Educazione Aperta. Rivista di pedagogia critica

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Educazione Aperta. Rivista di pedagogia critica
Editoriale
Nel primo volume di Educazione Aperta (La Nuova Italia, 1967)
Aldo Capitini notava la diffusione dell’aggettivo “aperto” in più
campi: tra gli altri, registrava “scuola aperta” (è il titolo di un
libro di Visalberghi del ’60), “metodo aperto”, “Europa aperta”,
“politica aperta”, “mondo aperto”, “marxismo aperto”, “romanzo
aperto”, “opera aperta”, e così via. Era la vigilia del movimento
’68, cui Capitini non avrebbe assistito (morì appunto in
quell’anno): e certamente l’apertura è tra i concetti chiave per
comprendere quella stagione culturale, sociale e politica. Una
stagione che ha riguardato in modo profondo anche il mondo
dell’educazione e della scuola, con la denuncia delle dinamiche
classiste (la Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana è
anch’essa del ’67) ed autoritarie e la ricerca sperimentale di nuove vie.
A distanza di quasi cinquant’anni, di quelle aperture sembra rimasto ben poco, al punto tale che il concetto di chiusura potrebbe
efficacemente caratterizzare gli anni che stiamo vivendo. Travolta dalla crisi economica, dal fondamentalismo e dal terrorismo, da
una paura incontrollabile e diffusa a tutti i livelli, la società si sta
sempre più chiudendo in se stessa. L’Europa aperta, di cui si parlava nel ’67, diventa un continente chiuso, anche fisicamente, che
erige steccati e filo spinato per respingere i profughi che tentano di raggiungerlo, spesso annegando in mare. Fioriscono i movi3
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menti identitari, nazionalisti, xenofobi. Mentre le comunicazioni
diventano facili a livello mondiale, grazie ad Internet (uno strumento che ai tempi di Capitini sarebbe stato difficile anche solo
immaginare), lo scambio effettivo, il dialogo, la comprensione tra
popoli e culture diversi diventano sempre più difficili. La globalizzazione è imposizione a livello mondiale del modello di sviluppo occidentale, con il suo portato di violenza e sfruttamento, più
che effettivo scambio e dialogo
Anche il mondo della scuola e dell’educazione appare ripiegato
su se stesso, incapace di essere l’avanguardia della società: e sempre più spesso si accusa il ’68 di essere all’origine di una degenerazione dell’istituzione scolastica. È una scuola priva di una identità forte, che non riesce ad orientare una società in rapidissimo
cambiamento, di fronte alla quale appare stordita. È significativo che il cambiamento prenda la forma dell’innovazione tecnologica: uno pseudo-cambiamento che include formalmente nuovi
strumenti, che non sono tuttavia occasione di rinnovamento nel
senso della realizzazione di una filosofia dell’insegnamento basata sulla relazione e sulla circolarità, e che ripropongono spesso
le vecchie dinamiche trasmissive incarnate nelle Lavagne Interattive Multimediali, che mantengono saldo il centro della lezione
in un quadro di tradizione rassicurante quanto utopico rilanciato ora dalle Mastrocola, ora dai Recalcati, mentre la scuola abbisogna di muoversi entro una nuova consapevolezza professionale
nel senso della cultura, del sapere, dell’educazione, come peraltro
si è immaginato nelle migliori Facoltà di Scienze della Formazione e nelle migliori Scuole di Specializzazione (oggi TFA) del paese.
Il ricorso al concetto di apertura non era, per Capitini, l’ossequio
ad una moda. Nei suoi scritti esso compare fin dalla prima opera,
del ’37: ed era una delle leve concettuali - filosofiche, etiche, esistenziali - adoperate per combattere il fascismo con le sue nu4
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merose, terribili chiusure. Cosa intendeva per apertura? Scriveva: “apertura è la disposizione a stabilire rapporti con altri e con
altro, a non porre condizioni assolute, a non presentare esclusivamente il proprio io, a facilitare il più largo movimento, il
più vario incontro, la dialettica tra diversi, l’aggiunta del nuovo,
l’intersoggettività”. E aggiungeva: “non restare in una posizione
esclusiva, ma aprire la possibilità di accogliere altri e altro, anche
totalmente diverso; non restare nei pregiudizi, ma accettare suggerimenti e iniziative critiche e rinnovatrici; non restare nella
fruizione di privilegi, ma rendere possibile l’uso dei beni a un più
largo numero di persone; non conservare il potere di tutti, ma
estenderlo alla partecipazione di molti e di tutti...” (pp. 41-42). Alla base di tutte queste aperture c’è l’apertura al tu, l’incontro profondo, senza difese con l’altro, la rinuncia alla posizione dell’ego
che riduce l’altro a cosa, la ricerca di qualcosa di più radicale del
dialogo stesso: la relazione forte, priva di violenza e di dominio.
Roba vecchia, si dirà. Roba inattuale. Difficile contestarlo. Roba
vecchia e inattuale: ma necessaria. E necessaria proprio perché
inattuale. Perché essere attuali, oggi, significa usare le parole
d’ordine del neoliberismo, fare l’educazione che serve al mercato,
convincersi di essere nel migliore dei mondi possibili e rinunciare
a pensare una società diversa.
Riprendiamo, avviando una nuova rivista, la proposta di
un’educazione aperta e critica perché riteniamo che essa possa e
debba oggi indicare una direzione, segnare un impegno.
Questo impegno si colora di una critica alle politiche e strategie
neoliberali che si riferiscono all’educazione. In particolare, ad un
modello “educativo” basato sull’accumulazione di crediti, competenze, abilità da spendere in un mercato che poi, nella realtà,
non corrisponde alle aspettative degli studenti. Criteri di merito,
di incentivi che corrispondono ai modelli aziendali e che nulla
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hanno a che fare con una prospettiva relazionale e sociale
dell’educazione. Tale modello deteriora le relazioni umane, la
partecipazione effettiva e quella che noi definiamo educazione
aperta. Non siamo solo a noi a sostenerlo, ma ci basiamo su studi e
riflessioni che provengono dal campo della pedagogia critica facciamo riferimento a Henry Giroux, Peter Mc Laren, Grant Banfield, Dave Hill, Peter Mayo tra gli altri. Autori che possono dialogare con la pedagogia della nonviolenza italiana (Aldo Capitini,
Danilo Dolci, Lorenzo Milani, Lanza del Vasto), quella internazionale (Gandhi, Thich Nhat Hanh...), l’educazione popolare di Paulo
Freire, la filosofia della praxis di Antonio Gramsci, l’ampio campo
del marxismo umanista (Sartre, Memmi, Fanon), la filosofia della
liberazione latino-americana (Dussel).
Il campo della pedagogia critica si va estendendo notevolmente,
dal momento che gli effetti delle politiche neoliberali sono sempre più distruttivi ed appare evidente l’urgenza di creare delle alternative.
Crediamo che lavorare per alternative e costruire un’educazione
aperta e critica significhi:
• Ripensare, ancora una volta, la relazione educativa. Mai come
oggi l’autorità e l’autorevolezza stessa degli insegnanti e di chi
in genere fa educazione sono stati messi in discussione. Per
molti è una ragione per rimpiangere le vecchie strutture,
rivendicando l’autorità perduta. Noi riteniamo invece che vi
sia in questa crisi la possibilità di riscoprire la relazione
educativa come relazione umana piena, liberata dall’ipocrisia
e dalla sottomissione, dalla paura e dalla minaccia. La
domanda centrale di una educazione aperta è: in che modo è
possibile che degli esseri umani si incontrino e comunichino
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in modo profondo? Perché l’educazione accade dove c’è
questa profondità.
Considerare la società come un cerchio che sempre torna ad
aprirsi per accogliere chi resta ai margini. Una educazione
aperta protesta contro ogni forma di esclusione, di
marginalizzazione, di diminuzione; essa si muove
costantemente verso le periferie, i margini, le zone oscure.
Poiché il sistema neoliberista è, per sua essenza, un sistema
che favorisce il benessere di pochi al costo del malessere dei
molti, l’educazione aperta è una educazione critica, che
combatte in particolar modo l’introduzione, spesso subdola, di
pratiche e logiche neoliberiste nel mondo della scuola e
dell’educazione.
Mettere al centro della riflessione educativa e politica i
problemi della violenza, del potere e del dominio. Cercare una
società in cui il potere sia distribuito e combattere la cultura
della violenza, della sopraffazione, delle armi, della morte.
Porsi in una prospettiva interculturale, cercando un dialogo
con le culture altre che non può che fondarsi sulla conoscenza
attenta e non superficiale. Educazione aperta è anche
considerare i modelli educativi e le concezioni etiche e
culturali che li sostengono nella cultura africana, in quella
sudamericana, nelle straordinarie civiltà indiana, cinese e
giapponese.
Avere un atteggiamento non dogmatico, critico nei confronti
delle concezioni mainstream, ma critico anche nei confronti
delle posizioni critiche: sempre disponibile a riconoscere
l’errore, a cambiare idea, a ripensare insieme.
Essere aperti alle sperimentazioni in campo educativo e
sociale, in particolare a quelle che favoriscono giustizia e
cambiamento sociale.
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Educazione Aperta
• Tentare di pensare la possibilità di un rapporto diverso, non
fondato solo sullo sfruttamento, con il mondo degli esseri
viventi non umani.
Educazione Aperta nasce oggi, ma raccoglie l’esperienza di Educazione Democratica, rivista di pedagogia politica uscita in dieci numeri, dal 2011 al 2015, che ha inteso rappresentare in Italia un
modo diverso di pensare l’educazione e la società. Il gruppo di
lavoro, costituitosi come Comunità di Ricerca Educazione Aperta
(CREA), è composto da persone con esperienze disciplinari e professionali diverse, mosse tutte da una stessa passione e volontà
di condivisione. L’essere Comunità di Ricerca rappresenta per noi
una sfida ulteriore: fare della rivista non solo uno strumento di
comunicazione del pensiero, ma anche e soprattutto un progetto di confronto, ricerca condivisa e, perché no, lotta comune. Una
comunità che intende includere anche i lettori: l’apertura della
nostra rivista è anche volontà di dialogo e di confronto con chi
legge quello che scriviamo. Per questo tutti i testi della rivista sono rilasciati con licenza Creative Commons e sono interamente
leggibili gratis nel sito internet (www.educazioneaperta.it).
Ogni numero della rivista sarà composto da tre parti: Primo piano,
una sezione di approfondimento tematico, Studi, una sezione di
saggi di maggior respiro e Blog, una sezione di articoli più brevi,
legati maggiormente all’attualità, e che comprende anche le recensioni. In contemporanea con questo numero escono i volumi
La donna-che-genera: percorsi di riflessione e ricerca sul nascere,
curato da Gabriella Falcicchio, e Dialogo luogo dell’utopia: saggi,
proposte, divergenze nella pedagogia critica, a cura di Paolo Vittoria, primi di una serie di monografie che affiancheranno la rivista e la completeranno con analisi di più ampio respiro.
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Editoriale
Questo primo numero di Educazione Aperta si conclude con due
articoli che non avremmo voluto scrivere. A distanza di poche ore
sono venuti a mancare, prima di Pasqua, Alain Goussot e Fulvio
Cesare Manara. Senza la loro passione, il loro entusiasmo, la loro
profonda cultura, l’acume e il coraggio intellettuale, Educazione
Democratica non sarebbe stata la rivista che molti hanno amato.
Tenendo ben presente il loro insegnamento e sforzandoci di proseguire nella strada da loro tracciata, proveremo a fare Educazione Aperta.
Paolo Fasce, Direttore responsabile
Antonio Vigilante e Paolo Vittoria, Direttori scientifici
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