Intervista sul familismo

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FAMILISMO GINSBORG: 'PERCHÉ L' ITALIA
NON HA UN' ETICA PUBBLICA'
08 marzo 2010 — pagina 37 sezione: CULTURA
Eravamo la patria del "familismo amorale", oggi siamo quella del "familismo immorale"? Cognati
operosi, figli meritevoli, mogli dedite al business, soprattutto padri di famiglia soccorrevoli verso la
progenie. Anche nel canovaccio degli ultimi scandali, le figure parentali rivendicano a pieno titolo
ruolo da comprimari. In qualche caso è proprio la responsabilità genitoriale che viene invocata
come causa e giustificazione di tanto penoso affannarsi («Ma io cosa ho fatto per mio figlio?»,
piange al telefono il servitore dello Stato). E uno straordinario family gathering allieta in Campania
le liste elettorali del Pdl,i cui colonnelli candidano consorti e compagne, figlie e nipoti. Questa del
"tengo famiglia" è una filosofia antica e tipicamente italiana, «un tratto che scaturisce dalla
mancata creazione di un' etica pubblica», sostiene Paul Ginsborg, lo storico che più s' è occupato
dell' istituto famigliare in relazione con lo Stato e la società civile. A quest' ambito di ricerca è ora
dedicata una raccolta di saggi, Famiglie del Novecento. Conflitti, culture e relazioni, curata dallo
studioso inglese insieme a Enrica Asquer, Maria Casalini e Anna Di Biagio (Carocci, pagg. 276,
euro 27). «Nella storia italiana», dice Ginsborg, «in alcuni passaggi critici, si sono create le
possibilità per lo Stato di costruire una sfera pubblica forte, con le sue regole e i suoi codici di
comportamento. È accaduto all' indomani del processo di unificazione, e anche nella stagione
successiva alla fine della Seconda guerra mondiale. È accaduto dopo Tangentopoli. Ogni volta ha
agito la speranza della cesura storica. Il salto weberiano, però, non c' è mai stato». Non è un caso
che il "familismo immorale" nasca nell' Italia del "familismo amorale", secondo la celebre
definizione di Edward C. Banfield. «Più che sull' aggettivo, mi concentrerei sulla parola familismo,
che misura l' eccessivo potere della famiglia nella società e nella sfera pubblica italiane. Il paese di
oggi non è certo il paese arretrato investigato da Banfield nel 1957 nel suo saggio In The Moral
Basis of a Backward Society. Al centro della sua indagine era Chiaromonte, un borgo poverissimo
della Basilicata. Quel che lo studioso rimarcò fu l' assenza di società civile. Le famiglie di
Chiaromonte avevano un solo obiettivo: massimizzarei vantaggi materiali e immediati della propria
famiglia nucleare, supponendo che anche tutti gli altri si comportassero allo stesso modo.
Naturalmente non tutta la penisola era ed è assimilabile al modello di Chiaromonte. Però ancora
oggi l' Italia si misura con una smisurata attenzione, spesso esclusiva, all' istituto famigliare». I
recenti scandali mostrano qualcosa di più rispetto alla mancanza di un ethos comunitario. Si è
disposti a tradire la fedeltà allo Stato per sistemareo arricchire figli e consanguinei. «In questo
caso il familismoè assai contiguo al clientelismo, che implica l' uso delle risorse dello Stato per
interessi privati. Può essere interessante rilevare come nell' Europa mediterranea questi fenomeni
antichi non muoiano mai, ma si reinventino continuamente in forme nuove. Quel che fa
impressione, nell' Italia di oggi, è il prevalere dell' organizzazione verticale tra patrono e cliente su
quella orizzontale tra cittadini. Nella precarietà del mercato del lavoro, diventa fondamentale la
relazione con il potente, che garantisce determinati accessi, per te e i tuoi figli: da qui un legame di
gratitudine e asservimento. Tutto questo non ha niente a che vedere con cittadinanza, diritti e
democrazia». Ma la famiglia forte può essere considerata un ostacolo alla crescita democratica?
«Sì, se concentrata in modo sproporzionato sugli interessi materiali immediati. Al caso italiano s'
attaglia la riflessione di Isaiah Berlin sulle due libertà. Secondo lo studioso esiste "la libertà da" liberty from - ossia la libertà dall' interferenza di un altro soggetto rispetto alla tua azione
individuale. È la libertà come viene intesa dal nostro premier: nessuno, neppure lo Stato, dovrebbe
limitare la tua libertà. Esiste poi la "libertà di" - liberty to - ossia la libertà che scaturisce dalla
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ricerca di un' azione collettiva condivisa. Ancora prima dell' avvento del berlusconismo, l' Italia
familista ha sempre praticato la prima di queste due libertà». La relazione principale in Italia - lei lo
rimarca nel suo ultimo saggio - è tuttora quella tra famiglia e individuo, mentre in altre parti d'
Europa, in Gran Bretagna o in Svezia, prevale quella tra individuo e Stato. «L' Italia è stata
caratterizzata storicamente da un accentuato individualismo, da una società civile debole
soprattutto nel Sud e da uno Stato democratico di tarda formazione. Norberto Bobbio sintetizzò
tutto questo scrivendo che per le famiglie si sprecano impegno, energie e coraggio, ma ne rimane
poco per la società e per lo Stato». I demografi storici distinguono, nell' Europa occidentale, tra
sistemi famigliari deboli e sistemi famigliari forti, ricavandone una proporzione scoraggiante: più
forte è la famiglia, più debole è la società civile. «Nel primo sistema - dove più conta l' individuo rientrano com' è naturale la Scandinavia, la Gran Bretagna, l' Olandae il Belgio, ed alcune regioni
della Germania e dell' Austria. Il secondo - dove più conta famiglia - comprende l' Europa
mediterranea. Sono essenzialmente due i fattori che determinano la differenza: la longevità delle
famiglie d' appartenenza ossia l' età in cui si lascia la casa paterna - e la rete di solidarietà
famigliari in rapporto alla vecchia generazione. Attenzione però alle generalizzazioni, come
raccomanda lo stesso David Reher, l' artefice di questi studi. Anche indagini recenti collocano la
società civile italiana in un posto molto alto nella graduatoria mondiale. Ieri i girotondi, oggi il
popolo viola: nonostante tutto, la società italiana è ancora capace di grande reattività». Il rapporto
tra famiglia e società civile non è stato mai indagato a fondo: né in ambito disciplinare né sul piano
del pensiero politico. «Sì, esisteun buco nero nel campo delle teorie politiche. In nessuna delle due
tradizioni dominanti nel Novecento, quella liberale e quella marxista, le famiglie sono al centro di
una seria analisi in quanto soggetti politici. Nel pensiero liberale la famiglia fu sistematicamente
relegata alla sfera estranea alla politica, trovando collocazione nel privato piuttosto che nel
pubblico. Nel suo saggio The Subjection of Women (1869) John Stuart Mill aveva dedicato un
effimero riconoscimento all' importanza della famiglia: i posteri preferirono ignorarlo». Nella
tradizione comunista non ci fu maggiore attenzione. «Il giovane Marx ebbe qualche intuizione nel
riconoscere la famigliae la società civile come presupposti dello Stato, ma egli stesso non ebbe
interesse ad approfondire il tema. Anzi nella sua riflessione successiva la famiglia diventerà una
delle tante espressioni dei rapporti economici. Più tardi i bolscevichi finiranno per liquidarla come
entità destinata a essere superata dalla pianificazione socialista. Solo Trockij ebbe delle idee un
po' diverse, ma non le sviluppò fino in fondo». In un quadro di generale distrazione, risalendo al
XIX secolo lei riconosce un' eccezione in Hegel. «Sì, in alcuni paragrafi dei Lineamenti della
filosofia del diritto, il filosofo invita a esaminare gli individui in relazione alle tre sfere sociali:
famiglia, società civile e Stato. In particolare, Hegel indagò il momento della "dissoluzione" della
famiglia in rapporto alla società civile. A me pare tuttora una proposta stimolante sul piano del
metodo». Però pochi l' hanno raccolta. «Anche più recentemente, dopo l' Ottantanove, la
riflessione saggistica sulla grande rinascita della società civile nell' Europa dell' Est non ha mai
incluso la famiglia. E John Rawls, il liberale che più ha meditato sulla società attuale, dedica
pochissimo spazio all' istituto famigliare, che resta un soggetto passivo. Si potrebbe dire che la
famiglia è un grande attore politico rimasto troppo a lungo nascosto dalla storia». - SIMONETTA
FIORI
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