IUSM - Marzo 2007 Il contratto di lavoro individuale La

Transcript

IUSM - Marzo 2007 Il contratto di lavoro individuale La
Il contratto di lavoro individuale
La specifica disciplina della categoria EP
Paola Neri, marzo 2007
1. Brevi cenni storici
Fino alla riforma del 1993 (D.Lgs. n. 29/1993), il rapporto di lavoro del singolo dipendente si
instaurava con un provvedimento del legale rappresentante la pubblica amministrazione interessata :
per le Università, il decreto del Rettore.
Di fronte a quell’atto non si richiedeva nessun atto di
volontà del dipendente, nemmeno l’acquiescenza ; se entro 15 giorni egli prendeva servizio
consegnando i documenti necessari non ancora prodotti, il rapporto di lavoro si intendeva costituito.
L’Amministrazione era poi l’unico giudice di un lungo periodo di prova (6 mesi), che, in caso di
giudizio negativo e dietro apposito provvedimento motivato, si poteva rinnovare (1 anno).
Il
dipendente non aveva alcun motivo rilevante per opporsi, né alcuna scelta.
Una volta costituito, il rapporto di lavoro si sviluppava secondo l’ordinamento generale (dato
principalmente dal T.U. n. 3/1957) e secondo quello caratteristico della categoria contrattuale di
appartenenza.
Era, tuttavia, norma comune che per regolare alcune materie fosse necessaria una
legge (ad es., riserva di legge sugli organici e sul contenuto professionale delle qualifiche) mentre
per altre si poteva sottoscrivere con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative un
contratto collettivo nazionale (ad es., sui profili professionali inerenti le qualifiche e sul salario).
Perché tuttavia il contratto collettivo avesse efficacia erga omnes, occorreva un atto regolamentare
(D.P.R.) che ne recepisse il contenuto : la forza del regolamento, fonte normativa di grado inferiore
alla Costituzione e alla Legge, garantiva che fosse applicato a tutti gli appartenenti alla categoria.
Ancora una volta, il lavoratore non aveva alcuno strumento per far sentire la propria volontà, se non
il ricorso all’autorità giudiziaria (T.A.R.) in caso di violazione delle leggi o del D.P.R. contrattuale.
Nel 1993 tutta questa realtà viene rivoluzionata.
Il lavoro alle dipendenze di una pubblica
amministrazione viene – come si dice – privatizzato : sottostà alla disciplina del codice civile e dei
contratti collettivi di lavoro, nazionali e integrativi, che acquistano efficacia erga omnes in quanto
tali ; le violazioni dei contratti divengono di competenza del giudice ordinario, in funzione di
giudice del lavoro.
L’innovazione non è da poco. Per instaurare un rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica
amministrazione è ora necessario un contratto individuale, in forma scritta.
Non basta che il
dipendente manifesti la sua volontà attraverso la partecipazione a un concorso, ma è richiesta la sua
2
sottoscrizione in calce a un vero e proprio contratto, a dimostrazione che accetta quanto in esso
previsto.
L’Amministrazione e il cittadino-dipendente sono messi su uno stesso piano : sono due soggetti
giuridici con eguali diritti e doveri, ognuno per la prestazione dovuta.
Rimangono disciplinate dal diritto pubblico (costituzionale, amministrativo, ecc.) tutte le questioni
che stanno a monte e che rappresentano l’iter di costituzione della volontà dell’Amministrazione :
per le Università, il rispetto dei punti-organico che hanno sostituito la dotazione organica ; la
correttezza del bando di concorso ; la corretta effettuazione delle prove ; il rispetto della
graduatoria; e così via. Finché si tratta di scegliere il migliore (questo è il concetto attorno al quale
si snoda tutta la teoria del concorso pubblico, previsto dall’art. 97 della Costituzione), il cittadino è
tutelato contro l’azione giuridicamente scorretta dell’Amministrazione ; poi, è tutelato in quanto
dipendente, alla pari con essa.
3
2. Il contratto
Secondo la definizione dell’art. 1321 del codice civile, “il contratto è l’accordo di due o più parti
per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
Non c’è bisogno, per le necessità di questo corso, di esaminare a fondo la materia. Basti dire che
sono elementi costitutivi del contratto :
-
l’accordo delle parti, che si considera avvenuto quando chi ha fatto la proposta viene a
conoscenza dell’accettazione dell’altro contraente ;
-
la causa, che non deve essere contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon
costume ;
-
l’oggetto, che deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile ;
-
la forma, qualora richiesta da norme di legge.
Il contratto consiste in un regolamento di interessi opposti e complementari : tu vuoi vendere una
automobile, io la voglio comprare. Tu mi garantisci che l’automobile abbia certe caratteristiche e
che funzioni, io ti garantisco il pagamento del prezzo. Tutto ciò che va a inficiare queste semplici
obbligazioni reciproche rende il contratto nullo (per totale mancanza di uno o più elementi
costitutivi) o annullabile (per difetti sanabili di uno o più elementi). E’ nulla la compravendita di
una automobile priva di motore ; è annullabile se l’automobile è rossa mentre io la volevo nera.
Ma nel caso di un contratto di lavoro, le cose sono rese più complesse dal fatto che viene dedotta in
contratto una parte - non piccola - della vita stessa di un essere umano. Vediamo come.
4
3. Il contratto individuale di lavoro. Suo contenuto.
Una volta espletate le incombenze di un concorso pubblico o interno ; una volta individuato il
migliore ; l’Amministrazione stipula con questo un contratto di lavoro.
Per ricordare gli elementi costitutivi del contratto in genere :
-
la forma richiesta dalla legge è l’atto scritto.
-
l’oggetto è la prestazione di lavoro subordinato, alle condizione espresse dal contratto,
contro retribuzione, anch’essa espressa dal contratto.
-
la causa è che vi sia un posto (per le Università, la copertura finanziaria relativa a un posto
di categoria “X”) e l’interesse della pubblica amministrazione a coprirlo.
-
l’accordo delle parti si considera avvenuto quando chi rappresenta l’amministrazione (per
noi, il Direttore amministrativo o il dirigente capo del personale) e il dipendente
sottoscrivono il contratto.
Anzitutto, si tratta di un contratto di lavoro dipendente. Questo consiste in una reciproca,
volontaria assunzione di obblighi fra il lavoratore e il datore di lavoro. Schematicamente, il primo
si impegna a prestare lavoro subordinato, con carattere di continuità ed assicurando la propria
collaborazione ; il secondo si impegna a corrispondere la retribuzione.
Questi concetti meritano un breve approfondimento :
•
si ha lavoro subordinato quando il prestatore non è completamente libero di decidere da
solo che cosa fare e come farlo : vi sono regole che delimitano la sua autonomia. Tali regole
sono dettate dalle leggi generali sul lavoro (codice civile ; D.Lgs. 29/1993, poi trasfuso in
D.Lgs. 165/2001 ; Statuto dei lavoratori), dal CCNL nel tempo vigente, dalle altre leggi ivi
richiamate e dagli accordi integrativi di livello aziendale ivi previsti. Ma altre discendono
dai regolamenti adottati, nella loro autonomia, dalle Amministrazioni, che tuttavia non
possono derogare alle norme generali suddette. Ad esempio, l’orario di lavoro dello IUSM è
di 36 ore settimanali (legge dello Stato, integrata dal CCNL), di norma divise in 5 giorni
lavorativi (CCNL, integrato dal contratto integrativo), che si estendono dal lunedì al venerdì
e non oltre le 20 di sera (regolamento interno sull’orario di servizio, integrato dalla CI). Né
il lavoratore né l’Amministrazione possono derogare a queste norme ; se, per impreviste
5
esigenze (notte bianca) si devono coprire turni diversi, questi subiscono un trattamento
economico particolare, nell’ambito del rispetto del riposo settimanale.
•
il dovere di collaborazione si adempie contribuendo a perseguire l’interesse del datore di
lavoro, sia attivamente ("obbligo di diligenza" nel prestare la propria attività lavorativa), sia
astenendosi da attività che con questo interesse contrastino ("obbligo di fedeltà"). Dal
dovere di collaborazione discendono tutti quegli obblighi collaterali che sono indicati nel
codice di comportamento del pubblico dipendente allegato al CCNL e il cui mancato
rispetto può dar luogo a sanzioni disciplinari. Ne discendono anche le norme particolari in
tema di incompatibilità, fra le quale l’obbligo a scegliere un part-time al 50% se si intende
assumere un altro rapporto di lavoro.
•
si ha continuità quando il lavoratore si obbliga non a compiere una determinata opera o
prestare un singolo servizio, ma a fornire una attività continua per la durata prevista.
Questo è vero sia nel contratto a tempo indeterminato che nel contratto a tempo determinato
ed è il discrimine fra il contratto di lavoro subordinato e il contratto di prestazione d’opera.
Se si pensa a quanti contratti di lavoro subordinato sono stati, in tempi recenti, “travestiti”
da contratti di collaborazione (co.co.co. o co.co.pro.), si riesce ad apprezzare la differenza.
•
alla continuità nella prestazione corrisponde la continuità nella retribuzione.
Questo
concetto va oltre quello della corresponsione di un salario, per estendersi a tutte quelle
prestazioni a titolo oneroso cui il datore è tenuto : assicurare il riposo settimanale e le ferie ;
retribuire in misura differenziata il lavoro straordinario, o notturno, o festivo ; retribuire la
produttività e remunerare le situazioni di disagio particolare ; fornire prestazioni di carattere
"sociale", quali la mensa o il buono pasto ; versare i contributi previdenziali a fini di
pensione e di liquidazione ; e così via. Sono, questi, elementi della retribuzione affidati a
leggi, regolamenti, contratti collettivi nazionali o integrativi : non sono derogabili né dal
lavoratore, né dal datore di lavoro.
Generalmente, il contratto individuale fa rinvio ai
CCNL nel tempo vigenti.
La corposa legislazione sul lavoro dipendente ha d’altro canto affiancato all’obbligo di
corrispondere la retribuzione tutta una serie di ulteriori vincoli per il datore di lavoro. Ne
ricordiamo solo alcuni fondamentali :
-
l’obbligo di tutelare la dignità morale del lavoratore e la sua riservatezza ;
6
-
l’obbligo di assicurare condizioni ambientali che garantiscano il diritto alla salute ;
-
l’obbligo di garantire la prestazione di lavoro congrua alla capacità professionale
dimostrata o, almeno, alle mansioni per le quali si è stati assunti.
Va da sé che alla legislazione si sono affiancati, a tutela del lavoratore, i contratti nazionali di
lavoro succedutisi nel tempo, recepiti in D.P.R. e, poi, sottoscritti con l’Agenzia di rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni (A.Ra.N.).
Queste norme rappresentano oggi un
insieme tendenzialmente compiuto, dal quale, come detto, il contratto individuale di lavoro non si
può affrancare.
Per fare un esempio, non è disponibile dalle parti il periodo di prova, attualmente ridotto a tre mesi.
Ne sono disponibili gli effetti, nel senso che, decorsa la metà di questo periodo, sia
l’Amministrazione che il lavoratore hanno il diritto di recedere dal contratto di lavoro. Peraltro, il
periodo di prova non è richiesto in caso di vincita di concorso da parte di un dipendente dalla stessa
Amministrazione. Il contratto individuale non può apporre termini diversi, né limitare il diritto del
lavoratore.
Questa insistenza sull’inderogabilità merita un’ulteriore considerazione.
L’art. 40 del D.Lgs.
165/2001 dice che la contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di
lavoro ; di qui l’impossibilità di derogare con il contratto individuale alla normativa generale. Ci si
può chiedere allora che senso abbia mantenerlo, visto che gli effetti sono paragonabili a quelli che
aveva l’atto unilaterale dell’Amministrazione.
Il motivo è quello cui si accennava poc’anzi : il
contratto individuale pone le due parti sottoscriventi (Amministrazione e dipendente) allo stesso
pari ; l’Amministrazione lo firma con i poteri del datore di lavoro privato ; il dipendente trova tutela
davanti al giudice ordinario. Prima del 1993, un comportamento scorretto della Amministrazione
provocava un pronunciamento del TAR, che poteva annullare un atto dell’Amministrazione stessa,
ma non imporre un comportamento né ristorare i danni causati : per questi, c’era bisogno di un
ulteriore intervento giurisdizionale ; dopo il 1993, lo stesso giudice può costringere
l’Amministrazione a ottemperare alla sentenza e – ricorrendone gli estremi – può condannarla al
pagamento dei danni.
7
4. L’ordinamento del comparto Università
Si diceva prima che il dipendente ha diritto di svolgere (ed essere retribuito per) le mansioni e
funzioni per le quali è stato assunto. In realtà, queste rappresentano il cuore stesso del suo rapporto
di lavoro. Oltre all’assunzione, ruotano attorno alle mansioni e funzioni richieste tutte le modalità
attraverso le quali il rapporto di lavoro si esplica. Da qui l’importanza di avere, per ogni categoria
lavorativa (quindi, per ogni comparto ; quindi, per ogni CCNL) una classificazione che rispecchi la
realtà lavorativa delle strutture interessate.
In strutture come le nostre, nelle quali la riforma dei procedimenti, l’innovazione tecnologica, il
progredire della ricerca danno ogni giorno modo di "cambiare lavoro", c’è bisogno di un rapporto
fra le attività svolte e la collocazione giuridico/economica del personale, più semplice e immediato
di quanto sia necessario in altri luoghi di lavoro.
Nasce così l’ordinamento del personale universitario recepito nel CCNL 9.8.2000 e nasce così la
particolare norma che garantisce al personale l’opportunità di progredire “verticalmente”
nell’ordinamento stesso.
Il punto di partenza è fornito dal D.Lgs. 29/1993 : nell’àmbito del processo di privatizzazione
dell’impiego pubblico, esso impone di far riferimento alle norme del codice civile che regolano il
lavoro nell’impresa.
Il codice civile elenca le figure degli operai, degli impiegati, dei quadri intermedi e dei dirigenti. La
classificazione risente chiaramente dei tempi in cui il codice è stato scritto e, in seguito, innovato :
separa in maniera netta i lavoratori "manuali" da quelli "intellettuali" e, fra questi ultimi, distingue
coloro che dirigono l’azienda, coloro che collaborano strettamente con la direzione (anche in
funzione di controllo dell’attività e dei risultati), coloro che si limitano ad applicare le decisioni e le
procedure amministrative. Questa distinzione costruisce un ordinamento sostanzialmente
gerarchico, nel quale il singolo lavoratore trova, al contempo, un limite preciso ad esplicare la
propria autonomia ed un alibi a non esercitarla.
Anche sotto altro aspetto una classificazione di questo genere è oggi sicuramente superata : l’attuale
composizione del mondo del lavoro risente gli effetti benefici della scolarizzazione di massa. La
popolazione dotata di laurea e titolo post laurea, pur restando al di sotto dei valori medi europei, è in
8
costante crescita e connota la sua attività di un valore aggiunto : la capacità di risolvere problemi
anche complessi, tipica della formazione universitaria.
Sotto questo aspetto, tuttavia, un ulteriore limite alla applicazione diretta del codice civile nel
CCNL di categoria è dato dall’appartenenza dei dirigenti a diversa area contrattuale. E che dire di
quella parte del personale universitario che non è nemmeno soggetto a contrattazione, perché
regolato per legge sia 2uanto allo stato giuridico sia quanto al trattamento economico ?
Non è questa la sede per affrontare una problematica spinosa : quali attività, negli Atenei,
rispondano ai caratteri che il D.Lgs. 29/1993 attribuisce alla funzione dirigenziale ; e, in particolare,
se sia qualificabile come dirigenziale l’attività di libera ricerca e di direzione delle strutture riservata
ai docenti. Qui basta dire che sono disciplinati da altro CCNL o da altre norme coloro che, ricevuti
gli indirizzi politici dagli organi statutari, provvedono alla gestione dell’Ateneo, rispondendo non
solo della coerenza fra la loro attività e gli indirizzi stessi, ma anche della efficacia, economicità e
produttività dell’azione intrapresa.
D’altro canto, nelle Università spesso incontriamo figure amministrative che, pur non appartenendo
alla dirigenza, ne hanno alcuni connotati.
Né vi è, formalmente, una dirigenza tecnica ; di
conseguenza, queste stesse attività, quando sono riferite alla gestione di strutture o procedure non
strettamente amministrative, resta disciplinata dal CCNL di categoria, che si dovrà far carico di
equiparare il più possibile l’ordinamento delle figure professionali interessate a quello dei dirigenti.
A questa esigenza rispondeva la legge n. 23 del 1986, con la creazione delle figure IX^
amministrativa e I^ e II^ del Ruolo speciale tecnico. Queste figure sono ora trasfuse nella categoria
delle Elevate e Specifiche Tipologie Professionali (EP) , connotate da una autonomia relativa alla
soluzione di problemi complessi di carattere organizzativo e/o professionale e da una responsabilità
relativa alla qualità ed economicità dei risultati ottenuti.
Agli EP è richiesta una formazione universitaria. D’altro canto, è dimostrato nei fatti che, se c’è un
luogo dove le innovazioni tecniche, tecnologiche e procedurali creano cultura e professionalità negli
operatori, questo luogo è l’Università. Ma c’è bisogno di rendere trasparente ed ufficiale questo
processo. In passato, infatti, il riconoscimento della aumentata capacità professionale, così come è
stato disciplinato dalle leggi "di sanatoria", è stato talvolta esercitato più con spirito di benevola
9
assistenza che con vero riconoscimento dei meriti individuali ; ciò ha creato nei lavoratori un
diffuso scontento e, insieme, troppe aspettative.
Di conseguenza, occorre da un lato esaltare la possibilità che la formazione iniziale, dovuta ai titoli
di studio, sia affiancata, sostenuta e – quando occorre – sostituita da un processo di formazione
continua sul lavoro ; dall’altro, riservare comunque ai lavoratori dipendenti, anche in assenza del
titolo di studio, una concreta possibilità di carriera, lasciando loro anche l’opportunità di misurarsi
con gli aspiranti esterni.
Il doppio canale di accesso (dall’interno e dall’esterno) riservato ai dipendenti non in possesso di
titolo di studio, ma con una anzianità di 5 anni in categoria D risponde a questi requisiti.
10
5. Le EP
Ad una elevata professionalità non può non corrispondere una distinta disciplina.
Prima ancora
che dalla legge (D.Lgs. 165/2001), questo è richiesto dal buon senso. Non avrebbe giustificazione
dare a una categoria il grado di autonomia e di responsabilità sopra descritto e lasciarla poi regolata
dalle norme comuni a tutti i dipendenti.
Dopo un periodo di collaudo delle norme del nuovo ordinamento, il CCNL del 27.1.2005 ha
definitivamente delineato, con gli articoli da 33 a 38, la loro figura. Leggiamoli e commentiamoli
insieme.
ART. 33 – CATEGORIA EP
1. Il personale inquadrato nella categoria EP (Elevate Professionalità), destinatario della
presente sezione, costituisce una risorsa fondamentale per il perseguimento degli
obiettivi delle amministrazioni. Pertanto esso rappresenta un'area di particolare interesse
sotto il profilo contrattuale.
2. Nel caso in cui le amministrazioni conferiscano al personale inquadrato nella categoria EP
incarichi comportanti funzioni professionali che richiedono l'iscrizione a ordini professionali,
tale personale svolgerà la propria attività in conformità alle normative che disciplinano le
rispettive professioni, rispondendone a norma di legge, e secondo i singoli ordinamenti
professionali, con l'assunzione delle conseguenti responsabilità.
Si pone con questo articolo un principio fondamentale : per coloro che operano in funzione di
professionisti
valgono
le
regole
dell’ordine
professionale
di
normale
appartenenza.
L’Amministrazione non può assumere un medico (o un avvocato, o un ingegnere) per svolgere i
compiti propri della sua professione e poi regolare diversamente il suo lavoro.
Si tratta di una
limitazione importante al potere del datore di lavoro e di una ulteriore garanzia per il lavoratore.
ART. 34 – ORARIO DI LAVORO
1. Nell'ambito dell'assetto organizzativo delle Amministrazioni, il personale inquadrato nella
categoria EP assicura la propria presenza in servizio e organizza il proprio tempo di
lavoro
correlandoli
in
modo
flessibile
alle
esigenze
della
struttura,
all'espletamento
dell'incarico affidatogli e ai programmi da realizzare.
11
2. L'orario di lavoro è di 36 ore settimanali medie nell'arco di un trimestre. Eventuali assenze
riferibili alla fruizione di permessi retribuiti vengono conteggiate in misura di sei ore giornaliere
in caso di orario articolato su sei giorni, in misura di sette ore e 12 minuti in caso di orario
articolato su cinque giorni settimanali.
3. Qualora lo svolgimento dell'attività istituzionale debba realizzarsi al di fuori della sede di
servizio, tale circostanza sarà autocertificata dall'interessato con cadenza mensile.
4. L’eventuale superamento del monte ore trimestrale di cui al comma 2 sarà recuperato nel
trimestre successivo (comma aggiunto dal CCNL 28.3.2006)
E’, questo, un aspetto significativo : stabiliti gli indirizzi di lavoro della struttura, è l’EP che ad essi
adegua il proprio lavoro, decidendo in autonomia il proprio orario e le proprie presenze.
L’EP
risponde della sua produttività attraverso la retribuzione di risultato ; un comportamento tale da non
consentire utile risultato alla sua azione è censurato con la mancata erogazione della retribuzione,
non con un’azione disciplinare per difformità del cartellino marcatempo.
Anche qui, vale un
principio di buon senso elementare : l’EP non può pensare di svolgere il suo lavoro quando le
strutture sono chiuse o nel periodo di assenza del personale che alla struttura afferisce.
Ma
l’autodeterminazione di un orario che – a differenza di quello del dirigente – è prestabilito in 36 ore
medie settimanali è una conquista di professionalità che non va sottovalutata.
Né va sottovalutato il comma 4, che mette fine a un’annosa disputa. Poiché la retribuzione
accessoria dell’EP è costituita dalla retribuzione di posizione e di risultato, nelle quali sono
conglobati i proventi derivanti dallo straordinario, si riteneva che le ore in supero prestate non
dovessero essere retribuite né recuperate. Il comma fa giustizia di questa impostazione. L’EP ha
un salario onnicomprensivo, quindi non può ricevere pagamenti a titolo di lavoro straordinario ; ma
se lavora più delle 36 ore medie settimanali ha diritto a recuperare le ore in supero, che
costituirebbero illecito arricchimento dell’Amministrazione. Né si può negare all’EP di recuperare
l’intera giornata lavorativa, non perché si applichi quanto disposto per il restante personale in tema
di conto ore, ma perché egli ha diritto di autoregolare orari e presenze in servizio.
Art. 35 – FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
1. La formazione e l'aggiornamento professionale del personale della categoria EP sono assunti
dalle Amministrazioni come metodo permanente teso ad assicurare il costante adeguamento
12
delle competenze allo sviluppo del contesto culturale, tecnologico e organizzativo di
riferimento; conseguentemente, la partecipazione alle iniziative di formazione inserite in
appositi percorsi anche individuali, su proposta degli interessati o comunque, concordati con gli
organi statutari e/o con i dirigenti, viene considerata servizio utile a tutti gli effetti e i relativi
oneri sono a carico della Amministrazione.
2. Fino ad un massimo di 36 ore annue retribuite, da utilizzare in periodi compatibili con le
esigenze di servizio, al personale di cui al presente articolo può essere consentita la
partecipazione
a
qualificate
iniziative
di
aggiornamento
professionale
e
formazione.
L'Amministrazione deve formalizzare un eventuale, motivato diniego entro dieci giorni dalla
ricezione della comunicazione fatta dall'interessato. Qualora l'Amministrazione riconosca
l'effettiva connessione di tali iniziative con l'attività di servizio, può, nell'ambito delle proprie
disponibilità di bilancio, contribuire anche integralmente alla spesa sostenuta e debitamente
documentata.
L’articolo si commenta da sé. Vale solo la pena di sottolineare il rapporto che vi può essere tra le
iniziative di formazione dell’EP e quelle del resto del personale.
Queste, come è noto, sono
soggette a contrattazione che ne assicura, tra l’altro, l’utilizzo generalizzato e finalizzato anche alla
progressione orizzontale.
Nel caso dell’EP la formazione è autoprogrammata ; ma questo non
significa che egli possa consumare da solo le risorse destinate alla formazione di tutti.
Generalmente, ciò si ottiene tenendo distinte le spese per EP da quelle effettuate per il resto del
personale.
ART. 36 – ATTIVITA' DI RICERCA E DI STUDIO
1. Le Amministrazioni favoriscono la partecipazione del personale di categoria EP ai progetti
di ricerca finanziati da committenti pubblici o privati, all'interno delle strategie e dei
piani delle Amministrazioni stesse.
2.Il personale della categoria EP ha diritto ad essere riconosciuto autore o coautore delle
ricerche a cui lavora. Salvo che l'Amministrazione non ritenga di pubblicare i risultati della
ricerca nell'ambito dei propri programmi editoriali, l'autore ha diritto alla pubblicazione in
proprio, fatto salvo l'eventuale vincolo di segretezza.
3.
Le
Amministrazioni
considerano
di
particolare
interesse
ai
fini
dell'arricchimento
professionale lo svolgimento da parte del personale della categoria EP, delle attività elencate
13
all'art. 53, comma 6, lettere da a) a f), del D. Lgs. n. 165/2001, senza utilizzare le strutture
dell'Amministrazione stessa e fuori dell'orario di lavoro.
Destinato particolarmente alle EP tecniche, questo articolo ha applicazione per tutte le aree
nell’ultimo comma. Il riferimento al D.Lgs. n. 165/2001 significa questo : non sono incompatibili
con la struttura della retribuzione delle EP i compensi derivanti da :
a) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili ;
b) utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di
invenzioni industriali ;
c) partecipazione a convegni o seminari ,
d) incarichi per i quali è corrisposto il solo rimborso delle spese documentate
e) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di
comando o fuori ruolo
f) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in
aspettativa non retribuita.
L’elencazione è da considerarsi esaustiva.
ART. 37 - CONFERIMENTO E REVOCA DI INCARICHI AL PERSONALE DELLA
CATEGORIA EP
1. Le Amministrazioni conferiscono al personale della categoria EP incarichi comportanti
particolari responsabilità gestionali ovvero funzioni professionali richiedenti l'iscrizione ad ordini
professionali o, comunque, alta qualificazione e specializzazione.
2. Gli incarichi di cui al comma 1, fatti salvi quelli conferiti al personale di cui all'art. 28,
secondo gli appositi atti convenzionali {si tratta del personale dei policlinici e delle cliniche
convenzionate}, sono conferiti dal Direttore amministrativo o da altro organo individuato
secondo gli ordinamenti delle Amministrazioni - previa determinazione da parte delle
Amministrazioni medesime di criteri generali - per un periodo non superiore a 5 anni, con atto
scritto e motivato e possono essere rinnovati con le medesime formalità. Tali criteri generali
saranno oggetto di informazione e, a richiesta, di concertazione con i soggetti sindacali di cui
all'art. 9 del ccnl 9.8.2000.
3. Per il conferimento degli incarichi le Amministrazioni tengono conto – rispetto alle funzioni
ed alle attività da svolgere – della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei
14
requisiti culturali e professionali posseduti, delle attitudini, delle capacità professionali e
dell'esperienza acquisite dal personale della categoria EP.
4. Gli incarichi possono essere revocati prima della scadenza con atto scritto e motivato, in
relazione ad intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di specifico accertamento di
risultati negativi.
5. I risultati dell'attività svolta dai dipendenti cui siano stati attribuiti gli incarichi di cui al
presente articolo sono oggetto di valutazione annuale in base a criteri e procedure
predeterminati dall'Amministrazione, di cui deve essere data informazione ai soggetti sindacali
di cui all'art. 9 del ccnl 9.8.2000. La valutazione positiva dà titolo alla corresponsione della
retribuzione di risultato di cui al successivo articolo. Le Amministrazioni, prima di procedere
alla definitiva formalizzazione di una valutazione non positiva, acquisiscono in contraddittorio le
valutazioni del dipendente interessato anche assistito dalla organizzazione sindacale cui
aderisce o conferisce mandato o da persone di sua fiducia; la stessa procedura di
contraddittorio vale anche per la revoca anticipata dell'incarico di cui al comma 4.
6. La revoca o la cessazione dell'incarico comporta la perdita della connessa retribuzione
accessoria, fermo restando il diritto del dipendente di essere adibito a mansioni previste dalla
categoria di appartenenza, nonché il diritto alla retribuzione di posizione nella misura minima.
Elemento nodale della distinta disciplina della categoria EP, questo articolo la avvicina più di ogni
altro al trattamento economico-normativo della dirigenza.
Esso stabilisce il diritto dell’EP a un incarico formalmente conferito, di durata quinquennale,
commisurato a attitudini, capacità professionale ed esperienza acquisita e che può essere revocato
solo in caso di mutamenti organizzativi o di accertati risultati negativi.
Disciplina, quindi, la procedura da seguire per l’accertamento del risultato negativo, assicurando il
contraddittorio dell’interessato ; la stessa procedura si svolge anche nel caso di revoca anticipata per
mutamento organizzativo e dà garanzia di trasparenza e giustizia.
ART. 38 - RETRIBUZIONE DI POSIZIONE E RETRIBUZIONE DI RISULTATO
1. Il trattamento economico del personale della categoria EP è composto dall'indennità di
ateneo, dalla retribuzione di posizione, articolata al massimo su tre fasce, e dalla retribuzione
di risultato. La retribuzione di posizione e di risultato assorbono tutte le competenze accessorie
15
e le indennità, compreso il compenso per il lavoro straordinario e con l'esclusione dell'indennità
di ateneo, dell'indennità di rischio da radiazioni, e dei compensi che specifiche disposizioni di
legge finalizzano all'incentivazione di prestazioni o risultati del personale. L'importo della
retribuzione di posizione varia da un minimo di euro 3.099 ad un massimo di euro 12.912
annui lordi per tredici mensilità e spetta anche al personale con incarichi di studio e/o di
ricerca, previa opportuna ricognizione degli incarichi da parte del responsabile di settore al fine
di pervenire ad un'omogenea graduazione delle posizioni stesse.
2. L'importo minimo di posizione di cui al comma 1 è attribuito a tutto il personale
appartenente alla categoria EP. Gli importi superiori al minimo di posizione sono attribuiti in
corrispondenza dell'affidamento di incarichi correlati a particolari responsabilità gestionali
ovvero di funzioni professionali richiedenti l'iscrizione ad albi professionali o comunque alta
qualificazione o specializzazione. Ciascuna Amministrazione stabilisce la graduazione della
retribuzione di posizione in rapporto a ciascuna tipologia di incarico previamente individuata.
3.Salvo i casi di revoca dell'incarico per motivi disciplinari, oppure su richiesta del dipendente,
il mutamento dell'incarico ne comporta l'attribuzione di un altro equivalente in termini
economici, con ciò intendendosi l'attribuzione di un'indennità di posizione variabile in meno, di
norma, non oltre il 10%.
4. La retribuzione di risultato è finalizzata a remunerare i risultati espressi da ciascun
dipendente in termini di efficienza/produttività a seguito della valutazione effettuata secondo
quanto previsto dall'art. 37, comma 5. L'importo della retribuzione di risultato eventualmente
spettante è compreso tra il 10 % e il 30% della retribuzione di posizione attribuita.
5. Alla contrattazione integrativa è demandata la definizione dei criteri generali per le modalità
di determinazione dei valori retributivi collegati ai risultati e al raggiungimento degli obiettivi
assegnati e alla realizzazione di specifici progetti, nonché la verifica della sussistenza delle
condizioni per l'acquisizione delle risorse finanziarie da destinare all'ulteriore potenziamento dei
fondi.
6. Al finanziamento della retribuzione di posizione e della retribuzione di risultato è destinato in
ciascuna Amministrazione un apposito fondo, costituito come previsto dall'art. 62 del CCNL
9.8.2000.
Mi limito a sottolineare il contenuto del comma 3, mutuato appieno dal CCNL della dirigenza. Si
tratta della garanzia che il nuovo incarico non sia inferiore, in valore economico, al 90%
dell’incarico precedente.
16
Più di ogni altro, questo comma evidenzia l’investimento che le Organizzazioni Sindacali e gli
Atenei sono disposti a fare sulla figura professionale delle EP. I risultati ottenuti dal 2000 (anno di
entrata in vigore del nuovo ordinamento professionale universitario) e il 2007 danno ragione di
questo investimento : le EP, sia quelle assunte per pubblico concorso che quelle provenienti
dall’interno della categoria, hanno pienamente giustificato l’istituzione dei questa figura,
ottimizzando i servizi loro affidati.
Mi pare quindi giusto terminare questo breve corso invitando tutti voi – quelli che EP diventeranno
al termine del concorso e quelli che lo diventeranno in seguito – a prendere coscienza
dell’importanza del lavoro che andranno a svolgere.
17