Sommario Educare alla fede: la diaconia dell`ascolto 178 anno

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Sommario Educare alla fede: la diaconia dell`ascolto 178 anno
178
anno 45°
Educare alla fede: la diaconia dell’ascolto
Sommario
gennaio 2013
EDITORIALE
2
Dall’ascolto al servizio il percorso della fede
DISCORSO
5
Rivisitare i doni del Concilio
CONTRIBUTO
9
Come una sinfonia. Ripensare l’ascolto a partire dal Verbo
SPIRITUALITÀ
15
Quale identità diaconale proviene dall’ascolto?
FOCUS
21
La diaconia del Servo di Jahwè
APPROFONDIMENTO
23
Acoltare per servire
RIFLESSIONI
29
Antropologia e diaconia dell’ascolto
PASTORALE
34
Ministerium Verbi
ANALISI
41
Il diaconato permanente... in evoluzione
CONFRONTI
45
I laici nella Chiesa e nel mondo
SERVIZIO
49
Un richiamo permanente per la Chiesa
51
Entrambi avevamo scelto...
54
... Avevamo scelto Cristo come il centro della nostra vita
56
Da Napoli
58
Prima Lettera di Pietro (III)
Giuseppe Bellia
Benedetto XVI
Domenico Concolino
Giuseppe Bellia
Ortensio da Spinetoli
Daniele Fortuna
Giovanni Chifari
Enzo Petrolino
Vincenzo Mango
Francesco Giglio
Felice Chiarelli
RUBRICHE
TESTIMONIANZE
PAROLA
Nando Di Tommaso
Anna Fenderico
Gaetano Marino
Luca Bassetti
RIQUADRI
48 Il desiderio del cuore ci spinge verso Dio (S. Agostino)
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EDITORIALE
GIUSEPPE BELLIA
Dall’ascolto al servizio
il percorso della fede
E
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La parte
buona
ducare alla fede non è un’impresa da poco. È una disciplina che nasce
e si sviluppa imparando a dare ascolto all’altro. Da questo stato d’animo che dispone all’apertura del cuore e all’accoglienza l’uomo impara
a fare spazio alla Parola e al percorso della fede che dispone al servizio.
Non si dà dunque una vera relazione di fede tra l’uomo e Dio che non parta
dalla disponibilità concreta del credente a mettersi in ascolto. La fede esige
dunque la pazienza dell’ascolto che richiede tempo e luogo adeguati, senza
dei quali si ha un’accoglienza formale che resta in superficie che non porta
alla comunione, come ricorda l’episodio emblematico di Marta e Maria (Lc
10,38-42).
È uno di quei racconti densi di motivi teologici e sapienziali che hanno ispirato una varietà di sottolineature da parte dei commentatori che, specie nel
passato, si sono lasciati catturare da intenti moralizzanti ma fuorvianti; per
esempio quello di leggervi un ipotetico confronto tra due diverse tipologie
di atteggiamenti spirituali. Maria era così divenuta l’eminente modello di chi
aveva scelto la parte «migliore», identificata nella vita contemplativa, mentre
Marta restava l’esemplare icona «meno buona» del generoso e utile servizio
femminile consacrato alla vita attiva.
L’esito di questo raffronto tra l’ascolto e il servizio, tra la contemplazione e
l’azione, non è presente nel testo. Non ci sono due diversi modi di servire o
di amare: c’è una sola e sapiente modalità di accoglienza del Signore. Luca
voleva segnalare ai discepoli la possibilità paradossale di un’ospitalità tanto
sollecita nel ricevere quanto poco attenta nell’ascoltare chi si riceve. Analizzando il testo da vicino si vede che l’evangelista inserisce il cammino di Gesù
verso Gerusalemme tra due diversi casi di ospitalità: il viaggio, che era cominciato con la mancata accoglienza in un villaggio di samaritani (9,52-53), si
concluderà con la richiesta di ospitalità nella casa del pubblicano Zaccheo a
Gerico (19,1-10).
In questa non casuale sequenza narrativa di episodi di accoglienza/ospitalità,
l’evangelista Luca ci dice che «Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome
Marta lo accolse nella sua casa» (Lc 10,38). L’ammirazione per il tradizionale
e lodato ruolo femminile di servizio è evidente; tanto più che sua sorella Maria aveva assunto un comportamento disdicevole per la mentalità del tempo,
rimanendo insieme agli uomini, accoccolata ai piedi di Gesù per ascoltare la
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G. Rouault,
La Santa Sindone,
Parigi (1933)
La libertà
della diaconia
proviene
dall’ascolto
DALL’ASCOLTO AL SERVIZIO IL PERCORSO DELLA FEDE
sua parola. L’ospitalità autentica non si accontenta quindi di offrire un servizio, di svolgere un compito ma cerca la relazione e perciò suppone sempre
l’accoglienza dell’altro e dunque il suo ascolto, perché desidera la sua compagnia. L’affannarsi del ministro nel servizio pastorale, se è separato dall’ascolto
dell’altro, della sua parola, procura solo un penoso stato di preoccupazione.
Nel giudizio del rabbi galileo è il vano agitarsi di chi ha scelto la parte «non
buona», lasciandosi sopraffare dalle «troppe cose, dai molti servizi» (10,40)
che finiscono per far trascurare proprio l’ospite che si è ricevuto con generosa
e zelante sollecitudine.
Senza dimenticare che proprio questo agitarsi a fin di bene, procura a Marta
quello scatto di umanissimo disappunto che la indispone verso Maria e la
spinge a far biasimare pubblicamente la sorella dal Maestro: «che non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che
venga ad aiutarmi» (10,40). Il tono imperativo da capofamiglia, o da autorevole superiora, la porta a dare ordini anche a Gesù «dille», supponendo di avere
l’ovvio e pieno assenso del maestro per un atteggiamento che lei giudicava
socialmente scorretto. Nel suo virtuoso affannarsi non aveva capito la novità
introdotta da Gesù per il mondo femminile del suo tempo, chiamato a seguirlo
e a vivere la libertà del discepolato alla maniera del mondo maschile, come
segnala espressamente Luca nel suo Vangelo.
Quando l’agitazione s’impossessa del cuore, anche la mente ne resta turbata,
non comprende fino a diventare ottusa. La risposta di Gesù d’altra parte è
precisa e netta e non può essere resa innocua, come si continua a fare nelle
diverse traduzioni. Si ritiene plausibile una interpretazione edificante che, a
partire dalla traduzione di Girolamo, fa venir meno quello stupore per il giudizio inusitato e fermo del Maestro che ancora oggi dovrebbe chiamare a riflettere l’intero mondo ecclesiale. Ascoltiamo ancora le parole di Gesù: «Marta,
Marta tu ti affanni per molte cose e ne resti turbata, ma di una cosa sola c’è
bisogno. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta» (10,41-42). La
figura di Marta «distolta dai molti servizi» è un episodio importante e quanto
mai istruttivo a livello ministeriale perché mostra come un’accoglienza formalmente ineccepibile, appare agli occhi del Maestro carente dell’unica cosa
necessaria: quella che ha preferito Maria e che Gesù loda perché ha scelto non
la parte migliore, ma quella buona che nessuno le potrà togliere.
L’icona di Marta e Maria può servire da paradigma per valutare l’importanza
dell’ascolto nel percorso di fede che porta al servizio che rischia di essere visto
come un affannarsi anonimo e scomposto che non costruisce alcuna relazione
fraterna. Dietro certe forme di servizio può nascondersi a volte un modello
d’identità autosufficiente che esibisce il proprio sacrificarsi, la propria bravura
o la propria pretesa superiorità morale, senza entrare in comunione effettiva
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Il desiderio
di ascolto
è amore
G. BELLIA
Amore
ecclesiale
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con l’altro che si riceve. Si può allora fare il bene, così come si può praticare
l’elemosina e addirittura distribuire i propri beni ai poveri, senza avere la carità come ricorda san Paolo (1Cor 13,3). Accogliere l’altro richiede quel primato
dell’ascolto che trasfigura anche il dovere dell’ospitalità che, da accoglienza
formale e impersonale, diviene contemplazione del mistero della Parola fatta
carne, del Dio che si fa presente in mezzo a noi per fare comunione e consegnarci un esempio di gaudiosa fraternità.
Questo percorso virtuoso della Parola nel cuore dell’uomo non conosce l’affanno perché, come si legge (Sap 6,14-15) il suo principio più autentico è il
desiderio di ascoltare per essere istruiti, perché «l’anelito per l’istruzione è
amore» (6,17). L’amore poi, secondo il sapiente, fa osservare le leggi divine e,
a sua volta, il rispetto del volere di Dio diviene per l’uomo una garanzia di incorruttibilità, un pegno di salvezza che rende vicini a Dio. E il saggio conclude
il percorso della fede ricordando che il desiderio della sapienza, cominciato
con il semplice e praticabile desiderio di ascolto «innalza fino al regno» (Sap
6,18-20).
Se l’accoglienza viene dall’ascolto della parola che permette l’incontro con
Dio, dischiudendo il cuore dell’uomo all’agapê divino, allora accade che
l’uomo si apre veramente all’altro e sa porsi al suo servizio, come capirà lo
stesso Pietro agli albori della vita cristiana. Come si ricorderà, a motivo dei
contrasti sorti nella comunità di Gerusalemme nell’assistenza ai più bisognosi,
il lodevole servizio delle mense rischiava di vanificare la comunione fraterna:
a quel punto il capo degli apostoli ristabilisce il primato dell’ascolto e della
preghiera comunitaria come fondamento necessario di ogni forma di amore e
di condivisione: «non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per
servire alle mense». La «diaconia della parola» (At 6,2-4) esercitata dai pastori
è potenza divina che dispone i fratelli all’amore fraterno più puro, a spezzarsi
per gli altri, a prestarsi gli uni gli altri amorevole servizio e assistenza.
Accogliere l’ospite che ci parla di Cristo spiegandoci le Scritture ci permette di
essere accompagnati dal Risorto lungo la via, come ricorda l’episodio pasquale di Emmaus quando i discepoli riconobbero d’essere stati visitati dal loro
Signore nel gesto eucaristico del pane spezzato (24,13-35). Qualcosa del genere mi sembra che stia accadendo anche ai nostri giorni. Penso che il nobile e
grandioso esempio di amore ecclesiale di papa Benedetto che ha scelto di salire sul monte della preghiera, possa essere accolto come un monito profetico
per una Chiesa, lacerata da contese e discordie, ma chiamata a essere come
Maria modello di fede che riconosce il primato efficace della Parola. Possa il
Dio della pace benedire il suo umile gesto e donargli di rendere partecipe il
suo servizio petrino della stessa trasfigurazione gloriosa e nascosta del Figlio
amato che ci ha chiesto di ascoltare.
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Come una sinfonia. Ripensare
l’ascolto a partire dal Verbo (I)
Presentiamo la prima parte di questa sapida riflessione sull’identità teologica
del Verbo: la Parola di Dio coincide tout court con le Sacre Scritture? Il primato
dell’occhio si impone persino durante la celebrazione eucaristica, quando seguiamo “sul foglietto” le letture e sembra che tutto si risolva in quell’atto.
Quando poniamo la domanda intorno alla identità globale della Parola di
Dio chiedendoci “che cos’é la parola di Dio” spontaneamente e nella maggior parte dei casi, il popolo cristiano la identifica con la sacra Scrittura.1 Per
molti, la parola di Dio coinciderebbe semplicemente con la Bibbia, con quel
particolare testo scritto ed ispirato che prolunga la presenza dei pensieri di
Dio nel mondo e nella storia e che perciò possono essere raggiunti attraverso
una lettura (lectio) ed una sua spiegazione (esegesi) da parte della Chiesa. In
questa prospettiva però ci troveremmo davanti ad un fenomeno tipicamente
letterario e tutto ciò che il credente è chiamato a fare è guardare, leggere, un
verbo scritto ricercando un’insieme di nozioni.
Alla stregua di ogni altro libro antico, la fede si condenserebbe solamente nella ricerca di un significato racchiuso in uno scritto. Tutto qui. In questo quadro
la Parola di Dio sarebbe indagata con la vista e non ex auditu (Rm 10,14) e
con ciò ogni diligente lettore volgerebbe la sua attenzione soprattutto a ciò
che è avvenuto nel passato. La parola letta evidenzierebbe tutta la sua dimensione informativa e nozionistica ma ancora sarebbe lontana dal suo aspetto
performativo cioè l’accogliere ciò che oggi Dio vuole dirci. In un bellissimo passaggio della Dei Verbum, viene evidenziato questo aspetto attuale del
Verbum Dei: «Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con
la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva
voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo,
introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in
tutta la sua ricchezza» (DV 8,3).
La costituzione dogmatica sulla rivelazione e ancor più esplicitamente l’Esortazione post sinodale Verbum Domini di Benedetto XVI, ci hanno consegnato
una prospettiva ampia ed attuale del Verbo di Dio, che non ci fa guardare
solamente agli inizi del dialogo tra Dio e l’uomo (ha parlato in passato) ma
ampliando una visione “materialista” e “documentale” della Parola hanno
esplicitato nel concetto di rivelazione anche la dimensione sacramentale e
CONTRIBUTO
DOMENICO CONCOLINO
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Cosa intendiamo
con il termine
“Parola di Dio”?
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D. CONCOLINO
pneumatica del Verbo di Dio (non cessa di parlare con la sposa). Così possiamo dire che il Padre per l’azione efficace dello Spirito mediante il Vangelo
annunciato dalla Chiesa e nella Chiesa, realizza la sua presenza nei cuori dei
credenti comunicando la sua vita.
In questa luce l’intero cristianesimo risulta reinterpretato. Benedetto XVI a riComunicando guardo dice sinteticamente: «Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era
la sua vita soltanto una “buona notizia” – una comunicazione di contenuti fino a quel
momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non
era solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro,
è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una
vita nuova» (Spe salvi, 2).
La Dei Verbum ha introdotto nel cammino della Chiesa un allargamento degli
orizzonti riguardo al concetto di Parola di Dio, infatti nel suo soIo di nuovo lenne incipit che recita: «Dei verbum religiose audiens et fidenter
partorisco proclamans» è contenuta in nuce questa prospettiva ampia che ci
nel dolore mostra una visione di Chiesa e di Parola ancora molto lontana da
finché non sia essere adeguatamente recepita nella vita della chiesa. La Chiesa
formato Cristo appare implicata nel Verbo di Dio, potremmo dire con un’immain voi! gine plastica essa come il lievito e la pasta, da una parte appare
come Creatura Verbi cioè frutto della Parola di Dio intesa in senso
(Gal 4,19)
pieno e globale (Dei verbum religiose audiens = DV 1), dall’altra
essa stessa è Madre e donatrice della parola che salva (fidenter proclamans,
DV 1).2 La Parola, allora non è posseduta come un oggetto, ma eccede la
Chiesa perché coincide con la persona stessa del Verbo risorto, ma allo stesso
tempo la implica perché è chiamata da Cristo ad essere sua fedele serva e
dispensatrice (cf. Mc 16,15; Mt 19,20).3
L’ascolto del Verbo di Dio non risiede perciò primariamente in un sapere statico
e formale, un sapere che si trova alle nostre spalle, ma si realizza e si attua invece in una relazione vivente con la Parola di Dio, una parola che ci raggiunge «lì
dove sono posti i carismi del Signore», primariamente udita nella liturgia e nella
predicazione apostolica. Solo dinanzi ad una Parola vivente (cf. prefazio II del
tempo ordinario) che sacramentalmente si dona nella Chiesa la nostra vita può
realisticamente cambiare, convertendosi ad essa rinnovandosi interiormente.
Dunque, la Dei Verbum presenta la rivelazione di Dio come la presenza attuale
del Cristo risorto che nello Spirito Santo parla alla sua Chiesa in diversi modi.4
È il Cristo risorto che si lascia raggiungere dalla fede dei credenti attraverso una
relazione con una persona viva che ci precede e ci accompagna ed allo stesso
tempo suscita un sapere di tipo dottrinale che si cristallizza in un deposito.5
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Una delle caratteristiche principali distinzioni sulla identità teologica della
“Parola di Dio” che la Dei Verbum ha evidenziato, e la Verbum Domini ha
ulteriormente esplicitato, è la sua irriducibile dimensione analogica, l’analogia Verbi, appunto. Detto più semplicemente: sotto il termine “Parola di Dio”
raggruppiamo ed intendiamo cose diverse e perciò non sempre con lo stesso
concetto intendiamo l’identica cosa.
Benedetto XVI osserva: «Si è giustamente parlato di una sinfonia della Parola,
di una Parola unica che si esprime in diversi modi: “un canto a più voci”»,
(Verbum Domini, n. 7). La Scrittura infatti non è tutta la Parola e tuttavia non
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G. Rouault,
Miserere, Qui ne se gri me pas?
(1922-7)
La fede come
atto sinfonico
di ascolto del
“Dio che rivela”
COME UNA SINFONIA
Questa tendenza trova un fondamento nel rinnovamento del concetto di rivelazione che si attuò all’ultimo Concilio e che si tradusse in modo evidente nel
rifiuto del De Fontibus e nella redazione della Dei Verbum. Proprio nella Dei
Verbum la Parola di Dio non coincide con la Scrittura.
Il biblista, ora cardinale Albert Vanhoye, nel suo commento al concetto di
rivelazione della Dei Verbum, ha attirato l’attenzione sulla differenza fondamentale di parola e scrittura, dichiarando come proprio questa assenza di
distinzione risulta essere uno degli aspetti insoddisfacenti della recezione del
documento sulla rivelazione nella vita della Chiesa.6 Non era infatti nell’intenzione dei padri identificare Dei Verbum e Verbum scriptum poiché ciò avrebbe
relegato l’intera rivelazione alla stregua di un fatto passato senza nessun reale
aggancio con la vita della Chiesa nel tempo. Paradossalmente invece, ricorda
sempre padre Vanhoye, il concilio quando parla di sacra Scrittura la intende
legata all’atto del parlare di Dio; essa è locutio Dei, per questo anche il Libro
sacro è visto, non nel suo stato finale come un testo ormai staccato dal suo
autore, ma al contrario, nel suo sorgere, come un testo unito allo Spirito Santo
e da esso mantenuto vivo dalla Chiesa. Il libro sacro è atto vivente di Dio e
trova la sua significazione nel momento in cui è messo per iscritto.
La parola di Dio è perciò vive in una unità non frantumabile che si instaura tra
Dio, lo Spirito, la Chiesa, lo scritto, l’annuncio, ed infine il cuore dell’uomo.
Così la tendenza alla non identificazione tra Rivelazione e Libro è centrale
nel pensiero cattolico sul Verbo di Dio, essa viene ribadita più volte sia nei
testi di preparazione e di celebrazione del Sinodo dei vescovi sulla Parola di
Dio, come pure nell’esortazione Apostolica post-sinodale Verbum Domini di
Benedetto XVI. Si tratta in definitiva di affermare una visione sacramentale
della Parola di Dio in tutta la sua ampiezza e differenziazione. Questa a sua
volta rimanda ad una visione profondamente patristica dell’incontro tra Dio
e l’uomo, dove la verità della sacra Scrittura è letta in rapporto analogico con
il mistero dell’Incarnazione del Verbo e della sua permanenza nel mondo e
nella storia degli uomini.7
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Il Verbo di Dio
è riconosciuto
dalla fede
D. CONCOLINO
Il Padre
si dona
nel Logos
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è da essa distaccata. Scrittura sacra e Parola di Dio restano però implicati.8
Ora questa analogia Verbi rimanda a sua volta ad un altro concetto ugualmente fondamentale che interessa l’identità teologica della parola di Dio è cioè
quello della sua sacramentalità. La Verbum Domini al n. 56 ne parla in questi
termini: «La Parola di Dio si rende percepibile alla fede attraverso il “segno” di
parole e di gesti umani. La fede, dunque, riconosce il Verbo di Dio accogliendo i gesti e le parole con i quali Egli stesso si presenta a noi».
L’intelligenza profonda del mistero dell’incarnazione ha così prodotto una ulteriore elaborazione dottrinale, che ci appare dogmaticamente pregnante ed
al tempo stesso profondamente pastorale: Dio è presente nel Verbo suo mediante lo Spirito Santo, poiché la sua Parola non è una realtà a lui estranea, ma
al contrario è creduta strettamente unita a lui e dipendente. Il Padre si dona
tutto nel suo Logos (cf. Gv 1,18). La Parola del Padre, «Parola uscito dal silenzio» (Ireneo di Lione), diventando carne nel grembo verginale di Maria, da
invisibile ed eterno è divenuto visibile e storico. Proprio questa realtà globale
dell’incarnazione ci consente di pensare la Parola di Dio come strumento per
conoscere ed amare Dio. La prima lettera di Giovanni ci offre questa grandiosa
visione d’insieme.
«Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò
che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si
è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi
annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi),
quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché
anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e
col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia
sia perfetta» (1Gv 1,1).
La profonda intelligenza del mistero dell’Incarnazione giustifica così una visione sacramentale del Verbo di Dio, e questa a sua volta apre il credente ad
un atto di fede consapevole e fruttuoso. La fides ex auditu appare qui in una
luce più ampia poiché la parola di Dio udita è ora quella inabitata dallo Spirito Santo.9 Spesso infatti la Parola è vista semplicemente nella sua dimensione
più esterna, informativa, completamente distaccata da Cristo e dalla Chiesa,
dimenticando che in analogia con il mistero della incarnazione, proprio in
“quella carne” si fa presente il Risorto e proprio mediante una voce umana
viene percepita la sua presenza viva.
L’eccedenza della Parola, che già il vangelo di san Giovanni attesta,10 rispetto
al suo darsi nella storia, deve essere mantenuta appunto affinché questa visione sacramentale sia davvero reale e pastoralmente significante. Inoltre, rivediamo qui anche la finalità precisa della utilità della sacra Scrittura (cf. 2 Tim
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COME UNA SINFONIA
3,17), la quale, vista dalla parte di Dio è opera dello Spirito Santo e permette
che il messaggio del Cristo sia testimoniato e conosciuto in ogni tempo ed in
ogni luogo; ma visto dalla parte dell’uomo, rappresenta un’apertura, un luogo
di incontro tra il Verbo di Dio ed il nostro cuore. Così ci risulta più chiaro
perché la religione cristiana può definirsi religione della Parola e non religione
del libro, poiché si tratta di una parola vivente donata nello Spirito Santo e
da Lui animata mediante la Chiesa. Parola che a motivo della sua eccedenza
rispetto alla scrittura non vive solamente nel cuore dell’uomo
diventandone idolatricamente un possesso, ma è anche atte- Come una donna incinta
stata al di fuori di noi, come uno specchio entro cui Dio e la che sta per partorire
sua verità si donano e si mostrano continuamente (cf. DV 7). si contorce e grida nei
La Parola resta perciò sempre di Dio pur essendo detta dagli dolori, così siamo stati
uomini. In questo orizzonte di pensiero è necessario più che noi di fronte a te, Signore.
mai indicare con cura ed indagare diligentemente i “luoghi”
Abbiamo concepito,
entro cui il Verbo del Padre ha scelto di comunicarsi a noi e
conseguentemente può essere raggiunto per fede da ogni uo- abbiamo sentito i
dolori quasi dovessimo
mo in ogni tempo.
Non bisogna dimenticare, infatti, che la preoccupazione pa- partorire: era solo vento;
storale dell’ultimo concilio, spinse i padri ad esprime, nella non abbiamo portato
conclusione della Dei Verbum, al numero 26, la grande spe- salvezza al paese e non
ranza riguardo ai frutti di un rinnovato amore per l’ascolto del- sono nati abitanti nel
la parola di Dio. I padri interpretando parallelamente il mistero
mondo.
(Is 26,17-18)
della Parola con quello dell’eucaristia affermano: «In tal modo
dunque, con la lettura e lo studio dei sacri libri “la parola di Dio compia la sua
corsa e sia glorificata”, e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall’assidua frequenza del mistero
eucaristico (assidua frequentatione mysterii eucaristici) si accresce la vita della
Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall’accresciuta
venerazione per la parola di Dio (veneratione verbi Dei), che “permane in
eterno”».
La collocazione della Bibbia all’interno del dialogo tra Dio e l’uomo è un’acquisizione molto interessante della concezione conciliare del Verbo di Dio.
La Bibbia è il libro della Chiesa e non ha vita indipendente. È infatti proprio
di Dio, il Padre Onnipotente, raggiungere ed abitare ogni cuore mediante il
Verbo suo. Egli non arresta il suo cammino all’interno di un libro, ma lo utilizza come via e spazio di incontro per ogni uomo di buona volontà.11 L’antica
pratica della Lectio divina è in questo senso una esplicitazione di questo atteggiamento di ricerca di Dio e di fede dell’uomo.
La fede allora è un atto sinfonico. È un atto che si lega al Dio che parla rivelando se stesso in una molteplice e differenziata «parola» (cf. Eb 1,1) al cui centro
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splende il «sole di giustizia» (Mal 3,20) il Cristo Risorto che si fa presente e
parla oggi nello Spirito Santo mediante il suo corpo ecclesiale.
D. CONCOLINO
(D. Concolino è docente di Teologia presso l’Istituto teologico Pio XI - RC
e direttore diocesano dell’Ufficio per l’Educazione Cattolica)
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Note
1
Su questo vedi più diffusamente: D. Hercsik, L’importanza della ‘Parola’ per la teologia fondamentale, in C. Aparicio Valls - S. Piè-Ninot, Commento alla Verbum Domini, Gregorian &
Biblica Press, Roma 2011, p. 161-170.
2
Cf. L. Scheffczyk, La Chiesa. Aspetti della crisi postconciliare e corretta interpretazione del
Vaticano II, Jaca Book, Milano 1998, p. 29-39.
3
Cf. W. Kasper, Il dogma sotto la parola di Dio, Queriniana Brescia 1968, p. 99-114.
4
Su questo vedi: G. O’Collins, Rivelazione tra passato e presente, in R. Latorurelle (ed.), Vaticano II: Bilancio e Prospettive, venticinque anni dopo (1962-1987), Assisi 1987, p. 126-135.
5
Su questo cf. J. Wicks, Introduzione al metodo teologico, Piemme, Casale Monferrato, 1994,
p. 28-29.
6
Cf. A. Vanhoye, La parola di Dio nella vita della Chiesa. La recezione della “Dei Verbum”, in R.
Fisichella (a cura di), Il concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, Cinisello
Balsamo 2000, p. 29.
7
La prospettiva era già presente in: Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Commissione
Biblica, “Di tutto cuore”, 6, in Osservatore Romano, 25 aprile 1993.
8
Sul significato teologico di questa differenza ed implicazione cf. A. Vanhoye, La parola, op.
cit., p. 30.
9
Su questa importante connessione tra Verbo di Dio, Pneuma e predicazione ecclesiale vedi i
primi due capitoli che trattano sia della teologia della parola di Dio nel nuovo testamento e sia
della implicazione tra la parola di Dio e parola umana in: H. Schlier, La fine del tempo, Paideia,
Brescia 1971, p. 19-41.
10
In due passaggi del Vangelo di Giovanni viene rappresentata questa eccedenza del rivelazione del Verbo personale rispetto alla sua testimonianza scritta ed ispirata: «Molti altri segni fece
Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati
scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita
nel suo nome» (Gv 20,30-31); e ancora: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su
questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte
altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non
basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,24-25).
11
Su questo mi permetto di rinviare a: D. Concolino, De Verbo dei incarnato: Incarnazione e
teologia della Parola, in Lateranum, 75 (2009/2) 439-463.
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