Sommario Educare alla fede: la diaconia dell`ascolto 178 anno
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Sommario Educare alla fede: la diaconia dell`ascolto 178 anno
178 anno 45° Educare alla fede: la diaconia dell’ascolto Sommario gennaio 2013 EDITORIALE 2 Dall’ascolto al servizio il percorso della fede DISCORSO 5 Rivisitare i doni del Concilio CONTRIBUTO 9 Come una sinfonia. Ripensare l’ascolto a partire dal Verbo SPIRITUALITÀ 15 Quale identità diaconale proviene dall’ascolto? FOCUS 21 La diaconia del Servo di Jahwè APPROFONDIMENTO 23 Acoltare per servire RIFLESSIONI 29 Antropologia e diaconia dell’ascolto PASTORALE 34 Ministerium Verbi ANALISI 41 Il diaconato permanente... in evoluzione CONFRONTI 45 I laici nella Chiesa e nel mondo SERVIZIO 49 Un richiamo permanente per la Chiesa 51 Entrambi avevamo scelto... 54 ... Avevamo scelto Cristo come il centro della nostra vita 56 Da Napoli 58 Prima Lettera di Pietro (III) Giuseppe Bellia Benedetto XVI Domenico Concolino Giuseppe Bellia Ortensio da Spinetoli Daniele Fortuna Giovanni Chifari Enzo Petrolino Vincenzo Mango Francesco Giglio Felice Chiarelli RUBRICHE TESTIMONIANZE PAROLA Nando Di Tommaso Anna Fenderico Gaetano Marino Luca Bassetti RIQUADRI 48 Il desiderio del cuore ci spinge verso Dio (S. Agostino) 178_100.indd 1 28/2/13 03:54:52 EDITORIALE GIUSEPPE BELLIA Dall’ascolto al servizio il percorso della fede E 2/4 La parte buona ducare alla fede non è un’impresa da poco. È una disciplina che nasce e si sviluppa imparando a dare ascolto all’altro. Da questo stato d’animo che dispone all’apertura del cuore e all’accoglienza l’uomo impara a fare spazio alla Parola e al percorso della fede che dispone al servizio. Non si dà dunque una vera relazione di fede tra l’uomo e Dio che non parta dalla disponibilità concreta del credente a mettersi in ascolto. La fede esige dunque la pazienza dell’ascolto che richiede tempo e luogo adeguati, senza dei quali si ha un’accoglienza formale che resta in superficie che non porta alla comunione, come ricorda l’episodio emblematico di Marta e Maria (Lc 10,38-42). È uno di quei racconti densi di motivi teologici e sapienziali che hanno ispirato una varietà di sottolineature da parte dei commentatori che, specie nel passato, si sono lasciati catturare da intenti moralizzanti ma fuorvianti; per esempio quello di leggervi un ipotetico confronto tra due diverse tipologie di atteggiamenti spirituali. Maria era così divenuta l’eminente modello di chi aveva scelto la parte «migliore», identificata nella vita contemplativa, mentre Marta restava l’esemplare icona «meno buona» del generoso e utile servizio femminile consacrato alla vita attiva. L’esito di questo raffronto tra l’ascolto e il servizio, tra la contemplazione e l’azione, non è presente nel testo. Non ci sono due diversi modi di servire o di amare: c’è una sola e sapiente modalità di accoglienza del Signore. Luca voleva segnalare ai discepoli la possibilità paradossale di un’ospitalità tanto sollecita nel ricevere quanto poco attenta nell’ascoltare chi si riceve. Analizzando il testo da vicino si vede che l’evangelista inserisce il cammino di Gesù verso Gerusalemme tra due diversi casi di ospitalità: il viaggio, che era cominciato con la mancata accoglienza in un villaggio di samaritani (9,52-53), si concluderà con la richiesta di ospitalità nella casa del pubblicano Zaccheo a Gerico (19,1-10). In questa non casuale sequenza narrativa di episodi di accoglienza/ospitalità, l’evangelista Luca ci dice che «Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo accolse nella sua casa» (Lc 10,38). L’ammirazione per il tradizionale e lodato ruolo femminile di servizio è evidente; tanto più che sua sorella Maria aveva assunto un comportamento disdicevole per la mentalità del tempo, rimanendo insieme agli uomini, accoccolata ai piedi di Gesù per ascoltare la 2 178_100.indd 2 28/2/13 03:54:52 3 178_100.indd 3 G. Rouault, La Santa Sindone, Parigi (1933) La libertà della diaconia proviene dall’ascolto DALL’ASCOLTO AL SERVIZIO IL PERCORSO DELLA FEDE sua parola. L’ospitalità autentica non si accontenta quindi di offrire un servizio, di svolgere un compito ma cerca la relazione e perciò suppone sempre l’accoglienza dell’altro e dunque il suo ascolto, perché desidera la sua compagnia. L’affannarsi del ministro nel servizio pastorale, se è separato dall’ascolto dell’altro, della sua parola, procura solo un penoso stato di preoccupazione. Nel giudizio del rabbi galileo è il vano agitarsi di chi ha scelto la parte «non buona», lasciandosi sopraffare dalle «troppe cose, dai molti servizi» (10,40) che finiscono per far trascurare proprio l’ospite che si è ricevuto con generosa e zelante sollecitudine. Senza dimenticare che proprio questo agitarsi a fin di bene, procura a Marta quello scatto di umanissimo disappunto che la indispone verso Maria e la spinge a far biasimare pubblicamente la sorella dal Maestro: «che non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che venga ad aiutarmi» (10,40). Il tono imperativo da capofamiglia, o da autorevole superiora, la porta a dare ordini anche a Gesù «dille», supponendo di avere l’ovvio e pieno assenso del maestro per un atteggiamento che lei giudicava socialmente scorretto. Nel suo virtuoso affannarsi non aveva capito la novità introdotta da Gesù per il mondo femminile del suo tempo, chiamato a seguirlo e a vivere la libertà del discepolato alla maniera del mondo maschile, come segnala espressamente Luca nel suo Vangelo. Quando l’agitazione s’impossessa del cuore, anche la mente ne resta turbata, non comprende fino a diventare ottusa. La risposta di Gesù d’altra parte è precisa e netta e non può essere resa innocua, come si continua a fare nelle diverse traduzioni. Si ritiene plausibile una interpretazione edificante che, a partire dalla traduzione di Girolamo, fa venir meno quello stupore per il giudizio inusitato e fermo del Maestro che ancora oggi dovrebbe chiamare a riflettere l’intero mondo ecclesiale. Ascoltiamo ancora le parole di Gesù: «Marta, Marta tu ti affanni per molte cose e ne resti turbata, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta» (10,41-42). La figura di Marta «distolta dai molti servizi» è un episodio importante e quanto mai istruttivo a livello ministeriale perché mostra come un’accoglienza formalmente ineccepibile, appare agli occhi del Maestro carente dell’unica cosa necessaria: quella che ha preferito Maria e che Gesù loda perché ha scelto non la parte migliore, ma quella buona che nessuno le potrà togliere. L’icona di Marta e Maria può servire da paradigma per valutare l’importanza dell’ascolto nel percorso di fede che porta al servizio che rischia di essere visto come un affannarsi anonimo e scomposto che non costruisce alcuna relazione fraterna. Dietro certe forme di servizio può nascondersi a volte un modello d’identità autosufficiente che esibisce il proprio sacrificarsi, la propria bravura o la propria pretesa superiorità morale, senza entrare in comunione effettiva 28/2/13 03:54:52 Il desiderio di ascolto è amore G. BELLIA Amore ecclesiale 178_100.indd 4 con l’altro che si riceve. Si può allora fare il bene, così come si può praticare l’elemosina e addirittura distribuire i propri beni ai poveri, senza avere la carità come ricorda san Paolo (1Cor 13,3). Accogliere l’altro richiede quel primato dell’ascolto che trasfigura anche il dovere dell’ospitalità che, da accoglienza formale e impersonale, diviene contemplazione del mistero della Parola fatta carne, del Dio che si fa presente in mezzo a noi per fare comunione e consegnarci un esempio di gaudiosa fraternità. Questo percorso virtuoso della Parola nel cuore dell’uomo non conosce l’affanno perché, come si legge (Sap 6,14-15) il suo principio più autentico è il desiderio di ascoltare per essere istruiti, perché «l’anelito per l’istruzione è amore» (6,17). L’amore poi, secondo il sapiente, fa osservare le leggi divine e, a sua volta, il rispetto del volere di Dio diviene per l’uomo una garanzia di incorruttibilità, un pegno di salvezza che rende vicini a Dio. E il saggio conclude il percorso della fede ricordando che il desiderio della sapienza, cominciato con il semplice e praticabile desiderio di ascolto «innalza fino al regno» (Sap 6,18-20). Se l’accoglienza viene dall’ascolto della parola che permette l’incontro con Dio, dischiudendo il cuore dell’uomo all’agapê divino, allora accade che l’uomo si apre veramente all’altro e sa porsi al suo servizio, come capirà lo stesso Pietro agli albori della vita cristiana. Come si ricorderà, a motivo dei contrasti sorti nella comunità di Gerusalemme nell’assistenza ai più bisognosi, il lodevole servizio delle mense rischiava di vanificare la comunione fraterna: a quel punto il capo degli apostoli ristabilisce il primato dell’ascolto e della preghiera comunitaria come fondamento necessario di ogni forma di amore e di condivisione: «non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense». La «diaconia della parola» (At 6,2-4) esercitata dai pastori è potenza divina che dispone i fratelli all’amore fraterno più puro, a spezzarsi per gli altri, a prestarsi gli uni gli altri amorevole servizio e assistenza. Accogliere l’ospite che ci parla di Cristo spiegandoci le Scritture ci permette di essere accompagnati dal Risorto lungo la via, come ricorda l’episodio pasquale di Emmaus quando i discepoli riconobbero d’essere stati visitati dal loro Signore nel gesto eucaristico del pane spezzato (24,13-35). Qualcosa del genere mi sembra che stia accadendo anche ai nostri giorni. Penso che il nobile e grandioso esempio di amore ecclesiale di papa Benedetto che ha scelto di salire sul monte della preghiera, possa essere accolto come un monito profetico per una Chiesa, lacerata da contese e discordie, ma chiamata a essere come Maria modello di fede che riconosce il primato efficace della Parola. Possa il Dio della pace benedire il suo umile gesto e donargli di rendere partecipe il suo servizio petrino della stessa trasfigurazione gloriosa e nascosta del Figlio amato che ci ha chiesto di ascoltare. 4 28/2/13 03:54:52 Come una sinfonia. Ripensare l’ascolto a partire dal Verbo (I) Presentiamo la prima parte di questa sapida riflessione sull’identità teologica del Verbo: la Parola di Dio coincide tout court con le Sacre Scritture? Il primato dell’occhio si impone persino durante la celebrazione eucaristica, quando seguiamo “sul foglietto” le letture e sembra che tutto si risolva in quell’atto. Quando poniamo la domanda intorno alla identità globale della Parola di Dio chiedendoci “che cos’é la parola di Dio” spontaneamente e nella maggior parte dei casi, il popolo cristiano la identifica con la sacra Scrittura.1 Per molti, la parola di Dio coinciderebbe semplicemente con la Bibbia, con quel particolare testo scritto ed ispirato che prolunga la presenza dei pensieri di Dio nel mondo e nella storia e che perciò possono essere raggiunti attraverso una lettura (lectio) ed una sua spiegazione (esegesi) da parte della Chiesa. In questa prospettiva però ci troveremmo davanti ad un fenomeno tipicamente letterario e tutto ciò che il credente è chiamato a fare è guardare, leggere, un verbo scritto ricercando un’insieme di nozioni. Alla stregua di ogni altro libro antico, la fede si condenserebbe solamente nella ricerca di un significato racchiuso in uno scritto. Tutto qui. In questo quadro la Parola di Dio sarebbe indagata con la vista e non ex auditu (Rm 10,14) e con ciò ogni diligente lettore volgerebbe la sua attenzione soprattutto a ciò che è avvenuto nel passato. La parola letta evidenzierebbe tutta la sua dimensione informativa e nozionistica ma ancora sarebbe lontana dal suo aspetto performativo cioè l’accogliere ciò che oggi Dio vuole dirci. In un bellissimo passaggio della Dei Verbum, viene evidenziato questo aspetto attuale del Verbum Dei: «Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza» (DV 8,3). La costituzione dogmatica sulla rivelazione e ancor più esplicitamente l’Esortazione post sinodale Verbum Domini di Benedetto XVI, ci hanno consegnato una prospettiva ampia ed attuale del Verbo di Dio, che non ci fa guardare solamente agli inizi del dialogo tra Dio e l’uomo (ha parlato in passato) ma ampliando una visione “materialista” e “documentale” della Parola hanno esplicitato nel concetto di rivelazione anche la dimensione sacramentale e CONTRIBUTO DOMENICO CONCOLINO 9/14 Cosa intendiamo con il termine “Parola di Dio”? 9 178_100.indd 9 28/2/13 03:54:53 D. CONCOLINO pneumatica del Verbo di Dio (non cessa di parlare con la sposa). Così possiamo dire che il Padre per l’azione efficace dello Spirito mediante il Vangelo annunciato dalla Chiesa e nella Chiesa, realizza la sua presenza nei cuori dei credenti comunicando la sua vita. In questa luce l’intero cristianesimo risulta reinterpretato. Benedetto XVI a riComunicando guardo dice sinteticamente: «Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era la sua vita soltanto una “buona notizia” – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (Spe salvi, 2). La Dei Verbum ha introdotto nel cammino della Chiesa un allargamento degli orizzonti riguardo al concetto di Parola di Dio, infatti nel suo soIo di nuovo lenne incipit che recita: «Dei verbum religiose audiens et fidenter partorisco proclamans» è contenuta in nuce questa prospettiva ampia che ci nel dolore mostra una visione di Chiesa e di Parola ancora molto lontana da finché non sia essere adeguatamente recepita nella vita della chiesa. La Chiesa formato Cristo appare implicata nel Verbo di Dio, potremmo dire con un’immain voi! gine plastica essa come il lievito e la pasta, da una parte appare come Creatura Verbi cioè frutto della Parola di Dio intesa in senso (Gal 4,19) pieno e globale (Dei verbum religiose audiens = DV 1), dall’altra essa stessa è Madre e donatrice della parola che salva (fidenter proclamans, DV 1).2 La Parola, allora non è posseduta come un oggetto, ma eccede la Chiesa perché coincide con la persona stessa del Verbo risorto, ma allo stesso tempo la implica perché è chiamata da Cristo ad essere sua fedele serva e dispensatrice (cf. Mc 16,15; Mt 19,20).3 L’ascolto del Verbo di Dio non risiede perciò primariamente in un sapere statico e formale, un sapere che si trova alle nostre spalle, ma si realizza e si attua invece in una relazione vivente con la Parola di Dio, una parola che ci raggiunge «lì dove sono posti i carismi del Signore», primariamente udita nella liturgia e nella predicazione apostolica. Solo dinanzi ad una Parola vivente (cf. prefazio II del tempo ordinario) che sacramentalmente si dona nella Chiesa la nostra vita può realisticamente cambiare, convertendosi ad essa rinnovandosi interiormente. Dunque, la Dei Verbum presenta la rivelazione di Dio come la presenza attuale del Cristo risorto che nello Spirito Santo parla alla sua Chiesa in diversi modi.4 È il Cristo risorto che si lascia raggiungere dalla fede dei credenti attraverso una relazione con una persona viva che ci precede e ci accompagna ed allo stesso tempo suscita un sapere di tipo dottrinale che si cristallizza in un deposito.5 178_100.indd 10 10 28/2/13 03:54:53 Una delle caratteristiche principali distinzioni sulla identità teologica della “Parola di Dio” che la Dei Verbum ha evidenziato, e la Verbum Domini ha ulteriormente esplicitato, è la sua irriducibile dimensione analogica, l’analogia Verbi, appunto. Detto più semplicemente: sotto il termine “Parola di Dio” raggruppiamo ed intendiamo cose diverse e perciò non sempre con lo stesso concetto intendiamo l’identica cosa. Benedetto XVI osserva: «Si è giustamente parlato di una sinfonia della Parola, di una Parola unica che si esprime in diversi modi: “un canto a più voci”», (Verbum Domini, n. 7). La Scrittura infatti non è tutta la Parola e tuttavia non 11 178_100.indd 11 G. Rouault, Miserere, Qui ne se gri me pas? (1922-7) La fede come atto sinfonico di ascolto del “Dio che rivela” COME UNA SINFONIA Questa tendenza trova un fondamento nel rinnovamento del concetto di rivelazione che si attuò all’ultimo Concilio e che si tradusse in modo evidente nel rifiuto del De Fontibus e nella redazione della Dei Verbum. Proprio nella Dei Verbum la Parola di Dio non coincide con la Scrittura. Il biblista, ora cardinale Albert Vanhoye, nel suo commento al concetto di rivelazione della Dei Verbum, ha attirato l’attenzione sulla differenza fondamentale di parola e scrittura, dichiarando come proprio questa assenza di distinzione risulta essere uno degli aspetti insoddisfacenti della recezione del documento sulla rivelazione nella vita della Chiesa.6 Non era infatti nell’intenzione dei padri identificare Dei Verbum e Verbum scriptum poiché ciò avrebbe relegato l’intera rivelazione alla stregua di un fatto passato senza nessun reale aggancio con la vita della Chiesa nel tempo. Paradossalmente invece, ricorda sempre padre Vanhoye, il concilio quando parla di sacra Scrittura la intende legata all’atto del parlare di Dio; essa è locutio Dei, per questo anche il Libro sacro è visto, non nel suo stato finale come un testo ormai staccato dal suo autore, ma al contrario, nel suo sorgere, come un testo unito allo Spirito Santo e da esso mantenuto vivo dalla Chiesa. Il libro sacro è atto vivente di Dio e trova la sua significazione nel momento in cui è messo per iscritto. La parola di Dio è perciò vive in una unità non frantumabile che si instaura tra Dio, lo Spirito, la Chiesa, lo scritto, l’annuncio, ed infine il cuore dell’uomo. Così la tendenza alla non identificazione tra Rivelazione e Libro è centrale nel pensiero cattolico sul Verbo di Dio, essa viene ribadita più volte sia nei testi di preparazione e di celebrazione del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, come pure nell’esortazione Apostolica post-sinodale Verbum Domini di Benedetto XVI. Si tratta in definitiva di affermare una visione sacramentale della Parola di Dio in tutta la sua ampiezza e differenziazione. Questa a sua volta rimanda ad una visione profondamente patristica dell’incontro tra Dio e l’uomo, dove la verità della sacra Scrittura è letta in rapporto analogico con il mistero dell’Incarnazione del Verbo e della sua permanenza nel mondo e nella storia degli uomini.7 28/2/13 03:54:53 Il Verbo di Dio è riconosciuto dalla fede D. CONCOLINO Il Padre si dona nel Logos 178_100.indd 12 è da essa distaccata. Scrittura sacra e Parola di Dio restano però implicati.8 Ora questa analogia Verbi rimanda a sua volta ad un altro concetto ugualmente fondamentale che interessa l’identità teologica della parola di Dio è cioè quello della sua sacramentalità. La Verbum Domini al n. 56 ne parla in questi termini: «La Parola di Dio si rende percepibile alla fede attraverso il “segno” di parole e di gesti umani. La fede, dunque, riconosce il Verbo di Dio accogliendo i gesti e le parole con i quali Egli stesso si presenta a noi». L’intelligenza profonda del mistero dell’incarnazione ha così prodotto una ulteriore elaborazione dottrinale, che ci appare dogmaticamente pregnante ed al tempo stesso profondamente pastorale: Dio è presente nel Verbo suo mediante lo Spirito Santo, poiché la sua Parola non è una realtà a lui estranea, ma al contrario è creduta strettamente unita a lui e dipendente. Il Padre si dona tutto nel suo Logos (cf. Gv 1,18). La Parola del Padre, «Parola uscito dal silenzio» (Ireneo di Lione), diventando carne nel grembo verginale di Maria, da invisibile ed eterno è divenuto visibile e storico. Proprio questa realtà globale dell’incarnazione ci consente di pensare la Parola di Dio come strumento per conoscere ed amare Dio. La prima lettera di Giovanni ci offre questa grandiosa visione d’insieme. «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1Gv 1,1). La profonda intelligenza del mistero dell’Incarnazione giustifica così una visione sacramentale del Verbo di Dio, e questa a sua volta apre il credente ad un atto di fede consapevole e fruttuoso. La fides ex auditu appare qui in una luce più ampia poiché la parola di Dio udita è ora quella inabitata dallo Spirito Santo.9 Spesso infatti la Parola è vista semplicemente nella sua dimensione più esterna, informativa, completamente distaccata da Cristo e dalla Chiesa, dimenticando che in analogia con il mistero della incarnazione, proprio in “quella carne” si fa presente il Risorto e proprio mediante una voce umana viene percepita la sua presenza viva. L’eccedenza della Parola, che già il vangelo di san Giovanni attesta,10 rispetto al suo darsi nella storia, deve essere mantenuta appunto affinché questa visione sacramentale sia davvero reale e pastoralmente significante. Inoltre, rivediamo qui anche la finalità precisa della utilità della sacra Scrittura (cf. 2 Tim 12 28/2/13 03:54:53 13 178_100.indd 13 COME UNA SINFONIA 3,17), la quale, vista dalla parte di Dio è opera dello Spirito Santo e permette che il messaggio del Cristo sia testimoniato e conosciuto in ogni tempo ed in ogni luogo; ma visto dalla parte dell’uomo, rappresenta un’apertura, un luogo di incontro tra il Verbo di Dio ed il nostro cuore. Così ci risulta più chiaro perché la religione cristiana può definirsi religione della Parola e non religione del libro, poiché si tratta di una parola vivente donata nello Spirito Santo e da Lui animata mediante la Chiesa. Parola che a motivo della sua eccedenza rispetto alla scrittura non vive solamente nel cuore dell’uomo diventandone idolatricamente un possesso, ma è anche atte- Come una donna incinta stata al di fuori di noi, come uno specchio entro cui Dio e la che sta per partorire sua verità si donano e si mostrano continuamente (cf. DV 7). si contorce e grida nei La Parola resta perciò sempre di Dio pur essendo detta dagli dolori, così siamo stati uomini. In questo orizzonte di pensiero è necessario più che noi di fronte a te, Signore. mai indicare con cura ed indagare diligentemente i “luoghi” Abbiamo concepito, entro cui il Verbo del Padre ha scelto di comunicarsi a noi e conseguentemente può essere raggiunto per fede da ogni uo- abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo mo in ogni tempo. Non bisogna dimenticare, infatti, che la preoccupazione pa- partorire: era solo vento; storale dell’ultimo concilio, spinse i padri ad esprime, nella non abbiamo portato conclusione della Dei Verbum, al numero 26, la grande spe- salvezza al paese e non ranza riguardo ai frutti di un rinnovato amore per l’ascolto del- sono nati abitanti nel la parola di Dio. I padri interpretando parallelamente il mistero mondo. (Is 26,17-18) della Parola con quello dell’eucaristia affermano: «In tal modo dunque, con la lettura e lo studio dei sacri libri “la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata”, e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall’assidua frequenza del mistero eucaristico (assidua frequentatione mysterii eucaristici) si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall’accresciuta venerazione per la parola di Dio (veneratione verbi Dei), che “permane in eterno”». La collocazione della Bibbia all’interno del dialogo tra Dio e l’uomo è un’acquisizione molto interessante della concezione conciliare del Verbo di Dio. La Bibbia è il libro della Chiesa e non ha vita indipendente. È infatti proprio di Dio, il Padre Onnipotente, raggiungere ed abitare ogni cuore mediante il Verbo suo. Egli non arresta il suo cammino all’interno di un libro, ma lo utilizza come via e spazio di incontro per ogni uomo di buona volontà.11 L’antica pratica della Lectio divina è in questo senso una esplicitazione di questo atteggiamento di ricerca di Dio e di fede dell’uomo. La fede allora è un atto sinfonico. È un atto che si lega al Dio che parla rivelando se stesso in una molteplice e differenziata «parola» (cf. Eb 1,1) al cui centro 28/2/13 03:54:53 splende il «sole di giustizia» (Mal 3,20) il Cristo Risorto che si fa presente e parla oggi nello Spirito Santo mediante il suo corpo ecclesiale. D. CONCOLINO (D. Concolino è docente di Teologia presso l’Istituto teologico Pio XI - RC e direttore diocesano dell’Ufficio per l’Educazione Cattolica) 178_100.indd 14 Note 1 Su questo vedi più diffusamente: D. Hercsik, L’importanza della ‘Parola’ per la teologia fondamentale, in C. Aparicio Valls - S. Piè-Ninot, Commento alla Verbum Domini, Gregorian & Biblica Press, Roma 2011, p. 161-170. 2 Cf. L. Scheffczyk, La Chiesa. Aspetti della crisi postconciliare e corretta interpretazione del Vaticano II, Jaca Book, Milano 1998, p. 29-39. 3 Cf. W. Kasper, Il dogma sotto la parola di Dio, Queriniana Brescia 1968, p. 99-114. 4 Su questo vedi: G. O’Collins, Rivelazione tra passato e presente, in R. Latorurelle (ed.), Vaticano II: Bilancio e Prospettive, venticinque anni dopo (1962-1987), Assisi 1987, p. 126-135. 5 Su questo cf. J. Wicks, Introduzione al metodo teologico, Piemme, Casale Monferrato, 1994, p. 28-29. 6 Cf. A. Vanhoye, La parola di Dio nella vita della Chiesa. La recezione della “Dei Verbum”, in R. Fisichella (a cura di), Il concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, Cinisello Balsamo 2000, p. 29. 7 La prospettiva era già presente in: Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Commissione Biblica, “Di tutto cuore”, 6, in Osservatore Romano, 25 aprile 1993. 8 Sul significato teologico di questa differenza ed implicazione cf. A. Vanhoye, La parola, op. cit., p. 30. 9 Su questa importante connessione tra Verbo di Dio, Pneuma e predicazione ecclesiale vedi i primi due capitoli che trattano sia della teologia della parola di Dio nel nuovo testamento e sia della implicazione tra la parola di Dio e parola umana in: H. Schlier, La fine del tempo, Paideia, Brescia 1971, p. 19-41. 10 In due passaggi del Vangelo di Giovanni viene rappresentata questa eccedenza del rivelazione del Verbo personale rispetto alla sua testimonianza scritta ed ispirata: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31); e ancora: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,24-25). 11 Su questo mi permetto di rinviare a: D. Concolino, De Verbo dei incarnato: Incarnazione e teologia della Parola, in Lateranum, 75 (2009/2) 439-463. 14 28/2/13 03:54:53