UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO CENTRO di ATENEO per la QUALITÀ dell’INSEGNAMENTO e dell’APPRENDIMENTO Marcel Crahay, Dangers, incertitudes et icomplètude de la logique de la compétence en education, in Revue francaise de pedagogie, n. 154 2006 Nell’articolo Crahay propone una riflessione critica sull’orientamento pedagogico centrato sulle competenze, nel quale convergono posizioni tradizionalmente in contrapposizione, da una parte coloro che ritengono prioritario les savoir-agir della persona (le abilità) e dall’altra coloro per i quali assume maggior importanza sviluppare la capacità, le pouvoir-agir della stessa (pragamatismo alla Dewey). L’approccio pedagogico per competenze cerca, in tal senso, di operare un’integrazione tra le teorie dell’esperienza, quella della cognizione in situazione, sulla base di una ridefinizione dell’organizzazione del lavoro che assegna centralità ai compiti professionali (psicologia ergonomica). In sostanza, secondo l’interpretazione fornita da molti pedagogisti (Beckers, Gilet) e fatta propria dal Ministro dell’educazione della comunità francese in Belgio Onkelink1 per competenza si deve intendere la capacità di una persona di mobilitare diverse risorse cognitive per affrontare un’insieme di problemi (o meglio una famiglia di situazioni) complessi ed inediti. Si tratta di un concetto che cerca di ricomporre la frattura tra teoria e pratica, ponendosi in una prospettiva utilitarista per la quale la conoscenza è subordinata all’azione, a sua volta finalizzata alla risoluzione di un problema. L’Autore fa notare come la maggior parte degli studiosi (Rey, Carette, Kahn, Le Boterf, Perrenoud, Levy-Leboyer, Roegiers, ecc.) che si sono occupati dell’argomento, insista nel sottolineare come le competenze non richiedano solamente la presenza di risorse cognitive nel soggetto, ma soprattutto la mobilitazione di quelle (tra le tante che possiede) più adatte per affrontare una situazione problematica nuova, non necessariamente già incontrata. In questo senso si fa riferimento al concetto di “complessità inedita” per qualificare la competenza a tal punto che la mobilitazione di un’architettura di conoscenze di fronte ad una situazione complessa ma già nota non potrebbe, a rigori, essere definita come competenza. In ogni caso è soprattutto il “saper mobilitare” delle risorse interne (conoscenze, capacità, ecc.) che contraddistingue la competenza, ciò che Perrenoud2 definisce “saper-trasferire”, nel senso di un’attitudine a adattarsi a situazioni nuove, e che Crahay identifica nella flessibilità di una persona. La nozione di competenze include poi un’ulteriore questione, e cioè quella relativa al trasferimento delle conoscenze. Sul punto alcuni come Perrenoud concepiscono la mobilitazione delle risorse interne come un processo meramente fisico che implica un movimento o spostamento di conoscenze già acquisite. Su tutt'altra direzione si muove, invece, Le Boterf3, secondo cui la mobilitazione non può limitarsi ad un semplice utilizzo o applicazione ma si concretizza nell’adattare, differenziare, integrare, generalizzare o specificare, combinare, orchestrare e coordinare un insieme di operazioni mentali complesse che, connesse a situazioni, trasformano le conoscenze, secondo una prospettiva già indicata da Piaget nei suoi studi sullo sviluppo dell’intelligenza4. Collegandosi a questo orientamento Crahay ricorda, tra l’altro, che la mission della scuola è quella di trasmettere delle conoscenze che possano trasformarsi in strumenti intellettuali utili nella vita privata, professionale, sociale e civica della persona. Proprio sulla base di queste ultime considerazioni è facile rilevare come l’istituzione scolastica non sia sempre riuscita a raggiungere pienamente questi obiettivi, dal momento che troppo spesso gli studenti dispongono di 1 Il riferimento è al “Décret définissant les missions prioritaires de l’enseignement fondamentale et de l’enseignement secondaire et organizant les structures propres à les atteindre” del 24/07/97 del Ministero dell’educazione della comunità francese in Belgio, che ha portato nel 1999 alla redazione da parte di un gruppo di lavoro di “zoccoli delle competenze” (“socles de compétences”). 2 P. Perrenoud, Costruire des compétences dès l’école, ESP Editeur, Issy-les Moulineaux cedex, 2000/3. 3 G. Le Boterf, De la competence. Essai sur un attracteur étrange, Edition d’Organisation, Paris 1994. 4 J. Piaget, Riuscire e capire (tit. orig. Reussir et comprendre, 1974), Editori Riuniti, Roma 1976. un bagaglio di conoscenze o idee inerti utilizzate al solo fine del superamento della prova scolastica ma che sono incapaci di mobilitare per risolvere problemi quotidiani. Numerose ricerche, infatti, dimostrano come la maggior parte degli studenti sviluppino un bagaglio di conoscenze e competenze personali in rottura (al di fuori) con l’ambiente formativo. Si tratta di un repertorio culturale molto più solido di quello acquisito a scuola che consente loro di attribuire senso e significato agli avvenimenti del loro quotidiano, ma la cui validità, da un punto di vista scientifico, è piuttosto discutibile. In tal senso l’approccio per competenze, con la sua dimensione integrativa, permetterebbe di colmare il fossato tra le conoscenze costruite a scuola e i saperi mobilitati nell’azione, eliminando in tal modo quelli che già J. Dewey definiva “gli sprechi dell’educazione”. Tutto ciò premesso, lo statuto scientifico del concetto di competenze, secondo Crahay, risulta incerto. I richiami alle diverse teorie psicologiche per legittimarlo non sono pienamente convincenti, anche se ad essi va riconosciuto un merito indiscusso: aver posto al centro del dibattito pedagogico la problematica della mobilitazione in situazione delle risorse cognitive del soggetto per la risoluzione di problemi. Questione, tuttavia, che non pare risolvibile, secondo Crahay, con la logica della competenze, perchè semplifica un tema molto più complesso. Dell’approccio per competenze meritano di essere rivisitati alcuni assunti: 1) In primo luogo, il concetto di “complessità inedita” della situazione quale criterio valido per valutare le competenze possedute dal soggetto. Perché fare dell’eccezionale/straordinario la norma della vera competenza? Perché valutare gli studenti in situazioni che non necessariamente si manifesteranno nella realtà? Tanto più, rileva l’Autore, sul piano professionale, la gestione di eventi regolari ha una sua importanza. Infatti la standardizzazione delle procedure risponde al tentativo dell’uomo di ridurre l’incertezza aleatoria e accidentale nell’esecuzione di compiti. Anche sul piano pedagogico, però, la regola della complessità inedita appare discutibile perché rischia di far saltare il collegamento tra il piano dell’apprendimento e quello della valutazione. Ad esempio un insegnante al fine di incrementare il processo di apprendimento dei suoi studenti, potrebbe sottoporre loro la gestione di situazioni complesse, variabili e sconosciute. In fase di valutazione dovrebbe, in ottemperanza alla regola della complessità inedita, proporre agli studenti la risoluzione di una situazione nuova, mai proposta nel corso delle lezioni. Tuttavia poiché progressivamente il campo delle situazioni inedite si restringe, il rischio, da questo punto di vista, è che il docente sia portato a scegliere, a fini valutativi, una situazione talmente eccezionale e lontana dalla realtà corrente da indurre inevitabilmente un gran numero di studenti all’errore, e facendo perdere con ciò di autenticità la valutazione; 2) In secondo luogo, la nozione di “famiglia di situazioni” utilizzata dall’approccio per competenze, e intesa quale insieme di compiti o problemi risolvibili attraverso una procedura o un insieme di procedure specifiche. In base a questa definizione, sarebbero la/le procedura/e, o meglio la/le competenze, mobilitate ad identificare la famiglia di situazioni e non l’inverso. D’altra parte le procedure (come ad esempio le operazioni matematiche: somma, addizione, moltiplicazione, ecc) altro non sono che delle costruzioni umane elaborate lungo il processo di civilizzazione e raggruppate all’interno di una disciplina (nell’esempio la matematica). In questo modo come sottolinea Crahay, nel nome del costruttivismo piagetiano, in virtù del quale un concetto è sia il risultato di un processo di strutturazione (attraverso la dialettica tra assimilazione-accomodamento5) ma anche il punto di partenza di nuove strutturazioni, pare opportuno recuperare la dimensione del disciplinare contro la nuova doxa delle competenze trasversali o meta-disciplinari. Per queste ragioni, la nozione di “campi concettuali” più in linea con la teoria piagetiana, appare preferibile a quella di competenza. Per “campi concettuali”, secondo Vergnaud6 (1987), s’intendono un insieme di situazioni il cui compimento implica degli schemi, concetti e teoremi strettamente collegati, oltrechè le rappresentazioni linguistiche e simboliche utilizzabili per delinearli. Il vantaggio di 5 J. Piaget, A. Jonckheere e B. Mandelbrot, La lecture de l’expérience, Press Universitarie de France, 1958. G. Vergnaud, Les functions de l’action et de la symbolisation dans la formation et la connaissance, in Piaget, P. Mounout, J.P. Bronckart, Psychologie, Gallimard, Paris 1987. 6 J. questa nozione, secondo Crahay, è molteplice. Da un lato in essa è presente un legame ineluttabile tra le situazioni e la mobilitazione di schemi, concetti e teoremi per cui è impossibile dissociare il processo di compimento delle situazioni stesse dalle conoscenze, mentre l’approccio per competenze tende a considerare i saperi come semplici guarnizioni. Dall’altro in base alla teoria dei “campi concettuali” è lo schema, o il concetto o il teorema che definisce l’ambito delle situazioni, laddove per la logica delle competenze la relazione è inversa. Infine il criterio del campo concettuale esplicita i legami dei concetti con le loro rappresentazioni, cosa che la vulgata delle competenze non considera assolutamente. 3) Infine Crahay suggerisce di abbandonare il concetto stesso di competenze, ritenendo più produttivo fondare la riflessione pedagogica e/o didattica sul modello concettuale dell’attività cognitiva degli studenti, proposto da Richard7. In base a questa teoria, affrontare adeguatamente una situazione significa innanzitutto comprenderla, aiutandosi con delle rappresentazioni particolari della stessa (fatte magari per analogia con una situazione già affrontata in precedenza), quindi, sulla base di queste ultime, effettuare una serie di ragionamenti utili per mobilitare delle inferenze funzionali alla comprensione o all’azione. In questo modello le conoscenze (generali, specifiche, relazionali o procedurali), che per la logica delle competenze assumono un ruolo secondario, qui, invece, risultano determinanti, tanto nelle rappresentazioni che il soggetto riesce a costruire della situazione, che nello svolgimento di tre tipologie di attività: esecutive automatiche, non automatiche e di soluzione di problemi attraverso l’elaborazione di procedure. Come rileva l’Autore le conoscenze sono senza dubbio necessarie per la costruzione del processo cognitivo del soggetto ma non sufficienti. Per assicurare la mobilitazione delle conoscenze in contesti diversificati, bisogna articolare tre momenti didattici: a) la contestualizzazione degli apprendimenti indispensabile per consentire allo studente di attribuire un significato reale alle conoscenze che acquisisce. In questa fase lo studente procede dal particolare al generale; b) la decontestualizzazione o trasferimento o diversificazione contestuale delle conoscenze; c) il ritorno riflessivo o metacognitivo sugli apprendimenti, al fine di costruire una rete di conoscenze più generali e astratte. In conclusione, secondo Crahay, la scuola, nell’ottica delle competenze, non deve limitarsi alla mobilitazione delle risorse cognitive in situazione. Senza rinnegare i contributi importanti derivati dalla ricerca in quest’ambito, essa deve evitare, tuttavia, di incorrere in una visione semplificatrice del problema. Il tema della competenza ha sollevato la questione importante del rapporto teoriapratica. Ma come si è visto attraverso i concetti di trasferimento, mobilizzazione e famiglia di situazioni tutti i collegamenti tra queste due dimensioni non sono ancora stati messi a fuoco convenientemente dalla ricerca finora sviluppata. Occorre procedere dunque con prudenza senza lasciarsi suggestionare dalle mode anche perchè la scuola non deve esaurire il suo compito solo esclusivamente in funzione delle competenze. Queste ultime non risiedono in un atto isolato, astratto o generale, emergono invece in un’azione personale e richiamano al compito educativo che la scuola deve sviluppare prima di tutto nei confronti dello studente affinché possa realizzarsi come persona e cittadino libero e responsabile. 7 J.F. Richard, Les activités mentales: comprendre, raisoner, trover des solutions, A. Collin, Paris 1995.