Le Regole del Gioco - Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo

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Le Regole del Gioco - Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo
Università degli Studi di Roma
La Sapienza
Facoltà di Lettere e Filosofia
Dipartimento Arti e Scienze dello Spettacolo
A.A. 2014-2015
Tesina Corso: Drammaturgia dello Spettacolo Digitale
Docente: Aleksandra Jovicevic
Le Regole del Gioco
Strutture di senso del videogioco
di
Giuliano Tomarchio
Premessa
Come un videogioco crea “significato”? In che modo interagisce con l’utente, stabilendo uno
scambio semiotico che ne permette la fruizione? Dopo più di cinquant’anni dalla sua nascita,
il videogioco oggi può essere ritenuto a tutti gli effetti un “medium” al pari di cinema,
televisione, internet. Come tale, il videogioco necessita, avendo creato e codificato un
proprio linguaggio, in parte dipendente dai media sopracitati, ma che si distingue per nuove
possibilità e autonomia, di operare attraverso proprie strutture di senso, uniche e inedite,
che aspettano ancora di essere completamente decifrate e sfruttate. Data la natura recente
del medium stesso e la scarsa rilevanza cui è soggetta soprattutto in ambito accademico,
speculazioni di tal genere sono ancora sporadiche e non del tutto sviluppate. Mi limiterò qui
ad argomentare le principali analisi del sistema semiotico dei videogiochi cercando di evitare
gli approcci disciplinari contrastanti e le diatribe ancora in corso al riguardo, confusionarie
ma necessarie considerando che non è un mezzo pervasivo quanto lo sono gli altri, internet
in primis, e che è per lo più indirizzato e consumato da un’utenza specifica, nonostante
questi limiti comincino ad allargarsi e inglobare un insieme di utenti sempre maggiore.
Per questa ricerca, oltre a sfruttare strumenti di natura semiotica nei limiti concessi, risulterà
utile citare il celebre saggio di sociologia “Homo ludens” di Johan Huizinga, per non
trascurare l’aspetto fondamentale della soggettività, del giocatore che crea e conferisce
significato al testo, senza forzare e decontestualizzare il messaggio del suo libro, già oggetto
di per sé di numerose critiche.
1. Cos’è un videogioco? Ipertesto e limiti dell’analisi
Dal momento che gli studi fatti non hanno ancora fornito una risposta autorevole alla
domanda di cosa sia un videogioco, è necessario dare una prima definizione prettamente
fenomenologica: «I videogiochi sono prodotti di intrattenimento elettronico, testi interattivi
con cui l’utente si interfaccia con un sistema di controllo»1. L’interattività è la parola chiave
che ci permette di accedere al nucleo centrale del medium videoludico. Ma il videogioco,
edificato su una complessa struttura enunciativa, nelle sue varie forme, non è identificato
solo dalla possibilità di interazione. Per comprende meglio il modello testuale del videogioco
e al fine di isolarne l’essenza, può essere utile visualizzarlo come “paratesto”, principio
originariamente creato da Gérard Genette2, perché non bisogna dimenticare che i
1
M. Maietti, Semiotica dei Videogiochi, Milano, Unicopli, 2004, p.49. Chiamerò spesso in causa il libro di Maietti
perché, dato il suo studio specifico, si pone come un utile guida per approcciarsi a un campo ancora poco esplorato. Lo
stesso Maietti sottolinea, comunque, che, data la parziale inadeguatezza degli strumenti offerti dalla semiotica per
l’analisi del testo videoludico, essi debbano essere riformulati in vista di un modello testuale “interattivo”, quale
appunto il videogioco: cfr. p.51 di M.Maietti, op. cit..
2
Cfr. G. Genette, Seuils, Parigi, Seuil, 1987, trad. it. Soglie, Torino, Einaudi, 1989.
videogiochi sono «organizzazioni di contenuti pluridimensionalmente sincretiche,
costellazioni di differenti regimi testuali, dispositivi che devono essere fruiti alternando
momenti di feedback intenso […] ad altri in cui non è richiesto alcun genere di feedback»1.
Ciò implica la compresenza di fasi di completa interazione, di scambio di input e output e
lavoro inferenziale del giocatore, e altre di passività, dedicate alla visione di sequenze
solitamente di natura cinematografica (in gergo “cutscene”), ma anche schermate di
caricamento, salvataggio e altre note tecniche in cui l’interazione è sospesa, ricollegando il
ruolo del giocatore a quello dello spettatore, anche se solo momentaneamente. Sfruttando
la nozione di paratesto, possiamo avvicinarci agli elementi caratteristici del testo
videoludico, circondato da un grande numero di epitesti e peritesti, necessari data la sua
natura multimediale, ma che ci allontanano dalle sue funzionalità specifiche. I paratesti, nel
caso del videogioco, riguardano: riviste specializzate, articoli online, anteprime, recensioni,
approfondimenti, paratesti fattuali (quali classifiche di vendita, riconoscimenti, specifiche
tecniche), riduzioni ad altri media come romanzi, film, fumetti, nonché i mezzi utilizzati dal
giocatore per scambiare dati con il videogioco (dispositivi di input fra cui mouse, tastiera,
joypad ecc.; e di output fra cui sistemi di diffusione di immagini e suoni). Con il criterio del
paratesto possiamo, in definitiva, «escludere dal panorama di ricerca tutto ciò che non
ricade nella dimensione dell’immaterialità […] se i dispositivi fisici vanno ascritti al paratesto,
sono invece componenti essenziali del videogioco le relazioni, i codici che assegnano ad
un’azione nel mondo reale (la pressione di un pulsante, il ruotare del joystick) un effetto nel
mondo di gioco. […] sarà questa relazione segnica a far parte del videogioco, e non la sua
materia dell’espressione»2. L’autore di un testo videoludico è altrettanto difficile da
riconoscere, tanto che classificare le figure del destinatore e del destinatario appare
complesso, risolvibile solo nella composizione testuale del brand di sistema. Con brand ci si
riferisce tanto alle diverse console quanto ai singoli giochi, ambiti interdipendenti dal
momento che è impensabile pensare l’esistenza di uno in mancanza dell’altro e che
contribuiscono a creare l’immagine di marca e di prodotto. Le figure autoriali e creative che
sono alla base di videogiochi e brand sono molteplici e possono variare, ma essenzialmente
riscontriamo: un editore che finanzia lo sviluppo del gioco, team di sviluppo eterogenei,
società esterne che mettono a disposizione soluzioni tecniche, un distributore che si occupa
della diffusione del prodotto, brand legati alla piattaforma tecnica, eventuali brand associati
all’appartenenza di una serie, di una collana, o legati a testimonial o firme celebri (come ad
esempio i videogiochi che portano nel titolo l’etichetta “Tom Clancy’s”, in relazione al noto
scrittore di spy stories e thriller). In molti casi i brand sono rappresentati all’interno del gioco,
o per rafforzare l’identità del prodotto o con funzioni metatestuali e autoreferenziali per
generare, solitamente, effetti ironici. Avvicinandoci sempre di più a una definizione
convincente di “videogioco”, un primo suggerimento è quello di definirlo “narrazione
interattiva”, delimitando la testualità dei videogiochi agli insiemi dell’interazione e della
1
2
M. Maietti, op. cit., p. 56.
Ibidem, p. 65.
narrazione.1 Intendiamo qui per interazione «l’insieme degli stati del testo che, durante la
fruizione, rimangono stabili lungo l’asse temporale finché l’utente non fornisce un input che
li modifica»2. L’interattività è, dunque, caratteristica costitutiva del testo. La narrazione,
anche se da molti viene considerata una fase esterna al gioco, cui ne può fare parte
occasionalmente3, da un punto di vista semiotico non può essere esclusa: non solo è
essenziale per la costruzione e comprensione della fabula, ma i nodi narrativi sono utili
“valorizzatori cognitivi”, suggerendo un’azione da compiere una volta ripresa l’interazione,
e indispensabili agenti emotivi che investono personaggi ed azioni di valori che possono
ulteriormente influenzare le scelte durante l’interazione. La narrazione è, per la semiotica,
altrettanto costitutiva (qui si eviterà, però, di configurarla come onnipresente, come
vorrebbe Greimas, per non sminuire il ruolo dell’interattività che acquista funzionalità
semiotiche peculiari nel videogioco), «principio organizzatore di ogni discorso, narrativo […]
e non narrativo»4. I videogiochi sono, quindi, costituiti da un binomio di regimi testuali: da
un lato il luogo testuale del gioco in cui le scelte interattive del giocatore, riflesso in una
nuova identità simulacrale, sono investite di valori e in cui esegue una vera e propria
performance; dall’altro, il regime metalinguistico stabilisce le condizioni di accessibilità al
primo, in cui non avviene nessuna “performance”, nessuna azione. Non mancano, certo,
videogiochi “non figurativi”, che non contengono nessun tipo di narrazione e che non hanno
bisogno di storie (l’esempio classico è Tetris). L’argomento ha suscitato non pochi dibattiti
sull’approccio narratologico e generato scissioni nei metodi di ricerca (i cosiddetti “ludologi”
sono nati proprio per rivendicare la necessità di una nuova disciplina specifica che adoperi
strumenti di analisi differenti). I mezzi della semiotica risultano, allora, ancora non sufficienti
per un’analisi completa.
Altrettanto utile può essere recuperare la nozione di “Ipertesto”. Rielaborando Barthes
riguardo il concetto di “testo aperto”5, l’ipertesto è stato definito da George Landow come
«un testo composto da blocchi di parole (o immagini) connesse elettronicamente secondo
percorsi molteplici in una testualità aperta e perpetuamente incompiuta decritta nei termini
collegamento, nodo, rete, tela e percorso»6. L’ipertesto, dunque, è non-sequenziale (meglio
ancora, multi-sequenziale), è una tecnologia (quantomeno, applicata a questo contesto: già
l’enciclopedia cartacea è una forma di ipertesto) che contiene blocchi di informazioni. Il
videogioco, si rispecchia, in parte, nella definizione, ma deve comunque essere considerato
come una nuova forma di testualità, poiché né tutti i videogiochi rispondono ai requisiti
1
Questa definizione non è definitiva e può apparire ancora fuorviante. Espen Aarseth la definisce «puramente
ideologica» e incapace di configurarsi come un «concetto dotato di sostanza analitica». La critica ludologica nega, per
lo più, l’importanza costitutiva della narrazione. Cfr. E. Aarseth, Cybertext, Baltimora, John Hopkins University Press,
1997.
2
M. Maietti, op. cit., p.70.
3
Cfr. R. Rouse, Game design: Theory & Practice, Plano, Wordware Publishing, 2001.
4
A. J. Greimas e J. Courtés, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Parigi, Hachette, (trad. it)
Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, Milano, La Casa Husher, 1986.
5
R. Barthes, S/Z, Parigi, Seuil, 1970, (trad. it.) S/Z, Torino, Einaudi, 1973.
6
G. P. Landow, Hypertest. The convergence of contemporary critical theory and technology, Baltimora, Hokins
University Press, 1992, (trad. it.) Ipertesto. Il futuro della scrittura, Bologna, Baskerville, 1993.
teorici dell’ipertesto come agglomerato di nodi e collegamenti discreti, né la nozione di
ipertesto può includere tutte le possibilità testuali del videogioco, legate soprattutto
all’interattività. Il modello dell’ipertesto si rivela particolarmente inefficace se si considera
che la maggior parte dei videogiochi si configurano come “ipertesti densi”, in cui
l’informazione non è frammentata, lo spazio si sviluppa lungo una temporalità densa entro
cui l’utente può muoversi; la dialettica blocco/collegamento degli “ipertesti discreti” viene
meno. Questo perché, sul piano dell’espressione, le informazioni si posizionano in modo
denso: la forma del contenuto e la forma dell’espressione non si sovrappongono più
perfettamente. I videogiochi, inoltre, mettono in crisi il concetto di autore e lettore
empirico: una “AI” (Artificial Intelligence), programmata in modo tale da generare azioni e
risposte in modo situazionale attraverso codici di routine, non permette di prevedere tutte
le configurazioni possibili dell’ipertesto né da parte dell’autore né da parte dell’utente,
rendendo impossibile rappresentare la totalità degli stati interni (come, invece, si potrebbe
fare per un ipertesto discreto). L’autore empirico «non determina direttamente tutti gli stati
interni assumibili dalla macchina testuale, crea semplicemente le regole che ne stanno al
base»1 Ma il videogioco è composto sia da ipertesti discreti che da ipertesti densi, e
solitamente anche da testi sequenziali introduttivi e conclusivi, a fini narrativi quanto
interattivi. Per questo «sia l’interazione che la narrazione possono assumere una pluralità di
forme e gradi, ma sono congiuntamente responsabili della messa in forma […] del videogioco
come progetto comunicativo globale. I videogiochi sono dunque da considerarsi ipertesti
sincretici non solo per la varietà di sostanze dell’espressione che utilizzano (video, testo,
suoni, musiche), ma anche per la pluralità di forme di ipertestualità che mettono in gioco,
spesso incassate l’una nell’altra, e che insieme costruiscono il testo ludico e lo qualificano
come prodotto di enunciazione sincretica»2.
2. Ciò che sta alla base: il gioco
«Ogni gioco significa qualche cosa»3. Huizinga si preoccupa di chiarire ciò all’inizio del suo
noto e discusso “Homo ludens”, ponendo la nascita del gioco prima di quella della cultura
stessa, che anzi trae origine dal gioco, così come la maggior parte delle attività umane.
Huizinga colloca il gioco aldilà di fenomeni biologici e psichici, immateriale, irrazionale,
motore multifunzionale che non esclude la serietà, evento fuori dal quotidiano, dalla vita
“ordinaria” e “vera”, allontanatoci dalla quale si entra in una «sfera temporanea di attività
con finalità tutta propria […] si isola dalla vita ordinaria, in luogo e durata. Ha uno
svolgimento proprio e un senso in sé»4. Se è temporalmente limitato, ciò implica che esso
1
M. Maietti, op. cit., p. 99.
Ibìdem, p. 101.
3
J. Huizinga, Homo ludens, Amsterdam, 1939, (trad. it.) Homo ludens, Torino, Einaudi, 1946, cap. 1, p. 3.
4
Ibidem, p. 6 e succ.
2
comincia e termina, ma può essere tramandato e, quindi, ripetuto. La possibilità di ripresa
del gioco è intrinseca alla sua struttura interna. Il gioco è altrettanto limitato nel senso di
spazio: come in un rito, si svolge in un luogo segregato, in un mondo provvisorio costruito
all’interno di quello ordinario, in cui valgono proprie e speciali regole che porteranno a
un’azione fine a se stessa nel mondo effimero che è stato generato. Il gioco è dominato dalle
regole, ed entro i suoi spazi «domina un ordine proprio e assoluto. Esso crea un ordine, è
ordine. Realizza nel mondo imperfetto e nella vita confusa una perfezione temporanea,
limitata. L’ordine imposto dal gioco è assoluto. La minima deviazione da esso rovina il gioco,
gli toglie il suo carattere e lo svalorizza»1. Siamo soliti definire il gioco con termini provenienti
dall’estetica, quali soprattutto tensione, equilibrio, contrasto, variazione, intreccio,
soluzione. La tensione è particolarmente rilevante: essa si configura come ansia, come
aspettativa, come incertezza, come attesa di una possibile riuscita, positiva o negativa.
Attraverso la tensione si mettono alla prova le capacità del giocatore, le sue abilità, la sua
forza morale, e il giocatore deve agire mantenendosi entro le regole stabilite dal gioco. Se si
trasgrediscono, il mondo del gioco crolla. E la comunità che gioca tende a costruire legami e
formare gruppi, anche dopo che il gioco è finito. Ciò non avviene sempre, tuttavia «la
sensazione di trovarsi insieme in una situazione eccezionale, […] di segregarsi insieme dagli
altri, e di sottrarsi alle norme generali»2 genera fascino e nuove possibilità, perché anche se
il gioco si è concluso, il suo effetto non svanisce, bensì si irradia nel mondo ordinario e
contribuisce a ricreare quell’ordine, quella sicurezza e quel piacere che aveva suscitato
all’interno del gruppo, il quale può nuovamente riproporre il gioco al fine di stabilizzare,
mantenere ordine nel mondo. Questo “essere-diverso” grazie al gioco si ricollega con l’idea
di travestimento, in cui il mascherato gioca a “essere” un altro essere, diventa un altro
essere. Diviene un simulacro, ma esiste come tale. Attraverso il mascheramento si completa
il carattere “insolito” del gioco. E’ un atteggiamento, quello di voler rappresentare la realtà
in un ordine superiore, quindi di uscire dalla solita realtà, che si riscontra già dall’età
infantile: «il bambino può essere dominato da un’emozione tale da raggiungere lo stato del
credere-di-essere senza perdere completamente la coscienza della realtà consueta» 3. Ma
questa coscienza del “giocare soltanto”, nell’età adulta, può essere repressa e il giocatore
può approcciarsi spontaneamente al gioco con la massima serietà, arrendersi ad esso con
tutto il suo essere, anche se questa perdita di coscienza è effimera, dal momento che sia per
cause esterne al gioco, quando il mondo “ordinario” esercita pressione, che per cause
interne allo stesso, violando le regole del gioco o perdendo interesse, l’illusione facilmente
svanisce. Ma una “retro-coscienza” che percepisce l’inganno come non-vero è sempre
attiva.
Se, dunque, il gioco preesiste alla maggior parte delle attività umane, come sostenuto dalla
teoria di Huizinga di cui sopra sono stati elencati gli elementi cardine, il videogioco potrebbe
1
Ibidem, p. 14.
Ibidem, p. 16.
3
Ibidem, p. 18.
2
vedere nella sua natura ludica, che genera molta diffidenza, un punto di forza. Le dinamiche
descritte combaciano con molte caratteristiche del videogioco: è un momento di alienazione
dalla realtà, di passaggio in un mondo nuovo, con nuove regole; ma ciò non determina
disfacimento sociale, bensì un rafforzamento, formando gruppi interattivi (famose sono le
vaste e molteplici “comunità di gamers”) ed educando i giocatori a seguire le regole al di
fuori del gioco (anche perché non può esistere un videogioco senza regole o limiti, per
quanto anarchico sia). I giocatori si muovono all’interno dell’ipertesto-videogame come un
mascherato o come un bambino che finge di essere: il lato eccentrico, insolito, furi
dall’ordinario del travestimento nel gioco si riflette e diventa più complesso nel ruolo
dell’alter ego/simulacro che il giocatore interpreta, o meglio gioca a interpretare.
È stato utile contestualizzare l’opera di Huizinga per comprendere l’origine di atteggiamenti,
strategie di senso e funzionalità sociali e per osservare il testo videoludico da un differente
punto di vista, conferendogli una rilevanza culturale e sociale che lo configura come
un’evoluzione (in cui la tecnologia è comunque fondamentale) di radicate attività
tipicamente umane. In futuro potrebbe anche passare da mero oggetto di intrattenimento
ad autorevole medium portatore di nuovi e profondi concetti, anche artistici (e già adesso
se ne intravedono tentativi e timidi esempi), oppure venire sostituito da un prodotto
tecnologico superiore, ancora più complesso strutturalmente e più popolare, destinato a
un’utenza maggiore, che si adegui alle esigenze per lo più imprevedibili della società
contemporanea.
3. La chiave del testo: il giocatore
Si può affermare che «i videogiochi costituiscano l’oggetto di studio più complesso per chi
intende indagare la semiosi di testi interattivi»1. Esposta la definizione di ipertesto e un
abbozzo del suo modello strutturale e funzionale, e dopo aver recuperato anche da un punto
di vista sociologico le principali caratteristiche del videogioco ricalcate da quelle del gioco
inteso in un senso più ampio, occorre confrontare nozioni di semiotica e sociologia per poter
mettere a fuoco il ruolo del giocatore, colui che interagisce e mette in atto le grandi
potenzialità del nuovo medium. Abbiamo già riconosciuto la doppia natura del gioco, come
narrazione e interazione; occorre ora guardare al videogioco come sistema e processo. È, in
definitiva, “game” e “play”. Il game è il gioco in quanto sistema astratto, insieme di strutture
paradigmatiche e di regole per la loro combinazione; il play è invece il gioco in quanto
processo messo in atto da un soggetto, che è il giocatore, il quale rielabora queste regole
astratte e le concretizza in azioni. Egli, entrando all’interno della macchina testuale, diventa
un meccanismo interno al gioco e ne permette il funzionamento e non si limita ad attivarlo
dall’esterno. La soggettività assume un’importanza tale che «nell’enunciazione ludica a un
1
M. Maietti, op. cit., p. 99.
atto di produzione del game, ad opera dell’istanza creatrice del gioco, segue
un’enunciazione secondaria messa in atto dal giocatore stesso che è chiamato ad operare
delle scelte, ad esprimerle in qualche modo, divenendo allo stesso tempo co-enunciatore e
co-enunciatario del play, testo che lui stesso contribuisce a costruire»1. In questo senso, la
teoria semiotica nel suo complesso ha dovuto riconoscere un’importanza sempre maggiore
al processo di interpretazione, che nell’approcciarsi all’ipertesto opera come vero e proprio
“atto di produzione di senso”: la significazione di un gioco implica non solo una dimensione
cognitiva, ma anche pragmatica e passionale. È l’interprete (il giocatore) a individuare e
istituire l’insieme delle molteplici relazioni dalle quali viene generata la significazione. La
significazione del video-ludere scaturisce unicamente dal rapporto tra giocatore (“player”)
e partita (“play”); per questo un soggetto che osserva una partita giocata da un altro non
conferisce nessun valore alla partita stessa. Un lettore non-giocatore non può individuare
un sistema di relazioni coerenti nel caos visivo e sonoro che osserva che riesca a significare
qualcosa per lui. Il giocatore, invece, assume il ruolo di ri-enunciatore, contribuisce cioè
all’attuazione del passaggio dal sistema al processo, si pone come elemento chiave per
creare un testo, ovvero la partita. Il testo che si è così configurato «assume un significato
solo per il soggetto che mette in atto la performance o per un altro soggetto che partecipa
attivamente»2. Parliamo, in questo caso, di “significazione in atto”, per cui si considerano le
varie fasi processuali della sua costituzione. La componente fondamentale del videogioco, il
suo valore per l’interprete sta nel piacere stesso della pratica di lettura o di gioco, nel
sovraccarico emotivo che l’interprete ne riceve, aspetto che avvicina il testo videoludico al
testo estetico. Per la definizione stessa di “ludico” il gioco deve portare a una trasformazione
euforica del giocatore. L’euforia, l’uscire fuori, quindi l’evasione dalla realtà, permette al
giocatore la rimessa in discussione delle regole del mondo, attiva un senso di trasgressione
per cui «l’io del giocatore diviene un non-io per installarsi poi nel mondo del gioco come un
Altro […] è in questo processo di scissione del giocatore in soggetto dell’enunciazione e
soggetto dell’enunciato che sta il piacere del testo, in quell’istante prolungato in cui il
giocatore perde la propria presenza al mondo circostante e la propria presenza a sé per
entrare in un altro mondo »3. Nei videogiochi non si assiste alla semplice perdita di sé, ma si
attua una vera e propria “traslazione di sé”, necessaria per accedere a un altro mondo, una
tensione continua che permette la riaffermazione del proprio io come un’entità superiore a
quella reale all’interno del gioco. Se il valore, il significato ultimo del gioco può manifestarsi
solo al giocatore, sembra indispensabile revisionare il concetto stesso di significazione,
portando avanti un progetto socio-semiotico che tenga conto della soggettività dei
partecipanti e delle relazioni intersoggettive che mettono in campo, traducendo
quest’esperienza in rapporto alla propria presenza del mondo.
1
A. Meneghelli, Pratiche di gioco e significazione in atto, saggio online.
Ibidem.
3
Ibidem.
2
Bibliografia di riferimento:
J. Huizinga, Homo ludens, Amsterdam, 1939, (trad. it.) Homo ludens, Torino, Einaudi, 1946;
M. Maietti, Semiotica dei Videogiochi, Milano, Unicopli, 2004;
A. Meneghelli, Pratiche di gioco e significazione in atto, saggio online.
Opere citate:
E. Aarseth, Cybertext, Baltimora, John Hopkins University Press, 1997;
R. Barthes, S/Z, Parigi, Seuil, 1970, (trad. it.) S/Z, Torino, Einaudi, 1973;
G. Genette, Seuils, Parigi, Seuil, 1987, (trad. it.) Soglie, Torino, Einaudi, 1989;
A. J. Greimas e J. Courtés, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Parigi, Hachette,
(trad. it) Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, Milano, La Casa Husher, 1986;
G. P. Landow, Hypertest. The convergence of contemporary critical theory and technology, Baltimora,
Hokins University Press, 1992, (trad. it.) Ipertesto. Il futuro della scrittura, Bologna, Baskerville, 1993;
R. Rouse, Game design: Theory & Practice, Plano, Wordware Publishing, 2001;