Cesare Cavalleri - Editoriale

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Cesare Cavalleri - Editoriale
Editoriale
«S
Eppur si vola
i dice che l’aerodinamica e il carico alare del calabrone siano tali
che questo, in linea di principio,
non potrebbe volare. Eppure vola, e la consapevolezza
di sfidare l’augusta autorità di Isacco Newton e di Orville Wright deve mantenerlo nel continuo timore di andare in pezzi. Si può supporre, inoltre, che lo inquieti il
matriarcato a cui è soggetto, perché si sa che questa è
una forma oppressiva di governo. Il calabrone è dunque
un insetto fortunato, ma poco sicuro». Con questa metafora John Kenneth Galbraith caratterizzava il sistema
economico americano in un suo libro del 1952, tradotto
dalle Edizioni di Comunità nel 1955. Più di mezzo secolo dopo, il paragone è più che mai di attualità, con risvolti drammatici e agitazione di spettri del 1929.
Eppure, nonostante le turbolenze e i terremoti borsistici, resta una ragionevole speranza di ripresa, perché
quello a cui stiamo assistendo è il crollo della finanziarizzazione dell’economia, mentre l’economia reale degli
Stati Uniti rimane la più solida del mondo, e quindi sembra naturale che il sistema finanziario finisca per adeguarvisi. Non ha certo torto chi auspica una nuova Bretton Woods, con riferimento agli accordi internazionali
che nell’immediato secondo dopoguerra regolarono il
sistema monetario occidentale. Ma con le pretese autonomistiche europee e con gli immensi interrogativi che
punteggiano i mercati asiatici, la cosa non sembra di
immediata realizzazione, anche perché all’orizzonte non
pare disponibile un Roosevelt analogo a quello che nel
1944 seppe smorzare le ambizioni britanniche pur autorevolmente rappresentate, a Bretton Woods, nientemeno
che da John Maynard Keynes.
Nel nostro piccolo, la metafora del calabrone è appropriata per sintetizzare, anche letteralmente, la vicenda Alitalia. Sembrava che tutto fosse perduto e invece, dopo che lo psicodramma aveva toccato l’acme,
il calabrone, pur acciaccato, ha ripreso a volare, anzi, non ha smesso di volare.
Subito è partita la gara per appropriarsi la vittoria
politica dell’accordo raggiunto. Non entriamo nel merito, ma non possiamo esimerci dal ricordare che il
precedente accordo con Air France, avviato dal governo Prodi, è naufragato quando la compagnia francese si è resa conto del ginepraio sindacale in cui si
sarebbe cacciata, e non per la contrarietà del centrodestra che, essendo allora all’opposizione, non avrebbe comunque potuto bloccare un provvedimento go-
vernativo, sempre che quello allora in carica fosse
stato realmente un governo.
Appunto la vicenda (o tragicommedia) Alitalia ha messo in primissimo piano un’altra emergenza: accanto all’emergenza giustizia, oggi il Paese deve affrontare,
gravissima, l’emergenza sindacale. Anche i sondaggi
sull’affidabilità dei sindacati parlano chiaro: l’opinione
pubblica ha capito che i sindacati sono una corporazione che difende sé stessa anziché i lavoratori; che la subordinazione partitica della Cgil è, a dir poco, anacronistica; che il meccanismo dei contratti nazionali di lavoro si è ormai inceppato; che il proliferare di sigle sindacali, come si è visto con l’Alitalia, consegna a gruppuscoli minoritari il diritto di veto; che l’arma dello
sciopero è obsoleta e lascia intatti i problemi. Insomma,
il sindacato, così com’è, è un ingombrante cimelio del
passato, un ostacolo nella dinamica dei moderni rapporti di lavoro che richiedono flessibilità, innovazione,
mentalità internazionale, esclusione di anacronistici
privilegi (vedi piloti Alitalia).
L’art. 39 della Costituzione stabilisce che «ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica». Sarebbe interessante verificare il perdurare della democraticità interna ai sindacati anche dopo la registrazione, e opportune ispezioni della Guardia di finanza potrebbero
controllare come viene gestito il patrimonio dei sindacati, la regolarità dei contratti di lavoro interno, degli
affitti delle sedi eccetera.
Un altro, e non secondario, settore di rigidità (eufemismo) sindacale è quello della scuola. Angelo Panebianco, sul Corriere della sera, ha coraggiosamente ricordato che l’abolizione del maestro unico nelle elementari
non è stata dettata, a suo tempo, da motivazioni pedagogiche, bensì dalla necessità di assorbire negli organici i maestri in soprannumero in conseguenza del calo
demografico. E le agitazioni annunciate nei prossimi
mesi, sotto le rosse bandiere della libertà di insegnamento e del bene degli studenti, sono, in realtà, tentativi
di difesa di interessi corporativi.
Insomma, siamo veramente messi male. Eppure, contro
ogni legge dinamica e a dispetto della logica, il calabrone vola e, speriamo, continuerà a volare.
C.C.
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