SOMMARIO Di acque, di pesci, di pescatori

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SOMMARIO Di acque, di pesci, di pescatori
SOMMARIO
Di acque, di pesci, di pescatori ............................ pag. 9
Trote a révu............................................................. pag. 12
Un buon consiglio.................................................. pag. 15
Fario d’Appennino (e un merlo).......................... pag. 33
Uomo o pesce, l’importante è saper tenere
la bocca chiusa ....................................................... pag. 49
È scomparso un torrente ...................................... pag. 63
Dai un pesce ad un uomo e lo nutrirai per un giorno.
Insegnagli a pescare e gli darai da mangiare
per tutta la vita ....................................................... pag. 76
Trovati un lavoro che piace e non lavorerai
neanche un giorno ................................................. pag. 92
Sul fiume ................................................................. pag. 107
Amicis, qualibet hora ............................................ pag. 122
Epilogo..................................................................... pag. 134
Nota dell’autore
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Di acque, di pesci, di pescatori
Il Tobbio è coperto di neve.
Da più di un mese lo osservo quotidianamente, seduto
sul divano di casa. Ne seguo il profilo ed immagino il
freddo nella chiesetta lassù, sulla cima del monte.
Quando finalmente la gamba metterà giudizio, proverò
a salirci insieme al mio figliolo più grande, per il piccolo
non è ancora tempo e già vedo la sua faccia imbronciata
quando lo saprà.
Ascoltare il silenzio della casa è piacevole, soprattutto se
si tratta di una parentesi di poche ore. Non appena moglie e bambini arriveranno da scuola, il tic-tac dell’orologio, adesso così assoluto, svanirà nella loro esuberanza.
Solo a notte tornerà a ritmare il respiro della casa, risvegliando i miei ricordi.
È un buon momento per pensare.
Tento di evitare le corse in avanti, si rischia spesso di preoccuparsi per cose di cui non si ha controllo. Cercare di
prevedere quanto non sia ancora accaduto è un malsano
spreco di energie: una considerazione tutto sommato ovvia ma che, per essere manifesta, ha richiesto al mio cervello d’acciuga uno sforzo durato una cinquantina d’anni.
Per contro è dolce, nella serenità del proprio rifugio, lasciare affiorare i ricordi, soprattutto quelli belli.
L’acqua mi ha sempre dato pace e serenità; è difficile
spiegare cosa mi affascini, ma è evidente che andando a
pesca io raggiunga uno stato di grazia.
Ogni tanto racconto ai miei bambini le avventure di gioventù e quasi tutte parlano di acqua, di pesci e di pescatori.
Loro ascoltano affascinati ma non mi illudo, con il tempo
le troveranno banali e perderanno interesse.
Spero che un giorno possano riuscire a ricordarle con
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tenerezza, è bello potersi abbandonare ai ricordi con
l’animo leggero.
Ascoltando il tic-tac nel silenzio della casa mi è venuta
voglia di scrivere di quelle acque, di quei pesci e di quegli
uomini.
Stare insieme a chi si ama porta la grazia. Ai miei cari, ai
miei amici, auguro di essere al mio fianco in riva all’acqua per ascoltare il suono del torrente ed il racconto di
qualche vecchia storia.
Basterà un sorriso per rendermi felice.
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Ancora poche curve e siamo arrivati. Ecco il ponte e la
solita piazzola libera, buon segno.
Parcheggiamo.
In verità, da queste parti, pescatori non ne ho mai incontrati, per lo più si fermano quelli che vanno a funghi o
per castagne.
Dove il ponte attraversa l’acqua, questa scorre bassa e veloce, per una Trota non c’è motivo di fermarsi là sotto.
Chi lo ha costruito ha fatto un buon lavoro e in tanti anni
non c’è mai stata piena che l’abbia messo in difficoltà.
È solo un filo d’acqua, ma ha un nome suggestivo. Il Rio
dell’Orso.
Mentre scivola dolcemente a valle, con lo sguardo che indugia ancora sull’arcata del ponte, un’altra acqua lo invita a sé, sfacciata lo avvolge. Lui, sgomento ed inerme, è
trascinato via. Poi l’oblio.
D’ora in poi sarà Brevenna e una gola selvaggia farà per
un pezzo da guida all’acqua.
Arrivare sul greto non è facile, gli accessi sono pochi e
nascosti dalla vegetazione.
Le nuvole sono basse ma non piove più, il bosco continua a gocciolare.
È necessaria “l’imposizione”: il Grigio, lo sciamano, non
ne aveva voglia ed è rimasto a casa ma la cerimonia
dell’ostensione dell’impermeabile è un rito a cui non rinunciamo. Talvolta riesce a sigillare le cateratte in cielo,
soprattutto mette di buon umore e ci fa sparlare del Grigio, il Ghillie2.
Grazie a lui e ai suoi consigli qualche Trota in più si
prende sempre. Aldo, suo figlio e mio compare di pesca,
dice che è sì un gran “can da preuse3”, ma ha promesso
di prepararci una cena “cum as dev4” : baccalà alla genovese.
Pensi a quella gente, alla loro fatica quotidiana, alla
fame e al freddo, alla precarietà e ti chiedi come sia possibile che ci prenda l’angoscia del domani, oggi che, pancia
piena e una casa accogliente, sono cosa scontata.
Cappello in testa, giubbotto, le scatole con le mosche,
impermeabile, canna, mulinello, borraccia, due mele a
testa: si va.
Torniamo verso valle per un pezzo; la strada si allontana
dal torrente, sale fino alla curva dov’è rimasto un vecchio
argano con il cavo d’acciaio per la legna. Da lì parte una
traccia di sentiero che si butta giù a capofitto verso l’acqua, il rumore del torrente arriva appena. Ci si aggrappa
agli alberi, alle rocce, la terra talvolta è inconsistente e
frana sotto i nostri piedi, bisogna fare attenzione a non
ritrovarsi di sotto con una caviglia messa male. Per questo motivo nella gola si va in due, io e Aldo. Con altri non
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Anni addietro dal fondovalle si si risaliva il torrente con
i muli, quella era l’unica via. Ferri per gli zoccoli ne ho
trovati più d’uno, incastrati tra le rocce, commoventi.
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Noi pescatori siamo dei privilegiati, vediamo un ferro
tra le rocce e lo raccogliamo, non abbiamo fretta, ci sediamo su una pietra per lasciar correre i pensieri in libertà.
a révu: a iosa, senza fine (dialetto di Serravalle Scrivia)
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Ghillie: guida di pesca
Can da preuse: cane pulcioso (dialetto di Serravalle Scrivia)
Cum as dev: come si deve (dialetto di Serravalle Scrivia)
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ci sono mai stato.
In trenta minuti siamo sull’acqua.
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Un buon consiglio
Difficile spiegare cosa provo, fossi costretto ad usare una
sola parola per farlo, direi pace. Una pace profonda.
L’aria è satura di umidità per la pioggia della mattina, gli odori sono quelli del bosco in autunno, i colori
un quadro; l’acqua fredda, pulita nonostante la pioggia,
perfetta per pescare e chiudere bene la stagione.
“Nervous water” dicono gli americani; è tutto al posto
giusto e qualcosa accadrà.
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Il Brevenna è il torrente dove ho preso la mia prima
Trota pescando a mosca5. Avevo vent’anni, o giù di lì.
Alla mosca ci arrivai per gradi e, col senno di poi, fu un
bene.
Prima di allora ebbi modo di provare altre tecniche ed
accumulare esperienze importanti. Tutto quanto sperimentai in gioventù diede vita ad un bagaglio prezioso di
conoscenze e, allo stesso tempo, mi spinse alla decisione
di pescare solamente a mosca.
Se la coda di topo6 doveva essere la meta finale, in qualche modo scelsi un percorso tortuoso per arrivare a destinazione. La mia parlata tradisce in maniera palese il
corredo cromosomico che sa di Barbera e Grignolino,
basse colline e fiumi del piano, reti e pasture, Carpe e
Cavedani.
In quelle acque lente e profonde la pesca a mosca non era
ovviamente di casa, ma da lì occorreva partire.
Andando indietro nel tempo ricordo con estrema chiarezza quando, compiuti sei anni, ebbi in dono una canna
di bambù in tre pezzi con gli innesti colorati e la custodia
di plastica, rossa da un lato e trasparente dall’altro.
Bastava una pagnotta e via con le Alborelle. Fritte nell’olio erano buone e dolci, l’importante era prenderne non
più di una ventina a testa per quelli di famiglia: mamma
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5 pesca a mosca: tecnica di pesca che prevede l’utilizzo di imitazioni
d’insetti, realizzate assemblando penne, piume e peli di animali su
ami dotati di occhiello
6 coda di topo: particolare tipo di lenza che permette il lancio di
esche senza peso (le mosche, appunto) a distanze considerevoli. La
pesca con la coda di topo, altresì denominata all’inglese, corrisponde
alla pesca a mosca in senso lato
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aveva stabilito che quelle oltre il limite andavano regalate lungo il tragitto di casa.
Spesso le davo tutte a Mario che abitava al Borgo e ne era
goloso: guidava uno Stornello rosso con la marmitta cromata, sempre pulito e luccicante; peccato per la cassetta
da frutta legata al portapacchi che ne rovinava lo stile. In
verità, con gli occhi di oggi, è un dettaglio che me lo fa
ricordare con sincera tenerezza. Voleva anche i Cavedani
ed i Barbi, pieni di spine, tanto li metteva in carpione.
Non so cosa darei per riaverla, quella cannetta da due
soldi. Probabilmente è andata persa per la mia negligenza, dimenticata in un angolo quando acquistai, qualche
anno dopo, una telescopica che invece ho ancora. Provo un profondo rimpianto per non poterla flettere con
un colpo di polso, mentre racconto ai ragazzi come fosse
bello il Tanaro della mia gioventù.
Mi manca soprattutto perché era il regalo di Franco e
Vera, papà e mamma.
Franco mi insegnò ad amare e rispettare la natura, a riconoscere il volo di un tordo e le mattane dell’allodola. Fu
lui a portarmi a pesca per primo anche se, con il passare
degli anni, preferì la caccia ed io non lo seguii, perdendo
entrambi un’occasione per passare del buon tempo insieme. Senza quelle prime volte e quegli insegnamenti, non
avrei potuto godere di tutte le gioie che provai in seguito.
Vera comprese l’importanza ed il valore della mia passione e, con grande sforzo, lasciò che presto andassi a Tanaro da solo. Soltanto oggi capisco quanto le sia costato.
Qualche volta la vedevo, da lontano, arrivare sul ponte
con la bicicletta per controllare che fosse tutto a posto.
La salutavo con ampi gesti, mamma rispondeva allo stesso modo e tornava a casa. Chissà quante corse avrà fatto senza che io me ne rendessi conto, con l’ansia di non
vedermi, gambe in acqua nel ghiareto di fronte al paese,
pescare le Alborelle.
Da allora andai sempre a pesca.
Negli gli anni la passata7, con la fissa o con la bolognese8,
divenne passione e la pesca un modo per vivere meglio.
Da sempre la pesca è medicina del cuore.
L’acqua sotto i ponti continuò a scorrere anno dopo
anno portandomi gioia e spensieratezza, probabilmente
meno ai pesci che martellavo con diabolica regolarità.
Tempo ne passò parecchio e arrivò il giorno in cui mi stupii nel vedere il mio entusiasmo per la pesca sparire a
valle, galleggiando su un’acqua placida ma inarrestabile.
Qualcosa si era rotto e valeva la pena rifletterci un po’ su.
Quasi tre lustri dopo infatti, ero ancora fermo su quelle
tecniche e quei pesci e quel fiume di fondovalle, il Tanaro, cui in realtà sono tuttora molto affezionato.
Non posso dire che mi fossi stufato della pesca ma era
venuto il momento di provare cose nuove e sperimentare
tecniche più moderne.
A muovermi era la voglia di vedere altri posti, la necessità di aspirare a qualcosa di più completo o, quantomeno,
sentirmi alla ricerca di un’idea appassionante. Intendevo
capire i pesci e capire il fiume più di quanto non fossi
riuscito a fare fino ad allora.
Avevo, come tutti, la mia balena bianca da inseguire.
Catturare Moby Dick avrebbe rappresentato una tappa
importante sulla strada della crescita personale, il modo
per ampliare gli orizzonti fisici e spirituali del mio essere.
Pur non avendo mai visto qualcuno praticarla mi resi
conto, leggendo qua e là, che la pesca a mosca poteva
rappresentare la naturale evoluzione di un pescatore, in
quanto in grado di garantirgli piena consapevolezza ed
appagamento.
In realtà la pesca a mosca nei modi in cui la pratico tut-
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7 passata: pesca alla passata, è il metodo di pesca più diffuso e
prevede l’utilizzo di una lenza dotata di galleggiante, piombi ed amo
8 bolognese: canna lunga dotata di mulinello per la pesca a passata
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