Io madre di mia suocera
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Io madre di mia suocera
LIBROTECA PAOLINE 114 Monica Follador IO MADRE DI MIA SUOCERA Vivere accanto a un malato di Alzheimer ISBN eBook PDF 9788831560221 ISBN eBook epub 9788831560238 ISBN volume cartaceo 9788831538541 PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2010 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it [email protected] Prima edizione digitale 2012 Realizzazione a cura della Redazione Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’editore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941. A Riccardo, il mio unico vero figlio PREMESSA Dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, la forza di cambiare quelle che posso e la saggezza di comprenderne la differenza. Le persone di una certa età amano il motto: « Impara l’arte e mettila da parte ». Quand’ero più giovane pensavo si trattasse di un banale modo di dire. Mai come ora mi rendo conto che si tratta di una realtà assoluta. Tutto ha un senso nella vita, tutto serve, specie quella piccola preghiera che ho citato all’inizio. Recitata con poca consapevolezza negli anni di frequenza dei gruppi per familiari di alcolisti, si è così ancorata in me da divenire motivo di salvezza, soprattutto psicologica… e oggi, dopo vent’anni che la conosco e forse dieci che non la recito più consapevolmente, prendo atto del fatto che, forse, queste due righe mi hanno salvato la vita. Vivere con un alcolista in casa richiede la capacità di mettersi in gioco, se si vuole sopravvivere; chiede l’impegno a cominciare a conoscersi meglio per poter intuire i propri punti di forza e le proprie aspirazioni 7 profonde, cosicché, malgrado tutto, malgrado quel che succede intorno a noi, si possa essere felici. Dipende solo da noi, anche se sulla nostra vita stanno piovendo disgrazie e saettano difficoltà imponenti… di cui siamo solo vittime, non responsabili… 8 I. LA SPIA Che freddo! C’è un’aria pungente che penetra fino alle ossa. Ovviamente, come al solito, niente calzini, solo maniche corte e pantaloni di tela leggera. L’autunno sembra arrivato, ma in cuor mio non voglio accettare che l’estate, con la sua prorompente vitalità, con la sua gioia, le sue lunghe giornate, stia per volgere al termine. Eppure l’estate lascia posto a una stagione che da sempre mi emoziona e con i suoi caldi colori m’invita a lunghe pause di riflessione. Finalmente potrò mettermi i maglioni che tanto amo e potrò avvolgermi tra morbide e calde coperte, potrò rotolare sulla neve fino a divenire un’autentica valanga… chiedendo poi calore a una bollente e profumatissima tisana ai frutti di bosco e all’abbraccio rinvigorente dell’uomo che amo il quale, stringendomi tra le braccia, mi scalderà la pelle ma anche il cuore… Intanto però sono qui fuori, sola, con una brezza di aria fredda che mi alita addosso, con le stelle che mi stanno a guardare incuriosite e magari si stanno chiedendo che tipo di spia io sia. Appoggiata alla porta in modo che non mi si possa vedere dall’interno, il mio sguardo si fa attento e prova a cogliere qualsiasi movimento, qualsiasi gesto possa essermi utile a capire… La sento che parla, ma non vedo nessuno con lei, neanche 9 il gatto che in sordina si avvicina a me nella speranza che gli apra la porta e possa finalmente entrare per affondare le sue lunghe e affilate unghiette sul comodo sofà. O forse ormai ha capito che questo rituale non porta con sé nessuna buona nuova, se non quella di farsi coccolare strusciandosi contro le mie gambe al ritmo sempre più accentuato delle sue fusa. A volte mi piacerebbe essere un gatto! I gatti sono dei re, coccolati, sfamati, indipendenti; se si sentono soli, con un gesto ruffiano trovano sempre chi è disponibile ad appagarli ponendo le mani sul loro soffice pelo. Perché i mici parlano il linguaggio della tenerezza, della morbidezza, del calore… Rannicchiandosi in grembo, « fusando », come mi piace tanto dire, ti guardano negli occhi e sembra ti ringrazino per quel poco che gli stai dando e che in realtà loro stanno restituendo nell’immediatezza. Già, ringraziano… almeno loro! Da quanto tempo sembra abolita questa parola dal vocabolario della donna che sto guardando, ora di fronte a me. Lei che adesso ha tra le mani una gustosa saponetta che sta cercando di addentare, anche se i denti, da tempo ormai, sono riposti in una scatoletta colorata in un angolino buio del mobiletto del bagno. Ricordo come fosse ora il giorno in cui io e mio marito abbiamo preso la decisione di lasciarla senza dentiera, stanchi di rincorrere il nostro iperattivo cagnolino. Era felicissimo di aver trovato una compagna di giochi così creativa… Lei si toglieva la dentiera, la tirava a Billy e lui, agitando freneticamente la coda nera e sottile, con un balzo felice la agguantava, sperando poi che lei tentasse di riprendersela, così il gioco non sarebbe finito tanto velocemente… E allora si metteva quatto quatto sull’erba sempre verde e ben 10 curata del giardino, con l’addome schiacciato sul prato e una parvenza di ghigno tra i denti che teneva ben stretti attorno al lavoro meticoloso del dentista. Chissà però quanti milioni di pensieri confusi invadevano la mente di Denis, mentre Billy aspettava un giocoso contrattacco, inutilmente; già dopo pochi istanti, infatti, non c’era più in lei ricordo di quella strana azione. Sono certa che, se le avessi chiesto che cosa fosse successo ai suoi denti, mi avrebbe risposto: « I denti? Quali denti?! Io ce li ho tutti qui i miei! », indicandomi magari le orecchie, o la punta del naso, o la lingua… E come controbattere a questa convinzione? È come dire a una persona che non può aver sognato qualche cosa. La realtà, il sogno, le visioni sono del tutto soggettivi. Provare a riportare Denis, seppur per qualche attimo, su questo pianeta non ha mai condotto a nulla di buono, semmai a qualche accesa e assurda discussione… come tra extraterrestri provenienti da mondi diversi. E arrivi al punto di chiederti se sei tu la pazza o è lei… e forse, in qualche circostanza, non c’è risposta… Guardandola, con molta empatia, mi sembra di sentire il disgusto per il sapone che sta provando a mordere. Le sue labbra contratte in una smorfia mi fanno rabbrividire. Si guarda intorno con fare clandestino, ordina a tutti (anche se io non vedo nessuno) di fare qualcosa e, nel riporre il sapone sopra il tavolo, in realtà lo riprende e ripete l’azione di poco prima, non ricordando di averla appena compiuta e dimenticando immediatamente anche la sensazione di schifo che l’aveva invasa. Vorrei intervenire, bloccarla, mi duole il 11 cuore a vederla ridursi così, ma m’impongo di restare là, nella penombra della sera ormai tarda, in silenzio, immobile… Voglio solo sapere… Voglio sapere dove può arrivare, che cosa può combinare… quali sono i pericoli da eliminare. Pericoli non tali per le persone normali (che cos’è poi la normalità?); ma per chi come lei è affetto dal morbo di Alzheimer anche il niente può trasformarsi in tutto. Mi serve sapere, conoscere questa malattia che racchiude in sé un fascino terribile, che rappresenta il buio. Solo se la conosco posso, per quel che mi è possibile, accettarla. Anche se accettare una malattia che si sta trasformando in pura pazzia è e sarà tutt’altro che semplice… È un viaggio all’interno della psiche e chi lo intraprende è chiamato a fermarsi, a riflettere, ad ascoltare e, cosa più difficile, ad ascoltarsi… Dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, la forza di cambiare quelle che posso e la saggezza di comprenderne la differenza. 12 II. LA GENESI Sono passati già quattordici anni dall’inizio di questa avventura. Potrei definirla un calvario, ma l’ottimismo che tanto mi caratterizza mi ha permesso di cogliere molti aspetti della mia vita migliorati proprio grazie a questa terribile malattia, che ha tolto la dignità a una persona a me tanto cara, mia suocera… Avevo un bel rapporto con lei. So che in cuor suo un po’ mi detestava perché le avevo portato via quell’unico figlio che adorava, però mi sono sempre sentita accolta e benvoluta, quasi come una figlia, seppur di seconda scelta, e a me, tutto sommato, poteva anche andare bene. Avevo bisogno di trovare qualcuno che potesse, anche se parzialmente, riempire il vuoto lasciato dalla morte di mia madre, tre anni prima… madre che avevo amato, credo, sopra ogni cosa, nelle sue debolezze, nelle sue povertà e nelle sue grandi doti di umanità e di semplicità, nonché in quella schiettezza che sempre più riconosco anche in me. Donna meravigliosa negli ultimi suoi due anni di vita, trascorsi, per metà, a recuperare la vita che aveva perso negli anni di alcolismo attivo e, per metà, a lottare contro un terribile destino: lo scontro con la morte che alla fine ha avuto la meglio, portandola lontana da 13 noi. Propria ora che si lasciava amare. Ora che era tornata ad amare, che era libera… È così che la voglio ricordare. Com’era quando apparteneva solo a se stessa e a Dio… ed egoisticamente un po’ a noi… Avevo bisogno di lei e credo di averla ritrovata in parte proprio in mia suocera, che investiva una certa premura su di me, condita con delicatezza e onestà. L’amore di una mamma non ha uguali, è impareggiabile e introvabile, ma esistono dei surrogati. Anche una suocera può essere tale! Aveva dato alla luce un figlio destinato a me e questo era un regalo non da poco, anche se ammetto che ogni tanto quel figlio glielo avrei volentieri rispedito a casa. Le ero riconoscente per averlo creato e cresciuto in modo tale da star bene con me… onesto, semplice, un ragazzo di cuore, al quale era mancato il padre molto tempo prima di incontrarmi. A lungo era stato il mio migliore amico, il mio confidente, la spalla sulla quale piangere per qualche delusione d’amore; poi un giorno è scoppiata la scintilla che, con non poco imbarazzo, si è rivelata e che abbiamo alimentato. Ci ha portati in breve all’altare con la consapevolezza che non sarebbe stato sempre facile e bello, ma noi eravamo pronti a impegnarci ed eravamo disposti a tingere con i più bei colori quel disegno di vita che Dio aveva creato per noi. Finalmente un po’ di gioia! Un matrimonio sereno, pur se intriso delle normali fatiche dello stare insieme, del condividere gli stessi spazi, del non dovere e potere più decidere da soli, come, soprattutto io, ero solita fare. Con le nostre valigie piene di buona volontà, armati di pennelli e di calce bianca, una domenica di giugno, a 14 pochi mesi dal fatidico sì, decidemmo di fare una sorpresa alla cara « mamma » e, approfittando della sua assenza per una vacanza in montagna, partimmo con un entusiasmo estremo per tinteggiarle la casa e fare le pulizie a fondo, cosa che la nostra giovane età ci consentiva con minor fatica. Quello fu indubbiamente uno dei giorni più angoscianti nella nostra storia con lei. Da qualche tempo ci eravamo accorti che non era più la stessa; benché il figlio si fosse allontanato solo di qualche centinaio di metri, la sua assenza sembrava averle tolto la vitalità, il motivo per continuare a esistere e restare efficiente. L’aggressività cresceva di giorno in giorno; con noi, ma anche con le persone con le quali era solita ritrovarsi per il caffè, per una partita a carte, due chiacchiere in compagnia. Perdeva il controllo di sé per un nulla, per cadere in un vittimismo spietato subito dopo. Ognuno ha i suoi tempi per trovare un nuovo equilibrio. Pensavamo si trattasse di questo… ma lo scenario generale che si presentò quel giorno fu per noi del tutto nuovo, illuminante e angosciante. Da allora le nostre vite cambiarono, si aprirono a questa nuova dimensione per chiudersi inevitabilmente ad altre, senza via di scampo. Senza esserne schiava, fino allora mia suocera aveva gestito bene la casa, teneva pulito e in ordine ed era impressionante la meticolosità con la quale si prendeva cura di se stessa. Aveva interi mobiletti carichi di creme per la pelle, specie per le mani e il viso, lime di tutte le misure e tanti smalti dello stesso trasparente colore ma di effica15 cia diversa. Non si truccava né vestiva in modo appariscente. Era una donna normalissima che impegnava parte del suo tempo di vita da pensionata nell’aiutare chi aveva bisogno e che si rendeva disponibile per le pulizie della chiesa e dell’oratorio. Per il fratello e le sorelle era forse facilmente irascibile, ma sempre pronta a dire una parola o a dare una mano. Leggeva tantissimo, si nutriva di gialli Mondadori, con quella copertina così gialla da far venire l’ittero; si addormentava spesso con la penna tra le mani nell’ultimo disperato tentativo di risolvere anche il più difficile dei cruciverba, che magari la sonnolenza rendeva più complicato. Non era quella che si può definire una donna di cultura, ma era colta e volenterosa. Aveva allevato un figlio con amore e fatica, da sola, a causa della prematura scomparsa del marito, trovato tra l’altro in tarda età. Davvero pochi gli anni di felicità e io gliene avevo portato via una fetta, anche se le avevo regalato la gioia di vedere il proprio figlio sistemato, realizzato nella vita coniugale, aperto alla vita e alla famiglia. Quella casa, sempre ben tenuta, era diventata nel giro di poco tempo un vero porcile; ovunque immondizia, alimentari scaduti, prodotti aperti, rovesciati, chissà poi se casualmente; gelati sciolti nel frigorifero, che colavano disinibiti dalle griglie per scivolare sull’ammasso di verdura andata a male deposta sul fondo; quantità industriali di grissini, bustine di tè deteinato alla pesca e biscotti… Segni inequivocabili della costante dimenticanza degli acquisti in precedenza fatti. Parte di questi scaduti da tempo. 16 Vasetti di yogurt forati, intrisi di muffe maleodoranti… e lei era partita da un solo giorno! Come un temporale improvviso in una splendida giornata d’estate, un sipario nero calò sull’entusiasmo di partenza, rabbuiando la nostra vivacità, i nostri progetti futuri. Frustrati e delusi, riassettammo l’intero appartamento, consapevoli che non sarebbe durato a lungo così. Purtroppo la nostra predizione si avverò! 17 III. AIUTO! Mille pensieri insorgono nella mente quando ci si trova ad affrontare certe difficoltà e, quando ci si rende conto di essere impotenti e ignoranti in materia, non resta che chiedere aiuto. Ma a chi? I medici di base tendono a minimizzare gli eventi, considerandoli spesso normali a una certa età e si limitano a prescrivere qualche terapia rinvigorente. Per noi era però lampante che c’era un problema importante di fondo, anche se non ne conoscevamo l’entità. Così richiedemmo una visita psichiatrica e, in un caldo pomeriggio di luglio, la portammo dallo specialista. Mai scorderò il malessere, il disagio, il senso di colpa provato nel farla entrare nel reparto di psichiatria, dove c’erano persone che urlavano, qualcuno legato… e lei ancora apparentemente normale, mentre ci sembrava di percorrere i corridoi del miglio verde… Per non farla sentire una nullità e per far sì che accettasse la visita, le avevamo detto che tutte le donne della sua età erano state convocate per un test di ricerca sulla memoria; dopo qualche inutile tentativo da parte sua di dissuaderci, accettò, seppur con il suo consueto broncio. Pensavo di poter avere qualche minuto per spiegare il caso al medico, ma, evidentemente, la sensibilità non 18 è stata distribuita in ugual misura a tutti gli appartenenti al genere umano e, senza alcuna possibilità di intervenire, la condusse dentro a un turbinio di domande banalissime e pertanto imbarazzantissime, alle quali lei, con nostra grande sorpresa, non sapeva rispondere. Il suo sguardo smarrito ci supplicava di portarla via da là, da quel violentatore di pensieri che sembrava si divertisse a metterla in imbarazzo, che voleva a tutti i costi sapere tutto di lei… Perché poi? Mica aveva problemi, lei! Da sempre era una signora autosufficiente, che si arrangiava e non solo, aiutava anche gli altri. Che cosa voleva questo medico da lei? Non aveva mica tempo da perdere per certe idiozie! Ci sono momenti della vita in cui ti chiedi se quello che stai facendo è giusto, se lo stai facendo davvero per il bene dell’altro, se mai riuscirà a perdonarti per tanta umiliazione, mentre comprendi che si sta arrampicando sugli specchi per difendersi dalla terribile accusa di non essere più del tutto padrone di se stesso. Mi piace pensare a questo singolare aspetto come a un istinto di sopravvivenza psicologica che scaturisce nei momenti di emergenza. Quanta forza, quanta rabbia quando ci si pone sulla difensiva nei confronti del nemico. L’energia vitale sprizza ovunque come l’acqua da una fontana zampillante in un refrigerante parco di città. Eravamo consapevoli del fatto che aveva dei problemi, ma ancora non ci eravamo resi conto che aveva già perso la percezione e la consapevolezza degli aspetti forse più banali e scontati della vita. Quando fuori c’è un’afa tremenda, una calura insopportabile e si gronda come una mela messa a cuocere in 19 forno, non dovrebbe essere così difficile capire che non si è in inverno o in autunno. Lei però non conosceva più neanche la sua età, nemmeno approssimativamente. Né il numero dei figli. Vuoto totale! Alla fine del consulto, il tanto temuto e odiato verdetto: « Mi dispiace, ci sono altri accertamenti da fare, ma per quella che è la mia esperienza si tratta del morbo di Alzheimer… ». Bastarono frammenti di secondo per riportare alla mente le sofferenze, le fatiche, le umiliazioni patite da una mia carissima amica che, per tale malattia, aveva perso il padre. Un brivido freddo mi percorse la schiena. A parte la desolazione che avevo visto in tale circostanza, non sapevo nulla di questo morbo. Immagini confuse spaziavano per la mia mente. Mia nonna… sì, anche lei evidentemente aveva avuto a che fare con la stessa sorte; ricordo che in una fredda serata d’inverno, di punto in bianco si mise a sgridarci perché avevamo lasciato fuori al freddo quel gran signore che stava conducendo un programma alla tivù e non c’era stato verso di farle capire che quel conduttore era al di là dello schermo e che era felice, non sentiva freddo… Era tempo di accettare che certe cose non si possono cambiare. 20