X Anniversario di Episcopato Concattedrale S. Paolo apostolo
Transcript
X Anniversario di Episcopato Concattedrale S. Paolo apostolo
X Anniversario di Episcopato Concattedrale S. Paolo apostolo, Monterusciello - 9 gennaio 2009 Fratelli e sorelle carissimi, grazie perché siete con me questa sera a ringraziare Dio per il dono dell'episcopato, che Egli mi ha fatto. Con Maria, che con la discrezione e la fedeltà di una mamma mi è vicina, mi accompagna e mi protegge, non posso non dire: "Grandi cose ha fatto in me l’onnipotente, ha guardato alla bassezza del suo servo". La consapevolezza della mia povertà diventa gioia nel contemplare l’opera di Dio in me. Mi sono sempre chiesto, confrontandomi con altri più preparati di me, più santi, più dotati: perché il Signore ha scelto proprio me come sacerdote e, poi, come vescovo? L’unica risposta che ho trovato è nel mistero del suo amore gratuito. Dio mi ha scelto, mi ha chiamato e mi ha consacrato perché mi ama gratuitamente e la gratuità del suo amore è espressa soprattutto nel suo sguardo di predilezione alla mia piccolezza. Non avevo e non ho nulla da vantare davanti a Dio. Ho solo da rendere grazie per il suo amore e chiedere perdono per la mia risposta non sempre adeguata. Sento profondamente mie le parole che l’apostolo Paolo rivolge ai Corinzi: «Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi davanti a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti del Signore» (1 Cor 1, 26-30). La grazia più bella e “essere in Cristo Gesù”. È Lui il mio vanto. È Lui la mia forza. Egli « in forza della pienezza del sacramento dell’Ordine» mi ha legato profondamente a se, incaricato di agire in nome e in persona di Cristo», «maestro, santificatore e pastore»1. Mi fa tremare la mia fragilità, mi dà fiducia la certezza e la fedeltà della grazia di Dio. «... la nostra capacità viene da Dio, - scrive l’Apostolo - il quale anche ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza... » (2 Cor 3, 5-6). Nel Rito dell'ordinazione del Vescovo, mentre mi veniva consegnata la mitra, il Vescovo ordinante mi richiamò il dono e l’impegno della santità «per servire la Chiesa come maestro, santificatore e guida»2 : «Ricevi la mitra, e risplenda in te il fulgore della santità, perché quando apparirà il Principe dei pastori tu possa meritare la incorruttibile corona di gloria». La santità è un dono che ci accomuna tutti. Con il Battesimo siamo “incorporati a Cristo” e questo legame “si manifesta nella sua sequela secondo il Vangelo”3. Ma essa ha modi particolari di esprimersi secondo i doni ricevuti e i compiti a cui si è chiamati. La santità specifica del Vescovo ha la sua fonte e si alimenta nella grazia del ministero. «La trasformazione ontologica operata dalla consacrazione (episcopale), come conformazione a Cristo, scrive Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica post-sinodale sul Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo - richiede uno stile di vita che manifesti lo “stare con lui”». È soprattutto nella “carità pastorale” che il Vescovo realizza la sua chiamata alla santità. « La carità, (...) continua il Pontefice - è come l’anima del ministero del Vescovo, che viene coinvolto in un dinamismo di pro-existentia pastorale, da cui è spinto a vivere, come Cristo Buon Pastore, per il Padre e per gli altri, nel dono quotidiano di sé». La carità esige “un atteggiamento di servizio”, «uno stile di vita che imiti la kenosis di Cristo servo, povero e umile»4. Giovanni Paolo II, Pastores gregis, 10 Ivi, n. 13 3 Ivi 4 Ivi, n. 11. Al n. 13 il Papa riprende il pensiero della carità pastorale e della vita del Vescovo come pro-existentia: « Il cammino spirituale del Vescovo coincide… con la stessa carità pastorale, che a buon diritto deve essere ritenuta l’anima del suo apostolato, come lo è anche di quello del presbitero e del diacono. Si tratta non soltanto di una existentia, ma pure di una pro-existentia, di un vivere, cioè che si ispira al modello supremo costituito da Cristo Signore, e the si spende perci6 totalmente nell'adorazione del Padre e nel servizio dei fratelli» 1 2 Dare uno sguardo a questi dieci anni di episcopato è vedere in atto la grazia di Dio, che continua ad operare “grandi cose”; ma è anche constatare la mia fragilità e la distanza tra il “dover essere” del vescovo e il mio “essere” vescovo. Dà tristezza e fa soffrire sperimentare di essere deboli, ammettere che c’è ancora un lungo cammino da fare per realizzare il dono della santità. La sofferenza per la fragilità è mitigata dalla certezza dell’amore di Dio. Sperimentare la misericordia di Dio mette le ali al mio cammino! «A causa dell'umana fragilità, anche il Vescovo - scrive ancora Giovanni Paolo II - è chiamato a ricorrere con frequenza e ritmi regolari al sacramento della Penitenza per ottenere il dono di quella misericordia, di cui pure è divenuto ministro. Consapevole, dunque, della propria umana debolezza e dei propri peccati, ogni Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti, vive anzitutto per se stesso il sacramento della Riconciliazione, come una esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare slancio al proprio ministero. In tal modo egli esprime anche visibilmente il mistero di una Chiesa in se stessa santa, ma composta anche di peccatori bisognosi di essere perdonati»5. È la certezza dell’amore di Dio, che si fa misericordia e perdono, che in questi anni mi ha aiutato a superare tutte le difficoltà e le prove che non mancano nella vita di un vescovo. Il motto episcopale che ho scelto - credidimus caritati, abbiamo creduto all'amore - è un costante invito a guardare a Dio, che, perché amore, come un padre ed una madre, “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 7). La Prima Lettura (1 Gv 4, 11-18) della Liturgia della Parola di oggi ci riporta il brano, da cui ho tratto il motto: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui». Benedetto XVI, commentando queste parole della Prima Lettera di Giovanni, scrive che le parole "Dio è Amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1 Gv 4, 16) «esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino» e le altre parole dello stesso versetto: “Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto” ci offrono «una formula sintetica dell’esistenza cristiana». «Abbiamo creduto all’amore di Dio - così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita» (Deus caritas est, 1). Credere è credere all’Amore, è credere che Dio è Amore. Stare nell’amore è permettere a Dio di dimorare in noi ed è entrare nel cuore di Dio, dimorare in Lui. «Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi». L’amore in Dio è gratuito e reciproco insieme, l’amore tra noi deve essere gratuito e reciproco. Dove c’é amore gratuito e reciproco lì c’é Dio! Riconoscere, credere, accogliere l’amore di Dio porta necessariamente - ne è il segno di autenticità - ad amarci gli uni gli altri: «se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri». Abbiamo conosciuto l’amore di Dio per noi soprattutto nel fatto che Egli ha dato la sua vita per noi e la conseguenza è che anche noi dobbiamo amare i fratelli con la stessa sua misura: il dono della vita: « In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16). Il Vescovo ordinante, mentre mi porgeva l’anello, disse: «Ricevi l’anello, segno di fedeltà, e nell'integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo».6 «Con queste parole, (...) - scrive Giovanni Paolo II - il Vescovo è invitato a prendere coscienza dell’impegno che si assume di riflettere in se l’amore verginale di Cristo per tutti i fedeli. Egli è chiamato innanzitutto a suscitare tra i fedeli rapporti vicendevoli ispirati a quel rispetto e a quella stima che si addicono ad una famiglia dove fiorisce l’amore secondo l’esortazione dell'apostolo Pietro: 5 6 Ivi, n. 13 Cfr. Pontificale Romano, Rito dell'ordinazione del Vescovo: Consegna dell'anello “Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati, non da un seme corruttibile ma immortale, cioè dalla parola di Dio, viva ed eterna” (1 Pt l, 22-23)»7. Compito fondamentale del Vescovo è annunciare a tutti l’amore di Dio e contribuire con tutte le sue forze a rendere la Chiesa che gli è affidata una vera famiglia di Dio, che ha come unico statuto il precetto dell’amore... “perché il mondo creda”. È un compito non facile! Questa sera voglio rinnovare questo impegno. Non sono mancate e non mancheranno difficoltà, dentro e fuori di me. A volte il cammino si è fatto veramente duro, le relazioni si sono inceppate, gli orizzonti sono apparsi troppo lontani, sembrava dominare la fatica del cammino, la bellezza scomparsa. È stata l’ora della croce necessaria per costruire sulla roccia. Tante di quelle difficoltà, di quei dolori, di quei fallimenti, visti oggi con gli occhi di Dio sono come i nodi del rovescio di un ricamo. La bellezza del disegno del ricamo è stata possibile per quei nodi, che nascosti, tengono insieme il disegno. C’e veramente un filo d’oro che lega tutta la mia piccola storia come quella della Chiesa e del mondo: l’amore di Dio! In questi ultimi mesi, anche per il sorgere di difficoltà fisiche, che mi hanno costretto a rallentare il ritmo delle attività, ho riscoperto “il primato della grazia” e l’importanza della preghiera nel ministero del Vescovo. «...il Vescovo per primo - affermava Giovanni Paolo II - deve mostrare, con l’esempio della propria vita, che occorre ristabilire il primato dell' “essere” sul “fare” e, ancora di più, il primato della grazia... »8. Il Vangelo, che abbiamo ascoltato (Mc 6, 45-52) ci ha presentato Gesù, che, dopo aver congedati i cinquemila, che aveva sfamato, «salì sul monte a pregare». La giornata di Gesù è molto intensa; ma non manca mai il tempo in cui nella solitudine sta con il Padre. Nella preghiera Gesù porta con se tutti gli uomini. Spesso mi ritorna nella mente l’ultimo impegno che mi sono preso, la sera dell'ordinazione, prima dell’imposizione delle mani: «Vuoi pregare, senza mai stancarti, Dio onnipotente, per il suo Popolo santo ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdote?»9. «Ogni giorno nella preghiera - soprattutto nell’Eucaristia e nella Liturgia delle Ore - porto con me tutti voi» - così vi scrivevo nella Lettera pastorale di Avvento (2008) e aggiungevo: Quante volte, impossibilitato a risolvere certe situazioni, a sanare conflitti, a dare risposte concrete a domande impellenti, a dare consolazione a cuori affranti dal dolore, a indicare la strada a persone che brancolano nel buio, ad arrivare a tutti, sperimento la mia fragilità e posso solo mettermi in ginocchio e affidare tutto al Padre, chiedendogli di provvedere Lui e di darmi la forza di non tirarmi mai indietro, di farmi essere sempre pronto a dare la vita per la “mia gente”, come suo Figlio, il Buon Pastore»10. La preghiera del Vescovo è una preghiera “apostolica”, «cioè presentata al Padre come intercessione per ogni necessità del popolo, che gli è affidato»11. Nei prossimi giorni avrò più tempo di pregare e soprattutto di “offrire”. Starò fisicamente lontano dalla diocesi, ma spiritualmente non solo non mi allontanerò, ma porterò con più assiduità e consapevolezza ognuno di voi con me davanti a Dio. Con le parole della Liturgia della S. Messa del Crisma vi chiedo di pregare per me, «perché sia fedele al servizio apostolico affidato alla mia povera persona, e tra voi diventi ogni giorno di più immagine viva e autentica del Cristo sacerdote, buon Pastore, Maestro e servo di tutti». Questo desidero, questo voglio, questo chiedo. Amen. 7 Pastores gregis, 21 Ivi, n. 12 9 Pontifcale Romano, Rito dell’Ordinazione del Vescovo: Impegni dell’eletto. 10 Gennaro Pascarella, Forti nella speranza, annunciamo con gioia il Vangelo, Avvento 2008 11 Pastores gregis, 17 8 Saluti Dopo aver insieme ringraziato Dio, permettetemi, al termine di questa bella e intensa celebrazione, un ringraziamento a tutti voi. Con gioia ho visto un gruppo di miei parenti, che saluto con affetto. I legami di sangue, se alimentati dall’amore, diventano fondanti nella nostra vita. Dobbiamo grande gratitudine ai nostri genitori, che dal paradiso partecipano a questo momento di gioia. Essi non solo ci hanno dato la vita, ci hanno insegnato il valore dell’onestà e ci hanno dato l’esempio della fedeltà e dell'unità. La Chiesa, dove sono nato come cristiano, dove ho incontrato per la prima volta Gesù Eucaristia, dove ho ricevuto il dono dello Spirito Santo, dove sono stato ordinato prete e, poi, Vescovo e la diocesi di Acerra. Grazie per la presenza di alcuni sacerdoti. Soprattutto grazie, a voi, sacerdoti e fedeli laici della parrocchia di S. Alfonso (siete venuti a condividere con me questo momento di rendimento di grazie con un pullman): per circa venti anni abbiamo condiviso insieme gioie e speranze, ma anche difficoltà, dolori e fallimenti. Il Signore ci ha uniti e finché siamo legati a Lui niente e nessuno ci potrà staccare! [Un grazie particolare a Mons. Antonio Riboldi, mio Vescovo per venti anni: padre, fratello e amico. È stato per l’imposizione delle sue mani che il Signore mi ha donato la grazia dell'episcopato.] Grazie a Mons. Orazio Soricelli Arcivescovo di Amalfi-Cava, all’Abate Dom. Benedetto M. Salvatore Chianetta Ordinario della Badia di Cava dei Tirreni, a Mons. Arturo Aiello Vescovo di TeanoCalvi, a Mons. Gioacchino Illiano Vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, che hanno voluto onorarmi della loro fraterna amicizia. La Chiesa dove ho imparato a fare il Vescovo è la diocesi di Ariano Irpino - Lacedonia. È qui fortemente rappresentata dal Vescovo, Mons. Giovanni D’Alise, da tanti sacerdoti e laici (anche voi siete venuti con un pullman). Grazie per la vostra affettuosa vicinanza. Ho ricevuto tanto, non so cosa ho saputo dare! Se il nostro cuore è sulla misura di quello di Gesù c’è spazio per tutti: i nuovi fratelli non cancellano quelli che sono entrati prima! La Chiesa dove sto sperimentando l’età matura del mio essere Vescovo è la diocesi di Pozzuoli. C’è qui il passato, Mons. Silvio Padoin, vescovo emerito, e Mons. Salvatore Visco, già vicario generale della diocesi e ora vescovo di Isernia - Venafro. Mi hanno accompagnato fraternamente nel conoscere la diocesi, che ha radici apostoliche, e nell’inserirmi in essa. Abbiamo condiviso un pezzo di strada insieme e poi sono stato spinto a prendere il largo. Un grazie a tutti voi, fratelli sacerdoti. Mi è chiaro che tutto il mio agire nei vostri confronti deve essere quello di “un fratello e un padre”, che ama, si prende cura, ascolta, accoglie, corregge, conforta, sostiene, dà fiducia. Non sempre è facile essere all’altezza di questo compito! La decisione di camminare su questa strada c’è; ma sono pienamente consapevole che la misura non è certo colma! Sappiate che queste sono le mie intenzioni e perdonatemi se non sempre sono stato capace di vivere cosi! Mentre scrivevo questi ringraziamenti il pensiero è andato ai sacerdoti anziani e ammalati e a quelli che hanno concluso il loro cammino qui su questa terra. In particolare tra questi ultimi si sono affacciate nella mente le figure di don Antonino, che ho incontrato già ammalato e allettato. Ricordo il suo sorriso accogliente e l’offerta delle sue sofferenze per la Chiesa e la crescita del regno di Dio. E poi don Angelo, che con la sua briosità, sagacia e intelligenza mi ha aiutato tante volte a sdrammatizzare situazioni difficili. Gli sono grato, soprattutto perché ha offerto con fede e con piena consapevolezza le sue sofferenze, che nel progredire della malattia si sono fatte sempre più atroci, per il Vescovo, per i sacerdoti, per i seminaristi, per tutta la diocesi. Sono certo che dal Cielo continuano a pregare per la nostra diocesi. Grazie a voi seminaristi, a voi diaconi permanenti e a tutti voi, religiosi e religiose. Grazie a tutti voi, fratelli e sorelle laici, singoli e associati. Il Signore vi benedica. Grazie alle autorità civili e militari, qui presenti. Un grazie, infine, a tutti gli amici che hanno voluto dirmi la loro vicinanza in questo momento di gioia. Mi affido alle vostre preghiere.