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“IL CODE NAPOLÉON”
PROF.FRANCESCO MASTROBERTI
Università Telematica Pegaso
Il Code Napoléon
Indice
1
DALLA RIVOLUZIONE AL CODE CIVIL ----------------------------------------------------------------------------- 3
2
L’ABROGAZIONE DELL’ANTICO DIRITTO------------------------------------------------------------------------- 5
3
IL CODICE CIVILE: FONTI E TITOLO PRELIMINARE ---------------------------------------------------------- 8
4
ASPETTI RILEVANTI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 10
5
GLI ALTRI CODICI NAPOLEONICI ----------------------------------------------------------------------------------- 13
6
FORTUNA DEL CODE CIVIL -------------------------------------------------------------------------------------------- 14
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Dalla Rivoluzione al Code Civil
Le codificazioni moderne, come si è visto, sono state preparate sotto il profilo ideologico
dalle grandi correnti di pensiero dei secoli XVI, XVII e XVIII ed in particolare dall’Umanesimo,
dal Giusnaturalismo, dal Razionalismo e dall’Illuminismo. Tuttavia la culla del Code Civil, che può
considerarsi il più perfetto dei codici moderni, fu la Rivoluzione francese che attraverso una serie di
drastiche riforme che cambiarono radicalmente il volto della società e delle istituzioni in Francia,
preparò il terreno ad una codificazione del diritto. Tuttavia il percorso verso il codice non fu né
semplice né lineare perché l’estrema instabilità politica del periodo rivoluzionario (1789-1799)
determinò rapide accelerazioni, brusche frenate e repentini cambiamenti di rotta fino all’avvento al
potere di Napoleone Bonaparte. Le fasi salienti del percorso verso la codificazione possono così
sintetizzarsi:
-
Legge del 27 novembre – 1° dicembre 1790 che introduce la corte di cassazione,
supremo tribunale incaricato del compito di vigilare sull’esatta applicazione della legge da parte dei
giudici di merito. In occasione delle discussioni da più parti si levò la richiesta di un codice di leggi
generali ed astratte che potesse dare certezza al diritto
-
Nel 1793 Jean-Jascques Régis de Cambacérès presentò un primo progetto
all’Assemblea che però lo bocciò ritenendolo troppo sofisticato. Si era nell’epoca della dittatura
giacobina e l’Assemblea non voleva un codice estremamente chiaro, tale da poter essere capito ed
applicato da chiunque.
-
Nel 1794 e nel 1796 Cambacérès presenta altri due progetti che vengono respinti
dalle Assemblee perché giudicati troppo astratti. Il clima politico era mutato: ai giacobini era
subentrata la maggioranza termidoriana, conservatrice, che aveva idee meno rigorose riguardo alla
formulazione delle norme.
-
Nel 1798 il deputato Jacqueminot elabora un ulteriore progetto, anch’esso respinto
dalle Assemblee, divise tra conservatori e “fruttidoriani”.
La svolta si ha con l’ascesa al potere di Napoleone Bonaparte, in seguito al Colpo di Stato
del 18 brumaio. Il generale da subito concentra nelle sue mani tutto il potere facendosi primo
console e poi console a vita e legittimando il suo potere con la costituzione dell’anno VIII. Il
rinnovato clima politico di pacificazione tra le fazioni consente al nuovo padrone della Francia di
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portare a termine l’ambizioso progetto codificatorio: concepisce una grandiosa opera legislativa,
destinata a rompere i ponti con il passato e ad aprire una nuova epoca. L’obiettivo principale è
quello di pervenire in tempi rapidi alla codificazione civile, la prima pietra di un progetto
codificatorio che avrebbe riguardato tutte la branche del diritto, dal penale alla procedura penale, al
commerciale alla procedura civile. La codificazione civile rappresentava senza dubbio l’impresa più
ardita poiché il diritto civile era stato sempre il campo d’elezione della giurisprudenza, del diritto
romano, del diritto consuetudinario: per rompere definitivamente con il passato, il nuovo codice
avrebbe dovuto essere assolutamente completo, ossia senza pericolose lacune che avrebbero potuto
consentire alla giurisprudenza ampi interventi interpretativi. L’opera dunque non era semplice.
Tuttavia Napoleone decise di affidare l’incarico ad un numero ridotto di esperti, quattro per la
precisione: Jean-Marie Etienne Portalis, Jacques de Maleville, Felix Julien Jean Bigot de
Préameneau, François Denis Tronchet. Si trattava di giuristi di grande esperienza e competenza,
conoscitori delle diverse “anime” del diritto francese, dal diritto romano al diritto consuetudinario.
Lavorarono alacremente ed in breve tempo riuscirono a presentare un progetto che passò all’esame
del Corpo Legislativo, del Consiglio di Stato ed anche delle Corti francesi. E’ noto che durante le
discussioni al Consiglio di Stato lo stesso Napoleone intervenne direttamente sul progetto indicando
le soluzioni da apportare. Alla fine il Codice Civile entrava in vigore con la legge del 21 marzo
1804. Insieme al codice entrava in vigore la legge del 30 ventoso anno XII, la cosiddetta legge
abrogatrice, che abrogò l’antico diritto.
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2 L’abrogazione dell’antico diritto
E’ noto - come ha rilevato uno studio di Ugo Petronio - che alla famosa legge abrogatrice
del 30 ventoso anno XII, la storiografia abbia fatto dire più di quanto in realtà avesse intenzione di
dire e che i “padri” codificatori, convinti dell’inevitabile incompletezza della loro opera, abbiano
indicato il diritto romano quale punto di riferimento scientifico per l’interprete. Peraltro si è pure
evidenziato che la questione dell’interpretazione dell’art. 7 della legge del ventoso, restò aperta per
tutto l’Ottocento, attestando una certa difficoltà da parte dei giuristi dei quel secolo ad abbandonare
lo schermo protettivo del (vecchio) diritto romano. In effetti la fondamentale norma abrogatrice,
disponendo l’entrata in vigore del code civil, recitava: «A compter du jour où les lois composant le
code sont exécutoires, les lois romaines, les ordonnances, les coutumes générales ou locales, les
statuts, les règlements, cessent d’avoir force de loi générale, ou particulière dans les matières qui
sont l’objet desdites lois» . Un’abrogazione generale dell’antico diritto, che tuttavia la limitazione
alle «matières qui sont l’objet desdites lois» poteva far nascere qualche dubbio sul suo carattere
radicale. Infatti se le «matières» si cosideravano in senso stretto – ossia come le materie
concretamente disciplinate dal codice – non si poteva negare all’antico diritto un carattere positivo,
seppure esplicantesi in via sussidiaria; discorso diverso se le «matières» di cui alla legge del 30
ventoso alludevano in senso molto lato all’intero diritto civile - nel qual caso la limitazione avrebbe
escluso dall’abrogazione le norme non civilistiche in attesa della promulgazione degli altri codici oppure ancora agli istituti regolati anche con una sola norma dal Code. Bastiné presentando il
Manuale di diritto civile del Boileux affermava che «se la legge del 21 marzo 1804 (30 ventoso
anno XII) non esistesse, le questioni che il codice non risolve né per principi, né per conseguenze da
questi principi, dovrebbero trattarsi con le leggi antiche»; tuttavia chiudeva le sue riflessioni
sull’argomento sostenendo che «malgrado questa legge, ha vita pure la regola: juri antiquo standum
donec reperiatur expresse correctum; ma solo per le materie non trattate dal codice» . E’ infatti
innegabile che l’esistenza della legge del 30 ventoso, per l’abrogazione espressa che contiene, abbia
inteso sfuggire alla comune regola dell’abrogazione tacita della lex posterior: ma allora perché la
chiosa relativa alle «matières»? E’ pur vero infatti che un’interpretazione meramente letterale dello
stesso disposto normativo avrebbe potuto autorizzare a considerare diritto vigente il diritto romano
e i diritti antichi nelle materie, per l’appunto, non regolate dal codice. Come è stato sottolineato,
l’obiettivo dei codificatori francesi non fu di annullare il diritto romano e gli altri antichi diritti ma
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di giungere all’unificazione del diritto francese: lo testimoniano sia il famoso discorso di Portalis
sia le discussioni al Consiglio di Stato sulla legge del 30 ventoso anno XII, dove Maleville e
Cambacérès sostennero, contro la posizione di Bigot de Préameneu, di lasciare margini di
sopravvivenza “positiva” al diritto romano. E’ noto che la posizione di Bigot prevalse proprio (e
solo) per assicurare uniformità al diritto su scala nazionale e che alla fine l’articolo 7 fu approvato
«dans ce sens». Ma presto nacquero interpretazioni restrittive della legge abrogatrice: «questa tesi
conservatrice – afferma Petronio – o almeno conservativa del passato, forse è nata dal tentativo
convinto di recuperare le posizioni che erano state difese, ma senza successo, da Maleville e da
Cambacérès quando si era discusso dell’art. 7 e dell’abrogazione del diritto vigente, o forse da una
tendenza moderata che portava a circoscrivere quanto più possibile le innovazioni della nuova
codifdicazione» .
Fu il Locré sd offrire una delle prime ed autorevoli interpretazioni dell’articolo 7 della legge
30 ventoso anno VII. Dopo aver affermato che l’abrogazione operata dalla legge del 30 ventoso era
andata «plus loin» del principio della lex posterior, precisava che «cette abrogation n’est pas aussi
indéfinie que le texte pourrait le faire croire, car il existe des lois antérieurs que les codes supposent,
et auxquelles ils se réfèrent évidemment, puisque, dès qu’on les rentrache, la législation sur la
matière n’est achevée et manque même du base ou d’organisation» . E citava due esempi, il primo
dei quali, relativo alla materia civile, è molto significativo: l’articolo 2070 del codice, autorizzando
le contrainte par corps solo nei casi regolati da leggi particolari in materia di commercio, polizia
correzionale ed amministrazione dei demani pubblici, avrebbe fatto cadere il titolo III della legge
del 15 germinale anno VI che disciplinava tale istituto nel campo civile: cosicché l’articolo 7 della
legge 30 ventoso, interpretato in modo radicale, avrebbe lasciato un intero istituto senza idonea
regolamentazione. Era invece il caso di considerare vigenti alcune leggi cui il codice si riferiva
almeno implicitamente, per la semplice ragione che altrimenti si sarebbe creato un vuoto normativo
. Lo stesso discorso poteva essere fatto per il secondo esempio richiamato, relativo al diritto
commerciale: «On rencontre dans le code de commerce un titre des bourses de commerce. Agens de
change et cartiers; si tout la législation da la matière est dans ce titre la loi du 19 mars 1801 (28
ventose an VIII), ainsi que le réglements dont elle fut suivie, ne subsistent plus, et une foule de
chose demeurent sans régle» . Entrambi gli esempi non si riferivano al diritto romano ma solo ad
alcune importanti leggi del diritto cosiddetto intermedio, le quali dovevano essere considerate un
necessario complemento del codice. Evidentemente il Locré era costretto a fare propria
un’interpretazione più ristretta dell’articolo 7 della legge del 30 ventoso per salvare proprio queste
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leggi, aprendo così uno spiraglio anche al diritto romano. Tuttavia le aperture verso il diritto antico
– che si ritrovano nella giurisprudenza francese e anche in quella italiana – col passare degli anni si
attenuarono fino a scomparire del tutto nella seconda metà del secolo XIX.
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3 Il Codice Civile: fonti e titolo preliminare
Il codice civile napoleonico contiene 2281 articoli divisi in tre libri, preceduti da un titolo
preliminare: Della pubblicazione, degli effetti e dell’applicazione delle leggi in generale (titolo
preliminare); I. Delle persone; II. Dei beni e delle differenti modificazioni della proprietà; III. Dei
diversi modi con cui si acquista la proprietà. Le fonti del codice napoleonico sono le seguenti: il
diritto romano particolarmente diffuso, per ragioni storiche nella Francia meridionale (pays de droit
écrit); il diritto consuetudinario, proprio della Francia settentrionale; gli arresti dei parlamenti
francesi, in specie del più importante, il Palamento di Parigi e, infine, la legislazione del periodo
rivoluzionario (1789-1799). Particolarmente importante è il titolo preliminare di cui si segnalano gli
articoli 4 e 5:
Art. 4 Se un giudice ricuserà di giudicare sotto pretesto si silenzio, oscurità o difetto della
legge, si potrà agire contro di lui come colpevole di denegata giustizia.
Art. 5. E’ proibito ai giudici di pronunziare in via di disposizione generale nelle cause di
loro competenza.
L’articolo 4 affrontava la questione del silenzio, oscurità o difetto della legge disponendo
che il giudice, in ogni caso, era tenuto a giudicare. In questo modo si aboliva il ricorso al cd. Référé
legislatif, che era stato disposto durante il periodo rivoluzionario e che prevedeva la possibilità per
il giudice di sospendere le causa e di rinviare la questione interpretativa ad un’apposita
commissione. Tale soluzione, escogitata per evitare abusi interpretativi da parte dei giudici sulla
base della rigorosa applicazione del principio della separazione dei poteri, non aveva dato buoni
risultati poiché aveva determinato un rallentamento delle procedure e una de-responsabilizzazione
dei giudici. Il Codice dunque dispose che il giudice, in ogni caso, dovesse giudicare pena la
configurazione del reato di denegata giustizia. La norma tuttavia non indicava al giudice quali
criteri seguire e quali fonti utilizzare: a differenza di quanto disposto dal codice austriaco (ABGB)
non vi era alcun riferimento all’analogia e al diritto naturale. Questo aspetto ha fatto nascere due
divergenti interpretazioni. Da un lato alcuni hanno visto nell’art. 4 la solenne affermazione del
principio di completezza del codice, dall’altro alcuni hanno invece considerato la norma del titolo
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preliminare come una grande apertura nei confronti della giurisprudenza che con estrema libertà
avrebbe potuto intervenire per colmare le lacune legislative. La prima interpretazione fu quella
adottata dalla scuola esegetica che proclamò a chiare lettere il principio della completezza del
codice. Tuttavia l’altra fu quella che prevalse, come era peraltro naturale. Il codice non poteva
essere completo: non lo era nel 1804 e non lo sarebbe stato nei decenni successivi di fronte ad una
società in rapida evoluzione. Lo stesso Portalis, uno dei quattro compilatori del Codice, nel suo
famoso Discours préliminaire du code civil, lo affermò a chiare lettere. Del resto è stata la
giurisprudenza a garantire la sopravvivenza del codice per oltre duecento anni.
L’articolo 5 del titolo preliminare stabiliva il principio della separazione dei poteri poiché
faceva divieto ai giudici di emanare atti o sentenze che avessero una portata generale. I tribunali di
antico regime, ed in particolare i parlamenti francesi, avevano in determinati casi una potestà
regolamentare.
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4 Aspetti rilevanti
“La mia gloria non è di aver vinto qualche battaglia. Ciò che nulla potrà offuscare e che
vivrà in eterno è il mio codice civile”. Così diceva Napoleone a Sant’Elena e ben si può dire che il
codice fu il suo capolavoro, l’opera più durevole visto che in Francia è ancora vigente e che molti
codici, compreso quello italiano vigente, vi traggono ispirazione. Il codice civile fu la vera
“costituzione” della società borghese dell’Ottocento che ne costruì un mito che ancora oggi resiste.
Chi poteva sfuggire al fascino di un diritto chiaro, alla portata di tutti, che offriva soluzioni a tutte i
casi e che addirittura poteva fare a meno di interpreti? Il diritto naturale, cui si erano richiamati tanti
pensatori, era stato tradotto in norme positive e si ergeva a guardiano dei più naturali di tutti i diritti,
l’uguaglianza e la proprietà. A questo breviario del nuovo mondo dovettero ben presto piegarsi
anche gli antichi sovrani che lo adottarono quasi in tutta Europa con pochi cambiamenti e la
Francia, grazie al esso, poté continuare ad esercitare un vero e proprio imperialismo giuridico. Del
resto il codice aveva anche una dimensione antropologica poiché le sue norme inquadravano un
soggetto unico, il borghese proprietario, definendone carattere e comportamenti, relazioni sociali.
Un pater assoluto dominus nell’ambito della famiglia, dominus delle res e in condizioni di
uguaglianza solo con gli altri Patres coi quali “dialoga” da un punto di vista civilistico con lo
strumento contrattuale che diventa legge tra le parti. Un codice, dunque, che non è solo testo
legislativo ma anche un compendio di valori di una società che dopo la Rivoluzione aveva bisogno
di stabilità e di sicurezza. Note sono le meravigliose rappresentazioni letterarie della società del
codice civile nelle opere di Honoré de Balzac, di Victor Hugo, di Lamartine, di Chateaubriand.
Scritto in modo chiaro e semplice poteva e doveva essere consultato dai Patres, i borghesi, che ne
erano i destinatari: esso parlava il loro linguaggio, asciutto e concreto con pochi spazi alla
interpretazione. Sthendal – come rileva Francesco di Pilla – aspirava allo stile del code civil «la
lettura del quale, all’inizio e durante la stesura dei suoi romanzi, lo aiuta a “marcher droit à
l’objet”».
Diritto di famiglia e posizione della moglie. La condizione della moglie era di assoluta
subordinazione nei confronti del marito: ella – come si è detto - gli doveva obbedienza e, sia che
fosse in regime di comunione o separazione dei beni, non poteva né stare in giudizio (Code Civil,
artt. 215, 216) né «donner, aliéner, hypothéquer, acquérir, à titre gratuit ou oneréux» (art. 217) e
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neppure fare testamento (art. 226) senza l’autorizzazione maritale. Il marito aveva l’obbligo di
proteggerla, di assisterla e di garantire a lei e alla prole una residenza dignitosa e i beni di
sussistenza ma in caso di divorzio o di separations des corps, le posizioni erano differenziate a netto
vantaggio del marito. Questi poteva domandare il divorzio per causa di adulterio della moglie
mentre la moglie poteva chiedere il divorzio solo quando il marito teneva «sa concubine dans la
maison commune» (art. 230). L’adulterio della moglie a differenza di quello del marito era punito
con la reclusione in casa di correzione per un periodo da tre mesi a due anni. Queste norme, in gran
parte riconducibili non al diritto romano ma al diritto consuetudinario francese, danno la
dimensione della condizione della donna nella società del codice civile; una posizione di
subordinazione e di limitata capacità di agire che caratterizzava la sua vita dalla culla alla tomba,
prima sotto l’autorità del padre e poi sotto quella del marito.
Matrimonio e divorzio. Rappresentano gli aspetti maggiormente innovativi del codice civile
che traggono la loro origine nella legislazione approvata durante il periodo rivoluzionario. Il
matrimonio è un contratto civile che si perfeziona con il consenso e con il reciproco consenso può
sciogliersi. La parte relativa al divorzio caratterizzò il codice come rivoluzionario: quando la
traduzione del codice entrò in vigore nel Regno di Napoli durante il governo di Gioacchino Murat, i
magistrati napoletani, attraverso il ministro della giustizia Michelangelo Cianciulli, manifestarono a
re il loro disagio minacciando di fare “obiezione di coscienza”. Tuttavia Napoleone non tollerò che
il suo codice potesse essere menomanto in una delle parti che riteneva più moderne e significative.
Comunione legale nel regime patrimoniale tra coniugi. Art. 1400: “La comunione che si
stabilisce colla semplice dichiarazione di maritarsi sotto il regime della comunione, o che deriva
dalla mancanza di ogni contratto, soggiace alle regole spiegate nelle sei seguenti sezioni”. Il codice
stabilisce il regime della comunione legale e dedica ad esso, alla comunione convenzionale, alla
separazione dei beni e al regime dotale grandissima attenzione. Molte di queste norme derivano
dalla tradizione francese e transitano nel codice attraverso la mediazione dell’opera di Pothier.
Autonomia privata. Art. 1134: “Le convenzioni legalmente formate hanno forza di legge nei
confronti di coloro i quali le hanno poste in essere”.
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Il consenso. Art. 1138: “L’obbligazione di consegnare la cosa è perfetta col solo consenso
dei contraenti”. Carattere vincolante del consenso.
I beni mobili. Art. 2279: per i beni mobili il possesso vale titolo.
Proprietà. La norma maggiormente conosciuta del codice civile è senza dubbio l’articolo
544 che definisce la proprietà come “il diritto di godere e di disporre delle cose nella maniera più
assoluta purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi e dai regolamenti”. Si tratta della
massima estensione possibile del diritto di proprietà, intorno al quale è costruito tutto il codice che
non a caso è stato definito come il codice della borghesia proprietaria. La proprietà doveva essere
libera da ogni vincolo e dava al titolare la possibilità di disporre del bene nella maniera più assoluta.
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5 Gli altri codici napoleonici
La codificazione civile su solo la prima pietra di un più vasto disegno che avrebbe portato
all’unificazione di tutte le branche del diritto. Nel 1806 fu promulgato il codice di procedura civile,
nel 1807 quello di commercio, nel 1808 quello di procedura penale e nel 1810 il codice penale. Il
codice di commercio si segnala per l’obiettivizzazione del diritto commerciale, il quale da diritto
soggettivo dei commercianti diveniva diritto oggettivo degli atti di commercio. Il codice di
procedura penale stabiliva un sistema misto con aspetti inquisitori e accusatori ed in particolare
introduceva i jury, il dibattimento e il libero convincimento del giudice. Il codice penale si
presentava molto legato a schemi d’antico regime: erano previste la pena di morte e pene infamanti
come il marchio e la gogna e risentiva molto dell’influenza della Ordonnançe criminelle di Luigi
XIV del 1670. Anche questi codici, come il Code civil, furono introdotti nei paesi europei
conquistati da Napoleone e condizionarono in maniera rilevante le codificazioni ottocentesche.
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6 Fortuna del Code civil
Il Code civil è legato inscindibilmente alla figura di Napoleone Bonaparte, tanto che è stato
ed è definito Code Napoléon. Il suo successo fu grande poiché rappresentò il testo legislativo uscito
dai travagli della Rivoluzione francese, la testata d’angolo della nuova società borghese. Dopo la
caduta di Napoleone, con la Restaurazione, i sovrani delle vecchie dinastie europee si guardarono
bene dal ritornare alle vecchie istituzioni e al vecchio diritto: i tempi di quella che amavano
chiamare la “occupazione militare” avevano lasciato uno stato fortemente accentrato e leggi uniche
su tutto il territorio; Napoleone aveva consegnato nelle mani dei re “restaurati” un potere che essi
nel Settecento non avevano mai avuto e un diritto che soddisfaceva le istanze di sicurezza della
borghesia. Non era pensabile un ritorno al passato. Ed infatti in Italia, se si esclude il LombardoVeneto che appartenendo all’Impero Austro-Ungarico adottava il codice Austriaco, tutti gli stati
pre-unitari adottarono il modello del Code Civil. Il Regno delle Due Sicilie fu il primo degli stati
italiani ad elaborare e promulgare nel 1819 cinque codici sul modello napoleonico raccolti in un
unico volume il Codice per lo Regno delle Due Sicilie. In questo contesto la cultura giuridica
rappresentò il punto di riferimento assoluto per gli stati italiani che avevano adottato il modello
napoleonico: anche le sentenze dei tribunali non esitavano a richiamare la giurisprudenza francese e
i lavori preparatori dei codici. Chiaramente la produzione giuridica si concentrò prevalentemente
sulle traduzioni delle opere dei grandi esegeti francesi, arricchite da commenti e esami comparativi
relativi al diritto e alla giurisprudenza delle Due Sicilie.
Grazie alla diffusione europea del Code Civil e dei codici napoleonici ebbe una dimensione
europea anche la scuola dell’Esegesi che approntò corposi commenti ai codici. In Germania,
tuttavia, emerse una corrente opposta che contestava il metodo esegetico e esaltava il diritto nella
sua dimensione storica. F. C. von Savigny, padre della scuola storica del diritto, fu il maggiore
esponente di questo orientamento che si diffuse anche in Italia a partire dalla seconda metà del
secolo XIX.
Nel corso di duecento e passa anni di vigenza (in Francia) il Code Civil è stato oggetto di
diverse valutazioni e critiche. Per Savigny era un codice estremamente politico che pretendeva, in
modo a-storico e giusnaturalistico, di porre norme assolutamente giuste e valide dovunque. Il Code
civil è stato anche definito come un codice borghese, come un codice maschilista, come un codice
autoritario e così via dicendo. Sicuramente il Code Civil, nella sua dimensione individualista,
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denotò gravi lacune di fronte ad una società in rapida evoluzione: le problematiche legate al diritto
del lavoro, assolutamente trascurato, esplosero con forza già durante la prima metà dell’Ottocento
in relazione allo sviluppo industriale e capitalistico della società europea. Fu la giurisprudenza
francese a colmare le lacune e a dare una dimensione giuridica ai fenomeni sociali trascurati dal
legislatore napoleonico, individualista e borghese. Essa seppe suggerire le soluzioni opportune al
legislatore che con la promulgazione di leggi speciali avviò il processo di decodificazione.
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Bibliografia
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diritto (Bologna 2003), pp. 495-532

J.-L. A. Chartier, Portalis père du Code civil (Paris 2004).
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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