Leggi le prime pagine
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Con la figlia Victoria, nel 1974 Sorbonne Sorbonne, l’Università di Parigi, il mito del cambiamento, il maggio incruento di una rivoluzione colorata. Le grandi idee del Novecento in piccoli libri che concentrano l’essenza del pensiero di persone che hanno immaginato altri mondi e prospettive diverse. Ampliando, innovando, spesso ribaltando, le conoscenze o i punti di vista dei contemporanei e delle generazioni successive. Le parole, le derive, i percorsi, le frenate, la corsa. Il curatore ringrazia Giovanna Di Lello per le informazioni bibliografiche e l’intervista a John Fante tratta dal suo documentario John Fante, profilo di scrittore, 2003, e Dan e Victoria Fante per la gentile concessione delle fotografie. Si ringrazia l’editore Fazi per i testi delle citazioni tratte da Il mio cane Stupido, Full of Life, Un anno terribile, Lettere 1932-1981 (traduzione di Alessandra Osti) e l’editore Marcos y Marcos per le citazioni tratte da tutti gli altri testi (traduzione di Francesco Durante). John Fante Fuori dalla polvere A cura di Marco Vichi © 2015 Edizioni Clichy - Firenze Edizioni Clichy Via Pietrapiana, 32 50121 - Firenze www.edizioniclichy.it Isbn: 978-88-6799-186-0 Edizioni Clichy Sommario Biografia Fuori dalla polvere di Marco Vichi Parole e Immagini La scrittura Infanzia e giovinezza In famiglia Le donne, l’amore Bibliografia essenziale 9 19 33 35 55 69 99 131 Nel 1962 Parole e Immagini La scrittura In una pausa di lavoro, nel 1978 Una sera a una riunione del sindacato, si doveva votare per uno sciopero o qualcosa del genere, aveva qualcosa a che vedere con un problema legato al lavoro. Io mi schierai con… Ciò che accadde andò così: c’era un’ala di estrema sinistra del sindacato degli scrittori che votò a favore dello sciopero, e io votai, con loro, a favore. Poi all’improvviso fu convocata una nuova riunione e alle stesse persone che avevano votato a favore dello sciopero fu chiesto di votare contro, di ripudiare il loro voto precedente sullo sciopero e lo fecero. Ripudiarono il loro voto precedente. La cosa mi allarmò. Alcuni dei veri trotzkisti del sindacato, capisci? Non riesco a ricordare i nomi di una di quelle persone, ma mentre stavamo uscendo dalla riunione, mi passò accanto e mi disse: «Fottuto fascista!». E io non riuscivo a capire perché me lo avesse detto. Era Lester Cole. Lester Cole. Mi era simpatico e pensavo fossimo amici. E poi lui incominciò quella diatriba e non riuscivo a capire perché mi avesse detto quella cosa. Ho continuato a esaminare minuziosamente la mia carriera e a chiedermi perché. Poi ricor35 dai il riferimento a Hamsun nel mio romanzo e pensai che forse quella era la risposta perché, sai, Hamsun divenne noto a quei tempi perché disse ai norvegesi di non combattere i nazisti. Li lasciò arrivare. Di fatto, io non sapevo che il vecchio Knut fosse nazista. Tutto ciò che ricordavo di Knut era la sua bellissima prosa. Da un’intervista audio registrata nella sua casa di Malibù nel dicembre del 1978 (inserita da Giovanna di Lello nel suo documentario John Fante, profilo di scrittore, 2003). Mi fermai di nuovo davanti allo specchio, scuotendo il pugno con aria di sfida. Eccomi qui, gente. Avete un grande scrittore davanti a voi. Vedete i miei occhi? Sono quelli di un grande scrittore. E la mascella? È quella di un grande scrittore. Guardatemi un po’ le mani. Sono le stesse che hanno scritto Il cagnolino rise e Le colline perdute. Puntai l’indice con aria decisa. Quanto a te, Camilla Lopez, voglio vederti questa sera. Voglio parlarti, Camilla Lopez, e sta’ attenta, perché hai a che fare con Arturo Bandini, lo scrittore. Tienilo ben presente. Chiedi alla polvere 36 37 Ero giovane, saltavo i pasti, mi ubriacavo e mi sforzavo di diventare uno scrittore. Le mie letture andavo a farle alla biblioteca pubblica di Los Angeles, nel centro della città, ma niente di quello che leggevo aveva alcun rapporto con me, con le strade o con la gente che le percorreva. Mi sembrava che tutti giocassero con le parole e che i cosiddetti grandi scrittori non dicessero un accidente di niente. Il loro stile era una mistura di sottigliezza, mestiere e forma e ciò che scrivevano veniva letto, appreso, assimilato e poi ritrasmesso a qualcun altro. Era un congegno funzionale, una «cultura della parola» assai scorrevole e prudente. Bisognava tornare agli scrittori russi precedenti alla rivoluzione per ritrovare il rischio e la passione. C’erano delle eccezioni, ma erano così poche che le si esauriva in un attimo, per poi ritrovarsi a fissare file e file di libri di un’incredibile monotonia. A paragone degli scrittori del passato, i moderni non valevano granché. Tirai giù dagli scaffali un libro dopo l’altro. Perché nessuno diceva niente? Perché nessuno gridava? Mi misi a cercare nelle altre sale della biblioteca. La sezione dei libri religiosi non era che un vasto acquitri38 no, almeno per me. Passai al reparto filosofia. Scovai un paio di tedeschi dall’animo amaro che mi tennero allegro per un po’, ma l’esperienza si esaurì ben presto. Provai con la matematica, ma era esattamente come la religione, mi scorreva sopra senza lasciar traccia. Ovunque cercassi, non trovavo niente che mi interessasse. Mi rivolsi alla geologia e scoprii che era una materia curiosa, ma di scarso nutrimento. Trovai alcuni libri di chirurgia e ne fui incuriosito: la terminologia era del tutto nuova e le illustrazioni mi sembravano fantastiche. Apprezzai soprattutto l’operazione sul mesocolon, la cui tecnica finì per diventarmi familiare. Poi abbandonai la chirurgia e tornai nella sala principale, che ospitava la narrativa. (I giorni in cui non ero a corto di vino, non andavo mai in biblioteca. La biblioteca era il posto ideale per quando non avevo niente da mangiare o da bere, o la padrona di casa mi stava alle costole per recuperare l’affitto arretrato. In biblioteca, almeno, c’erano i gabinetti). Ci ho visto una quantità di barboni, là dentro, per lo più addormentati sui loro libri. Continuavo ad aggirarmi per la sala grande, tirando giù un libro dopo l’altro, leggendo qualche riga, a volte qualche pagina, per poi rimetterli al loro posto. Poi, un giorno, ne presi uno e capii subito di essere arrivato in porto. Rimasi fermo per un attimo a leggere, poi mi portai il libro al tavolo con l’aria di uno che 39 ha trovato l’oro nell’immondezzaio cittadino. Le parole scorrevano con facilità, in un flusso ininterrotto. Ognuna aveva la sua energia ed era seguita da un’altra simile. La sostanza di ogni frase dava forma alla pagina e l’insieme risultava come scavato dentro di essa. Ecco, finalmente, uno scrittore che non aveva paura delle emozioni. Ironia e dolore erano intrecciati tra loro con straordinaria semplicità. Quando cominciai a leggere quel libro mi parve che mi fosse capitato un miracolo, grande e inatteso. Ero socio della biblioteca. Presi in prestito il libro e me lo portai in stanza, mi sdraiai sul letto e ripresi a leggerlo, ma prima ancora di finirlo capii che l’autore era riuscito a elaborare un suo stile particolare. Il libro era Ask the Dust e l’autore era John Fante, che avrebbe esercitato un’influenza duratura su di me. Terminato Ask the Dust tornai in biblioteca in cerca di altri suoi libri. Ne trovai due: Dago Red e Wait until Spring, Bandini. Erano dello stesso tipo, scritti con le viscere e per le viscere, con il cuore e per il cuore. Sì, Fante ha avuto una grande influenza su di me. Non molto tempo dopo averlo scoperto, mi misi a vivere con una donna. Beveva come una spugna, anche più di me, e assieme facevamo delle litigate feroci, durante le quali le gridavo: «Non chiamarmi figlio di puttana! Io sono Bandini, Arturo Bandini!». Fante era il mio dio e io sapevo che gli dèi vanno lasciati in pace, non si andava a bussare alla loro porta. E tuttavia mi piaceva immaginare la casa dove 40 era vissuto, in Angel’s Flight, e illudermi che ci abitasse ancora. Ci passavo davanti quasi ogni giorno e mi chiedevo: è questa la finestra da cui è uscita Camilla? È quella la porta dell’albergo? Quella la hall? Non l’ho mai saputo. Ho riletto Ask the Dust quest’anno, trentanove anni dopo la prima volta, e ho dovuto riconoscere che ha resistito al tempo, come tutte le altre opere di Fante. Questa, però, resta la mia preferita perché è con essa che ho scoperto la magia. Fante ha scritto altri libri oltre Dago Red e Wait until Spring, Bandini, e i loro titoli sono Full of Life e The Brotherhood of the Grape. Attualmente sta lavorando al suo nuovo romanzo, A Dream of Bunker Hill. Per una serie di circostanze, quest’anno l’ho finalmente conosciuto. Ma la storia di John Fante non è tutta qui. È la storia di un uomo fortunato e sfortunato in ugual misura, di un uomo di raro coraggio naturale. Un giorno qualcuno la racconterà, ma ho la sensazione che lui non voglia che lo faccia qui. Dirò solo che, nel suo caso, linguaggio e personalità coincidono: entrambi sono forti, buoni e caldi. E ora basta. Il libro è vostro. Prefazione di Charles Bukowski a Chiedi alla polvere 41 Poi accadde. Una sera, mentre la pioggia batteva sul tetto spiovente della cucina, un grande spirito scivolò per sempre nella mia vita. Reggevo il suo libro tra le mani e tremavo mentre mi parlava dell’uomo e del mondo, d’amore e di saggezza, di delitto e di castigo, e capii che non sarei mai più stato lo stesso. Il suo nome era Fëdor Michailovich Dostoevskij. Ne sapeva più lui di padri e figli di qualsiasi uomo al mondo, e così di fratelli e sorelle, di preti e mascalzoni, di colpa e di innocenza. Dostoevskij mi cambiò. L’idiota, I demoni, I fratelli Karamazov, Il giocatore. Mi rivoltò come un guanto. Capii che potevo respirare, potevo vedere orizzonti invisibili. L’odio per mio padre si sciolse. Amavo mio padre, povero disgraziato sofferente e perseguitato. Amavo anche mia madre, e tutta la mia famiglia. Era tempo di diventare uomo, di lasciare San Elmo e andarmene nel mondo. Volevo pensare e sentirmi come Dostoevskij. Volevo scrivere. La confraternita dell’uva 42 Cara Jo, L’orizzonte finora è privo di ebree, una vista davvero tristissima; perché a me le ebree piacciono; e non ne ho vista nemmeno una succulenta da quando ho lasciato quel grande alveare di ebraismo - Hollywood, terra di puttane e di negozi di cravatte ebraici. Sono sorpreso che ti sia piaciuto il mio ultimo parto apparso sul «Mercury»: la storia era scadente e scritta in modo stupido. Ho fatto di meglio, ma mai di peggio; forse sto attraversando la mia fase di declino. Tutto quello che so è che è stato comprato e pagato, l’assegno incassato e debitamente speso, e finalmente il racconto è esploso sulla carta stampata come a un bambino scoppia il morbillo. Se pagano per quella robaccia io potrei avere successo, perché ne ho a bizzeffe in questa testa che mi ritrovo. […] Mi sono innamorato di una poetessa. La Mamma è innamorata di Pappa, e Pappa è innamorato del vino. L’amore fa girare il mondo. Pee. Amore e baci, Johnnie Lettere 1932-1981 43