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PLUS
Angela Rui
WHY BIENNIAL
(and Triennial)?
I
l 26 maggio 2012 alla Milli Reassürans Conference Hall –
Istanbul – nove tra curatori e direttori di Biennali
e Triennali internazionali dedicate al design
e all’architettura si sono seduti allo stesso tavolo, invitati
a discutere un tema di per sé molto semplice, perché fondante,
ma non poi così frequentemente posto: perché (oggi)
si continua a fare una Biennale (o una Triennale)?
L’occasione – se si può dire – era quella di raccogliere idee,
posizioni, metodi, processi che potessero in qualche modo
aiutare Istanbul Design Biennial, così vicina ai rigori finali,
a raccontare alla città e ai cittadini, in un incontro aperto al
pubblico, perché ha senso promuovere anche il design nella
metropoli che è cresciuta, negli ultimi anni, di pari passo alla
qualità di un’interessantissima biennale d’arte, confrontandosi
con le testimonianze
di molteplici casi
internazionali e diversi
punti di vista. Moderato da
Ozlem Yalim Ozkaraoglu,
direttrice di Instanbul
Design Biennial, l’incontro
ha dato voce a Giovanna
Massoni, direttrice di Liège
International Design Biennial; Matevž Čelik, direttore
di BIO (Ljubljana Bio-Biennial of Industrial Design);
Elsa Francés, direttrice di Biennale Internationale Design
Saint-Étienne; Guta Moura Guedes, direttrice di Experimenta
Lisbon; Serge Serov, direttore di Moscow International
Graphic Design Biennial; Weiwen Huang, direttore
di Shenzhen-Hong Kong Bi-City Urbanism/Architecture
Biennial; Brendan McGetrick, tra i curatori di Gwangju
Design Biennial 2011, e Beatrice Galilee, Chief Curator
di Lisbon Architecture Triennale 2013.
Al di là delle singole presentazioni, è emerso in generale
il ruolo che le Biennali hanno come strumento sociologico,
antropologico e teorico per riflettere su temi più ampi,
su problematiche che oltrepassano la singola disciplina (come
sono design e architettura) per trovare un “common ground”
da condividere in primis
con la città e i cittadini
in cui la Biennale ha luogo,
per creare conoscenza,
consapevolezza, occasioni
di sviluppo concrete, più
che singoli momenti
di discussione. E come
strumento si attivano per trovare strategie e soluzioni in grado
di incrementare la qualità della vita, delle persone e delle città,
producendo attraverso la ricerca modelli che possono essere
immediatamente sperimentati e messi in circolo dalla
manifestazione stessa.
Dunque la figura della
Biennale oggi sembra essere
quella di un laboratorio
più che di una mostra,
opportunità che si apre
a qualsiasi livello di
conoscenza, e quindi di
coinvolgimento, che lascia
permeare al suo interno una certa opacità e apertura, dati
assolutamente positivi che accolgono le risposte immediate
di attori e attività locali. In questo senso, allora, “ogni mostra
è un opening” (Brendan McGetrick), ovvero rappresenta
l’occasione per mettere la propria esperienza nelle mani del
pubblico, renderla comprensibile a una platea di ampio raggio,
creare piattaforme su cui generare nuovi motori di pensiero,
cultura e sviluppo territoriale. Per fare questo, è necessario
partire dal presupposto che una Biennale deve essere in grado
di creare lo spazio per la ricerca, che attuando come sistema
aperto sia in grado di mettere in scena problematiche,
processi, sistemi, criticità su cui essa stessa è chiamata
a lavorare, facendosi testimone di un valore più ampio
e risolutorio, globale, cui
le discipline in questione
devono provare ad
allinearsi.
Se una Biennale allora viene
letta come “condizione
della città” e non come
una questione di esibizione
nazionale e internazionale,
il ruolo di direttori e curatori cambia immediatamente
prospettiva: “curare” un’iniziativa di questo genere diventa
quasi una forma di servizio pubblico, significa creare
piattaforme da cui progettisti e cittadini possono agire
immediatamente e di cui possono appropriarsi. Ciò non
significa che l’obiettivo sia esclusivamente quello di creare
opportunità temporanee, ma la sfida più grande è riuscire
nel calibrare l’offerta culturale di nuovi territori nell’ambito
dei quali la disciplina può espandersi, con l’incremento
di nuovi terreni civici entro cui mettere radici.
Allora i mezzi con cui una Biennale agisce si allontanano
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Weiwen Huang
Brendan McGetrick
Giovanna Massoni
Ozlem Yalim Ozkaraoglu
gestirle, ma ancora prima dal dato che le redini sono nelle
mani di giovanissimi curatori, abilissimi professionisti
cresciuti e formati in un panorama di “independent design”
che oggi opera nel segno di una controcultura rispetto
ai “quasi caduti” dogmi di riferimento. In questo la crisi
ha offerto una grande opportunità: la ridotta capacità dei
Ministeri della Cultura e dello Sviluppo di finanziare grandi
eventi come quelli in questione, ha di fatto creato la possibilità
alle Organizzazioni, sebbene sempre a rischio di sopravvivenza
a causa della difficoltà di fundraising, di agire sensibilmente
affrontando tematiche forse meno diplomatiche, e forse
semplicemente ancora poco percepite dal mainstream
ufficiale, ma su cui certamente si percepiscono attualità
e urgenza.
A seguito della discussione di Istanbul, riportiamo una
selezione di cinque manifestazioni che presto inaugureranno
in cinque diversi paesi, e che ci sembrano interessanti per le
strategie adottate nel considerare il grande evento come uno
strumento conoscitivo ed evolutivo per la città (e per il paese)
ospitante.
Guta Moura Guedes
Elsa Francés
Serge Serov
Beatrice Galilee
Matevž Čelik
sempre più dall’idea di una grande mostra “dimostrativa” e,
per quanto completa, chiusa. Ma vengono messe in moto altre
dinamiche di lunga durata come workshop (su invito e con la
presenza di università in crescita costante), interventi urbani,
discussioni e dibattiti aperti, servizi educativi, partecipazioni
locali, progetti speciali e, quasi sempre, questo accade tramite
“open calls” rivolte a progettisti, critici, curatori o attori del
settore. Ecco un’altra questione emersa, fondamentale
e indice di un cambiamento in atto: fallisce il vecchio modello
di partecipazione nazionale (in questo Venezia è ormai
un modello romantico), si schivano dinamiche burocratiche
e attenzioni diplomatiche, e sempre più si allarga il campo
ideale dove a essere scelti e promossi sono proposte e progetti
intelligenti di singoli individui che a livello indipendente
lavorano su temi in linea con quello che la manifestazione
solleva. Questa dinamica, tipica dei sistemi spontanei,
indipendenti, sottotraccia che toccano l’evoluzione del design
nella contemporaneità, inizia lentamente a produrre la propria
eredità, resa visibile non solo dalle tematiche che queste
Biennali e Triennali propongono e le modalità scelte per
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IMPERFECTION
IKSV TASARIM – ISTANBUL DESIGN BIENNIAL
ISTANBUL / 13 ottobre-12 dicembre 2012
A
ottobre apriranno le porte della prima edizione della
biennale di design, su cui si lavora da più di due anni.
Il tema è centrato: Imperfection, Kusurluluk in turco. Come
sostiene Deyan Sudjic, membro dell’Advisory board di IKSV,
Istanbul Foundation for Culture and Arts, nonché direttore
del Design Museum di Londra e promotore del titolo della
Biennale, l’imperfezione non è solo il carattere dominante
e trainante di una città come Istanbul, composta di infiniti
layers, melting pot culturale per eccellenza e in rapidissimo
decollo economico, sociale, urbano. Imperfetto è anche il
vettore che oggi si utilizza per descrivere l’evoluzione globale
della società contemporanea, delle città in cui viviamo assieme
alla loro modalità di sviluppo, degli inattesi flussi economici
fino ai nuovi circuiti ufficiosi entro cui agisce il design.
Ozlem Yalim, direttrice della Biennale, ribadendo
l’importanza di mantenere la città di Istanbul come paradigma
conoscitivo dell’idea di imperfezione, dichiara la necessità
di diffondere consapevolezza e conoscenza, apertura al design
su larga scala, coinvolgendo tanto i professionisti quanto gli
utenti finali che operano nella metropoli turca. Per far sì che
questo avvenga, sono stati previsti diversi interventi, azioni,
progetti in molteplici (e implicitamente diversi) luoghi
pubblici oltre a quelli ufficiali, con programmi progettati per
intensificare i rapporti tra professionisti, studenti, produttori,
organizzazioni e istituzioni private e pubbliche. In occasione
della Biennale è stato inoltre attivato l’Academy Program
per coinvolgere l’ambiente universitario e ricevere dai 70
dipartimenti coinvolti (afferenti a 24 diversi Atenei) diversi
punti di vista sul tema dell’imperfezione. Uno dei punti
fondamentali dunque di questa prima edizione è proprio
l’aspetto educativo, amplificato da un fitto programma
di workshop atto a strutturare il rapporto di interazione tra
studenti, professionisti e istituzioni, con l’obiettivo di creare
un solido network orientato al design di cui la città
attualmente soffre la mancanza.
Tutto ciò è già in atto e intelligentemente pensato da uno
dei progetti curatoriali di Joseph Grima, direttore di “Domus”
e curatore – con Emre Arolat – della Biennale, che consiste
in “The New City Reader”, rivista bimensile “di strada” che
viene affissa per le vie di Istanbul e distribuita gratuitamente
negli spazi culturali da maggio fino a fine manifestazione.
Il progetto editoriale, al suo secondo appuntamento dopo
la prima edizione per Storefront for Art and Architecture,
è inoltre un primo strumento conoscitivo che avvicina al tema
della mostra curata da Grima dal titolo Adhocracy: pensata
come espressione idiomatica opposta a Bureaucracy, l’obiettivo
è quello di trasformare la mostra (di per sé ufficiale)
in un palcoscenico per i cambiamenti rivoluzionari, imperfetti,
indipendenti, spontanei, pulviscolari che attualmente stanno
cambiando il panorama del design contemporaneo attraverso
la presenza dei network e di nuove metodologie produttive
che facilitano l’organizzazione del singolo, e allo stesso tempo
si spostano verso dalla cultura della competizione a quella della
collaborazione. La stessa location scelta dal curatore narra
l’uscita dall’idea di ufficialità, e per l’occasione verrà
ristrutturata Karakoy, ex scuola greca per l’educazione
elementare mai utilizzata in precedenza per eventi di questo
calibro, che risulterà un nuovo spazio culturale a disposizione
della città. L’altra grande mostra Musibet: the Aestheticization
of Context and Anti-Context in Design along the Axis of the Grand
Transformation, curata da Emre Arolat, avrà luogo al piano terra
dell’Istanbul Modern Museum. Nelle intenzioni del curatore,
la mostra intende mettere in discussione la progettazione
urbana e architettonica corrente a Istanbul. Strutturata in due
sezioni, nella prima tappa della mostra lo sguardo verterà sulla
trasformazione urbana (progetti di edilizia pubblica inclusi),
e la tensione sociale creata da questi progetti.
La seconda parte invece accoglie lo sguardo di attori locali
e internazionali che “guardano” e operano su Istanbul, le cui
idee sono curatorialmente selezionate e ordinate per trarre
un parallelismo tra la progettazione architettonica e la moda,
e per affermare – in fondo – che il disegno urbano
e architettonico risulta un nuovo dominio di liberazione
culturale e sociale.
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DESIGN RELATIONS
BIO.23 Ljubljana, 23rd Biennial of design
Ljubljana / 27 settembre-11 novembre 2012
B
IO, Ljubljana Biennial of design, è tra le Biennali
di Design una delle più consolidate. Nasce nel 1964,
in anni di forte sviluppo economico, per dare visibilità alla
produzione industriale interna ed “educare il pubblico al good
design”. La prossima edizione, nelle intenzioni di Matevž
Čelik, direttore della Biennale e del Museum of Architecture
and Design di Lubiana, rappresenterà un cambio radicale
nella direzione curatoriale di BIO: si supererà per la prima
volta l’idea disciplinare, escludendo separazioni tra ambiti
specifici del design (da sempre presentati in tre sezioni,
prodotto, grafica e comunicazione), ma si tenterà una
discussione più ampia e globale sullo stato di fatto del design
contemporaneo su scala internazionale. Design Relations,
questo il titolo della Biennale, è a cura di Organization
in Design (Margo Konings e Margriet Vollenberg),
conosciuto sul campo per le attività consolidate a Ventura
Lambrate (in occasione del Salone del Mobile di Milano) e,
lo scorso anno, l’apertura della mostra berlinese Kubik.
Design Relations mostrerà come i designer e i lavori che essi
producono sono influenzati dalle nuove tecnologie,
dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione e risponde,
più che a problematiche locali e territoriali, a un tema
più vasto e universale che è l’evoluzione della disciplina.
Seguendo la modalità di open calls (quasi 500 proposte),
le due curatrici con l’aiuto di una giuria internazionale
composta da Giulio Cappellini, Sven Jonke, Sophie Lovell,
Jimmy MacDonald e Vasa J. Perović hanno selezionato
90 progetti da 27 Paesi. Questa apertura internazionale
da parte di una piccola capitale geograficamente isolata
da un diametro di 30 km di foresta è comprensibile
e strumentale per due motivi:
il primo riguarda la ricerca constante di un pubblico
e un’attenzione internazionale (di cui ormai la Biennale
è uno strumento consolidato) per stimolare un rapporto
di scambio culturale ed economico capace di aiutare la città
a svilupparsi in un modo positivo e a trovare anche altrove
i propri interlocutori.
Il secondo, più faticoso, risulta essere l’effetto del tentativo
di autosostentamento: la ricerca di fondi avviene quasi
esclusivamente da parte del Museum of Architecture
and Design di Lubiana (MAO), che nato nel 1972 si è sempre
occupato della gestione e dell’organizzazione di BIO,
ma che negli ultimi anni, a causa prima della crisi finanziaria
e politica dovuta alle guerre jugoslave, poi alla crisi economica
globale, ha visto il taglio delle risorse interne destinate
alla Biennale, che vanno cercate tra privati e industrie.
Tra le sedi coinvolte nella Biennale, forte la presenza
istituzionale: il MAO ospiterà la mostra principale, mentre
nella Kresija gallery avranno luogo diverse attività,
oltre all’incontro con i designer, talk serali e un design store.
Il symposium invece avrà luogo alla Camera di Commercio
e Industria della Slovenia, mentre l’Ethnographic Museum,
il Museum of Recent History e il Pavilion of Pilot Project
Rog vicino al fiume Ljubljanica ospiteranno le altre mostre.
Infine molti studi professionali apriranno le loro porte
al pubblico per raccontare le proprie attività.
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EMPAThY, OR THE PERCEPTION OF THE OTHER
Biennale Internationale Design Saint-Étienne 2013
14-31 marzo 2013
A
ttiva dal 1998, la Biennale Internationale Design SaintÉtienne è nata su iniziativa dell’École régionale des
Beaux-arts de Saint-Étienne per dare visibilità e respiro
internazionale alle ricerche condotte dai programmi didattici
e per consolidare il rapporto osmotico con la Cité du design,
oggi promotrice della Biennale che aprirà a marzo 2013 la sua
ottava edizione. Elsa Francés, direttrice e responsabile dei
grandi eventi della Cité du design, racconta il tema su cui
ha origine il prossimo appuntamento dal titolo “Empathy,
or the perception of the other”: Prendendo come assunto
generale il fatto che la società sta vivendo un grande
cambiamento generato dalla ridefinizione degli equilibri
politici, economici e culturali globali, l’idea è quella di tornare
alle origini, avanzando una riflessione umanistica, filosofica
e sociologica, che a partire dall’uomo e dalla sua sensibilità
(leggi percezione), possa gettare nuove basi sociologiche
dentro cui il design può agire. Il fine della Biennale
Internationale Design Saint-Étienne è sempre stato
l’orientamento alla ricerca, allo scambio e al dialogo.
“La nostra Biennale”, sostiene Francés, “non è una fiera
e non ha uno scopo commerciale. Forse è questa la nostra
unicità che ci rende diversi dagli altri eventi legati al design
che hanno luogo in Francia”.
Sebbene la Cité du Design appaia come “una città nella città”,
in quanto rappresenta una cellula attiva e un distretto vitale
per il design, la Biennale ha consolidato nel tempo
un rapporto molto stretto e tuttora in espansione con la città
di Saint Étienne nell’obiettivo comune di trovare nuove
strategie di sviluppo del territorio. All’interno di questo
programma, le istituzioni hanno un ruolo fondamentale
nel supporto delle attività e la Città di Saint-Étienne,
Saint-Étienne Metropole, la Regione Rhône-Alpes
e il Ministero della Cultura, a differenza della maggior parte
delle Biennali qui discusse, rimangono i principali promotori,
convinti che il design (con le attività, le ricerche e gli eventi
a esso correlati) possa essere il motore di sviluppo
e promozione del distretto, di cui la Biennale rimane
lo strumento più efficace. Gli eventi e le mostre, che ormai
toccano anche la vicina Lione, sono da un lato rappresentate
da istituzioni come Museum of Modern Art, Museum of Art
and Industry, Museum of the Mine (che organizzano
le proprie mostre), e dall’altro organizzate dalle università
(Art and Design School of Saint-Étienne, la national School of
architecture, la School of Mines, la Jean Monnet university),
oltre ai sempre più numerosi collettivi artistici e designer
indipendenti. Per quanto riguarda la Cité du design, verrà
utilizzato lo spazio ex-industriale di 3000 mq per una grande
mostra cui lavorano autonomamente dieci curatori selezionati
su presentazione del progetto. Tra le mostre già programmate:
empathiCITY, Making our city together (curatori: Laetitia Wolff
e Josyane Franc; allestimento di Adrien Rovéro); Design with
Heart (cura e allestimento: Sebastian Bergne); Demain c’est
aujourd’hui (curatrice: Claire Fayolle; allestimento di Gaëlle
Gabillet); Trait d’union – Objet d’empathie (cura e allestimento:
Elium Studio); J’aime beaucoup ce que vous faites (curatori:
Alexandra Midal and Yann Fabès; allestimento di Adrien
Rovéro); Sixième sens (curatori: Isabelle Vérilhac and Collectif
Designers +; allestimento di Adrien Rovéro); Nendo (cura
e allestimento di Nendo); Les androïdes rêvent-ils de moutons
électriques (curatrice: Marie-Haude Caraës; allestimento
di Adrien Rovéro); C’est pas mon genre (Curatori: Rodolphe
Dogniaux and Marc Monjou; allestimento di Adrien Rovéro).
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RECIPROCITY
LIÈGE DESIGN BIENNIAL
5-28 ottobre 2012
L
iegi è una città belga da sempre conosciuta per il ruolo
predominante avuto nel Paese come indotto industriale,
luogo di scambio commerciale strategicamente posizionato
tra Europa e Gran Bretagna, e geograficamente strategico
vista la vicinanza ai confini con Olanda, Germania,
Lussemburgo e Francia. Tutto ciò ha portato una certa
fortuna economica, ma – essendo “città di transito” – questa
prosperità fa tuttora molta fatica a tradursi in fortuna
culturale. A Liegi dal 2002 si tiene la Liège Design Biennial,
fin dal suo esordio orientata al design del prodotto industriale
attraverso eventi molto locali. Quando Giovanna Massoni
ha assunto l’incarico di dirigere la prossima edizione, che
aprirà al pubblico il prossimo ottobre, ha deciso in primis
di manomettere il sistema autoreferenziale della produzione,
puntando invece sulla “tessitura” (semi-invisibile) di una trama
connettiva in grado di mettere in relazione attori e istituzioni
già attivi sul territorio, ma che non hanno ancora avuto
l’occasione di coordinarsi o di collaborare per creare un nucleo
più forte e culturalmente contrattuale per la città. Reciprocity,
titolo guida dell’intero evento, si riferisce all’idea
di “connettere punti”, leggi piccole entità (singole figure,
professionisti, istituzioni, associazioni), dove il design,
nel programma di Giovanna Massoni, assume le sembianze
di collante tra “punti” che già esistono, ma che necessitano
congiunzione, e che si trovano anche al di fuori dei confini
fisici della città, nelle aree rurali limitrofe. “Reciprocity è un
sistema connettivo di metodi e persone, buone pratiche
e soluzioni” (GM), e più che il carattere del grande evento,
è l’occasione per entrare nel tessuto sociale attraverso
partecipazione e collaborazione civile proattiva. Biennale lo-fi
(come la definisce la direttrice), Liège Design Biennial punterà
sul “reddito a lungo termine”, vale a dire sulla collaborazione
con le scuole inferiori, il coinvolgimento degli atelier
di pedagogia del design, il sollevamento progressivo del
quartiere di Saint-Gilles, utilizzando il design come strumento
con cui produrre innovazione sociale e politica più che
accelerazione di progresso economico.
Tra le mostre in programma: Memorabilia – designing souvenirs:
la reciprocità tra “presente passato futuro” e tra “qui
e altrove”; Craft&Industry, a cura di Gabriele Pezzini,
la reciprocità tra industria e artigianato, tra tecnologia e “fatto
a mano” (la mostra e tavola rotonda organizzate da Gabriele
Pezzini Craft&Industry”), Welcome to Saint-Gilles a cura
di Virginia Tassinari e Thomas Lommée (la reciprocità
tra design e comunità sociali) che tratta della difficoltà
di visualizzare e comunicare i progetti di design sociale
e che presenta i progetti di design sociale realizzati da una rete
di otto scuole belghe, tedesche e olandesi in un quartiere di
Liegi; KidsDrivenDesign a cura di Emma Firmin e Michael
Bihain che ha co-progettato con 12 ragazzini tre oggetti sul
tema del “trasportare / contenere / servire l’acqua” (pubblica).
Tra i dibattiti: Craft&Industry, cui parteciperanno Massimo
Morozzi, Hans Maier-Aichen, Alexander von Vegesack
del Domaine de Boisbuchet in Francia – con la mostra Naked
Shapes – Suresh Sethi di Whirlpool Asia; Public & Collaborative,
organizzato da Desis Network in collaborazione con Ezio
Manzini; Oggetti della memoria, in parallelo alla mostra
Memorabilia, sulla necessità del rapporto tra design
e patrimonio storico e culturale di un territorio.
Il Meeting Point sarà invece un luogo fondamentale
di incontro e informazione, in cui, accanto alla presentazione
di Mapping the Design World, che suggerirà pratiche
interessanti di design sociale identificate in luoghi dove
il design ufficialmente non esiste, si terranno dei momenti
di dibattito la cui finalità è quella di mettere a confronto
le grandi opere e i grandi eventi con la città e i suoi abitanti.
Quattro gli appuntamenti gestiti da Max Borka, noto
“agitatore di coscienze”, curatore e giornalista indipendente
belga ora a Berlino.
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CLOSE, CLOSER
LISBON ARCHITECTURE TRIENNALE 2013
12 settembre-15 dicembre 2013
“L’edizione 2013 della Triennale di Architettura di Lisbona è Close,
Closer (Vicino, più vicino). Capiamo edifici, progetti, città e ora noi
ci stiamo chiedendo in che altri modi si può praticare l’architettura?
Chi altro la sta praticando? Designer e scienziati? Neurologhi o
attori? Politici o programmatori? Scrittori o think tank? Riviste e
musei?” Beatrice Galilee
G
iunta alla terza edizione, dopo Urban Voids (2007) e Let’s
Talk about House (2010) – entrambe orientate al discorso
architettonico in senso tradizionale – la Triennale
d’architettura di Lisbona si è messa totalmente in gioco
affidando il timone a Beatrice Galilee, critica e curatrice
londinese di nuova generazione. Le intenzioni di Galilee sono
molto chiare, per quanto probabilmente discutibili da chi
è interessato all’autonomia della disciplina architettonica: è
necessario spostarsi dall’architettura costruita, dai modelli,
dai concorsi per poter trovare i nuovi paradigmi della pratica
spaziale e produrre nuovi contenuti critici all’interno del
discorso architettonico. E quando si parla di altre influenze
sull’architettura, dietro l’architettura ci sono le istituzioni,
fatte di persone, riviste, gallerie, tutti autori che praticano
il mondo delle idee. La Triennale di Galilee proverà
a rappresentare tutti questi attori, che in fondo risultano
gli autori di piattaforme su cui l’architettura può “accadere”,
e che fanno funzionare le istituzioni per rendere visibile
l’architettura il più possibile.
E la Triennale, dato il suo modello sperimentale,
è un’occasione per raccontare come la nozione di architettura
possa essere ampliata e possa nutrirsi attingendo da altri campi
che possano avere una conseguenza spaziale, che agiscono
su modelli temporanei o spontanei, e che tutto ciò possa avere
una ricaduta positiva sul piano teorico, e una attiva sulla realtà.
E sulla città. Infatti il focus di Beatrice Galilee contempla
l’idea di poter contribuire promuovendo progetti a lungo
termine e programmi coinvolgenti e produttivi per la città
di Lisbona. Il team curatoriale sta delineando strategie
e tattiche per occupare spazi e palazzi pubblici, ora in disuso,
per creare nuove occasioni. Lo stesso palazzo della Triennale,
inutilizzato per via della crisi, diventerà punto d’appoggio
come spazio civico per la ricerca, spazi per i progettisti,
libreria. In questo senso un evento come la Triennale può
coprire un ruolo che il Governo attualmente non è in grado
di gestire. L’altro tema fondamentale come risposta alla crisi
è quello del “microcredito”: è stato deciso di assegnare
un piccolo prestito a ogni progettista per vedere come lo
userebbe. Si tratta di una sorta di startup che può davvero
essere realizzata. Una piattaforma di idee che può essere
sfruttata dalla città. E un modo per coinvolgere le persone
nella risoluzione dei problemi reali, investendo sulla città
e nella conoscenza diffusa su larga scala, incrementata dalla
diffusione di e-books con contenuti critici e programmatici
che contribuiscono a creare, in anticipo sull’inaugurazione
delle mostre, conoscenza, vicinanza, comprensione,
partecipazione.
Tre le mostre principali, a cura di Mariana Pestana, José
Esparza, Liam Young (figure molto diverse nel loro indagare
l’architettura), che investigano dall’esperienza dell’architettura
reale a quella discussa dal pubblico, fino alla creazione di città
visionarie di un possibile futuro prossimo. Il tutto
“comunicato” dallo studio grafico londinese Zak Group.
The Real and Other Fictions – A cura di Mariana Pestana È una mostra costituita da diversi interventi spaziali
multidisciplinari in scala 1:1, totalmente fruibile dal pubblico
in quanto luoghi per mangiare, leggere o spendere del tempo.
Esplorando il territorio perturbante tra realtà e fiction,
la mostra si presenta come stratagemma composto da luoghi
e programmi reali, una mostra di architettura vivente e iperreale.
New Publics – A cura di José Esparza Sotto il titolo di New Publics, la Triennale di architettura
di Lisbona presenta un programma pubblico che mira a essere
il palco centrale per la presentazione della diverse espressioni
nella produzione della pratica spaziale contemporanea, con
l’obiettivo di fornire una piattaforma per l’articolazione
di un programma che ha grandi ambizioni civiche.
Future Perfect – A cura di Liam Young
Future Perfect riunisce un insieme di scienziati pazzi,
anticonformisti del design, astronauti letterari, giocatori
speculativi, visionari e luminari per sviluppare collettivamente
puntelli, spazi, macchine, culture e racconti di una città futura,
un’urbanistica immaginaria, i paesaggi che la circondano
e le storie da questi contengono. Passeggiare attraverso la città
immaginaria per esplorare le possibilità e le conseguenze della
ricerca biologica e tecnologica che oggi stanno emergendo.
Che cosa potrà mai accadere in un Future Perfect?
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