Contributo_Buiatti - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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Contributo_Buiatti - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Organismi Geneticamente Meccanizzati
Marcello Buiatti
Ho accettato di scrivere questo paragrafo perché ritengo utile che in Italia non ci
si limiti a dividersi fra amanti e nemici degli OGM per partito preso. Cercherò di
dare qui un quadro più ampio che tratti non solo dei pericoli per la salute umana
ma anche della ideologia che è alla base della ingegneria genetica e degli effetti
degli OGM sulle agricolture dal punto di vista economico, sociale ed ecologico.
L’ideologia che è alla base dell’ingegneria genetica delle piante inizia al tempo
della cosiddetta “rivoluzione verde”, un immenso progetto lanciato dalla FAO
negli anni Sessanta del Novecento. Quel progetto, fortemente finanziato,
puntava alla riduzione della fame nel mondo mediante la selezione di piante e
animali ad alti livelli produttivi e quindi alla loro “ottimizzazione” sulla base di un
concetto lanciato da un selezionatore scozzese dal nome di Donald. Questo
signore, senz’altro in buona fede, pensava che piante e animali fossero costituiti
da pezzi indipendenti come le automobili o altre macchine sulla base del
concetto della “sostanziale equivalenza” dei viventi con gli oggetti meccanici. Su
questa base Donald pensava che, come avviene per le automobili, anche per gli
esseri viventi si dovesse puntare alla “ottimizzazione” e quindi alla costruzione
di varietà di piante e razze di animali costituite da organismi tutti uguali e
“migliori” in qualsiasi ambiente fossero allevati. Per esempio, per i bovini si
pensava di selezionare razze contemporaneamente ad alta produzione di carne
e di latte e con la forza sufficiente per trainare gli attrezzi agricoli, ottenendo
bovini ottimi in tutto in ogni ambiente agricolo. Lo stesso valeva per le piante,
per cui il mais doveva essere alto e grande, produrre enormi pannocchie con
moltissimi semi ecc.
Su questa base furono costruiti grandi laboratori di ricerca in molti Paesi del
mondo in cui si selezionavano varietà delle piante più importanti per la
sopravvivenza umana. La rivoluzione verde ebbe inizialmente successi notevoli,
soprattutto in America latina e in India, ma molto meno in Africa, dove
mancavano i soldi per comprare i componenti meccanici e i materiali che
l’agricoltura moderna richiedeva. I selezionatori produssero migliaia di nuove
varietà, tutte omogenee al loro interno e brevettate con il sistema UPOV per il
quale chi le utilizzava doveva pagare i semi la prima volta ma era era libero di
usare i semi delle generazioni successiva e di incrociarle e selezionarle
producendo in modo indipendente nuove varietà da immettere nel mercato. Il
peccato originale della rivoluzione verde è stato il concetto della “purezza”, e
cioè della omogeneità delle singole piante di ogni varietà, magari ottima in un
ambiente e in un sistema agricolo ma incapace di produrre bene al variare del
contesto. È per questo che per produrre bene in diverse situazioni si ricorse alla
chimica e alla meccanica con costi non indifferenti nei Paesi in via di sviluppo.
La rivoluzione verde ebbe un grande successo iniziale, riducendo gli affamati
del mondo dai 918 milioni del 1970 a 780 milioni nel 1995. Il numero di persone
denutrite è però risalito a oltre 800 milioni pochi anni dopo, e oggi supera un
miliardo e cento milioni. Non solo, ma la ricerca della purezza delle varietà ha
determinato una perdita del 75% della variabilità esistente prima della
rivoluzione, fatto particolarmente grave considerando l’accelerazione del
cambiamento climatico che modifica le temperature, riduce l'acqua disponibile,
aumenta la concentrazione di sali e produce la migrazione di parassiti in
ambienti mai prima infestati. A causa di questi cambiamenti servirebbero varietà
“plastiche”, cioè capaci di produrre in ambienti instabili grazie alla variabilità
interna. La risposta dei tecnologi del nostro tempo è stata invece l’ingegneria
genetica, cioè l’introduzione di singoli geni batterici nelle piante, come se
fossero appunto macchine e cioè non potessero reagire negativamente
all’introduzione di un gene alieno. Sono state introdotte nel mercato con
successo solo quattro nuove piante geneticamente modificate per soli due
caratteri (soia, mais, colza e cotone resistenti a diserbanti e a un insetto),
prodotte tutte già nel 1982. Questo nonostante si siano tentate moltissime altre
trasformazioni, che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno dato buoni
risultati. Infatti quando si introduce in una pianta un gene alieno non sappiamo a
priori quante copie del gene entreranno nel genoma della pianta, dove andranno
a inserirsi spaccando il DNA preesistente, se il gene introdotto funzionerà, che
interazioni ci saranno con il genoma iniziale, che effetti avrà l’interazione del
prodotto del gene con il metabolismo della pianta, o l’interazione della pianta
con l'agro-ecosistema, se la nuova pianta sarà produttiva e se il prodotto
alimentare sarà o meno pericoloso per la salute degli esseri umani e per le vite
degli altri esseri viventi dell'agro-ecosistema.
Di tutto questo le imprese multinazionali produttrici di OGM, Monsanto, Dupont,
Syngenta, non si sono più interessate dai primi anni Ottanta del secolo scorso, e
hanno anzi ridotto la spesa per la ricerca di nuovi OGM migliori, più utili e sicuri.
Questa scelta è stata fatta perché la Tre Sorelle degli OGM sono
economicamente in regime di oligopolio, e hanno così introdotto alla fine del
secolo scorso l’istituzione del brevetto industriale che prima si usava solo per la
meccanica, introducendo il concetto della “sostanziale equivalenza” fra materia
vivente e non vivente. Per questo un contadino che compra piante GM non le
paga adesso solo una volta ma a ogni semina, anche se usa semi prodotti da
piante del suo campo né può incrociare la varietà OGM con altre per crearne di
nuove come faceva sotto la legge UPOV. Non solo, ma basta che in un campo
ci sia anche una sola pianta GM e le altre non GM, il contadino dovrà comunque
pagare per tutto il campo. Il cambiamento del valore legale dei brevetti ha
permesso alle Tre Sorelle di arricchirsi enormemente e quindi di poter trattare
non con i contadini, ma anche direttamente con le Nazioni perché permettano
l'uso di piante OGM. Così è successo in America Latina, in cui le grandi imprese
hanno trattato con i governi l’introduzione dei loro prodotti, hanno poi comprato
a basso prezzo i campi dei contadini locali dove si coltivavano piante locali. I
campi sono stati quindi aggregati in gigantesche aziende, anche di oltre
centomila ettari, dove si coltiva adesso solo soia resistente a un diserbante
prodotta dalla Monsanto, che viene venduta poi ad altri Paesi come mangime. In
questo modo in America Latina sono stati cacciati i contadini e introdotti
braccianti a basso costo nelle grandi aziende, e il territorio è stato irrorato con il
Round Up dagli aerei, con grande pericolo per gli abitanti. Per questo i contadini
sono fuggiti nelle favelas, dove hanno perso le antiche tradizioni culturali
abbandonando la variabilità genetica delle piante locali.
Per ora l’Europa resiste agli OGM, che però sono coltivati in oltre 170 milioni di
ettari nelle Americhe, in Cina, in India e in Africa. L’Italia proibisce la coltivazione
di OGM per evitare possibili pericoli per la salute umana ma anche perché la
nostra agricoltura si basa sulla variabilità dei cibi che hanno un ottimo mercato
all’estero, e non può permettere che anche qui come in America Latina si
distrugga la nostra agricoltura tradizionale.
Purtroppo le piante geneticamente modificate in commercio non sono
sufficientemente controllate dall’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare
(EFSA), con sede a Parma. L’EFSA infatti, sotto la pressione politica delle
multinazionali, ha linee guida che non permettono di usare a sufficienza
laboratori indipendenti per controllare quanto dicono le multinazionali quando
propongono in Europa piante GM. Per questo, quando le Tre Sorelle mandano
un dossier presentando un nuovo OGM, EFSA riunisce un gruppo ricercatori
indipendenti che lo studiano, ma non sempre controllano eventuali dubbi con
laboratori indipendenti e devono seguire le linee guida europee che trascurano
una serie di possibili effetti negativi non controllati. Così EFSA è costretta molto
spesso a rimandare i dubbi alle stesse multinazionali o a laboratori spesso non
completamente indipendenti. Questa prassi è contrastata da laboratori in
particolare europei che hanno da tempo segnalato possibili effetti dannosi delle
piante OGM sia per la salute umana e animale sia per l'ecosistema suolo,
importante per un’agricoltura di successo.
Merita qui segnalare che un buon numero di questi laboratori in Europa si è
riunito in un’associazione che si chiama ENSSER (Rete Europea di Scienziati
con Responsabilità sociale e Ambientale), del cui direttivo fa parte chi scrive.
Purtroppo ENSSER ha grande difficoltà a ottenere finanziamenti europei, poco
o per niente utilizzati per studi sugli OGM se non attraverso EFSA, ma lo stesso
avviene anche nelle Regioni anti-OGM. In Italia un solo progetto nazionale di
controllo è stato finanziato ormai molti anni fa con risultati interessanti, ma non è
stato finora ripetuto per la terribile situazione in cui si trova la nostra ricerca
nazionale complessiva. Questo nonostante gli sforzi della Coalizione anti-OGM
di cui faccio parte, coordinata dalla Coldiretti, dalla CIA e da altri attori, che
cerca da tempo di modificare la prassi EFSA e di instaurare un sistema di
controllo veramente efficiente che solo la pressione degli agricoltori e in genere
popolare dovrebbe aiutare a costruire.