1870
Mina di piombo e acquarello su carta crema,
17 x 25,5 cm.
Inv. D.00088.
24. AUGUSTE RODIN
«Portatrici di offerte d’après il fregio del Partenone»
(«Porteuses d’offrandes d’après la frise du
Parthénon»), ante 1870
Mina di piombo, penna e inchiostro bruno su carta
da spolvero crema, 11 x 18,5 cm.
Inv. D.00052.
25. AUGUSTE RODIN
«Studio di personaggio antico» («Personnage, étude
d’après l’antique»), ante 1870
Mina di piombo e acquerello su carta crema ritagliata
e incollata, 16,8 x 6,5 cm.
Inv. D.00070.
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26. AUGUSTE RODIN
«Scena orientale» («Scène orientale»), ante 1870
Penna e inchiostro bruno, acquerello e tempera
su carta crema ritagliata a semiovale, 10 x 18 cm.
Inv. D.00063.
34. AUGUSTE RODIN
«Chiatta in riva al canale Willebroek» («Une péniche
au bord du canal de Willebroek»), 1871-1877
Olio su cartone, 32,8 x 43,7 cm.
Inv. P.07215.
27. AUGUSTE RODIN
«Scena orientale» («Scène orientale»), ante 1870
Mina di piombo, penna, inchiostro bruno e
acquerello su carta, 18 x 10,5 cm.
Inv. D.00223
35. AUGUSTE RODIN
«Uscendo dalla foresta di Soignes verso Auderghem»
(«Sortie de la forêt de Soignes vers Auderghem»),
1871-1877
Olio su cartone, 44,2 x 35,9 cm.
Inv. P.07242.
28. AUGUSTE RODIN
«Paesaggio orientale» («Paysage oriental»), ante 1870
Mina di piombo, penna, inchiostro bruno
e acquerello su carta crema, 10,2 x 11,7 cm.
Inv. D.00224.
29. AUGUSTE RODIN
«Scena orientale con cavalli e un asino» («Scène
orientale avec des chevaux et un âne»), ante 1870
Mina di piombo, penna e inchiostro bruno su carta
crema, 7 x 9 cm.
Inv. D.00177.
30. AUGUSTE RODIN
«Scena orientale con cavallo imbizzarrito»
(«Scène orientale au cheval cabré»), ante 1870
Penna e inchiostro bruno su carta crema, 8 x 10,3 cm.
Inv. D.00176.
31. AUGUSTE RODIN
«D’après “Il matrimonio per procura di Maria
de’ Medici a Firenze” di Rubens» («Copie d’après
le “Mariage par procuration de Maria de’ Medici
à Florence” de Rubens»), 1871-1877
Olio su tela, 69,1 x 54,6 cm.
Inv. P.07246.
32. AUGUSTE RODIN
«D’après “Il colpo di lancia” di Rubens» («Copie
d’après le “Coup de lance” de Rubens»), 1871-1877
Olio su tela, 105 x 78 cm.
Inv. P.07244.
33. AUGUSTE RODIN
«Vecchio casolare sul pendio della collina
a Boitsfort, nella foresta di Soignes» («Vieille
chaumière à flanc de coteau à Boitsfort en forêt
de Soignes»), 1871-1877
Olio su cartone, 36 x 44,4 cm.
Inv. P.07228.
36. AUGUSTE RODIN
«Lo stagno della Patte d’oie a Groenendael,
nella foresta di Soignes» («L’étang de la patte d’oie
à Groenendael en forêt de Soignes»), 1871-1877
Olio su cartone, 36,2 x 44,6 cm.
Inv. P.07227.
37. AUGUSTE RODIN
«Case rosse in riva all’acqua verso Boitsfort, nella
foresta di Soignes» («Les maisons rouges au bord
de l’eau vers Boisfort en forêt de Soignes»), 1871-1877
Olio su cartone, 36 x 44,7 cm.
Inv. P.07238.
38. AUGUSTE RODIN
«Paesaggio belga» («Paysage de Belgique»),
1871-1877
Sanguigna, matita e mina di piombo su carta crema,
9,2 x 17,4 cm.
Inv. D.00071.
39. AUGUSTE RODIN
«La vecchia Boitsfort, nella foresta di Soignes»
(«Le vieux Boitsfort en forêt de Soignes»), 1871-1877
Olio su cartone, 31,1 x 40,2 cm.
Inv. P.07243.
40. AUGUSTE RODIN
«Il Coin du Balai a Boitsfort, nella foresta
di Soignes» («Le Coin du Balai à Boitsfort en forêt
de Soignes»), 1871-1877
Olio su cartone, 36 x 44,6 cm.
Inv. P.07224.
41. AUGUSTE RODIN
«Bosco ceduo di querce e betulle nella foresta
di Soignes» («Fûtaie sur taillis de chênes et de
bouleaux dans la forêt de Soignes»), 1871-1877
Olio su cartone, 36,3 x 45,9 cm.
Inv. P.07234.
186
42. AUGUSTE RODIN
«Strada di campagna a Watermael, nella foresta
di Soignes» («Chemin de terre à Watermael
en forêt de Soignes»), 1871-1877
Olio su cartone, 44,1 x 34,8 cm.
Inv. P.07240.
43. AUGUSTE RODIN
«Chiatta in riva al canale Willebroek, verso
Vilvorde» («Chaland au bord du canal de
Willebroeck vers Vilvorde»), 1871-1877
Olio su cartone, 35,6 x 44,8 cm.
Inv. P.07214.
44. AUGUSTE RODIN
«Scorcio di villaggio verso Boitsfort, nella foresta
di Soignes» («Coin de hameau vers Boitsfort en forêt
de Soignes»), 1871-1877
Olio su cartone, 36,3 x 45 cm.
Inv. P.07226.
45. AUGUSTE RODIN
«Cascina con frutteto verso Groenendael, all’ingresso
della foresta di Soignes» («Ferme dans son verger
vers Groenendael à l’entrée de la forêt de Soignes»),
1871-1877
Olio su cartone, 36,1 x 45,7 cm.
Inv. P.07217.
46. AUGUSTE RODIN
«Orfanella alsaziana» («Orpheline alsacienne»), 1871
Marmo, 29,3 x 23 x 17 cm.
Inv. S.06672.
47. AUGUSTE RODIN
«Venere» («Vénus»), 1871
Terracotta, 39 x 15,8 x 15 cm.
Inv. S.00295.
48. AUGUSTE RODIN
«Amore stante» («Amour debout»), 1871
Terracotta, 14,3 x 4,5 x 6 cm.
Inv. S.00283.
49. AUGUSTE RODIN
«Venere e Amore» («Vénus et l’amour»), 1871
Terracotta, 36 x 14 x 14,9 cm.
Inv. S.00294.
50. AUGUSTE RODIN
«Il bagno di Venere» («La Toilette de Vénus»), 1871
Terracotta, 46,6 x 24 x 28 cm.
Inv. S.01193.
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51. AUGUSTE RODIN
«Segreto d’amore» («Secret d’amour»), 1871
Terracotta, 36 x 14 x 17 cm.
Inv. S.00355.
52. AUGUSTE RODIN
«Flora», 1870-1875
Gesso, 45,7 x 21,3 x 20,1 cm.
Inv. S.01441.
53. AUGUSTE RODIN
«Bambini che si abbracciano»
(«Enfants s’embrassant», variante), 1880-1883 circa
Gesso patinato, 36,5 x 49,1 x 25,4 cm.
Inv. S.02321.
54. AUGUSTE RODIN
«Ragazza con bambino» («Jeune femme et enfant»),
1875
Gesso, 58 x 34,2 x 35,6 cm.
Inv. S.02042.
55. AUGUSTE RODIN
«La lorenese» («La Lorraine»), 1874
Gesso, 48,5 x 27,1 x 21,8 cm.
Inv. S.01665.
56. AUGUSTE RODIN
«Suzon», 1875
Bronzo, 32,5 x 44 x 18,5 cm.
Inv. S.00961.
57. AUGUSTE RODIN
«Dosia», 1874
Terracotta, 41,8 x 22,5 x 18,2 cm.
Inv. S.01047.
58. AUGUSTE RODIN
«Diana» («Diane»), 1875
Marmo, 62 x 31 x 23 cm.
Inv. S.05822.
59. AUGUSTE RODIN
«M.me Huguet», 1874
Terracotta, 57 x 31,3 x 22 cm.
Inv. S.06671.
60. AUGUSTE RODIN
«M.me Cruchet», 1878
Terracotta, 70 x 45 x 30 cm.
Inv. S.00429.
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61. AUGUSTE RODIN
«Il generale Margueritte» («Général Margueritte»),
1882-1884
Gesso, 1882-1884.
Inv. S.02014.
62. AUGUSTE RODIN
«Il dottor Jules-Adrien Thiriar»
(«Docteur Jules-Adrien Thiriar»), ante 1874
Gesso, 56,2 x 42,1 x 26 cm.
Inv. S.01455.
63. AUGUSTE RODIN
«Alexandre Van Berckelaer», 1875
Gesso, 54 x 40 x 24,5 cm.
Inv. S.00447.
70. ALBERT-ERNEST CARRIER-BELLEUSE E
AUGUSTE RODIN
«Giardiniera con Titani» («Jardinière aux Titans»),
1878
Terracotta, 70 x 39 x 39 cm.
Inv. S.02682 Co.3498.
71. AUGUSTE RODIN
«Foglio di studi d’après Donatello e monumenti
italiani» («Feuille de croquis d’après Donatello et
monuments italiens»), 1875-1876
Mina di piombo, penna e inchiostro bruno, lavis
d’inchiostro rosso, tempera su carte diverse,
25,5 x 31,8 cm.
Inv. D.00311-D.00323.
64. AUGUSTE RODIN
«Henry Thorion», 1875-1876
Gesso, 58,8 x 28,5 x 27 cm.
Inv. S.02130.
72. AUGUSTE RODIN
«D’après il «Narciso» di Valerio Cioli» («Etude
d’après le Narcisse de Valerio Cioli»), 1877
Carboncino su carta crema, 47,7 x 62,3 cm.
Inv. D.05115.
65. AUGUSTE RODIN
«Atlante, gomito destro piegato all’esterno»
(«Atlante, coude droit vers l’extérieur»), 1874
Stucco, 160 x 78,5 x 66 cm.
Inv. S.05711.
73. AUGUSTE RODIN
«D’après l’“Aurora” di Michelangelo» («Etude
d’après l’“Aurore” de Michel-Ange»), 1877
Carboncino su carta crema, 48,2 x 68,7 cm.
Inv. D.05117.
66. AUGUSTE RODIN
«Cariatide», 1874
Stucco, 157,5 x 75 x 67 cm.
Inv. S.05707.
74. AUGUSTE RODIN
«Foglio di studi d’après Michelangelo e monumenti
italiani» («Feuille de croquis d’après Michel-Ange
et monuments italiens»), 1875-1876
Mina di piombo, penna e lavis d’inchiostro grigio
su carte diverse, 26,3 x 34,1 cm.
Inv. D.00160-D.00175.
67. AUGUSTE RODIN
«Atlante, gomito sinistro piegato all’esterno»
(«Atlante, coude gauche tourné vers l’extérieur»),
1874
Stucco, 161,5 x 76,3 x 69 cm.
Inv. S.05714.
68. AUGUSTE RODIN
«Ugolino assiso» («Ugolin assis»), 1875 circa
Gesso, 108 x 80 x 79 cm.
Inv. S.01220.
69. ALBERT-ERNEST CARRIER-BELLEUSE E
AUGUSTE RODIN
«Piedistallo con Titani» («Piédestal aux Titans»),
1878
Terracotta, 70 x 39 x 39 cm.
Inv. S.02682.
187
75. AUGUSTE RODIN
«Foglio di studi d’après Michelangelo» («Feuille
de croquis d’après Michel-Ange»), 1875-1876
Mina di piombo, penna e lavis d’inchiostro grigio
su carte diverse, 26,3 x 34,1 cm.
Inv. D.00200-D.00204.
76. GAUDENZIO MARCONI
«Auguste Neyt, modello per “L’età del bronzo”»
(«Auguste Neyt, modèle pour “L’Age d’airain”»),
1877
Carta albuminata, 25 x 15 cm.
Inv. Ph.00270.
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77. GAUDENZIO MARCONI
«Auguste Neyt, modello per “L’età del bronzo”»
(«Auguste Neyt, modèle pour “L’Age d’airain”»),
1877
Carta albuminata, 25 x 15 cm.
Inv. Ph.00272.
86. AUGUSTE RODIN
«“La Défense”, testa del genio alato, modellino»
(«“La Défense”, tête du génie ailé, petit modèle»),
1879
Gesso, 16,2 x 14,5 x 14,5 cm.
Inv. S.03078.
78. GAUDENZIO MARCONI
« L’età del bronzo modellato in gesso»
(«L’Age d’airain en plâtre»), 1877
Prova gelatina argentata, 26,3 x 20,4 cm.
87. AUGUSTE RODIN
«“La Défense”, testa del guerriero»
(«“La Défense”, tête du guerrier»), 1879
Gesso, 24 x 19,1 x 24,5 cm.
Inv. S.00702.
79. AUGUSTE RODIN
«L’età del bronzo» («L’Age d’airain»), 1875-1876
Bronzo, 181 x 66,5 x 63 cm.
Inv. S.00468
80. AUGUSTE RODIN
«Progetto di monumento» («Projet de monument»),
1880
Terracotta, 60,6 x 17,1 x 17 cm.
Inv. S.02279.
81. AUGUSTE RODIN
«Studio per il “San Giovanni Battista”»
(«Etude pour “St Jean-Baptiste”»), 1878
Gesso, 97,3 x 45,5 x 24,7 cm.
Inv. S.02205.
82. AUGUSTE RODIN
«Busto di san Giovanni Battista»
(«Buste de saint Jean Baptiste»), 1879
Bronzo, 54,6 x 38,5 x 26,4 cm.
Inv. S.06670.
83. ADOLPHE BRAUN
«“San Giovanni Battista” nell’atelier»
(«“St Jean-Baptiste” dans l’atelier»), 1881
Carta albuminata, 30 x 24 cm.
Inv. Ph.00278.
84. AUGUSTE RODIN
«San Giovanni Battista»
(«Saint Jean-Baptiste»), 1880
Gesso, 204 x 74 x 125 cm.
Inv. S.00175.
85. AUGUSTE RODIN
«La Défense», 1879
Bronzo, 112 x 59 x 41 cm.
Inv. S.00469.
88. AUGUSTE RODIN
«“La Défense”, torso del genio con testa»
(«“La Défense”», torse du génie avec tête»), 1879
Gesso, 78 x 54 x 50 cm.
Inv. S.02523.
89. E. FIORILLO
«La Défense, genio alato»
(«La Défense, génie ailé seul»), 1879
Carta albuminata, 17,2 x 12 cm.
Inv. Ph.02264.
90. EUGÈNE DRUET
«La Défense davanti alla “Porta dell’inferno”»
(«La Défense devant la «Porte de l’enfer»), 1898 circa
Stampa alla gelatina ai sali d’argento, 38,4 x 28,4 cm.
Inv. Ph.00281.
91. AUGUSTE RODIN
«Nudo maschile da tergo contro un piedistallo, con
una corona» («Homme nu de dos contre un piédestal
et dressant une couronne»), 1880
Penna, inchiostro bruno e lavis bruno, 13,7 x 10,5 cm.
Inv. D.00449.
92. AUGUSTE RODIN
«Progetti di monumenti» («Projets de monuments»),
1880 circa.
Penna e inchiostro bruno, 21,2 x 13,9 cm.
Inv. D.00424.
93. CHARLES MICHELEZ
«“Bellona” nell’atelier, con “San Giovanni Battista”
e “L’uomo dal naso rotto”» («“Bellone” dans
l’atelier, avec “St Jean-Baptiste” et l’“Homme au nez
cassé”»), 1881
Carta albuminata, con ritocchi, 22,5 x 15,3 cm.
Inv. Ph.00667.
188
94. CHARLES MICHELEZ
«“Bellona” nell’atelier, con “San Giovanni Battista”
e “L’uomo dal naso rotto”» («“Bellone” dans
l’atelier, avec “St Jean-Baptiste” et l’“Homme au nez
cassé”), 1881
Carta albuminata, 25,6 x 15,4 cm.
Inv. Ph.05708.
95. AUGUSTE RODIN
«Bellona» («Bellone»), 1880 circa.
Gesso, 82,8 x 45 x 30 cm.
Inv. S.02836.
96. AUGUSTE RODIN
«Bellona» («Bellone»), 1881
Gesso, 137,5 x 53 x 43 cm.
Inv. S.01836.
97. AUGUSTE RODIN
«Leone che piange» («Le Lion qui pleure»), 1881
Gesso, 27,3 x 16,5 x 34,3 cm.
Inv. S.02490.
98. SÈVRES E AUGUSTE RODIN
«Placchetta “Fanciulla con bambino”»
(«Plaquette “Fillette et enfant”»), 1881-1882
Porcellana di Sèvres, 12,8 x 5,7 x 1,2 cm.
Inv. S.02417.
99. SÈVRES E AUGUSTE RODIN
«Cratere di Pompei “La notte”»
(«Seau de Pompéï “La Nuit”»), 1881-1882
Porcellana di Sèvres, 31,8 x 22,7 x 22,7 cm.
Inv. S.02416.
100. SÈVRES E AUGUSTE RODIN
«Vaso Shanghai “Donna con bambino”»
(«Vase Shanghai “Femme et enfan”»), 1881-1882
Porcellana di Sèvres, 20,7 x 9,1 x 9,1 cm.
Inv. S.06750.
101. SÈVRES E AUGUSTE RODIN
«Vaso Shanghai “Fauno con bambino”»
(«Vase Shanghai “Faune et enfant”»), 1881-1882
Porcellana di Sèvres, 20,6 x 9,3 x 9,3 cm.
Inv. S.06751.
102. VICTOR PANNELIER
«“Busto di M.me Roll” nell’atelier»
(«“Buste de M.me Roll” dans l’atelier»), 1883
Stampa ai sali d’argento, 23 x 17,2 cm.
Inv. Ph.00314
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103. AUGUSTE RODIN
«Busto di M.me Roll» («Buste de M.me Roll»),
1882-1883
Marmo, 57,5 x 50,5 x 34,1 cm.
Inv. S.00985.
104. AUGUSTE RODIN
«Busto di Jean-Paul Laurens»
(«Buste de Jean-Paul Laurens»), 1882
Gesso, 58,8 x 39,8 x 33,1 cm.
Inv. S.00158.
105. AUGUSTE RODIN
«Busto di Albert-Ernest Carrier-Belleuse»
(«Buste de Carrier-Belleuse»), 1882
Terracotta, 48 x 45 x 34 cm.
Inv. S.01981.
106. AUGUSTE RODIN
«Torso di Adèle» («Torse d’Adèle»), 1878
Gesso, 13,3 x 44,6 x 18,9 cm.
Inv. S.01223.
107. AUGUSTE RODIN
«Porta dell’inferno (secondo bozzetto)»
(«La Porte de l’Enfer [2ème maquette]»), 1880
Gesso, 16,5 x 13,9 x 2,7 cm.
Inv. S.00457.
108. AUGUSTE RODIN
«Porta dell’inferno (terzo bozzetto)»
(«La Porte de l’Enfer [3ème maquette]»), 1880
Gesso, 111,5 x 75 x 30 cm.
Inv. S.01189.
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109. AUGUSTE RODIN
«Ugolino e i suoi figli» («Ugolin et ses enfants»), 1882
Gesso, 41 x 61,5 x 41 cm.
Inv. S.02392.
116. AUGUSTE RODIN
«Eva» («Eve»), 1881
Bronzo, 172,2 x 52 x 64,5 cm.
Inv. S.01302.
110. AUGUSTE RODIN
«Adolescente disperato» («Adolescent désespéré»), 1882
Bronzo, 44,2 x 15 x 14 cm.
Inv. S.00467.
117. AUGUSTE RODIN
«Adamo» («Adam»), 1880
Bronzo, 197 x 76 x 77 cm.
Inv. S.00962.
111. AUGUSTE RODIN
«L’uomo che cade» («L’Homme qui tombe»), 1882
Bronzo, 59 x 40,7 x 33,3 cm.
Inv. S.00963.
118. AUGUSTE RODIN
«Le tre ombre» («Les Trois ombres»), 1881.
Bronzo, 191,5 x 191,8 x 115 cm.
Inv. S.06411.
112. AUGUSTE RODIN
«L’eterna primavera» («L’Eternel Printemps»), 1884
Bronzo, 64,5 x 58 x 44,5 cm.
Inv. S.00989.
119. AUGUSTE RODIN
«“Pensatore” su un elemento di capitello»
(«Penseur» sur élément de châpiteau»), 1881-1882
Gesso, 87,5 x 59 x 42,6 cm.
Inv. S.02521.
113. AUGUSTE RODIN
«Il bacio» («Le Baiser»), 1885
Gesso, 85,5 x 51 x 54,5 cm.
Inv. S.02834.
114. AUGUSTE RODIN
«Fugit Amor», ante 1885
Bronzo, 38 x 48 x 20 cm.
Inv. S.00598.
115. AUGUSTE RODIN
«La donna accovacciata»
(«La Femme accroupie»), 1882
Gesso, 31,9 x 28,7 x 21,1 cm.
Inv. S.02396.
189
120. AUGUSTE RODIN
«Il pensatore» («Le Penseur»), 1903.
Gesso, 182,5 x 108 x 141,3 cm.
Inv. S.00161.
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Fig. 46. MIMMO PALADINO
«Porta d’Oriente», 2005
Bronzo, 345 x 165 x 85 cm.
Il tema della porta è presente nell’opera scultorea di Paladino a cominciare dal 1986,
quando realizza la «Porta del sud». Il primo riferimento è ad Auguste Rodin con la
«Porta dell’inferno», ma immediatamente rientriamo nell’immaginario scultoreo i
rimandi a quella cultura ancestrale e magica che anima l’arte dell’autore. Importante è il
varco, come nella «Porta d’Oriente», ossia l’invito al viaggio che può esprimersi anche e
soltanto nell’avviare il mutamento interiore, compiere il primo passo della più lunga e
affascinante esplorazione umana, nella logica agostiniana per cui la verità risiede nel
profondo della nostra coscienza, non fuori. Gli arcaismi e i rilievi che
contraddistinguono l’opera di Paladino, congiuntamente a un accurato studio
d’architetture, vogliono il dialogo con le circostanze non solo esistenziali, ma spaziali e
temporali delle persone, siccome la forma pura ancorché la sua decodifica determina una
presa di consapevolezza, lasciando all’istinto il compito di intuire prima di capire.
Quindi si arriva alla soglia di una regione in cui il raziocinio non trova conforto, se non
nel ricorso al desiderio: desiderare, volere a ogni costo, e forse sognare più che segnare il
nostro passaggio terreno, in questo esatto momento, aprendosi al bisogno di un senso
ulteriore, dove la realtà incontra appunto la speranza. La scultura è stata installata a
Legnano in occasione della mostra «Auguste Rodin. L’origine del genio».
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Fig. 47. ETTORE GRECO
«Uomo eroico», 2010
Resina plastecrete, 220 x 220 x 60 cm.
La cultura scultorea di Ettore Greco affonda nella storia dell’arte, con particolare
interesse per i grandi maestri che dall’opera di Auguste Rodin prendono abbrivo per
cercare un nuovo linguaggio. L’«Uomo eroico» è stato concepito per masse
esemplificate, tenendo presente l’ampio lavoro sulla monumentalità di Émile-Antoine
Bourdelle, in cui i corpi perdono l’intimità rodiniana e reperiscono una soluzione ancora
più aperta al confronto col pubblico. L’opera ricomincia dove si è fermata «Uomo»
(1961) dello scultore francese Ipousteguy, in cui il soggetto compare con con tre arti
inferiori. Nel «Uomo eroico» il furore più che materico è psichico, dimostrando a
braccia aperte la volontà di esistere, come una terza autentica, anzi efficace, ipotesi del
vero. Si tratta dell’uomo che ha oltrepassato il varco, la soglia, e che dopo aver accettato
il passo sta solo, immobile, aperto alla vita. La scultura è stata realizzata e installata a
Legnano in occasione della mostra «Auguste Rodin. L’origine del genio».
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Cronologia
VÉRONIQUE MATTIUSSI
1840
Auguste Rodin nasce a Parigi il 12 novembre.
1854
Entra alla École impériale spéciale de dessin et de
mathématiques, detta la «Piccola Scuola»; segue i
corsi di Lecoq de Boisbaudran.
1857-1859
Fallisce tre volte il concorso di ammissione alla École
des Beaux-Arts.
1858
Lavora per vari decoratori e ornamentisti.
1860
Realizza il busto del padre Jean-Baptiste Rodin,
prima opera conservata.
1862
Muore la sorella Maria. Entra dai Padri del TrèsSaint-Sacrement, dove rimane sino al maggio-giugno
del 1863. Realizza il busto del «Padre Eymard».
1863
Partecipa alla decorazione del Théâtre des Gobelins, e
del Théâtre de la Gaîté.
1864
Entra nell’atelier di Albert-Ernest Carrier-Belleuse.
Conosce Rose Beuret (1844-1917).
1865
La maschera dell’«Uomo dal naso rotto» è rifiutata al
Salon.
1866
Partecipa alla decorazione del palazzo privato della
Païva sugli Champs Elysées.
Studia con Antoine-Louis Barye che dirige i corsi di
anatomia animale al Museo di storia naturale.
Nascita del figlio naturale Auguste-Eugène Beuret.
1870
Raggiunge lo scultore belga Antoine-Joseph Van
Rasbourgh a Bruxelles.
Rientra a Parigi a fine settembre, è richiamato e arruolato come caporale nella Guardia Nazionale.
1871
Congedato, si reca da Carrier-Belleuse in Belgio, dove
rimarrà fino al 1877.
Muore sua madre.
Alla fine dell’anno, Rose Beuret lo raggiunge a Bruxelles.
1872
Fine della collaborazione con Carrier-Belleuse, che
rientra a Parigi.
1873
Si associa professionalmente con Joseph Van
Rasbourgh.
1874
Partecipa alla decorazione del palazzo delle Accademie a Bruxelles.
Dipinge una serie di paesaggi della foresta di Soignes.
1875
Prima opera al Salon di Parigi: il busto in marmo
dell’«Uomo dal naso rotto».
Alla fine dell’anno, intraprende un viaggio di studio
in Italia.
1877
Espone «L’età del bronzo» (gesso) al Circolo artistico
e letterario di Bruxelles, poi a Parigi al Salon des artistes français. Rodin viene sospettato di aver compiuto
per la sua figura un calco dal vero.
In autunno, prima serie di visite delle cattedrali del
centro della Francia.
Rodin e Rose Beuret lasciano definitivamente il Belgio
per ristabilirsi in Francia.
1879
Lavora alla Manifattura di Sèvres fino al dicembre
1882.
194
1880
Committenza di stato per la fusione de «L’età del
bronzo» e per una «porta decorativa», la «Porta dell’inferno», per un nuovo museo di Arti decorative che
non verrà mai aperto. Gli viene messo a disposizione
un atelier presso il Deposito dei marmi, in rue de
l’Université 182, che occuperà sino alla morte.
Espone al Salon il gesso del «San Giovanni Battista».
1881
Lo stato gli commissiona il «San Giovanni Battista»
in bronzo.
Primo viaggio in Gran Bretagna; apprende la tecnica
dell’incisione da Alphonse Legros, a Londra.
«Adamo» è esposto al Salon.
«Eva».
1881-1882
«Il pensatore», «Il bacio», «Il conte Ugolino».
1882
Realizza la statua di «D’Alembert» per il Comune di
Parigi.
1883
Conosce Camille Claudel (1864-1943).
Muore suo padre.
Prima mostra di disegni al Circolo delle Arti liberali
a Parigi.
Conosce Victor Hugo di cui esegue il busto.
1884
Primo Salon des Vingt a Bruxelles.
Espone per la prima volta alla galleria Georges Petit.
Si trasferisce in rue de Bourgogne 71, dove rimarrà
fino al 1890.
1885
La municipalità di Calais gli commissiona un monumento commemorativo di Eustache de Saint Pierre,
che diventerà il «Monumento dei borghesi di Calais»,
inaugurato nel 1895.
Conosce l’industriale Maurice Fenaille.
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1887
Nominato cavaliere della Legione d’onore.
Illustra una tiratura limitata dei Fiori del male di Baudelaire.
1888
Lo stato gli commissiona «Il bacio» in marmo per
l’Esposizione Universale del 1889.
1889
Partecipa alla fondazione della Société nationale des
beaux-arts.
Commissione del «Monumento a Victor Hugo» per il
Panthéon.
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1899
Prima mostra personale a Bruxelles, poi a Rotterdam,
Amsterdam e L’Aia.
1908
La «Catttedrale».
Si stabilisce all’Hotel Biron.
1900
Il 1° giugno, inaugurazione del padiglione Rodin in
place de l’Alma a Parigi in occasione dell’Esposizione Universale.
1909
Inaugurazione del «Monumento a Victor Hugo» al
Palais Royal.
1901
Il padiglione Rodin è smontato e ricostruito a Meudon.
1891
La Société des gens de lettres gli commissiona un
«Monumento a Balzac».
1902
Mostra «Rodin» a Praga.
Illustra Il giardino dei supplizi di Octave Mirbeau nell’edizione di pregio di Ambroise Vollard (seconda
edizione).
1892
Promosso ufficiale della Legione d’onore.
1903
Nominato commendatore della Legione d’onore.
1893
Succede a Jules Dalou come presidente della sezione
di scultura e vicepresidente della Société nationale des
beaux-arts.
1904
Diventa presidente della Società internazionale degli
scultori, pittori e incisori di Londra, subentrando a
James McNeill Whistler.
Conosce la duchessa de Choiseul, con la quale romperà nel 1912.
Prima esposizione del «Pensatore» in gesso a grandi
dimensioni alla Società internazionale di Londra, poi al
Salon de la Société nationale des beaux-arts di Parigi.
Importanti mostre in Germania. I disegni esposti a
Weimar suscitano scandalo.
1894
Rottura definitiva con Camille Claudel.
1895
Acquista la «villa des Brillants» a Meudon e dà inizio
alla sua collezione di oggetti antichi, dipinti, ecc.
1897
Maurice Fenaille finanzia la pubblicazione di un
album di 142 disegni elio-incisi di Rodin con una prefazione di Octave Mirbeau, detto «album Goupil»
(dal nome dell’editore).
Esposizione del «Monumento a Victor Hugo» alla
Société nationale des beaux-arts.
1898
Espone al Salon de la Société nationale des beaux-arts
«Il bacio» in marmo e la versione in gesso a grandi
dimensioni del «Balzac». La Société des gens de lettres
rifiuta il monumento, che solleva scandalo.
1905
Nominato membro del Consiglio superiore delle Belle
Arti.
1906
Un bronzo a grandi dimensioni del «Pensatore» è
donato con una sottoscrizione alla Città di Parigi e
collocato davanti al Panthéon.
Esegue una serie di acquerelli con danzatrici cambogiane per l’Esposizione coloniale di Marsiglia.
1907
Prima mostra dedicata unicamente ai disegni presso la
Galerie Bernheim Jeune di Parigi.
195
1910
Nominato grand’ufficiale della Legione d’onore.
1911
Acquisizione dei «Borghesi di Calais» da parte della
Gran Bretagna per i giardini di Westminster.
1912
Installazione dell’«Uomo che cammina» a Palazzo
Farnese, a Roma.
Inaugurazione della sala Rodin al Metropolitan
Museum di New York.
1914
Pubblicazione di Les Cathédrales de France illustrata da
Auguste Clot con la prefazione di Charles Morice.
Per sfuggire alla guerra parte con Rose Beuret per l’Inghilterra, in compagnia della sua biografa, Judith
Cladel.
1915
Nuovo viaggio a Roma; esegue il busto di «Papa
Benedetto XV».
1916
Si ammala gravemente.
Donazione allo Stato delle sue opere e collezioni.
L’Assemblea nazionale vota l’istituzione del Musée
national Auguste Rodin all’Hotel Biron.
1917
Sposa Rose Beuret il 29 gennaio a Meudon.
Muore quest’ultima il 14 febbraio.
Muore Rodin il 17 novembre.
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Fig. 48. Bruno Cattani, Eva, 2000.
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Ringraziamenti
Questa mostra è cominciata da una idea quasi quattro anni fa che si è concretizzata grazie al sostegno, ai suggerimenti e
all’amicizia di Aline Magnien. La sua professionalità e le sue conoscenze hanno offerto a tutti un momento di crescita,
condiviso con le tante persone che direttamente o indirettamente ci hanno aiutato al Musée Rodin, a cominciare dal
Direttore, Dominique Viéville, quindi ai collaboratori che quotidianamente ci hanno assistito: François Blanchetiere,
Anne-Marie Chabot, Hadrien Tagu, Diane Tytgat, Marc Bembekoff, Marianne Métais, Maëva Abillard e gli studiosi
che ci hanno guidato coi loro testi Catherine Lampert, Barbara Musetti, June Hargrove, Véronique Mattiussi.
Se penso a questa mostra non posso evitare di ricordare i primi incontri con Claudio Martino ed Ettore Greco per studiare
il progetto, e i nostri viaggi a Parigi, il tempo passato insieme a discutere, che è sempre prezioso. Se conoscere Rodin
insegna qualcosa è che il percorso della vita va oltre l’opera in sé, nella quale invece confluisce tutto quello che la vita offre.
Dopo 10 anni di mostre a Legnano ci siamo accorti di aver ancora molte cose da fare, ma qualche impronta alle nostre
spalle testimonia che un po’ di strada l’abbiamo fatta, insieme a molte persone, alcune delle quali non ci sono più, altre
sono arrivate, altre ne aspettiamo o torneranno. A loro la mia gratitudine sincera: a chi è rimasto e chi se ne è andato. Non
posso che ringraziare ulteriormente Lorenzo Vitali e Maurizio Cozzi, e tutto il personale dell’Assessorato alla cultura;
Marina Ristori e al suo prezioso aiuto. Luisa Maruti, per la prima monografia in inglese di Rodin; Gaia Morelli, Umberto
Pastore, Alberto Rossetti, Francesca Tronconi di Civita. Gli amici architetti Giovanni Tortelli e Roberto Frassoni
insieme al loro studio - che ci ha seguito pazientemente. I soliti amici che in un modo o nell’altro rendono bello fare le
mostre, Gabriella Nebuloni, Arianna Beretta, Margherita del Castillo e Manuela Biscotti, lo Studio Marabese, il
Circolone, Vito Ferioli, Giovanni Longo, la CLP in tutte le sue declinazioni, l’insostituibile Redazione Allemandi,
Francesco Mandressi, Luca Melloni, Filippo Zevi, Tiziana Cipelletti, Pierantonio Tanzola, Marco Mazzoni, Marta
Sesana, Lorenza Salamon, Oreste Bellinzona, Bruno Cattani, Renato Cardi, Giorgio De Conto, Francesco Garrone,
Alberto Buffetti e Adriana Buffetti, Nino Sindoni, Roberta Crocioni, Marco Mancassola, Giordano Bruno Guerri,
Antonio Moresco, Ugo Riva, Silvia Bottani, Fiorella Fiorito, Laura Luppi, Enrico Savi, Bruno Marrapodi, Francesco
Albano, Laura Orlandi e tutti quelli che invece per fortuna non si occupano d’arte. Un pensiero caro anche a Imma e
Mimmo Paladino, per tanti motivi, e allo Studio Paladino di Paduli, compreso Pompeo Capitanio. Alla mia famiglia e
ad Andreea la mia riconoscenza.
Flavio Arensi
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2010 UMBERTO ALLEMANDI & C., TORINO
FINITO DI STAMPARE IN TORINO NEL MESE DI NOVEMBRE 2010
PER I TIPI DELLA CASA EDITRICE UMBERTO ALLEMANDI & C.
Crediti fotografici
Adolphe Braun, Archivio Paladino, Christian Baraja,
Olivier Brunet, Alberto Buzzanca, Jean de Calan,
Bruno Cattani, Jean Claude Marlaud, Henry Coles,
Eugène Druet, E. Fiorillo, Béatrice Datala,
Stephen Haweis, Bruno Jarret, Gertrude Käsebier,
Alvin Langdon Coburn, Gaudenzio Marconi,
Charles Michelez, Victor Pannelier,
Adam Rzepka, Edward Steichen
Tutte le opere sono di proprietà del Musée Rodin di Parigi
L’editore è a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non identificate
e si scusa per eventuali, involontarie inesattezze e omissioni
Crediti
Città di Legnano
© SALE, Legnano
© Musée Rodin, Parigi 2010
© Gli autori per i testi
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