numero 26 anno VII – 8 luglio 2015
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www.arcipelagomilano.org numero 26 anno VII – 8 luglio 2015 edizione stampabile www.arcipelagomilano.org SALA E IL BALLETTO TRAGICOMICO DEI NUMERI DI EXPO Luca Beltrami Gadola Già dopo le prime due settimane di apertura si era capito: il numero vero dei visitatori di Expo2015 sarebbe stato un mistero. Chi ovviamente ne dispone, Giuseppe Sala, pensa che siano un fatto personale, quasi che Expo fosse la sua bottega e non un evento nazionale e milanese realizzato con denaro pubblico e dunque dove la trasparenza dei dati non è un optional ma al contrario un atto dovuto. Probabilmente Sala ritiene che il numero dei visitatori sia il termometro del successo di Expo e quindi sia la sua pagella, sua e del gruppo dirigente che ha realizzato la manifestazione, tanto è vero che, preoccupato, ha inventato all’ultimo minuto l’ingresso serale a 5 euro: scelta nemmeno concordata con il Comune di Milano e che ha provocato polemiche e una certa irritazione da parte degli esercenti rappresentati da Confcommercio. Premesso che il numero dei visitatori non è l’unico indice di successo, si ha l’ennesima conferma dello squilibrio dei rapporti tra Expo e Comune dove la parte assegnata al Comune e alla cittadinanza sia in sostanza subalterna, una sorta padron di casa che affitta l’avita dimora per un “evento”, insomma una bella “location” come si dice ormai da qualche tempo, dimenticando l’italiano. Ma Milano non è solo una “location”, Milano ci ha messo del suo, ci ha messo il suo “brand” indispensabile che, come giustamente continua a predicare Stefano Rolando incaricato del Comune di promuovere appunto il “Brand Milano”, è un patrimonio collettivo della cittadinanza. Dunque Milano in Expo2015 è, quantomeno, un partner alla pari e di conseguenza sarebbe del tutto legittimo che i dati, tutti i dati, che concernono Expo siano resi noti senza tante storie: quanti i visitatori totali alla scadenza del mese, quanti visitatori per ogni mese, rispettivamente nella fascia dalle 10 alle 19 e dalle 19 alle 23 e fino alle 24 il sabato e i festivi. Contemporaneamente i dati degli incassi: quanti i biglietti venduti direttamente, quanti tramite agenzia e i relativi ricavi. Tacere è colpevole, dimostra scarso rispetto verso la città, grave anzi gravissimo per chi avrebbe come altri nello zaino il bastone di Maresciallo, la carica di Sindaco, ma che vorrebbe competere avvalendosi della posizione in Expo e della relativa visibilità. Ho avuto modo di accertare che questi dati vengono persino taciuti al Comune: spero di aver capito male e di essere smentito. La miglior smentita saranno la comunicazione dei dati stessi. Qualcuno dovrà anche giustificare tanta “resistenza”. Ma veniamo alle notizie di altra fonte su Expo e dintorni. Esercenti e taxisti sono i più critici: i primi accusano Expo di averli danneggiati con l’apertura dalle 19 alle 23 e fino alle 24 il sabato e i festivi, i secondi addirittura una riduzione del numero delle corse. Gli albergatori sono appena appena soddisfatti e forse si pentono di aver alzato troppo i prezzi, troppo alti per il turismo famigliare tipico delle esposizioni universali: per questo turismo, che è lo zoccolo duro di Expo, la parte del leone la fa Airbnb e l’ospitalità privata. In controtendenza i pagamenti con carta Visa sono aumentati, il che lascerebbe supporre l'arrivo di stranieri. Anche questo dato, il numero di visitatori stranieri, dovrebbe essere in qualche modo ufficializzato. Generalmente si nota una ricaduta fiacca sulla città da parte dei turisti di fuori Milano mentre i milanesi sono soddisfatti di Expo in Città, il progetto gestito da Comune e Camera di Commercio, che ha offerto, soprattutto a loro, migliaia di occasioni di cultura e di reciproca conoscenza tra attori culturali ed economici della città. Quel che si dice un effetto collaterale positivo che fa pendere ancora di più la bilancia verso il partner comunale di Expo. Un solo rammarico. Fin dal 2009 prese avvio un progetto dal titolo Expo diffusa e sostenibile e la prima presentazione del progetto di ricerca avvenne in occasione degli Stati Generali di Expo convocati da Formigoni nel luglio di quell’anno. La presentazione del progetto e della piattaforma di e-collaboration cofinanziata dalla Fondazione Cariplo e dal Politecnico è del dicembre 2010 cui seguì la pubblicazione/atlante di Expo Diffusa e Sostenibile nel febbraio 2011. Tutti ne parlarono e lo studio dell’architetto Emilio Battisti divenne la sede di un acceso dibattito. L’interesse fu generale e l’attenzione viva in tutti i luoghi di espressione della “cittadinanza attiva”. Un solo sordo in città: la dirigenza di Expo 2015. L’arroganza di chi non vuol dare ascolto a nessuno. Forse molte delle indicazioni emerse dal progetto Expo diffusa e sostenibile avrebbero garantito una maggior ricaduta su Milano e su di un territorio vasto. A novembre, quando una decisione sarà inevitabile, il destino delle aree del dopo Expo sarà ancora un caso di sordità istituzionale? CITTÀ METROPOLITANA E PIANO STRATEGICO: IL MOMENTO DELLE SCELTE Stefano Rolando Matteo Bolocan Goldstein, presidente del Centro Studi del PIM incaricato di dare attuazione "relazionata" alla redazione del Piano strategico della Città Metropolitana di Milano, ha messo meritoriamente intorno al tavolo una squadra interessante di soggetti universitari, consulenziali, professionali, associativi e ben inteso - istituzionali per fissare punti di metodo condivisi nel momento in cui il "piano" potrebbe diventare "proposta". n.26 VII 8 luglio 2015 Il dibattito ha prodotto un venticello di mescolamento tra dinamiche istituzionali (partiti, istituzioni, associazionismo della rappresentanza) e dinamiche esperienziali (conoscenza, volontariato, cultura di impresa, associazionismo civile) nel tentativo di stare nei vincoli della domanda (la brutta legge Delrio, un bilancio già in deficit prima di cominciare, il rischio di essere travolti dai luoghi comuni che l'imminente campagna elettorale potrebbe produrre al ri- guardo); ma anche di farsi contaminare da qualche istanza salvifica. Il solo inventario delle domande sugli esiti dei processi in corso (a cominciare da quella più ricorrente, cosa succederà dopo Expo?) è un contributo alla coesione metodologica del "cantiere". Ma serpeggia anche un obiettivo che corrisponde a un conflitto vero e che ci auguriamo superabile: i contorni della città metropolitana amministrativa non corrispondono a quelli della città metropolitana sociale-economica2 www.arcipelagomilano.org infrastrutturale e identitaria che riguarda gli assi Milano - Brescia e Milano - Bergamo, che investe integralmente l’area di Monza e Brianza e il lodigiano, che tocca nevralgicamente i corridoi di avvicinamento di grandi poli di urbanizzazione sovranazionali. Da questo punto di vista il mio contributo - cioè espresso al tavolo in rappresentanza del Comitato Brand Milano - sul rapporto tra cittadinanza e partecipazione a questo processo, che passa attraverso analisi e prefigurazione della condizione identitaria e attraverso la praticabilità di un vero dibattito pubblico (brand come narrazione del mutamento identitario) è accolto con interesse. Già questo mette in concreta connessione due cantieri nati diversi e fatti per collaborare. Ma la discussione avviata - con il contributo di chi ha sottomano i dati di omologhi cantieri importanti nel mondo, soprattutto con esperienze studiate e valutate - offre una possibilità maggiore. Offre cioè alla politica, ai media, alle imprese e a tutti i soggetti interessati, la possibilità di rinnovare profondamente la gerarchia dei fattori che una volta avrebbero occupato un "piano strategico territoriale" con i noti temi dell'urbanistica, dei trasporti, della casa e del lavoro, segnalando il rilievo dei fattori che nel mondo stanno diventando strategici: resilienza, sostenibilità, mobilità, identità, competitività. Si costituisce insomma una nuova mappa integrata che funzionerà se avrà centrato con realismo almeno il confine temporale del piano. Gli esempi internazionali non fanno testo, vanno da 3 a 30 anni. La data che la città metropolitana di Milano sceglierà dovrà essere intelligente e non improvvisata. Tanto nessun potere in una democrazia accettabile può immaginare di controllare progetto e attuazione di un simile processo. E siccome non si guarda a breve termine, neppure ci si deve fare condizionare dall’attuale geografia politica. Tanto che il vicesindaco della città metropolitana Eugenio Comincini, chiudendo i lavori, punta sui rapporti interistituzionali soprattutto legati alle connessioni progettuali dei cantieri metropolitani di Torino, Milano, Bologna e Venezia. UNA LISTA ELETTORALE PER LA CITTÀ METROPOLITANA Fiorello Cortiana Per Milano la Città Metropolitana è un suo sinonimo. Una rete di comuni, di insediamenti funzionali della ricerca e delle imprese, di università piuttosto che di centri ospedalieri, con una quotidiana relazione con i nodi amministrativi e di rappresentanza della Borsa piuttosto che della Camera del lavoro. Una rete di canali e rogge che i cistercensi tessevano con rispetto e logica mente l'urbanizzazione speculativa costringe periodicamente a esondare. Una cintura verde che ne fa la città di comuni più agricola d'Italia. Una intensa infrastruttura dei trasporti per i city users o, più prosaicamente, per centinaia di migliaia di pendolari che quotidianamente scommettono sul mezzo pubblico. Ebbene, al contrario, la Città Metropolitana come istituzione amministrativa non esiste o è un’entità lontana, comunque estranea agli abitanti dei comuni della metropoli. Siamo partiti da qui, dalla necessità di utilizzare la legge 56/2014 Delrio, che finalmente istituiva le Città Metropolitane, per farci i conti e avviare un percorso che la rendesse un’amministrazione innovativa in chiave democratica, cioè con una partecipazione informata al processo deliberativo. Oggi un sindaco eletto da un milione di cittadini ne governa tre milioni! Abbiamo messo a punto una "Proposta di legge d’iniziativa popolare per l’elezione diretta del sindaco e del consiglio della Città metropolitana" affinché questo processo costituente sia adeguato tanto alle sfide della competizione nel villaggio glo- n. 26 VII - 8 luglio 2015 cale, quanto alla necessità di colmare il deficit di legittimità democratica evidenziato dal numero di cittadini che non partecipano al voto. La legge 56/14 ha previsto la possibilità di ripristinare l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitana al verificarsi di alcune condizioni dipendenti dal comune capoluogo e dallo statuto metropolitano, con un sistema elettorale determinato con legge statale. Lo statuto approvato dal Consiglio Metropolitano ha approvato l'elezione diretta di sindaco e consiglieri, il comune capoluogo sta decidendo sul decentramento amministrativo, ma fino ad ora non c'è alcuna proposta di legge elettorale depositata alle Camere: la terza condizione posta dalla 56/2014. Con la loro firma in calce alla proposta di legge i cittadini da settembre avranno la possibilità di impegnare il Parlamento e il Governo, ovviando alla loro distrazione politica. Se il Parlamento approvasse la legge elettorale per le città metropolitane in tempo utile per il prossimo turno elettorale della primavera 2016, potrebbe esserci la possibilità di eleggere contestualmente il sindaco e consiglio metropolitani con il sindaco e i consigli comunali di Milano, Napoli e Torino. Il sistema elettorale che proponiamo è un maggioritario semplice, a collegio unico per il sindaco, con collegi uninominali per i consiglieri. Il secondo turno per il sindaco e per i consiglieri nei singoli collegi è previsto sempre se la partecipazione elettorale al primo turno è sotto la soglia del 50% degli aventi diritto. Ciò al fine di rafforzare il legame con il territorio e la prossimità tra elettori e politica pubblica. Nei collegi si procede al secondo turno anche quando nessun candidato consigliere ottiene al primo turno la maggioranza assoluta dei votanti. Al secondo turno per l’elezione del sindaco e dei consiglieri partecipano i primi tre candidati. L’elettore ha quindi a disposizione due schede elettorali differenti: una per il sindaco, uguale per tutta la città metropolitana e l’altra per il consiglio. Una proposta che rafforza il ruolo dell’Ente metropolitano, con un sindaco dotato di investitura popolare e consiglieri espressione dei territori, con un'ampia autonomia non essendo la loro elezione vincolata a quella del sindaco metropolitano. Non sono ammesse le candidature plurime dei candidati consiglieri. La parità di genere è richiesta ai candidati che condividono lo stesso simbolo di lista. Le elezioni sono indette dal sindaco uscente, con un congruo anticipo, almeno 90 giorni, per rafforzare il legame con il territorio. Il tempo necessario a consentire alla società civile e alle forze politiche di proporre le candidature e procedere alla raccolta delle adesioni. Così si avrebbe anche un tempo congruo per la risoluzione di eventuali contenziosi per consentire un regolare svolgimento della campagna elettorale. Altre caratteristiche della proposta sono: un quinto dei seggi riservato a garanzia di una rappresentanza plurale, e delle minoranze; le candida- 3 www.arcipelagomilano.org ture sottoscritte dagli elettori anche con l’utilizzo di modalità telematiche (PEC); l'elettorato passivo e attivo che comprende anche i cittadini di altri paesi dell’Unione Europea residenti in un comune della città metropolitana; il principio della trasparenza nelle candidature, con obbligo di documentare la posizione giudiziaria di ogni candidato e i programmi amministrativi; le dichiarazioni e la documentazione inerenti le candidature pubblicate e conservate sul sito internet della città metropolitana unitamente alla continua rendicontazione dell’attività amministrativa dell’eletto. La proposta di legge di iniziativa popolare abroga, infine, ogni riferimento all’elezione del sindaco e del consiglio metropolitani nella legge 56/14. Abbiamo definito un Comitato Promotore aperto e trasversale cui hanno già aderito esponenti istituzionali e civici di Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo. Con il completamento delle adesioni, da tutte le città metropolitane, entro fine luglio, depositeremo il testo della proposta di legge in Cassazione co- sì da partire con la raccolta delle firme a partire da settembre. I dipendenti e gli eletti delle amministrazioni locali potranno chiedere di svolgere la funzione di certificatori. Tutti i cittadini che pretendono una politica e degli eletti capaci di visione e che non si arrendono alla dissoluzione delle istituzioni democratiche, né a divenire periferie del comune capoluogo, possono contattarci per organizzare comitati aperti e tavoli per le firme. Membro del Comitato promotore LEGGE REGIONALE E CITTÀ METROPOLITANA: “FORSE CI SIAMO” Umberto Ambrosoli “Forse ci siamo”, è la frase che potremo probabilmente dire a settembre, quando - con oltre nove mesi di ritardo rispetto alle scadenze di legge - la Regione definirà l’assetto delle competenze che creeranno il nuovo equilibrio nei rapporti tra Regione, città metropolitana e Comuni coinvolti. “Forse ci siamo” solo per i tempi, non per la sostanza: questi mesi di ritardo, infatti, ben rappresentano la paura che il nuovo ente incute alla Regione, che si pone con tale stato d’animo a rallentare le potenzialità della nuova istituzione. Film già visto, proprio in questi giorni, al Pirellone, in occasione della discussione e approvazione della riforma delle autonomie: provvedimento timido sulle questioni di prospettiva, dalle zone omogenee alle comunità montane, oltre che immotivato e per nulla meditato sulla redistribuzione dei bacini ottimali in tema di trasporto. Come in tante occasioni ho avuto modo di sottolineare è proprio sulla gestione e il coordinamento delle reti di trasporto, sul tema sensibile della mobilità che sono nate e cre- sciute le grandi città metropolitane europee, da Londra a Barcellona. Ed anche per la Città metropolitana, la bozza illustrata dal Sottosegretario Gallera la scorsa settimana alla stampa è debole, carente, priva di coraggio. Non si vuole, ancora, lasciare alla Città metropolitana piena autorità riguardo questo tema: si ha paura di scelte potenzialmente impopolari nei singoli Comuni e - così facendo - si limita la possibilità dello sviluppo di una rete capace di servire il nuovo assetto della metropoli. Anche in tema di programmazione territoriale il progetto della Giunta rappresenta la paura che la Regione ha della Città metropolitana, la volontà di tenerla al guinzaglio: si è, infatti, prevista una pianificazione a cascata (regionale, cui si deve uniformare la metropoli con proprio atto, cui si devono uniformare i Comuni della metropoli), quando invece a voler valorizzare la nuova istituzione poteva bastare un parere di compatibilità richiesto dalla Città alla Regione. È invece condivisibile in linea di massima il progetto della Giunta per quanto riguarda il trasfe- rimento alla Regione delle funzioni in ordine ad Agricoltura, Foreste, Caccia e Pesca le Politiche culturali e altre connesse ad Ambiente ed Energia. Analizzeremo comunque le proposte della Giunta con grande attenzione, anche per comprendere la soluzione di quello che è il nodo cruciale: se la Regione intenderà da un lato farsi carico di tutte le risorse umane deputate nell’ex Provincia allo svolgimento di quelle funzioni che la Regione intenderà avocare e, dall’altro, destinare adeguate risorse economiche alla Città metropolitana per quelle che a essa trasferirà: infatti, l’allarme del Sindaco Pisapia deve trovare anche in Regione risposte tese a evitare il dissesto del nuovo ente. Alternativamente il nuovo ente, la cui origine normativa risale al 1994, sarà soffocato nelle sue potenzialità dall’incapacità della Regione di vederne la capacità dare nuova linfa all’economia e allo sviluppo di tutta la Lombardia. LA FUSIONE DEGLI AEREOPORTI LOMBARDI: A CHI GIOVA? Marco Ponti È stato lanciato un progetto di fusione societaria tre i due aeroporti di SEA, Linate e Malpensa, e Orio al Serio, già parzialmente di proprietà SEA. Di fatto, la fusione di tutti gli aeroporti del ricco bacino di utenza lombardo, con un traffico potenziale di 40 milioni di passeggeri/anno. Ora, la teoria economica, nella sua accezione più rozza, dice che la fusione tra imprese, o la loro cartellizzazione, generalmente giova alle imprese e danneggia gli utenti. In n. 26 VII - 8 luglio 2015 più, in questo caso si tratta di “monopoli naturali”, cioè non è che sorga una unità produttiva più grande, si tratta solo di una alleanza. Ci possono però essere due rilevanti eccezioni a questa rozza teoria, ma per invalidarla debbono valere entrambe. La prima è che la fusione deve conseguire economie di scala, o di scopo, o vantaggi organizzativi sicuri e rilevanti e questo giova alle imprese che si fondono, oltre all’ovvio vantaggio della ridotta concorrenza che dovranno affronta- re. Il secondo è che queste economie devono essere poi trasferiti all’utenza, non trattenuti dalle imprese. Questo può essere vero in settori ad elevata pressione concorrenziale: ci pensa proprio la concorrenza ad abbassare i prezzi. Ma questo è molto più dubbio in caso di monopoli naturali, per i quali la concorrenza opera pochissimo, tanto da richiedere autorità di regolazione apposite per tutelare gli utenti. E la riprova dell’esistenza di queste due condizioni non la si può 4 www.arcipelagomilano.org certo chiedere alle imprese interessate: a queste basta e avanza la ridotta concorrenza, quelle altre condizioni riguardano il benessere dei viaggiatori. La verifica, che deve essere fatta ex-ante, è un dovere dei decisori pubblici, e in particolare dovrebbe essere responsabilità dell’Autorità dei Trasporti. Infatti nel progetto di accurata analisi economica dell'ipotesi di fusione affidata dalle due società all’Università di Bergamo (molto competente nel settore), non sembra giustamente esserci traccia di qualcosa di diverso dagli interessi delle due società stesse. E qui emerge un vistoso conflitto di interessi, di cui sembra esserci scarsa coscienza in Italia: i proprietari delle due società sono prevalentemente pubblici. Questi proprie- tari hanno un ovvio interesse a massimizzare la redditività delle loro imprese, anche per nobili motivi, data la perdurante scarsità di risorse pubbliche. Ma la redditività in questo caso può coincidere con rendite monopolistiche, che ovviamente danneggiano gli utenti (di fatto, li derubano), oltre che la collettività in generale. Ci vuole una virtù eroica per immaginare comportamenti diversi da parte della proprietà. Il caso più clamoroso di logica di questo tipo può essere riscontrato per i quattro aeroporti di Londra. Furono privatizzati molti anni fa in blocco, proprio per capitalizzare sul valore monopolistico che questi avevano. Ma dopo altri anni, il governo verificò che la insufficiente concorrenza che si facevano tra loro danneggiava gli utenti, e costrinsero la proprietà a venderne due. Probabilmente un brutto tiro per gli investitori, ma fu giudicato allora dominante l’interesse degli utenti. Certo, l’Inghilterra è un paese culturalmente lontano dall’Italia. Ma davvero non sarebbe auspicabile che quei tre aeroporti lombardi si facessero tutti una guerra spietata, a colpi di buoni servizi, basse tariffe, e capacità di attrarre le compagnie aeree più dinamiche e competitive? I lombardi non starebbero meglio? E anche da un punto di vista strettamente economico, il pungolo competitivo potrebbe nel tempo a una maggior valorizzazione degli stessi capitali investiti. PROPRIETÀ, TERRA E AGRICOLTURA: I DIRITTI DELLE DONNE DA PECHINO A NEW YORK Rossana Scaricabarozzi* L’Expo si svolge in un anno importante per i diritti delle donne: ricorre infatti il 20° anniversario della 4° Conferenza Mondiale sulle donne, svoltasi a Pechino nel 1995 e considerata una milestone del lungo percorso ancora inconcluso per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere a livello globale; inoltre la comunità internazionale si appresta ad adottare impegni che definiranno la prossima agenda globale per lo sviluppo, post-scadenza degli Obiettivi di sviluppo del Millennio fissata per quest’anno. L’anniversario della Conferenza di Pechino è stata occasione per la 4° revisione degli avanzamenti e delle sfide che permangono rispetto alle 12 aree critiche incluse in quella che è comunemente nota come Piattaforma d’azione di Pechino, ancora oggi punto di riferimento per le azioni da intraprendere verso la realizzazione dei diritti delle donne e dunque un faro per la definizione dei futuri impegni contro la povertà e le ingiustizie sociali. Il tema del cibo e dell’agricoltura, al centro dell’Expo, è rilevante per varie delle 12 aree critiche della Piattaforma di Pechino: ad esempio la povertà femminile, l’economia e l’ambiente. Per questo il 10 luglio prossimo ActionAid e Women for Expo ospiteranno un evento dal titolo “2015: empowering women. La corsa per i diritti delle donne da Pechino a New York” al fine di creare un’occasione di dibattito sul tema del cibo collegandolo ai grandi processi internazionali del 2015. n. 26 VII - 8 luglio 2015 D’altra parte la review di Pechino ha rilevato che sebbene vi siano stati alcuni avanzamenti negli ultimi decenni, in particolare da un punto di vista normativo, complessivamente si è trattato di progressi “inaccettabilmente lenti”, accompagnati per giunta da rallentamenti e persino regressioni in alcuni contesti. Si rileva inoltre che le donne che vivono nelle aree rurali del mondo sono tra quelle che meno hanno beneficiato dei progressi nell’implementazione della Piattaforma d’azione di Pechino. ActionAid in anni di esperienza al fianco delle donne rurali in Africa, Asia e America Latina, ha identificato nel diritto alla terra un fattore chiave per l’empowerment delle donne rurali, la loro sicurezza alimentare e la loro possibilità di uscire da condizioni di povertà. Fattore che ha inoltre risvolti positivi anche per il godimento da parte delle donne di altri diritti fondamentali: la Special Rapporteur dell’ONU sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, ha evidenziato come la possibilità per le donne rurali di proteggersi dalla violenza richieda la realizzazione dei loro diritti socioeconomici, in particolare quelli inerenti alla proprietà ed eredità della terra. Alcuni studi evidenziano poi come le donne che hanno accesso, proprietà e controllo sulla terra e altri asset abbiano più possibilità di evitare relazioni che le espongono al rischio di contrarre l’HIV. Nonostante questo, la FAO rileva che ovunque al mondo la possibilità per le donne di accedere, controlla- re, possedere ed ereditare la terra su una base egualitaria rispetto agli uomini resta ancora oggi una delle principali sfide da affrontare: nonostante la mancanza di dati in molti Paesi, si stima infatti che in Africa sub-Sahariana in media solo il 15% degli agricoltori che hanno custodia sulla terra siano donne, in Nord Africa e in Asia occidentale meno del 5%, in alcuni Paesi del Sud-America come Cile, Ecuador e Panama il 25%. Inoltre gli appezzamenti di terra a cui le donne hanno accesso sono in genere più piccoli e di peggiore qualità rispetto a quelli degli uomini. Per far fronte a questo problema gli sforzi negli ultimi decenni sono andati verso riforme legislative per promuovere l’uguaglianza di genere nell’eredità e nella proprietà della terra. Tuttavia anche laddove esistono leggi a tutela dei diritti delle donne pratiche socio-culturali discriminatorie fanno sì che per le donne sia raro possedere un titolo di proprietà individuale o condiviso, e anche se ne sono in possesso, spesso non hanno possibilità di controllo e gestione della proprietà e dei relativi guadagni, o non hanno potere decisionale in merito all’uso della terra, nelle negoziazioni relative all’affitto e alla vendita della proprietà. A queste sfide se ne accompagnano altre, tra cui il recente fenomeno del land grabbing, o “furto della terra”, che consiste nell’acquisizione di terre su larga scala da parte di grandi investitori nei Paesi in via di sviluppo spesso senza previe con- 5 www.arcipelagomilano.org sultazioni con le comunità colpite e informazioni trasparenti sui progetti e loro conseguenze. I casi di land grabbing avvengono spesso in Paesi in cui la tutela dei diritti sulla terra è scarsa ed è facile immaginare come l’impatto sia peggiore per le donne. Se le sfide legate all’agricoltura e alle risorse naturali dovranno ne- cessariamente essere tra le priorità della prossima agenda per lo sviluppo, la definizione degli impegni della comunità internazionale non potrà prescindere dal tenere conto della dimensione di genere dei problemi da superare. L’Expo a sua volta in questo contesto, avendo scelto il nutrimento globale come tema centrale, non può prescindere dal proporsi anche come spazio di dibattito sulle problematiche ad esso connesse, che riguardano le donne in particolar modo: povertà, fame e disuguaglianze. *Responsabile del programma per i diritti delle donne di ActionAid Italia MILANO SOCIAL STREET: IL BOOM Francesco Floris «I miei vicini di casa li ho conosciuti prima su Facebook che sul pianerottolo». In due parole ecco il Social Street, gruppi Facebook legati a vie cittadine o quartieri dove ricostruire quello che un tempo si chiamava “buon vicinato”. Lo racconta Cristina Pasqualini, ricercatrice di Sociologia generale dell’Università Cattolica di Milano, che da ottobre 2014 dirige la prima ricerca italiana totalmente autofinanziata e dedicata al mondo delle Social Street, dal titolo Vicini e connessi. Alla scoperta del vivere social. Il gruppo di studio è formato da altri due ricercatori - Fabio Introini e Nicoletta Pavesi - oltre a un nutrito manipolo di specializzandi e dottorandi che si è dato il nome di GRISS (Gruppo Ricercatori Social Street). Realizzano analisi quantitative, questionari e interviste con amministratori e iscritti ai gruppi. Ma anche passeggiate etnografiche, per toccare con mano i problemi materiali nei quartieri di Milano dove si sono organizzate queste forme di “buon vicinato virtuale”. «Ma dal virtuale si passa al reale» puntualizza la Pasqualini, perché «se Facebook nasce o viene utilizzato in particolare per ristabilire i rapporti con persone lontane nello spazio ma comunque conosciute, le Social Street utilizzano la rete per incontrare sconosciuti che però sono fisicamente vicini, che abitano o lavorano nello stesso quartiere, nella stessa strada«. E che hanno inte- ressi in comune come il prestito di oggetti, la “Banca del Tempo”, cioè la possibilità di scambiarsi competenze e professionalità, far conoscere i rispettivi figli. E ancora, recensire i migliori ristoranti di zona o quelli più economici, coltivare orti urbani, aperitivi sociali - recentemente la Social Street di via Maiocchi ne ha organizzato uno assieme a SOS Emergenza Rifugiati Milano, l’associazione che opera coi profughi della Stazione Centrale. Il primo gruppo è nato a Bologna nel 2013, “Residenti in via Fondazza”, da un’idea di Luigi Nardacchione e Federico Bastiani - quest'ultimo a gennaio insignito del Premio Campione 2015 alla presenza del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Le “strade sociali” sono un fenomeno emergente. Ancora non esistono pubblicazioni scientifiche ma cresce l’attenzione da parte di alcuni fra i grandi maestri della sociologia: Anthony Giddens, Marc Augè, Richard Sennett e Rob Hopkins, il fondatore delle Transition Town. Un’idea italiana che si sta propagando in giro per l’Europa. «Esistevano strade sociali anche prima del 2013 - per esempio a Londra - ma questa forma specifica, con tanto di “marchio” e criteri per poter accedere alla dicitura “Social Street”, è una peculiarità italiana». Dato che risulta anche dai confronti della dottoressa Pasqualini con colleghi internazionali. Da qualche mese, tuttavia, le strade sociali hanno preso piede anche oltre le Alpi. «Ce ne sono 19 a livello mondiale di cui 9 nel Vecchio Continente. In molte città europee stiamo assistendo a fenomeni di imitazione: a Ginevra in Svizzera, in Croazia, Francia, Nottingham in Inghilterra, a Barcellona, tre in Portogallo e proprio a metà giugno è nata la prima irlandese nella città di Galway». A Milano il fenomeno è letteralmente esploso: «In otto mesi abbiamo censito 62 Social Street, oltre alle due collocate a San Donato Milanese. Le più numerose come San Gottardo, Lambrate e Maiocchi contano anche 1500 iscritti l’una». Non tutte hanno successo. «53 sono attive, 9 non più. Conca del Naviglio è poco attiva perché il fondatore per ragioni lavorative si è trasferito in altre regioni e non c'è stato passaggio di testimone, quella di Largo la Foppa è completamente chiusa, in quella di via Vincenzo Monti l’adesione è stata minima”. I flop si verificano nelle aree di uffici o in quelle abitate da professionisti, «per un mix di diffidenza e mancanza di tempo». Attecchiscono, invece, a ridosso delle zone centrali di Milano: «Nel centro storico non ce n’è nemmeno una, le circoscrizioni più coperte sono zona 3 (Città Studi, Lambrate), zona 4 (Vittoria, Forlanini) e zona 6 (Barona, Lorenteggio)». Per continuare a leggere l'articolo su Linkiesta clicca qui LA MIGRAZIONE DI FUNZIONI PREGIATE, I NAVIGLI E LA MILANO FUTURA Giuseppe Bonomi Confesso: sono uno dei firmatari proponenti i 4 referendum di Milanosimuove. Sono fermamente convinto della bontà del primo quesito (sui Nuovi Alloggi Sociali), più tiepido sugli altri, e sono perplesso su quello relativo alla riapertura dei Navigli, ma essendo convinto della validità del principio referendario, voltairianamente mi batto perché si n. 26 VII - 8 luglio 2015 possa esprimere anche chi la pensa diversamente da me. Rimane da affrontare il tema di garantire una corretta e adeguata informazione affinché la scelta sia consapevole, ma non è su questo che vorrei proporre una riflessione, quanto piuttosto sulla riapertura dei Navigli. Le considerazioni che Giorgio Goggi ha espresso il 24 giugno scorso so- no interessanti e in buona misura condivisibili, ma credo che Goggi non affronti un aspetto più generale: come interagirebbe tale diverso assetto della struttura delle vie di comunicazione con la trasformazione in atto della città? La riapertura dei Navigli andrebbe materialmente a ritagliare una quasi-isola del centro storico circon- 6 www.arcipelagomilano.org dandola dall’acqua: se la rete dei Navigli aveva diversi significati e funzioni all’epoca della sua realizzazione, oggi dovrebbe rispondere a mutate esigenze estetiche, ambientali, artistiche (e probabilmente me ne sfuggono altre): sono tutte singolarmente condivisibili, ma sono sufficienti a giustificare tale investimento/cambiamento? Gli studi svolti hanno certamente affrontato questo aspetto, ma temo che le variabili sottostanti siano troppo volatili, in quanto è la città stessa come quadro di riferimento che sarà oggetto di forte trasformazione. Nei prossimi anni, o meglio decenni, la quasi-isola del Centro Storico cosa diventerà? È evidente il fenomeno dello spostamento di molte funzioni terziarie (bancarie in primo luogo, Unicredit credo sia un apripista, non un caso isolato) verso nuove ubicazioni in nuove centralità esterne, dovuta a nuove condizioni ed esigenze che la congestione (e il valore) del centro non offrono più. La domanda che mi pongo è: cosa sarà, chi e come utilizzerà il centro storico di Milano liberato da grandi superfici di uffici di alto standing? La risposta determinerà una ritrasformazione epocale del centro storico, tanto quanto lo fu la precedente, tra il dopoguerra e gli anni duemila, che ha forzatamente e dispendiosamente trasformato palazzi residenziali d’epoca in lussuosi uffici, sedi di prestigio. Provo a immaginare cosa potrebbe diventare il centro di Milano perimetrato dai “nuovi”Navigli: una cittadella residenziale di lusso, o un enorme shopping mall del lusso, o una centro del leisure regionale, o forse una sovrapposizione inquietante e difficilmente amalgamabile delle tre funzioni. La migliore accessibilità che il trasporto pubblico dovrebbe poter assicurare è condizione necessaria a qualsiasi soluzione, ma non è sufficiente a garantirne nessuna. I valori immobiliari del centro oggi non appaiono più un’opportunità quanto piuttosto un vincolo: nati da una stratificazione di funzioni qualificate, servizi, investimenti, oggi costituiscono un capitale che non solo i privati, ma tutta la collettività non può permettersi di dissipare. Rimane quindi aperta la domanda: cosa sarà il centro di Milano nei prossimi decenni? Che funzione urbana assumerà in un nuovo assetto territoriale che oggi va addirittura affrontato in chiave metropolitana? Se nessuno ha una risposta pronta (e sensata), forse è il caso di affrontare il tema partendo dal metodo attraverso il quale trovare la soluzione, che sia l’indire gli “Stati Generali della città metropolitana”? (a proposito, che esiti hanno avuto gli Stati Generali di Morattiana memoria?), o una revisione del PGT che sia veramente attento alle dinamiche di trasformazione del territorio e che provi almeno a prevederle. Quello che mi sembra da evitare è che la scelta sulla apertura dei Navigli sia fatta sulla base di una rappresentazione iconografica dettata dal desiderio (velleitario) di ricostruire un immagine storica (e non vorrei che un giorno la Sovrindendenza si svegliasse e imponesse un vincolo di ripristino e di restauro conservativo generale …) motivandola con possibili, future funzionalità potenziali. Detto tutto questo, sono d’accordo nel dire che (forse) Milano sarebbe più affascinante. VITTORIO GREGOTTI E L'IDENTITÀ DI MILANO Cristoforo Bono Il notevole articolo di Vittorio Gregotti, apparso sul Corriere della Sera di mercoledì 17 giugno scorso, rischia di restare una pagina perduta, una voce incastonata della griglia editoriale che va sotto la specie di Cultura e spettacoli, che non lascia tracce il giorno dopo. Il titolo poi, ovviamente editoriale e non scelto dall’autore, addirittura scoraggia il lettore frettoloso: ecco, anche il vecchio Gregotti ha fiducia nella “città che sale”, e quindi via, sorvoliamo. E invece l’articolo va letto e riletto; esso si presenta nella forma di un saggio breve, e come tale potrebbe (e forse dovrebbe) suscitare un dibattito, principiare un forum. E forse, dato il delicato momento nella storia delle città d’Italia, e data l’occasione di Expo, doveva essere posto in prima pagina, sotto un altro titolo, tipo “l’incerta identità e l’incognito futuro di Milano”. Gregotti indica in esordio le tre ragioni per le quali “Milano è una città sulla cui identità è molto difficile discutere”, e dopo averne esaminato le dinamiche e “la mescolanza di tensioni politiche, amministrative, economiche”, passa al cuore del tema: una sorta di critica strutturalistica al nuovo macro volume della n. 26 VII - 8 luglio 2015 fondazione Treccani: "Milano Expo 2015. La città al centro del mondo". La critica è radicale anche se indiretta, spesso affidata agli incisi e alle parentesi; il tono è garbato e contenuto, ma la problematica c’è tutta: e non è di poco conto nella evidenza delle questioni aperte e non risolte. Tra due parentesi, ad esempio, è chiaramente detto: “nei tre testi introduttivi l’Expo 2015 è imprudentemente annunciata come simbolo del futuro di Milano”. La conclusione dell’articolo è altrettanto chiara: “Il mio commento vuole comunque mettere in luce che, in ogni modo, questo volume rappresenterà una testimonianza importante del modo, assai particolare ma prevalentemente dominato dalla visibilità mercantile, con il quale si guarda in questi anni alla città di Milano, anziché criticamente al suo stato, al suo disegno urbano, al suo sviluppo e al futuro della sua società e dei suoi valori”. E anche il suggello finale non è certo un DO di petto, mentre richiama “la nostra fiducia in una Milano migliore, anche se non è ben chiaro quale sia questo futuro”. Perfetta ars retorica dell’articolo, il cui messaggio è: potevo farne una stronca- tura, mi accontento di mettere il dito sulla piaga. Ovviamente, come in ogni buon saggio, il Gregotti mette in luce anche i pregi dell’opera, loda la buona impostazione storiografica, cita i validi contributi di Carlo Bertelli, di Sandrina Bandera, una calzante definizione di Marco Romano; e il buon lavoro di un settore fotografico: anche se, nell’insieme dell’opera, egli nota, le restanti immagini fotografiche sono fredde, senza l’affetto e la vita dei luoghi “e, ambiguamente, negano la mescolanza e le sovrapposizioni”: le quali darebbero un diverso e più veritiero senso alla città costruita. La critica di fondo (e quindi lo stimolo per un dibattito) che si evince dalla lettura dell’articolo riguarda, a mio modo di vedere, le coordinate all’intersezione delle quali oggi si tende a porre la dinamica della “modernità” e della sua tradizione; entro le quali anche quest’opera si pone. Sono coordinate sfasate rispetto a quelle di un autentico sviluppo o progresso. Sono le linee della globalizzazione transnazionale, non mondiale e vissuta in presa diretta, attivando nei contesti reti strette. Le linee e i punti di un consumismo bizzarro, in luogo 7 www.arcipelagomilano.org della autentica ricerca dei luoghi. Uno sfasamento dello spaziotempo, dove e quando la sperimentazione virtuosa è sostituita dal tentativo fine a se stesso. Non si sa bene ancora quale sarà il destino dell’area Expo, per dire di un punto; non si sa ancora bene, per dirla nell’insieme, se sarà la “grande Milano” a vincerla: cioè la continuità che tracima nell’hinterand, o “Milano la grande”: cioè il vero policentrismo. Milano la grande era anche lo stereotipo rinascimentale della città (Venezia la ricca, Bologna la dotta, et cetera): locuzione ben più stimolante della legge per le città metropolitane. Oppure, per scendere, invece, alle più profonde radici della nostra modernità, potremmo ricordare la “Città considerata come principio ideale delle istorie italiane”. PERCHÈ STARE IN UN PARTITO SE POSSO ANDARE ALLA CENA IN BIANCO Giulia Mattace Raso Se è una banca - francese - “la banca per un mondo che cambia” che “idea e produce” (anche) a Milano mostre incontri, manifesti sulle nuove forme dell’innovazione, che raccoglie esperienze, le teorizza con un team attivo tra Parigi San Francisco e Shangai, unità di sperimentazione che semina e raccoglie idee di futuro, per metterle a frutto nel vero senso della parola, ti domandi perché. Poi intuisci che oggettivamente è il suo business gestire la ricchezza, ma abbisogna che qualcuno la produca. E quindi via mettiamoci a studiare come si può fare in un modo nuovo, che quello attuale ci ha portato a sbattere. Diamo spazio alla “Jugaad Innovation: Pensa frugale, sii flessibile, genera una crescita dirompente”, ai nuovi modi di organizzarsi, alle cinque correnti della ingegnosità collettiva - co-creazione, movimento dei maker, economia della condivisione, economia circolare, economia inclusiva - per fare di più con meno. E ti accorgi che di quello a Milano già vive: “Abbiamo bensì osservato come esperienze già radicate nei territori che spesso consideriamo "di confine" stiano generando un impatto tangibile, concreto, misurabile nella costruzione di modelli differenti di collaborazione e organizzazione. Le esperienze di Wave, quelle esposte nella mostra e quelle raccontate durante gli incontri, ci dicono che gruppi non-convenzionali, visionari, animati da un numero di persone spesso molto ridotto, si stanno dando da fare per creare oggi un modo più inclusivo, più condiviso, più intraprendente.” Il più con meno: poche regole condivise (tutti di bianco vestiti, tutti portano cibo e vettovaglie, tutti ordinatamente disposti) ed ecco che in città si da una festa principesca. Una comunità che abita spazi pubblici, si raccoglie velocemente grazie ai social, che condivide, si emoziona insieme e torna a vivere il suo quotidiano (e in fondo non è stato così anche per la marcia del cif o per l’invasione delle lanterne?). Una città laboriosa, pronta a emozionar- n. 26 VII - 8 luglio 2015 si: un quotidiano serrato che non rinuncia alla poesia o alla indignazione, condivise, pubblicamente. “Quando parliamo di economia inclusiva pensiamo alla capacità di coinvolgere basata sull’ascolto dell’altro e sulla volontà di tenere in considerazione il contributo di tutti, senza giudicare ciò che a prima vista ci sembra fuori luogo. In una linea, l’ingegnosità collettiva ci impone inclusione, ovvero ci impone di fare attività di progetto con qualcuno, non per qualcuno. Che cosa significa? Significa che quando si progetta per qualcuno si impone un punto di vista. Quando si progetta con qualcuno si costruisce una relazione in cui i punti di vista si moltiplicano, le difficoltà crescono, ma il valore è condiviso. Potremmo candidare questo processo come una delle prime caratteristiche dello stile promosso da Wave Milano.” Se la risposta alla crisi economica ha generato nuove categorie di sviluppo per nuovi modelli di organizzazione, quale strategia stanno adottando i partiti in risposta alla crisi di rappresentanza? Quale tipo di innovazione sono pronti ad indossare? Stanno elaborando nuove forme di collaborazione e organizzazione? Il nesso economia e organizzazione non è peregrino per i partiti, perché diventa la cartina tornasole della forma partito. I tesorieri che si trovano a fronteggiare la nuova legge sul finanziamento pubblico ai partiti, ne diventano più o meno consapevolmente ideologi. Di fronte agli scandali recenti nessuno ha osato lanciare una campagna a favore della raccolta del 2 per mille, a maggior ragione con il Movimento 5 Stelle che prospera a dispetto di finanziamenti pubblici e in assenza di sedi, ma sempre con il timore di non doversi trovare di nuovo a fronteggiare un miliardario disposto a tappezzare la città di costosissimi manifesti 6x3. La risorsa ultima è quella del tesseramento: l’impostazione dominante che vede il partito come un comitato elettorale lo ipotizza con i vantaggi del club. Ma allora se mi chiedono la quota di iscrizione per pagare l’affitto del circolo mi stanno offrendo una lounge? Se mi fanno lo sconto per il biglietto Expo, faccio parte di un gruppo di acquisto? Mi tessero per avere i vantaggi degli affiliati? Mortifichiamo l’idea di partito su un modello di business? Si organizzano tavoli circolari per favorire lo scambio e l’orizzontalità delle relazioni, ma tra i tavoli di leopoldiana memoria e i tavoli di una cena di fundraising all’americana il confine è sibillinamente labile. Alla domanda che cosa è un partito, quale la sua funzione, come può stare in piedi è stata data una risposta controcorrente dai Luoghi Ideali, la traversata capitanata da Fabrizio Barca che ha sperimentato nuovi modi per organizzare un partito scommettendo che “è possibile costruire un patto fra persone – un partito, appunto – in cui l’interesse particolare è ammaestrato a servire un interesse collettivo” La risposta dell’innovazione alla crisi afferma “non possiamo più accontentarci di produrre cose, occorre anche progettare relazioni”, e sicuramente questo un partito deve saper fare: progettare relazioni, di questo si tratta. “Mentre le associazioni - è la loro forza - curano interessi specifici (integrazione sociale, educazione, salvaguardia di diritti, tutela di ambiente e cultura, inserimento lavorativo, e molti altri ancora), il partito-palestra assicura il confronto fra quegli interessi: all'interno di un sistema di valori condivisi (di parte), riconosce e valorizza il conflitto fra interessi e soluzioni divergenti e si specializza nel raggiungere un accordo ragionevole fra essi. Solo in questo modo si riescono ad acquisire consenso, forza e capacità di orientamento – l’egemonia – per riequilibrare il potere economico che è altrimenti condizionante nella nostra società. E possono crescere gruppi dirigenti capaci di costruire il difficile ponte fra società e Stato, capaci cioè di “fare politica”, e poi magari di governare con competenza.”. 8 www.arcipelagomilano.org Scrive Anna Cini a proposito del Giardino dei Giusti Sono un membro della commissione didattica di Gariwo e scrivo a titolo personale ma basandomi su idee condivise dalla commissione a cui appartengo. La prima osservazione che mi viene da fare riguarda l'espediente retorico particolarmente efficace quanto decisamente fuorviante del paragone fra monte Stella è il giardino di Boboli fatto da Giancarlo Consonni e Graziella Tonon. Qualcuno direbbe: che ci azzecca? Non mi risulta per esempio che il Giardino di Boboli sia adibito a luogo di allenamento per podisti e atleti come invece accade al giardino di Monte Stella. Ma non è il caso di soffermarsi sugli espedienti retorici. Parliamo dei contenuti. Si sostiene che Gariwo per suoi imperscrutabili motivi vorrebbe modificare la sua linea di condotta nei confronti della gestione del giardino. Addirittura che vuole manomettere un patrimonio di inestimabile valore. Quanto alla prima tesi si può anche concedere che Gariwo nel processo delle sue attività rivolte alla popolazione in generale e ai giovani in particolare si sia trovata nella necessità di adattare al crescente successo delle sue iniziative anche i mezzi da usare affinché queste iniziative sia- no il più efficaci possibile. Di fronte a questo successo qualunque democratico e sostenitore dei diritti umani dovrebbe essere contento, perché si tratta di un successo della società civile, di una crescita della coscienza collettiva e non certo di un vacuo pavoneggiarsi da parte della nostra associazione. Non è qui il caso di dilungarsi sulle numerose iniziative anche a livello internazionale di cui Gariwo è stata capofila. Basti solo dire che la giornata europea dei giusti è dovuta esclusivamente all'inventiva, alla tenacia e alla determinazione di Gabriele Nissim presidente di Gariwo. Di fronte a questa realtà in evoluzione diventa importantissimo porsi il problema di come adeguarsi alle sfide che essa pone. Non c'è alcuna smania di protagonismo dietro la richiesta di Gariwo di adeguare la struttura della balza del Monte Stella che ospita il giardino dei giusti al crescente uso che del giardino per fortuna si fa. Si tratta di assecondare un incremento costante di visite delle scolaresche della Lombardia mediante un più agevole percorso e rendendo più decoroso il sito. Che c'è di male se di questo luogo si fa anche un ambiente per confrontarsi, informarsi e meditare? Si dice: si può continuare lasciando tutto allo stato attuale, altrimenti ne va della bellezza e armonia del parco. Faccio presente che il progetto attuale scaturisce dalle modifiche apportate al progetto iniziale a seguito delle critiche da parte dei cittadini residenti nella zona. Capisco che se si sente parlare di muri muretti totem e quant'altro si drizzano le orecchie, ma se si guarda al rapporto reale fra il verde che noi stessi curiamo e incrementiamo e le proposte di evidenziazione dei percorsi mediante interventi del tutto compatibili con l'ambiente, ci si rende conto che l'allarme lanciato da un gruppo di cittadini risulta pretestuoso e soprattutto fuori misura. Per finire tengo a sottolineare un fatto. Gariwo è fortemente impegnata in un'opera di diffusione della cultura dei diritti umani e ha da anni trovato il suo referente principale nel mondo della scuola dove si educa la coscienza civile dei giovani. Quanto più si amplia la platea di ascolto di Gariwo tanto più c'è la speranza che si possa andare nella direzione di una umanità più giusta. Scrive Arnaldo Trinchero a proposito del sindaco di Milano Un esempio di esponente della “borghesia milanese” che senza mettersi troppo in mostra ha fatto realizzare dai suoi tutta una serie di interventi che altri avrebbero messo su una felpa o ci avrebbero fatto lavorare tutta la comunicazione disponibile. Ebbene lui non lo ha fatto, non ha cercato la popolarità basata su interventi necessari e anche se piccoli, numerosissimi. Credo che Pisapia verrà ricordato come Sindaco alla pari di quelli che tutti ricordano, se lo merita. Ai miei amici ho già detto che se ci sarà campagna politica nazionale o loca- le stile Salvini sindaco di Milano, chiederò immediatamente di cambiare residenza. È un piccolissimo paese nel triangolo lariano, pieno di leghisti ma senza felpe da imbecille. Buona fortuna. MUSICA questa rubrica è a cura di Paolo Viola [email protected] Gershwin e Bernstein In un clima musicalmente grigio come quello che stiamo vivendo da quasi un secolo, in cui la musica colta del novecento e quella contemporanea sono spesso incomprensibili e raramente luminose, in cui sembra esser venuta meno la gioia di vivere che nei secoli passati n. 26 VII - 8 luglio 2015 la musica sia classica che romantica sapeva trasmettere così bene (tanto che finiamo per essere spesso spinti verso il peggiore conservatorismo), il concerto della Verdi della scorsa settimana, dedicato esclusivamente a musiche di Gershwin e di Bernstein, ha prodotto uno straordi- nario scoppio di allegria e di positività. In programma c’erano tre capolavori arcinoti - il Concerto in Fa (1925) e Un americano a Parigi (1928) di George Gershwin e le Danze Sinfoniche dalla West Side Story (1957) di Leonard Bernstein - e uno meno 9 www.arcipelagomilano.org noto ma non meno entusiasmante come la Ouverture Cubana (1932), sempre dell’autore della famosissima Rapsodia in blu. Dunque una vera e propria full immersion nel clima musicale dell’epoca in cui gli Stati Uniti - fra grande depressione e guerra mondiale - non hanno certamente vissuto tempi molto brillanti e ciononostante la forza vitale, l’ottimismo e la gioiosità della loro musica dimostravano come il paese avesse le energie necessarie per far fronte a tutte le avversità. Protagonista assoluto del concerto un direttore d’orchestra il cui nome non è ancora scolpito nella testa dei musicofili milanesi ma che va tenuto in mente perché ha espresso qualità inusuali e tali da non poter non credere al suo futuro. Si chiama Carlo Tenan, non è più giovanissimo (sembra un trentenne ma è del 1969), esce anche lui dalle fila delle orchestre (è stato oboista sia al Comunale di Bologna che alla Scala di Milano), colleziona diplomi (in pianoforte, oboe, direzione d’orchestra, composizione e musica elettronica) e svolge un’attività molto variegata fra direzione, composizione e insegnamento (a Roma, Bologna, Milano). Il suo curriculum lo dà formato alla scuola di Lorin Maazel - il direttore americano morto ottantaquattrenne giusto un anno fa - ma non può sfuggire come l’approccio direttoriale, i suoi gesti e le espressioni anche mimiche ricordino Claudio Abbado al quale dunque sembra debitore più che a Maazel. Devo riconoscere - contraddicendomi con quanto scrissi tempo fa in questa rubrica - che la provenienza di molti direttori di nuova generazione dalle fila dell’orchestra non sembra per nulla pregiudizievole, anzi. Già lo dissi di Bignamini (ex clarinetto piccolo della Verdi e oggi uno dei suoi acclamati direttori), lo ripeto ora a proposito di Tenan, la dimestichezza con il lavoro “in” orchestra aiuta molto il direttore a tessere il dialogo con i colleghi, gli consente una maggiore conoscenza delle problematiche tecniche, lo spinge a un atteggia- mento più collaborativo che dittatoriale. Nelle opere di Gershwin e di Bernstein Tenan si è trovato perfettamente a proprio agio, sintetizzando – o meglio tenendo in perfetto equilibrio – le anime classiche e jazzistiche dei due compositori, restituendo agli ascoltatori la freschezza e la prorompente vitalità della loro musica (formidabile, ad esempio, l’abilità con cui ha preparato l’entrata in scena del celeberrimo tema di charleston affidato da Gershwin alla tromba solista per descrivere l’incontro fortuito del turista americano con un suo conterraneo). Qualche perplessità invece è emersa nel meraviglioso Concerto in Fa per pianoforte e orchestra, eseguito alla tastiera da Emanuele Arciuli, esperto gershwiniano, cinquant’anni appena compiuti, leccese che insegna a Bari e che si è creato una solida reputazione di ottimo interprete della musica americana. Perplessità non tanto dovute alla professionalità del pianista quanto alla non perfetta intesa fra questi e il direttore. Erano due Gershwin diversi fra loro, un dialogo fra due intelligenze che sembravano non condividere i fondamentali della partitura, due interpretazioni altrettanto legittime che, sovrapponendosi e contrastandosi, non permettevano di goderne l’esito. I ritmi precisi e il fraseggio rigoroso di Tenan non si sposavano alla melodiosità romantica di Arciuli, i tempi del primo non legavano con la libertà di espressione del secondo; la discrepanza è risultata molto evidente nell’attacco rallentato e nei molti rubati del solista, forse un po’ troppi, che non hanno trovato riscontro nell’accompagnamento orchestrale. È mancata la sintesi fra le due letture che pure avrebbero dovuto e potuto trovare un punto di incontro nel reciproco rispetto, anche contrapponendosi. Così non è stato. Il secondo tempo ci ha offerto tutt’altro genere, quello del famosissimo musical di Bernstein. West Side Story è un grande capolavoro, spesso dato con superficialità e trat- tato come musica leggera o come balletto; è invece una moderna e complessa opera lirica di grande spessore, che qualcuno ricorderà nella bella edizione della Scala nel 2000, agli Arcimboldi, ma ancor più nell’edizione che chiamerei leggendaria del Festival di Bregenz del 2003, resa indimenticabile dalla gigantesca scena che riproduceva Manhattan (prodigiosamente installata sul palcoscenico apparentemente galleggiante che caratterizza quel festival), dal cast di cantanti e ballerini americani specializzati in quell’opera, sopratutto dall’atmosfera magica che ogni estate il tramonto riesce miracolosamente a creare sulla riva del lago di Costanza! A proposito di Leonard Bernstein (1918-1990), mi preme sottolineare come raramente lo si accosti ad altri compositori come Kurt Weill (19001950), Dmitrij Šostakovič (19061975), Nino Rota (1911-1979) o Benjamin Britten (1913-1976), di poco più vecchi di lui, che con la loro vita hanno riempito il secolo scorso, e che - pur vissuti in mondi e in situazioni incomparabilmente diverse, quando non diametralmente opposte - hanno in comune la capacità di creare straordinarie melodie e di essersi sottratti prima alle lusinghe della dodecafonia e poi ai diktat della scuola di Darmstadt. Il concerto si è concluso con il travolgente Americano a Parigi che ha suscitato un entusiasmo e una allegria tali che l’orchestra ha dovuto concedere il bis del finale! E a proposito dell’orchestra non posso non segnalare l’impeccabile prestazione delle parti solistiche che abbondano soprattutto in Gershwin: per citarne alcune ricordo il melodioso violino di Luca Santaniello, il timpano assolutamente perfetto di Viviana Mologni, la voce suadente della tromba di Alessandro Caruana. L’orchestra tutta in realtà ha dimostrato grande passione e versatilità in un programma non facile e non proprio usuale. ARTE questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi [email protected] Allucinazioni estive e spinosauri nel parco Se in un caldo pomeriggio d’estate state passeggiando nei Giardini Pubblici, imputerete al caldo la visione dello Spinosauro a grandezza n. 26 VII - 8 luglio 2015 naturale che divora un pesce. O forse penserete di essere finiti nel remake di Jurassic Park. Ma non si tratta né delle alte temperature, né di un set cinematografico: si tratta invece della nuova mostra “Spinosaurus. Il gigante perduto del Cretaceo”, frutto della collaborazione tra 10 www.arcipelagomilano.org Museo di Storia Naturale di Milano, National Geographic Society, University of Chicago, e Geo-Model. L’esposizione rappresenta l’occasione ideale per riaprire alla cittadinanza e al pubblico il prestigioso Palazzo Dugnani, che fu nell’Ottocento la prima sede del Museo di Storia Naturale di Milano e che diventa ora sede distaccata dello stesso, dedicata alle mostre temporanee. L’allestimento milanese è una versione ampliata di quello statunitense e focalizza l’importanza del contributo italiano nella lunga vicenda degli studi su Spinosaurus: iniziata nel 1912 con i primi ritrovamenti di Ernst Stromer e bruscamente interrotta con la distruzione dei reperti durante la seconda guerra mondiale. Questa affascinate avventura è ricominciata nel 2005, con lo studio di un enorme muso di questa specie, conservato al Museo di Storia Naturale di Milano, ed è continuata nel 2008, grazie a un nuovo esemplare scoperto nel deserto del Sahara, e studiato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science. Le “star” assolute della mostra sono il modello in grandezza naturale del dinosauro, riprodotto secondo l’aspetto “in vivo”, e la riproduzione completa dello scheletro lunga 15 metri, ottenuta attraverso la scansione dei fossili e la stampa 3D, e, per la prima volta, sono anche esposti esemplari mai visti delle collezioni del Museo di Storia Naturale di Milano, messi a disposizione dai Conservatori delle varie sezioni. A guidare il visitatore tra i siti remoti, gli esemplari fossili e le avveniristiche tecniche di studio vi sono i filmati originali degli scavi e delle ricerche nel deserto di Kem-Kem (Marocco), la storia delle scoperte precedenti, con la ricostruzione dell’ufficio del paleontologo Stromer, modelli anatomici virtuali, animazioni e un’accurata pannellistica in ita- liano e inglese, oltre a un servizio di iniziative didattiche mirate, rivolto alle classi di ogni ordine e grado e un’offerta di visite guidate con operatori specializzati. Tra le varie iniziative nell’ultima stanza sono ospitate le tecnologie contemporanee usate dagli studiosi per ricreare modelli 3d di ossa e animali, per la gioia dei più piccoli (e dei più grandi) qua può essere acquistata la riproduzione del volto dello Spinosauro perché faccia compagnia nella calda estate milanese. Valeria Barilli - Benedetta Marchesi Spinosaurus. Il gigante perduto del Cretaceo Palazzo Dugnani, via Manin Milano lunedì dalle 9:30 alle 13:30* martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica dalle 9:30 alle 19:30* giovedì dalle 9:30 alle 22:30* (* l'ultimo ingresso un'ora prima della chiusura) Biglietti € 10,00/€ 8,00/€ 5,00/Omaggio Alla Gam non si spara sul pittore (e neanche sul pianista) È una mostra che sorprende Don’t Shoot the Painter. Dipinti dalla UBS Art Collection, curata da Francesco Bonami e ospitata alla GAM dal 17 giugno al 4 ottobre, non solo per l’altissimo livello qualitativo delle opere esposte ma anche, e forse soprattutto, per l’innovazione dell’allestimento. Le pareti delle sale al piano terra sono coperte da gigantografie che riproducono le sale della GAM come sono quando ospitano la collezione permanente del museo e su di esse, come in una quadreria ottocentesca, i dipinti della collezione UBS. Un dialogo generazionale dove le collezioni ottocentesche accolgono e danno risalto al contemporaneo, attribuendo ad esso un valore ancora nuovo. L’esposizione è un omaggio alla pittura contemporanea e riunisce per la prima volta alla GAM di Milano oltre cento tra i maggiori capolavori della UBS Art Collection di novantu- no artisti internazionali, dallo sguardo fotografico di Thomas Struth all’arte neo espressionista di JeanMichel Basquiat. In mostra, visibili per la prima volta al pubblico italiano, oltre 100 tra le maggiori opere della UBS Art Collection dagli anni ‘60 ad oggi di 91 artisti internazionali fra cui John Armleder, John Baldessari, Jean-Michel Basquiat, Max Bill, Michaël Borremans, Alice Channer, Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Günther Förg, Gilbert & George, Katharina Grosse, Andreas Gursky, Damien Hirst, Alex Katz, Bharti Kher, Gerhard Richter, Thomas Struth, Hiroshi Sugimoto, per citare alcuni nomi. Il titolo, Don’t Shoot the Painter, è un riferimento ironico alla frase “don’t shoot the pianist” che spesso compare nei saloon dei film western: ogni volta che le idee e i linguaggi dell’arte si confondono e rendendo difficile decifrare il signifi- cato degli elementi in gioco, la pittura torna sulla scena per riportare l’attenzione su ciò che è facilmente riconoscibile e interpretabile da tutti, esattamente come la musica del pianista nei film western riporta l’ordine nel caos del saloon. La mostra durerà fino alla fine dell’estate, in questi mesi di caldo cogliete l’occasione, andate a fare una passeggiata al parco di Palestro ed entrate a sbirciare la mostra (acquistando il biglietto per il museo l’ingresso è gratuito): non ne rimarrete delusi! Don’t Shoot the Painter. Dipinti dalla UBS Art Collection GAM Galleria d’Arte Moderna di Milano via Palestro 1 martedì – domenica 9:00 - 19.30 giovedì apertura straordinaria mostra fino alle 22.30 biglietto intero € 5,00 biglietto ridotto € 3,00 Ingresso gratuito ogni giorno dalle ore 16.30 e tutti i martedì dalle ore 14.00 Il principe dei sogni Defilata rispetto alla grande retrospettiva dedicata a Leonardo e meno “milanese” rispetto alla mostra dedicata all’Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, nella Sala delle Cariatidi al Palazzo Reale di Milano è racchiusa una mostra gioiello: quella da titolo “Il Principe dei sogni. Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino”. Nella grande sala monumentale sono radunati, dopo centocinquanta anni, i 20 a- n. 26 VII - 8 luglio 2015 razzi cinquecenteschi commissionati da Cosimo de' Medici per raccontare la storia del personaggio biblico di Giuseppe, le cui vicende sono narrate nella Genesi. L’esposizione è curata da Louis Godart e riunisce l'intero ciclo di arazzi che i Savoia avevano diviso nel 1882 tra Firenze e il Palazzo del Quirinale; grazie all’impegno della Presidenza della Repubblica Italiana e del Comune di Firenze, i grandi panneggi tornano a essere esposti insieme in una mostra unica. Dopo la tappa di Roma, nel Salone dei Corazzieri del Palazzo del Quirinale, sono a Milano e successivamente a Firenze nella Sala dei Duecento di Palazzo Vecchio dal 15 settembre 2015 fino al 15 febbraio 2016. Nella grande sala decorata gli imponenti arazzi riempiono le pareti e nella semioscurità i colori dei tessuti risplendono. Questa serie di panni 11 www.arcipelagomilano.org monumentali, oggetto di un complesso e pluridecennale restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e il Laboratorio Arazzi del Quirinale, rappresenta una delle più alte testimonianze dell’artigianato e dell’arte rinascimentale. Gli arazzi con le Storie di Giuseppe vennero commissionati da Cosimo I de’ Medici tra il 1545 e il 1553 per la Sala dei Duecento di Palazzo Vecchio a Firenze. I disegni preparatori furono affidati ai maggiori artisti del tempo, primo fra tutti il Pontormo. Ma le prove predisposte da quest’ultimo non piacquero a Cosimo I, che decise di rivolgersi ad Agnolo Bronzino, allievo del Pontormo e già pitto- re di corte, e a cui si deve parte dell’impianto narrativo della serie. Tessuti alla metà del XVI secolo nella manifattura granducale, tra le prime istituite in Italia, furono realizzati dai maestri arazzieri fiamminghi Jan Rost e Nicolas Karcher sui cartoni forniti da Agnolo Bronzino, Jacopo Pontormo e Francesco Salviati. Un'occasione per immergersi nella bellezza, intensa e rara, di opere che oltre che di arte parlano anche di maestria artigiana e soprattutto della storia d'Italia, attraverso la vicenda esemplare di Giuseppe, degli artisti che lo hanno immaginato e dei committenti che hanno finanziato il lavoro. Audioguide e didascalie guidano il visitatore in un percorso alla scoperta della bellezza e della maestria artigiana del cinquecento fiorentino, senza perdersi in dettagli specialistici o ad appannaggio esclusivo degli addetti ai lavori. Il principe dei sogni Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino fino al 23.08.15 Palazzo Reale Lunedì 14.30 -19.30 Martedì mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30 Giovedì e sabato 9.30 – 22.30 La Fondazione Prada e la rigenerazione culturale di Milano Il 9 maggio il sempre più vasto mosaico culturale di Milano si è arricchito di un importantissimo e preziosissimo tassello: la Fondazione Prada. La celebre stilista Miuccia Prada e il marito Patrizio Bertelli hanno regalato al capoluogo lombardo uno dei più interessanti interventi culturali visti in Italia in materia di arte, ma anche di architettura e, soprattutto, di rigenerazione urbana. Le vecchie distillerie di inizio Novecento sono state restaurate, ristrutturate, trasformate e integrate per offrire ai visitatori una superficie di 19.000 mq dove trovano posto non soltanto spazi espositivi per le varie mostre temporanee, ma anche un cinema, un’area didattica dedicata ai bambini, una biblioteca e il Bar Luce concepito dal regista Wes Anderson che si ispira ai celebri caffè meneghini e già diventato “cult” nel giro di pochi giorni. La molteplicità e la versatilità degli spazi della Fondazione consentono un’offerta culturale estremamente variegata. Sono attualmente aperte al pubblico le mostre “An Introduction”, nata da un dialogo fra Miuccia Prada e Germano Celant, “In Part” a cura di Nicholas Cullinan e le installazioni permanenti di Robert Gober e di Louise Bourgeois presso la “Haunted House”, una struttura preesistente che, rivestita di uno strato di foglia d’oro, acquista un’aura altamente immaginifica e imprime un segno forte ed evidente nel paesaggio urbano di Milano. Ma è “Serial Classic” la mostra più sorprendente: Miuccia Prada abbandona momentaneamente la passione per il contemporaneo per rivolgersi al passato, all’arte antica dove sono scolpite le origini della nostra cultura. Salvatore Settis e Anna Anguissola curano magistralmente una mostra che presenta l’ambiguo rapporto fra l’originale e la copia nell’arte greca e romana. Un allestimento geniale presenta più di sessanta opere che dialogano fra di loro e con lo spazio esterno circostante attraverso ampie vetrate. Il modello perduto, giustamente sfocato, giunge ai nostri giorni attraverso le innumerevoli imitazioni, emulazioni o interpretazioni commissionate dalla ricca aristocrazia romana. Ed ecco che il solido blocco di marmo prende vita e si circonda di un’aura di sacralità ancora oggi percettibile. Gli spazi rivisti da Rem Koolhaas e dal suo studio OMA consentono a una vecchia fabbrica di trovare nuova vita in un tempio che ospita personaggi della mitologia, guerrieri e divinità quali Venere e Apollo con opere provenienti dai più importanti musei del mondo, dai Vaticani al Louvre. La Fondazione Prada diventa oggi il modello di quella inevitabile e illuminata collaborazione che deve esserci fra pubblico e privato per il beneficio dei cittadini milanesi, italiani e di tutti i visitatori stranieri che iniziano a intravedere nel laboratorio creativo di Milano la nuova Capitale Europea. Giordano Conticelli Fondazione Prada - Largo Isarco 2 Milano (M3 Lodi T.I.B.B.) orari: tutti i giorni h10-21 biglietti: 10€ ridotto 8€ gratuito minori 18 anni e maggiori di 65 L’Africa si mostra a Milano L’Africa approda a Milano con una mostra allestita nel nuovo Mudec, il Museo delle Culture che ha finalmente aperto i suoi battenti dopo 12 anni di agognati lavori. Il capoluogo lombardo, a breve al centro del mondo come sede dell’Esposizione Universale, afferma la propria identità di città multietnica, bacino delle tante culture che negli ultimi decenni si sono andate a integrare nell’antico e complesso tessuto urbano di Milano. “Africa. Terra degli spiriti” è un interessante progetto espositivo che raccoglie circa 270 manufatti e che da il via alla vivace n. 26 VII - 8 luglio 2015 stagione culturale milanese organizzata durante i mesi di EXPO 2015. La mostra si articola in vari ambienti presentando le affascinanti sfaccettature della cultura subsahariana dalle figure reliquiario alle armi, dagli altari vudu alle celeberrime maschere utilizzate durante le danze e le cerimonie religiose. Sorprendenti risultano essere alcuni manufatti come cucchiai e olifanti realizzati interamente in avorio ed eseguiti con un altissimo e raffinatissimo livello qualitativo. Interessante è anche il progetto d’allestimento che tenta di creare un’atmosfera intima e infondere un profondo senso religioso nel visitatore. Convincente è la soluzione adottata nella prima sala dove sono esposte figure custodite all’interno di teche cilindriche sorrette da una struttura che vuole forse richiamare le affascinanti e impenetrabili foreste di questo continente. Da notare anche l’utilizzo di alcuni effetti sonori come il frinire dei grilli o il penetrante ritmo delle percussioni, espedienti che aiutano il visitatore a immergersi nella ancestrale cultura africana. Unica interazione tra opere esposte e pubblico è 12 www.arcipelagomilano.org la possibilità che ha quest’ultimo di far rivivere le divinità di un altare vudu. Come suggerisce Claudia Zevi attraverso l’audio guida distribuita gratuitamente, il visitatore è invitato a lasciare un oggetto personale in segno di devozione per manufatti che riescono ancora oggi a serbare in sé un elevato valore sacrale. La fretta di inaugurare ha, però, determinato la presenza di alcuni errori, minimi dettagli a cui bisognerebbe prestare sempre la massima attenzione. Grazie a una buona e suggestiva illuminazione, i singoli reperti sono facilmente fruibili nonostante la presenza, in alcuni casi, di polvere e di impronte lasciate sulla superficie delle teche. Di difficile lettura risultano essere, inoltre, alcuni pannelli, ora velati da un sottile tessuto reticolato, ora posti in una zona d’ombra, lontano del cono di luce. Alcune didascalie sono poste al livello della superficie di calpestio, elemento che porta il visitatore a doversi sforzare per leggerle. Tutti questi aspetti di disturbo non vanno, comunque, a intaccare una mostra che nel complesso risulta essere un ottimo progetto curatoriale, di enorme interesse per Milano che si conferma città internazionale e che si affaccia con prepotenza sulla società globale contemporanea. Giordano Conticelli Africa - la terra degli spiriti fino al 30 agosto 2015 MUDEC Museo delle culture via Tortona 56 Milano orari lunedì 14.30-19.30 martedì/mercoledì/venerdì /domenica 9.3019.30 giovedì e sabato 9.30-22.30 biglietti 15/13 euro LIBRI questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero [email protected] Raphael Jerusalmy I cacciatori di libri edizioni e/o, 2014, pp. 272, euro 16,50 Si narra che chi per primo acquisirà i testi antichi greci e romani provenienti dal Medio Oriente avrà la supremazia del mondo conosciuto. Siamo nel 1462, il re di Francia Luigi XI , alleato alla potente famiglia dei Medici di Firenze, contende questo primato al Papa di Roma. Tutti si ingegnano per avere emissari eruditi e spavaldi per andare in Terrasanta, alla fonte del sapere dopo la caduta di Costantinopoli. Là esiste una Confraternita segreta, detta della "Gerusalemme sottostante" che riunisce sapienti ebrei, monaci europei, arabi, tutti eruditi che si applicano sui testi fino allora conosciuti, da Platone in poi, in un sodalizio impensabile tra oriente e occidente. Gli ebrei in particolare hanno una grande parte nella vicenda, per la spregiudicatezza delle alleanze nello scegliere i conoscitori, che con competenza e passione siano in grado di trattare un testo valido dal punto di vista filosofico o scientifico. Qui entra in scena il noto poeta licenzioso maledetto, autore della Ballata des Pendus, François Villon, un avventuriero capace di ammaliare con la potenza dei suoi versi principi e cortigiani. Egli era una ribaldo che si trasformava di fronte alla bellezza di un libro antico, che per sue frequentazioni passate, conosceva molto bene. Il vescovo di Parigi in persona, inviato dal re Luigi XI, lo andò a prelevare in prigione, mentre trentunenne era in attesa dell'impiccagione, per inviarlo in Oriente a compiere le sua missione di cacciatore di libri. Fu così che entrò in contatto con il noto tipografo tedesco Fust, con stamperie ovunque, ma non in Francia: che accettò di collaborare con lui e gli altri , fornendo molti testi preziosi per vetustà e argomento. Molti altri personaggi entrano in scena a comporre un mosaico articolato in una geografia che spazia dall'Europa alla Terrasanta: rabbini dall'aspetto atletico, una schiava berbera seduttrice dagli occhi a mandorla ammaliatrice di Villon, noto per la sua debolezza nei confronti del gentil sesso, una sequela di eruditi inchiodati su manoscritti millenari e polverosi, per tramandare a noi posteri un sapere antico e imprescindibile. Tra varie altre peripezie veniamo trasportati nella caverna dove sono custoditi i libri degli Esseni, che ci parlano del sacerdote Anna e delle ultime parole di Cristo, prima di cadere nelle mani di Pilato. Testo fondamentale, se solo fosse veritiero. E mentre la compagnia inviata dal re Francese ritorna in Europa, con il prezioso carico di testi rinvenuti, Villon viene trattenuto ancora in Terrasanta, e per fargli accettare il cambio di programma, gli fanno ritrovare la schiava berbera Aisha, che mentre lui scrive nella grotta che farà loro da casa, lo accudisce amorosamente, alimentando la sua immaginazione ... . Un testo sorprendente ai nostri occhi, ignari perlopiù come siamo della aspra vita dei libri nell'antichità, vita salvaguardata dal coraggio e la spavalderia di pochi eletti, a volte ribaldi ma saldi nella loro fiducia nei confronti della parola scritta. SIPARIO questa rubrica è a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi [email protected] 58 spettacoli in 18 giorni! La Milano del teatro salta l’abituale letargo estivo e quest’anno resta viva anche a luglio, grazie a Expo. n. 26 VII - 8 luglio 2015 L’iniziativa del comune, il cosiddetto “Padiglione Teatri”, presenterà in un unico cartellone, dal 13 al 30 luglio, 58 spettacoli prodotti da 58 diverse compagnie e teatri milanesi, tutti in 13 www.arcipelagomilano.org scena per un solo giorno al Franco Parenti o all’Elfo Puccini. Quando ho sentito per la prima volta di questa iniziativa ho pensato “Bella idea!”, però subito dopo mi sono detto: “Un attimo, ma ci sono davvero 58 compagnie pronte a rappresentare la Milano teatrale e a mostrare un loro lavoro al pubblico internazionale? Non ci sarà il solito rischio italiano per cui - per includere tutti - si livella la qualità verso il basso?” E in effetti, oltre ai teatri che presentano una loro produzione, alcune compagnie di conclamata fama nazionale e altri giovani gruppi emergenti, ci sono una manciata di ensemble di cui io non ho mai neanche sentito parlare. Certo, il fatto che non ne abbia sentito parlare io direte voi - non ha un gran valore statistico (e nemmeno - grazie a Dio - qualitativo), però il dubbio che siano un po’ tanti spettacoli in un po’ pochi giorni resta: c’è il forte rischio di affastellamento. La faccia positiva della medaglia, però, è che viene offerta una foto- grafia abbastanza ampia e variegata dell’ecosistema teatrale milanese, una rete complessa, intrecciata e piena di vitalità. Difficile dare dei consigli, anche perché essendo le repliche in data secca, è probabile che ognuno andrà a vedere “quello che riesce”. Però ci provo lo stesso segnalando alcuni spettacoli da non perdere partendo, ovviamente, dalla festa del 13 luglio al Franco Parenti organizzata da IT - Independent Theatre. Martedì 14 all’Elfo Puccini il TeatroI con “Deve trattarsi di autentico amore per la vita”, monologo interpretato da Federica Fracassi. Mercoledì 15 all’Elfo Puccini la compagnia Animanera con “Fine famiglia” di Magdalena Barile. Giovedì 16 al Franco Parenti il CRT con “L’insonne” da Agotha Kristof, regia di Claudio Autelli. Venerdì 17 all’Elfo Puccini “Eros e Thanatos”, testo e regia di Serena Sinigaglia. Lunedì 20 al Franco Parenti la danza della Fattoria Vittadini con “To this purpose only”. Martedì 21 all’Elfo Puccini il Teatro della Cooperativa con “Chicago boys”, regia di Renato Sarti. Mercoledì 22 all’Elfo Puccini “NERDS” del Teatro Filodrammatici, testo e regia di Bruno Fornasari. Venerdì 24 all’Elfo Puccini “Peperoni difficili”, testo e regia di Rosario Lisma, con in scena fra gli altri Anna Della Rosa. Venerdì 24 al Franco Parenti “Shakespeare a merenda” di Elena Russo Arman. Martedì 28 all’Elfo Puccini “Il sugo della storia” prodotto da Proxima Res. Consapevole di aver sicuramente (e involontariamente) dimenticato qualcosa di imperdibile, vi auguro una buona estate. Emanuele Aldrovandi per il programma completo clicca qui CINEMA questa rubrica è curata da Anonimi Milanesi [email protected] Cinema sotto le stelle È ripresa la programmazione del cinema all'aperto di Milano con Arianteo: segnaliamo due titoli in programmazione lunedì 13 e martedì 14 a Porta Genova c/o il Mercato Metropolitano (via Valenza 2) h 21.30 LO STRAORDINARIO VIAGGIO DI T.S. SPIVET di Jean-Pierre Jeunet [Canada Francia, 2013, 105'] con Helena Bonham Carter, Judy Davis, Callum Keith Rennie, Kyle Catlett, Niamh Wilson Dopo “Il favoloso mondo di Amelie” e “La città perduta” Jeunet ci regala ancora una festa per gli occhi, come lo ha definito il Guardian, un mondo prodigo di meraviglie e sorprese inconsuete, che è valso al film diversi premi e nomination per i Cesar francesi per fotografia, scenografia e costumi. Film di ispirazione letteraria, tratto dal romanzo Le mappe dei miei sogni (The Selected Works of T.S. Spivet) opera prima di Reif Larsen, ci conduce per mano a scoprire n. 26 VII - 8 luglio 2015 un’America sconosciuta con gli occhi spalancati e curiosi di un bambino. Persone e personaggi, non solo luoghi, che in realtà sono in gran parte di terra canadese, proprio per mantenere una certa verginità e ampiezza del paesaggio rurale. T.S. Spivet (Kyle Catlett) è un piccolo inventore appassionato di cartografia e fisica, che vive e cresce in campagna, nel Montana, da decenne prodigio, in una famiglia bizzarra e fuori dal comune, con una madre naturalista che studia gli insetti e distrugge tostapane, un padre cowboy un po’ fuori dal tempo, una sorella che vuole diventare una star, un fratello gemello compagno di giochi per poco. È amato dalla sua famiglia e va a scuola come tutti i bambini della sua età, e non gli importa più di tanto non essere compreso dal suo insegnante che lo ritiene affetto da un complesso di superiorità e non sopporta il suo genio. La sua migliore invenzione, uno strumento geniale che riproduce il moto perpetuo, fa vincere al talentuoso ragazzino un premio rinomato riservato a scienziati e accademici consumati, e lui parte per Washin- gton, attraversando gli USA su un treno merci, o grazie a passaggi su tir cromati, per andare a ritirare l’ambito premio e tenere il discorso di rito davanti a una giuria inizialmente inconsapevole che lui sia soltanto un bambino. È un film completamente segnato e riempito dal bambino speciale T.S., anche voce narrante, ma soprattutto sguardo che si rispecchia nella fotografia di Delbonnel (storico compagno di avventure cinematografiche di Jeunet) carica di colori intensi e di oggetti, e di movimenti di macchina che riproducono la mobilità e la curiosità degli occhi del ragazzino. Il piccolo protagonista, sensibile e empatico e caratterizzato da una fortissima fotogenia, è circondato da comprimari d’eccezione che reggono a meraviglia il ruolo di ‘spalla’: su tutti Helena Bonham Carter, dolcissima madre con le sue magnifiche ossessioni per i coleotteri, a cui viene affidata anche la parte più commovente del film. Adele H. 14 www.arcipelagomilano.org È ARRIVATA MIA FIGLIA di Anna Muylaert [Brasile, 2015, 114'] con Regina Case, Michel Joelsas, Karine Teles, Lourenço Mutarelli Val lavora come governante presso una famiglia ricca di San Paolo composta da un padre pseudoartista che vive di rendita, una madre giornalista di moda in carriera e un ragazzo un po' perditempo. La donna si prende cura della casa, una lussuosa villa con piscina, e di Fabinho, il figlio dei padroni che ha cresciuto come suo. Il ragazzo ha la stessa età di Jessica, la figlia che ha affidato a parenti nel nord est del Brasile e che mantiene con il suo lavoro. Entrambi i giovani devono sostenere l'esame per accedere all'università. Jessica vuole diventare architetto e studiare nell'ateneo di San Paolo. In attesa di trovare una sistemazione starà con la madre che non vede da più di dieci anni. Giunta a San Paolo, la giovane è meraviglia- ta dal lusso della casa, una vera villa razionalista, e anche dalla sistemazione della madre, uno stanzino stipato in cui lei dovrebbe dormire su un materasso per terra. Sfacciatamente chiede ai proprietari aperti e democratici se può occupare la suite degli ospiti. Il padrone di casa, colpito dalla ragazza, glielo concede. Con naturalità la giovane accede a spazi e servizi che sono socialmente negati alla madre e che la mettono in imbarazzo: Val si ritrova a servire a tavola la figlia e il suo padrone come se Jessica se membro della famiglia padronale. La donna non si raccapezza, sa che nei rapporti di classe ci sono linee che non si possono oltrepassare, lei sa stare al suo posto ma quella ragazza che addirittura fa il bagno in piscina con Fabinho e un suo amico la mette in cattiva luce presso Donna Barbara. Su pressioni della padrona urge trovare una sistemazione esterna a Jessica. Val si trova tra due fuochi: Donna Barbara che le ricorda le regole di comportamento e la figlia che di queste regole se ne infischia e sollecita la madre a ritrovare una dignità calpestata. L'arrivo di Jessica è stato uno sconquasso, lei ha superato il test universitario, Fabinho no, in più ha seminato dubbi con il suo comportamento "sovversivo". In Val comincia una rivoluzione silenziosa che non può essere fermata. La regista Anna Muylaert ha saputo, attraverso una commedia ironica, occhieggiare a dinamiche complesse e sottrarsi a facili umorismi, stereotipi e cliché. Bravissime le attrici protagoniste specie Regina Casé nei panni di Val e Camila Márdila nel ruolo di Jessica per cui ha ottenuto un premio al Festival di Sundance. Il film ha ricevuto anche l'audience award a Berlino. Dorothy Parker IL FOTO RACCONTO DI URBAN FILE VIA TORINO: UNA FERITA CHIUSA BENE http://blog.urbanfile.org/2015/07/05/zona-centro-storico-il-nuovo-palazzo-di-via-torino/ STORIE DIGITALI UN TRAM CHE SI CHIAMA 22 https://youtu.be/xdvzr1V0jYE?list=PLOunRc2i0A_gOt3qw-rn38pR2khpY45Nh n. 26 VII - 8 luglio 2015 15