Rassegna Stampa
Transcript
Rassegna Stampa
ASSOCIAZIONE NAZIONALE INDUSTRIALI PRIVATI GAS E SERVIZI ENERGETICI Rassegna stampa 6 Marzo 2015 Piazza Luigi di Savoia 22 – 20124 Milano – Tel. 027381079 – Fax 02733342 – [email protected] – www.assogas.it Sommario Sommario IL SOLE 24 ORE .................................................................................................................................... 2 La diplomazia della visibilità............................................................................................................. 2 Pozzi in fiamme in Iraq e combattimenti in Libia non risollevano il petrolio .............................. 2 CORRIERE DELLA SERA ....................................................................................................................... 3 I timori dei nostri manager «Perso il lavoro di anni» ...................................................................... 3 LA REPUBBLICA ................................................................................................................................... 4 Il Made in Italy spera nella ripresa "Troppi danni se soffre Mosca" ............................................. 4 IL VENERDI’ DI REPUBBLICA................................................................................................................ 4 Elettricità e gas. Il mercato libero convince pochi, ma............................................................... 4 LA STAMPA .......................................................................................................................................... 5 Meno vendite e prezzi in discesa per lo Zar il gas è un'arma spuntata..................................... 5 MF......................................................................................................................................................... 6 Col petrolio basso i produttori investono meno. Per chi consuma la festa potrebbe finire presto................................................................................................................................................... 6 AVVENIRE ............................................................................................................................................ 7 L'oro nero adesso vale poco. E l'Africa torna in sofferenza. ....................................................... 7 IL MATTINO .......................................................................................................................................... 8 Il premier: in Libia Putin sarà decisivo ............................................................................................. 8 INTERNAZIONALE ................................................................................................................................ 9 Gli algerini in piazza contro il fracking ............................................................................................ 9 STAFFETTA QUOTIDIANA .................................................................................................................. 10 La scelta di Berlino ........................................................................................................................... 10 QUOTIDIANO ENERGIA .................................................................................................................... 11 Entso-E: "Cambiare l'interfaccia tra Tso e Dso" ............................................................................ 11 Effetti sentenza Robin tax, si attendono informazioni in Senato ............................................... 12 La Commissione Ue conferma: "La Russia può usare il Tap"...................................................... 12 Hera, addio tetto 50% Comuni. “Ora nuove fusioni” ................................................................. 12 Digitalizzazione accise, convocato il tavolo tecnico ................................................................ 13 Goldman Sachs: Gnl seconda commodity dopo il greggio .................................................... 13 1 Sommario IL SOLE 24 ORE Complessodi Crimea. I prezzi pagati dall'Italia per la tradizione di entrare in missioni senza contropartite La diplomazia della visibilità Alberto Negri Ci sono eredità pesanti e la Libia è una di queste. La nostra politica estera, come dimostrano le dichiarazioni dei protagonisti, è confusa, da cappello in mano: ma cosa chiede l'Italia alla Russia? In Libia Mosca sostiene l'Egitto cui vende armi a profusione, come del resto la Francia con i caccia Rafale. Il presidente del Consiglio è andato al Cairo, seguito da altre delegazioni, per firmare qualche contratto ma gli egiziani in Libia e Cirenaica fanno i loro interessi non i nostri, appoggiandosi ai loro alleati interni (Khalifa Haftar) e internazionali in una lotta interna al mondo sunnita contro i Fratelli Musulmani, a loro volta sostenuti da Turchia e Qatar e dal governo di Tripoli. Per questo l'Isis è ancora lì e ne approfitta. I richiami del governo all'Onu e al multilateralismo paiono piuttosto vani, una foglia di fico davanti a una guerra civile e per procura dove l'Italia non ha uno schieramento e un obiettivo, se non quello di mantenere aperti i rifornimenti di gas dalla Tripolitania. Paghiamo il 2011 e l'errore di avere dato supinamente le basi Nato partecipando alla guerra contro Gheddafi senza contropartite di alcun genere: né energetiche né sulla sicurezza. Era già accaduto con l'Afghanistan e l'Iraq: cosa abbiamo ricavato da quelle sanguinose e costose missioni? Nulla. E ora rifacciamo lo stesso errore con l'Ucraina: che cosa ha in cambio l'Italia nell'appoggiare l'invio dei parà americani a Kiev? Le sanzioni a Russia, Iran e il caos libico costano alla nostra economia almeno 100 miliardi di dollari di mancati affari. Come nell'800 la politica estera italiana ha mirato a una costante ricerca di visibilità internazionale entrando in spedizioni multinazionali insensate. Allora veniva definito il "complesso di Crimea": memori dei successi conseguiti con quelle iniziative militari i governi italiani mandarono le forze armate in missioni in cui non avrebbero ricevuto benefici immediati ma vantaggi di ordine politico generale. Oltre cent'anni dopo siamo qui a fare il bilancio di una "politica di prestigio" fallimentare. Non abbiamo punti forza sui cui fare leva, se non chiedere all'Unione europea un maggiore impegno che i Paesi del Nord Europa non vogliono sostenere. Ecco come in Libia abbiamo combattuto una guerra che pure non volevamo, e in violazione dei trattati firmati con Gheddafi, di cui paghiamo adesso salate conseguenze. Energia. La libica Noc dichiara «forza maggiore» per 11 giacimenti Pozzi in fiamme in Iraq e combattimenti in Libia non risollevano il petrolio Il gas di Tripoli per ora arriva, problemi da Nord Europa Sissi Bellomo Pozzi di petrolio dati alle fiamme dai guerriglieri dell'Isis in Iraq e stato di forza maggiore per undici giacimenti in Libia non sono bastati a far correre le quotazioni del greggio, che - con il dollaro debole e gli Stati Uniti ben decisi a negoziare un accordo con l'Iran - hanno vissuto la solita giornata volatile, ma con variazioni modeste. Alla fine il Brent ha chiuso stabile a 60,48 $/barile e il Wti ha perso l'1,5% a 50,76 $. Sia le vicende irachene sia quelle libiche hanno in teoria un potenziale rialzista. Finora lo Stato Islamico non aveva distrutto, ma solo sequestrato giacimenti petroliferi, al fine di sfruttarli per autofinanziarsi. Gli impianti di Ajil, a 35 km da Tikrit, sarebbero stati incendiati per oscurare col fumo la visuale alle truppe sciite che preparavano un attacco. I pozzi erano fuori dal controllo di Baghdad dallo scorso giugno e probabilmente avevano rallentato la produzione rispetto al potenziale di 25mila barili al giorno di greggio (più 150 milioni di metri cubi di gas). Anche in Libia le milizie islamiche hanno seminato il caos nell'industria petrolifera, tanto da spingere la National Oil Company (Noc) - essa stessa contesa tra i governi rivali di Tripoli e Tobruk - a dichiarare lo stato di forza maggiore per 11 giacimenti nelle regioni centrali del paese. Tra questi figurano Mabrouk e Bahi, da poco finiti in mano a guerriglieri vicini all'Isis. Il ricorso alla clausola di forza maggiore è un passaggio tecnico, che libera Noc dagli obblighi di consegnare petrolio ai clienti, perché impossibilitata da eventi fuori dal suo controllo: in questo caso, ha specificato la compagnia, il deteriorarsi delle condizioni di sicurezza dopo i ripetuti attacchi a giacimenti e porti. La decisione potrà essere materia di contese legali, ma non avrà probabilmente impatti rilevanti su un mercato petrolifero tuttora afflitto da un eccesso di produzione e comunque abituato alla scarsità e all'incertezza delle forniture libiche. Dai giacimenti in questione, nessuno dei quali è 2 Sommario partecipato da Eni, si estrae in prevalenza petrolio e il gas libico acquistato dall'Italia proviene dalle regioni orientali del paese, dove la situazione è più tranquilla. Libia a parte, per gli approvvigionamenti di gas non mancano comunque motivi di inquietudine. A pochi giorni dall'accordo mediato dalla Commissione europea, Gazprom è già tornata a minacciare un'interruzione delle forniture all'Ucraina, affermando che il prepagamento di 15 milioni di $ appena versato da Kiev basterà si e no per rifornirla fino a mercoledì mattina. Intanto i flussi dalla Norvegia, decisamente ballerini quest'anno, si stanno di nuovo riducendo: un fermo imprevisto al giacimento Gudrun e un guasto a una conduttura costringeranno a tagliare temporaneamente la produzione di 14 milioni di metri cubi. L'Europa sta anche sopportando una riduzione di un quinto delle forniture dall'Olanda, dove il governo ha imposto di frenare l'attività nel maxigiacimento di Groningen, sospettato di provocare terremoti. E dall'Algeria - che una decina di anni fa era il primo fornitore dell'Italia, con più di 25 milioni di mc/giorno - dal 2013 continuano ad arrivare nella penisola non più di 7 milioni di mc al giorno. CORRIERE DELLA SERA I timori dei nostri manager «Perso il lavoro di anni» Il capo del governo incontra i rappresentanti delle aziende italiane che chiedono «discontinuità» rispetto alla nuova Guerra fredda. Gli ultimi mesi hanno visto una inversione di rotta decisa dell'interscambio. Anche con la crisi, la Russia non cancella i programmi di investimenti Fabrizio Dragosei Rapporti economici quasi in caduta libera, con l'export italiano che è crollato nel mese di gennaio del 37 per cento. L'analisi più stringata è di Antonio Fallico, esperto economico che si occupa di queste cose da decenni: «Si è annullato in poco tempo il lavoro che le nostre imprese hanno fatto in tanti anni». Nel giorno della visita del presidente del Consiglio Matteo Renzi, gli imprenditori e i manager italiani che lavorano in Russia spiegano che la situazione è veramente seria, ma che non tutto è perduto. Come dice ancora Fallico, «i margini per ripartire ci sono» . Certo, le sanzioni europee e le contro-sanzioni russe che hanno colpito in buona parte settori nei quali l'Italia è molto presente (come l'agro-alimentare) rimangono in vigore. E potrebbero anche essere inasprite se le cose non andassero per il verso giusto; se l'accordo di Minsk continuasse a non essere applicato in pieno. «Ma i colloqui moscoviti del capo del governo italiano sono già un segnale molto positivo», spiega Aimone di Savoia-Aosta, capo della Pirelli Russia che ha nel Paese due stabilimenti produttivi. Prima di vedere Vladimir Putin, Renzi ha voluto incontrare i rappresentanti delle aziende italiane per spiegare loro la strategia del governo, ma anche per capire come stiano realmente le cose. Dopo anni di continua crescita dell'interscambio, gli ultimi mesi hanno visto una inversione di rotta decisa. Anche gli investimenti di imprenditori in Russia, vale a dire aperture di fabbriche e negozi, sono scesi sensibilmente, vista la situazione generale . I dati del 2014 indicano una caduta dell'interscambio del 17 per cento. Sono scese le nostre importazioni di gas e petrolio russo, a causa dell'inverno particolarmente mite e del calo dell'attività economica in Italia. E sono diminuite le esportazioni italiane. Complessivamente, però, il quadro rimane assai sbilanciato, visto che per le importazioni spendiamo quasi 36 miliardi di dollari e dal nostro export ne incassiamo 13. «È assolutamente necessario dare al più presto segnali di discontinuità rispetto a questa nuova guerra fredda», è ancora l'opinione di Fallico. Il banchiere italiano cita stime dell'Italian Trade Agency (l'Ice), secondo i quali le esportazioni degli Stati Uniti verso la Russia sono salite del 23 per cento nei primi nove mesi dell'anno scorso. Dati del ministero dello Sviluppo Economico russo parlano di una crescita dell'interscambio con gli Stati Uniti del 6% per l'intero 2014. È' cresciuto particolarmente l'import di prodotti americani: +12 per cento. Il presidente della Commissione esteri della Duma Aleksej Pushkov è convinto che gli Usa con questa storia «ci stiano facendo i soldi». Parecchi imprenditori italiani non la pensano diversamente, magari anche perché vivono in Russia da decenni. Certamente per le nostre imprese è, in alcuni casi, un vero e proprio «bagno di sangue». Secondo i dati di Intesa San Paolo, nei settori colpiti dalle sanzioni il crollo su base annua è stato del 38 per cento. «E le sanzioni sono partite solo a settembre», precisa Fallico. Di imprese italiane impegnate direttamente in Russia ce ne sono molte e lavorano in quasi tutti i settori. Indesit e Candy negli elettrodomestici; Cremonini e Ferrero nell'alimentare, poi Pirelli, Iveco, Marcegaglia e tanti altri. Finmeccanica produce aerei ed elicotteri con partner russi, Enel ha le centrali elettriche. L'Italia è il secondo partner commerciale in Europa e in Russia ci sono oltre 400 aziende 3 Sommario rappresentate direttamente, oltre a sette banche. Anche in piena crisi, la Russia non cancella i suoi programmi di investimenti in grandi opere che per i prossimi anni ammontano a 400 miliardi di euro. Le nostre imprese contavano di essere protagoniste di questi progetti che, tra l'altro, comprendono anche tutte le infrastrutture necessarie per i campionati del mondo di calcio, per ora confermati nel 2018. Il rischio concreto è che altri Paesi vadano a occupare tutte quelle posizioni lasciate libere dall'Italia. LA REPUBBLICA Il Made in Italy spera nella ripresa "Troppi danni se soffre Mosca" La svalutazione del rublo e crollo del prezzo del petrolio danneggiano le capacità di acquisto Luca Pagni Non sono preoccupate per le sanzioni, che toccano più che altro il settore agro-alimentare, il più penalizzato dal blocco delle importazioni. Chiedono, ovviamente, una soluzione politica del conflitto con l'Ucraina e la fine della nuova "guerra fredda" con l'Occidente: ma soprattutto si augurano che la Russia inverta la tendenza e si riprenda il prima possibile dalla crisi economica. A danneggiare le imprese italiane che lavorano con Mosca, così come i loro concorrenti in tutta l'Eurozona, più che le sanzioni sono il crollo del prezzo del petrolio e la svalutazione del rublo. Le vendite di greggio e di gas rappresentano oltre l'80 per cento dell'export russo, nonché della capacità del Cremlino di fare cassa, visto che la quota principale delle esportazioni è coperta dai contratti di Gazprom, il colosso a controllo statale. Così, la diminuzione degli investimenti pubblici è destinata a provocare il crollo del Pil per il 2015, con una previsione di un meno 4 per cento. In questo clima, le aziende italiane l'anno scorso hanno perso oltre 1,2 miliardi di valore nelle esportazioni in Russia: avevano raggiunto i 10 miliardi nel 2013, sono scese a 8,8. Perdite pesanti che però - come riferisce un rapporto del centro studi di Intesa Sanpaolo citato da Il Sole-24 Oresono imputabili alle sanzioni soltanto per il 5 per cento (un totale di 60 milioni di euro scarsi). E toccano soprattutto il settore agro-alimentare, che infatti ha chiesto un aiuto economico a livello europeo. I dati che riguardano il vino raccontano bene la situazione: l'Istituto per il commercio estero (Ice) stima che tra il 2012 e il 2013, la Russia abbia aumentato le sue importazioni di vino dell'11,88 per cento, per un valore di 911 milioni di euro. In questa partita, l'Italia ha avuto un ruolo primario: suo è il primo posto per vendite con 260,4 milioni, seguito dai 206,2 milioni della Francia. Nei primi otto mesi del 2014, la Russia ha ridotto quasi del 5% le importazioni di vino: creando dunque un danno principalmente all'Italia. Diversa è la situazione delle imprese che lavorano direttamente in Russia, avendo aperto stabilimenti o rilevato aziende locali. La svalutazione del rublo pesa non poco sui loro fatturati. Fra di esse ci sono alcuni dei nomi più importanti tra le società quotate in Borsa: a partire da Eni. La controllata Saipem - uno dei leader mondiali per la realizzazione di impianti per l'estrazione e il trasporto di idrocarburi - ai primi di dicembre è crollata in Borsa (-10 per cento in una sola seduta) quando Gazprom ha cancellato il progetto del gasdotto sotto il Mar Nero, un contratto che da solo valeva 2 miliardi di dollari. Del resto, i rapporti economici tra Italia e Russia sono sempre passati attraverso le imprese di Stato: l'ingresso di Enel nel mercato delle centrali elettriche e la joint venture tra Finmeccanica e il gruppo Sukhoi avvennero sotto il primo governo Prodi. Con Silvio Berlusconi premier ci furono le ricontrattazioni per le forniture di gas per Eni, mentre fu Enrico Letta a firmare l'accordo per la costituzione di un fondo paritetico da un miliardo di euro per investimenti comuni, mettendo a disposizione i soldi della Cassa Depositi Prestiti. Accordo, non per nulla, citato da Vladimir Putin per sbandierare l'Italia come uno dei «partner privilegiati della Russia nel mondo». IL VENERDI’ DI REPUBBLICA Moltissimi consumatori si affidano ai servizi di maggior tutela. Che da 2018 spariranno Elettricità e gas. Il mercato libero convince pochi, ma... Gianluca Baldini C'era una volta un mercato, quello dell'energia, che era completamente controllato dallo Stato. Il prezzo offerto era uno solo: quello deciso dal governo. Poi Bersani e Letta ci misero lo zampino con due decreti ad hoc e il mercato venne liberalizzato (il primo gennaio 2003 per l'energia elettrica, il primo luglio 2007 per il gas). In molti gridarono alla rivoluzione: la possibilità di scegliere il fornitore di 4 Sommario gas e luce avrebbe dovuto creare un clima di concorrenza tale da portare a prezzi molto ma molto più bassi. Nel 2015 la situazione è questa. I clienti del mercato definito «a maggior tutela», quelli cioè le cui condizioni economiche e contrattuali sono regolate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (Aeeg) e non dal mercato libero, sono ancora la maggior parte. A sostenerlo è la stessa Autorità nell'annuale monitoraggio relativo agli anni 2012- 2013. Secondo l'indagine, solo il 25 per cento dei clienti domestici ha scelto il passaggio al libero mercato nel settore elettrico e ancora meno sono quelli che lo hanno scelto per il gas: solo il 22 per cento. La settimana scorsa, con il ddl concorrenza, il governo Renzi ha introdotto nuove regole: per il gas e l'energia elettrica è stata decisa l'eliminazione completa della tutela da parte dell'Aeeg, anche se solo a partire dal 2018. Nell'attesa vale la pena di fare due conti per capire quale sia la situazione odierna. Secondo uno studio di Facile.it aggiornato a settembre 2014, i cittadini del nostro Paese pagano l'energia elettrica circa il 9,3 per cento in meno rispetto ai prezzi praticati in Germania, Regno Unito, Francia e Spagna. Meno bene ci va invece con i prezzi del gas, più alti della media europea: in questo caso paghiamo circa il 15,3 per cento in più. Perché? In Italia si fanno sentire tasse e imposte, che rappresentano il 37 per cento della spesa totale (contro, ad esempio, l'11 per cento del Regno Unito). Tutto ciò pur essendo il costo della materia prima e della distribuzione piuttosto basso rispetto ad altri Paesi europei, come dichiarato dalla stessa Autorità per l'energia. Ad ogni modo, se si ha la pazienza di spulciare le varie offerte, spesso cambiare operatore conviene. Secondo le stime di Facile.it si possono risparmiare fino 50 euro all'anno scegliendo il contratto di fornitura di energia elettrica giusto e circa 100 euro facendo lo stesso con quello per il gas. LA STAMPA Il vertice italo-russo a Mosca Meno vendite e prezzi in discesa per lo Zar il gas è un'arma spuntata L'export verso l'Ue giù del 13,8% e si fanno avanti i concorrenti. La crisi dei consumi interni però penalizza le aziende europee Anna Zafesova Vladimir Putin complimenta l'Italia come «partner privilegiato» e dice di non riuscire a ricordarsi un settore dove russi e italiani non cooperino, e ovviamente il primo a venirgli in mente è l'energia. Ma il gas, tormentone e terrore mediatico degli anni scorsi, sembra il grande assente della partita diplomatica in corso con Mosca. La paura che il Cremlino chiuda il rubinetto è sparita non solo perché è in arrivo la primavera, ma il consumo di metano russo in Europa è già diminuito visibilmente. Nel 2014 Gazprom ha toccato il minimo degli ultimi 20 anni, riducendo le esportazioni nei Paesi Ue del 13,8%. Per l'Italia il calo è ancora più significativo, 14,4% in meno. Per altri Paesi ancora più dipendenti in passato dal gas russo i numeri sono più alti: un quarto in meno per l'Austria, il 35% in meno per la Repubblica Ceca. Il metano di Putin all'improvviso non sembra più cercato e desiderato da tutti. Gli unici ad aver aumentato, seppure di poco, gli acquisti di gas russo sono gli olandesi e i danesi. Colpa di un inverno mite, che ha richiesto meno consumi energetici. Ma soprattutto colpa della politica, della crisi ucraina. Mentre i partner europei di Gazprom cercavano di diversificare le forniture, Mosca a sua volta limitava al massimo l'erogazione di metano attraverso l'Ucraina (da dove lo riceve anche l'Italia). Per evitare che i Paesi europei rigirassero le loro riserve di gas a Kiev, tutelandola così dal ricatto energetico russo, Gazprom ha ridotto al minimo l'erogazione verso l'Austria, la Slovacchia, l'Ungheria e la Repubblica Ceca, che riversavano il loro metano all'Ucraina. Nel quarto trimestre 2014 - i dati sono tutti del monopolio del gas russo le forniture in questi Paesi sono crollate del 40-60% e in alcuni casi i russi sono stati perfino costretti a pagare penali agli acquirenti. Trasformare il gas in arma della diplomazia sembrava una mossa vincente ma ora rischia di diventare un boomerang. Erano anni che la Russia cercava di disimpegnarsi dal transito ucraino, spostando il carico sui gasdotti nel Nord Europa e, in prospettiva, sul South Stream, progetto definitivamente abbandonato l'anno scorso. Ma il tentativo di lasciare a secco Kiev rischia di far perdere ai russi una quota di mercato importante. Il calo dei prezzi del petrolio (che servono da base per i contratti del gas) spinge gli acquirenti europei a ridurre al massimo i consumi in attesa di una revisione al ribasso del listino di Gazprom, che secondo il ministero dello Sviluppo economico russo potrebbe arrivare al 35%, riducendo le entrate del monopolio russo di 14 miliardi di dollari. E secondo il quotidiano «Kommersant» molti esperti prevedono il ritorno in Europa dei produttori di gas liquido, negli ultimi 5 Sommario tempi attratti dal mercato asiatico dove i prezzi erano molto più alti. La paura che i russi per ritorsione facciano congelare gli europei nelle loro case non pare più attuale. La «superpotenza energetica», teorizzata a Mosca per anni, è in difficoltà, e a Putin ieri è stato presentato il bilancio rivisto per il 2015 che prevede un prezzo del petrolio di 50 dollari al barile (invece di 96) e un cambio del rublo verso il dollaro a 61, invece di 38. Il deficit previsto è aumentato dallo 0,6% al 3,8%, l'inflazione più che raddoppiata al 12%, e sono in cantiere nuovi tagli di spesa pubblica. Marchi occidentali in fuga Dal settore bancario arrivano segnali di panico sull'indebitamento delle famiglie russe, e le catene commerciali occidentali annunciano una dietro l'altra la chiusura dei loro punti vendita russi. Mosca sta smettendo di essere il paradiso dei consumi, e questo spunta anche l'altra arma di Putin, lo scontento degli esportatori europei per le sanzioni e le controsanzioni grazie al quale sperava di rompere il fronte diplomatico dei 28. MF Col petrolio basso i produttori investono meno. Per chi consuma la festa potrebbe finire presto. Alberto Marchi e Alessandro Agosta (partner, McKinsey) Il mondo del petrolio, e il settore del gas a esso collegato, attraversano un periodo di crisi e di forte incertezza. I prezzi del petrolio sono crollati (oggi oscillano tra 40-60 dollari al barile rispetto ai 100120 di un anno prima) e questo effetto si riflette già anche sui prezzi internazionali del gas. Un recente studio di McKinsey evidenzia che i primi segnali del crollo dei prezzi del petrolio erano emersi già a inizio 2014 e vanno ricercati nell'eccesso di offerta oltre che nella contrazione della domanda. In particolare, la produzione di petrolio non convenzionale in Nord America ha superato nel 2014 di oltre 1 milione di barili al giorno le previsioni della maggior parte degli analisti. Nel momento in cui il divario tra domanda e offerta si è ampliato troppo e il gruppo dei Paesi produttori dell'Opec non è più stato in grado di ribilanciarlo, il prezzo del petrolio, e quello del gas a esso collegato, sono inevitabilmente crollati. Il cambiamento di scenario presenta sia aspetti congiunturali che strutturali. Da un lato, l'analisi della volatilità dei mercati evidenzia che i movimenti dei prezzi, sia al ribasso che al rialzo, possono essere estremamente rapidi. Dall'altro, osserviamo una reazione strutturale delle grandi aziende petrolifere che si sono immediatamente attivate con robuste riduzioni dei costi e un ripensamento degli investimenti nella prospettiva che la situazione perduri per almeno tutto il 2015. Come spesso accade nei grandi momenti di cambiamento, vincitori e vinti di ieri invertono i ruoli. Da un lato i consumatori (il prezzo medio della benzina alla pompa a gennaio 2015 è calato del 15% rispetto al 2014, il Gpl per autotrasporto del 28%, il gasolio per riscaldamento residenziale del 16%) e i settori industriali energivori (come trasporti e industria manifatturiera) beneficiano nel breve periodo di prezzi di petrolio e gas più favorevoli, con stime che per l'Italia arrivano a ipotizzare un effetto pari allo 0,5% sul pil (studio Mediobanca). Dall'altra parte, le aziende del comparto energetico, a partire dai produttori fino alla filiera dell'indotto in cui l'Italia vanta molteplici eccellenze internazionali, soffrono per la frenata degli investimenti e per la rapida perdita di redditività (il ritorno sul capitale investito per le major del petrolio è sceso sotto il 10% rispetto a più del 15% nell'ultimo decennio). La conseguenze per la filiera produttiva è che bisogna innovare per ridurre i costi. I primi effetti del crollo dei prezzi di petrolio e gas sono il calo significativo degli utili e la frenata degli investimenti. Se prendiamo per esempio il settore del gas, si stima che, ai livelli attuali di prezzo, oltre il 90% dei nuovi progetti sul gas liquefatto renda poco o generi perdite. Ma c'è una via d'uscita, e questa passa per l'innovazione del modo di sviluppare i grandi investimenti infrastrutturali in modo da ridurne i costi. Si stima che una riduzione di almeno il 20-30% dei costi permetterebbe di tornare redditizi a molti investimenti oggi non effettuabili. I player della filiera produttiva che saranno vincenti alla fine di questo decennio saranno dunque quelli in grado di ottenere economie di scala e innovare per ridurre in misura significativa i costi, tramite per esempio le piu recenti tecniche di modularizzazione degli impianti, la semplificazione dei processi di lavoro, il ripensamento degli standard tecnici, la collaborazione con i fornitori. È questa dunque la vera sfida per la filiera produttiva italiana, che vanta numerose eccellenze nella tecnologia per il settore Oil & Gas (sono più di 100 le sole aziende basate in Italia affiliate ad Assomineraria e fornitrici di beni e servizi al settore), ma spesso fatica a espandersi all'estero e a essere competitiva su scala globale. Per parte loro i consumatori dovranno prepararsi al futuro. La sfida per questi ultimi è duplice. L'obiettivo più a breve termine è far sì che la riduzione dei prezzi di petrolio e gas contribuisca sia ad alleviare il costo sostenuto per 6 Sommario l'energia sia a stabilizzare o rilanciare le attività (dai trasporti alla produzione industriale). Allo stesso tempo, però, un periodo di costi bassi, a maggior ragione se prolungato nel tempo, non deve distogliere i settori di consumo dal perseguire con diligenza i propri obiettivi di efficienza energetica. Il rallentamento degli investimenti in petrolio e gas da parte dei produttori nel medio periodo non potrà infatti che condurre a un eccesso di domanda rispetto all'offerta, che è uno degli ingredienti base per un nuovo e repentino rialzo dei prezzi. AVVENIRE Le conseguenze della svolta energetica L'oro nero adesso vale poco. E l'Africa torna in sofferenza. Meno crescita trainata dall'export in Nigeria e Angola Alessandro Bonini Con il petrolio a cinquanta dollari il mondo non è diventato un posto migliore. Il recente crollo delle quotazioni ha innescato una competizione internazionale che spinge a interrogarsi su quali potrebbero essere i futuri assetti strategici e geopolitici. Gli analisti si chiedono se a spuntarla saranno gli Stati Uniti o la Russia, l'Arabia Saudita o l'Iran. Ma la partita più dura si gioca probabilmente in Africa subsahariana. In un ipotetico nuovo ordine mondiale, infatti, le potenze sopra citate vedrebbero profilarsi scenari più o meno favorevoli, ammesso che i prezzi rimangano così bassi, ma il Continente Nero rischia di vedere sfumare innanzitutto un'occasione di riscatto. A partire dall'inizio del secolo la scoperta di nuovi giacimenti e lo sviluppo di quelli esistenti hanno favorito nella regione tassi di crescita secondi solo a quelli dell'Asia emergente. Molti governi africani ne hanno approfittato per modernizzare le rispettive economie e tradurre i benefici di questa espansione economica in un aumento dei redditi, di posti di lavoro e in migliori servizi educativi e sanitari per i loro cittadini. econdo l'Agenzia internazionale per l'energia, il 30 per cento dei giacimenti di petrolio e gas scoperti negli ultimi cinque anni si trova in Africa subsahariana, regione che conta già alcuni tra i maggiori produttori mondiali, quali Nigeria e Angola. Non è un caso che proprio questi ultimi Paesi siano quelli più colpiti dalla caduta dei prezzi del greggio. Nei giorni scorsi il generale deprezzamento delle materie prime ha spinto il Fondo monetario internazionale a tagliare le sue previsioni di crescita per la parte centromeridionale del Continente africano, portandole al 4,9 per cento dal 5,8 per cento stimato a ottobre e rispetto al 5,2 per cento nel 2016. Allo stesso tempo il Fondo ha rivisto drasticamente le previsioni sulla Nigeria, tagliandole al 4,8 per cento dal 7,3 per cento ipotizzato in precedenza. Già nel suo ultimo rapporto, il Fmi avvertiva come Nigeria, Angola, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Sud Sudan e Guinea Equatoriale siano fra i Paesi africani più esposti ai rischi di un rallentamento economico. Questo perché dipendono dalle oscillazioni del greggio più di altri "Stati petroliferi" mondiali, sia sul lato delle entrate fiscali sia su quello delle esportazioni. E siccome nella regione i contrasti sociali sono ancora fortissimi, i rimedi devono essere pensati in modo da evitare conseguenze peggiori. n eccesso d'austerità potrebbe inasprire le disuguaglianze, minacciando la stabilità e compromettendo il potenziale di sviluppo. In prima linea c'è proprio la Nigeria, la nazione più popolosa del Continente, già vittima dell'offensiva sempre più implacabile degli islamisti di Boko Haram. Il Paese Opec è il maggiore produttore dell'Africa subsahariana. Le sue riserve sono stimate tra i 16 e i 22 miliardi di barili. Il governo di Abuja genera il 75 per cento delle proprie entrate fiscali dal petrolio, ma queste sono crollate di pari passe con le quotazioni dell'oro nero. Il Fmi ha auspicato che dopo le prossime elezioni il governo tagli i sussidi sulla benzina, approfittando anche del prolungato calo del greggio, che andrebbe a riequilibrare il prezzo dei carburanti. Nelle scorse settimane il prezzo della benzina è stato abbassato, ma per il momento i sussidi non sono stati toccati. Il ministero del Petrolio ha precisato che la decisione è stata presa come «riflesso della realtà economica globale» e non per fini elettorali. Fra le ragioni del mancato gettito c'è anche l'aumento della produzione americana, che ha portato a una diminuzione della domanda da parte degli Stati Uniti. onostante gli sforzi del governo resta inoltre irrisolto il problema dei furti di petrolio. Come se non bastasse, i timori sulla tenuta dell'economia nigeriana, tanto dinamica quanto fragile, hanno provocato una fuga di capitali e l'anno scorso la moneta locale è crollata. Per difendere la Naira, la banca centrale ha dovuto impiegare il 15 per cento delle proprie riserve. A novembre l'istituto ha alzato i tassi d'interesse al livello record del 13 per cento, ma ciò non è bastato a tenere a freno la corsa dell'inflazione, che a causa del deprezzamento della moneta 7 Sommario potrebbe raggiungere quest'anno la doppia cifra. Il governo dell'Angola si è invece rassegnato a varare una manovra correttiva sui conti pubblici, per compensare le pesanti ricadute sulle entrate derivanti dal crollo dei prezzi del petrolio di cui è il secondo maggiore produttore dell'Africa subsahariana. L'80 per cento del gettito fiscale del Paese deriva dall'oro nero e il bilancio 2015 era stato varato prendendo a riferimento un barile a 81 dollari. Nella nuova bozza, basata su un prezzo medio di 40 dollari al barile, il governo ha proposto un taglio pari a 17 miliardi di dollari. L'esecutivo prevede ugualmente un deficit pari al 7 per cento del Pil, con una crescita stimata al 6,6% e un tasso d'inflazione all'8 per cento. Non la pensano così alcuni economisti, che pronosticano invece una crescita del tre per cento quest'anno, dopo il quattro per cento del 2014 e il picco del 12 per cento registrato nel 2012. La legge dovrà essere ratificata dal Parlamento. Più di un angolano su due, il 54 per cento della popolazione, vive con meno di due dollari al giorno e il miglioramento delle condizioni di vita è uno dei punti chiave promessi dal presidente José Eduardo, che nel 2017 dovrà ripresentarsi alla prova del voto elettorale. Anche in Africa esiste però il rovescio della medaglia: i Paesi importatori, fra cui soprattutto il Kenya e la Costa d'Avorio, potrebbero beneficiare della nuova congiuntura grazie a un taglio significativo della bolletta energetica. Infine, ci sono i Paesi protagonisti delle scoperte più recenti, in bilico fra la minore convenienza dei propri giacimenti, a causa del dimezzamento dei prezzi del petrolio, e la volontà delle compagnie di continuare a scommettere su di essi: fra questi Ghana, Ciad, Niger, Uganda e lo stesso Kenya, oltre al Mozambico dove è presente in forze l'Eni. Il colosso petrolifero italiano è il primo operatore internazionale del settore in Africa. La società ottiene nel continente oltre la metà della propria produzione complessiva. Dal 2008 al 2013, Eni ha scoperto a livello mondiale 9,5 miliardi di barili di nuove risorse, buona parte dei quali nel continente africano. Le scoperte più importanti sono state effettuate in Angola, Congo, Gabon, Ghana e appunto in Mozambico, dove Eni ha effettuato la più importante scoperta di gas della sua storia: circa 2.400 miliardi di metri cubi, corrispondenti a oltre 30 volte la domanda annua italiana. IL MATTINO L'analisi Il premier: in Libia Putin sarà decisivo Angelantonio Rosato L'Italia è il secondo partner commerciale della Federazione Russa, malgrado il recente calo dell'interscambio pari al 10%. Solo la Germania ha un volume d'affari superiore. In Russia sono attive circa 500 aziende italiane. I prodotti più rilevanti del nostro export sono macchine e apparecchi meccanici, tessili, articoli in cuoio e arredamento. Dall'Europa partono merci, mentre dalla Russia arriva soprattutto energia. Nel complesso 163 miliardi di euro: 160 milioni di tonnellate di petrolio e 125 miliardi di metri cubi di gas naturale. Il 30% del gas consumato nei Paesi europei (non solo quelli Ue) è russo e l'Italia, dopo la Germania, è la maggior acquirente. Da Mosca acquistiamo infatti petrolio per circa il 15% delle nostre importazioni e gas per il 30%. Tra Italia e Russia esiste un'oggettiva interdipendenza energetica, utile ad entrambi, ma soprattutto a Roma. Se nel breve periodo una riduzione delle forniture russe avrebbe poche conseguenze, nel medio/lungo i prezzi potrebbero rialzarsi e l'Italia diventerebbe molto più vulnerabile e dipendente dalle forniture di Paesi instabili come la Libia. ENI, ENEL e Saipem sono molto attive in Russia. ENI ha un'intesa strategica pluridecennale con Mosca, sin dai tempi della guerra fredda. Un'intesa che continua e si rafforza. L'energia è la voce più rilevante, ma anche la cooperazione industriale si fa più intensa tra i due Paesi. Tra le partnership più prestigiose l'accordo siglato nel 2012 tra Fiat e Kamaz per la realizzazione di macchine agricole e veicoli industriali nello stabilimento di Naberezhnye Chelny, l'intesa tra Norislskij Nickel e il gruppo Techint per un valore di oltre 1 miliardo di dollari, la costruzione dell'elicottero Aw-139 da parte di AgustaWestland a Tomilino e gli stabilimenti del gruppo agroalimentare Cremonini che nel 2010 ha investito 100 milioni di dollari in un complesso industriale vicino a Mosca, dedicato alla distribuzione del Made in Italy e alla produzione di hamburger. Da non dimenticare poi gli investimenti diretti del gruppo alimentare De Cecco. Parallelamente è cresciuta anche la cooperazione nei settori finanziario, bancario e degli investimenti. Nel luglio 2012 Cassa depositi e prestiti, Intesa Sanpaolo, Sace, Société Générale, Kfw Ipex- Bank e Vtb Bank Russia hanno stretto un'intesa per finanziare con 500 milioni di euro il gruppo italiano De Eccher per la costruzione del Vtb Arena Park: un complesso di alberghi, appartamenti, 8 Sommario uffici e relative infrastrutture inseriti nel progetto di riqualificazione dell'area attorno allo stadio della Dynamo Mosca, in vista del Mondiale di calcio che la Russia ospiterà nel 2018. Unicredit Banca è l'ottavo istituto di credito del Paese in termini di asset e prima banca straniera. Banca intesa risulta tra i primi cinque istituti per credito alle piccole e medie imprese in Russia. Intesa Sanpaolo ha impegni importanti a Mosca che riguardano vari settori dell'economia. In particolare gli interventi diretti che sono stati realizzati in grandi progetti infrastrutturali e industriali. Intensa è pure l'attività degli investitori russi in Italia, in particolare nel settore energetico (Gazprom, LuKoil e Renova), siderurgico (Severstal, RusAl, Evraz), e in altri comparti, come testimoniato, ad esempio, dalla recente acquisizione da parte di Russkij Standard della casa vinicola Gancia e della Wind da parte della Vimpelcom. È dell'anno scorso l'ingresso di Roneft in Pirelli con una quota del 13% rilevata da banche e fondi d'investimento (Unicredit, Intesa Sanpaolo e Clessidra). La Russia è anche un punto di riferimento per l'offerta turistica italiana con grandi possibilità di sviluppo. Secondo un rapporto diffuso dal ministero degli Esteri italiano e redatto in collaborazione con l'Agenzia nazionale del turismo, nel 2012 più di 15,3 milioni di turisti russi si sono recati all'estero, 6% in più rispetto al 2011. I flussi turistici in uscita sono i primi, come entità, nell'ambito dei Paesi BRICS: i Russi fanno 1,3 volte più viaggi all'estero dei Cinesi, 3,4 rispetto agli Indiani e 4,6 in più dei Brasiliani. Il numero dei viaggiatori aumentato negli ultimi cinque anni del 50%, (rispetto al 41% dei Cinesi), anche se l'attuale crisi economica ed il deprezzamento del rublo stanno riducendo i flussi. Il margine di crescita del mercato rimane tuttavia ancora ampio, poiché attualmente solo il 15% dei 141 milioni di abitanti della Russia viaggia all'estero. Secondo i dati di Banca d'Italia, la spesa turistica russa in Italia nel 2012 è stata pari a 1,191 miliardi di euro (nel 2011 era di 925 milioni). Il secondo dossier riguarda l'IS (Islamic State), la Libia ed il Mediterraneo, temi sensibilissimi per Roma. Ma pure Mosca ha rilevanti interessi in questo scacchiere: la Siria di Assad è un alleato storico di Mosca, e la questione dell'Isis non può non impensierire Putin. Il Cremlino, isolato internazionalmente a causa della Crimea e del Donbass, cerca un ruolo da protagonista nel Mediterraneo. Renzi può lavorare su queste leve al fine di ottenere l'avallo russo (membro permanente del Consiglio di Sicurezza) ad una risoluzione ONU per sbloccare l'embargo di armi ai libici nostri amici, e magari imporre il blocco navale. Si potrebbe persino arrivare in futuro ad una missione di peace enforcing nel Paese nordafricano, ma i tempi non sono ancora maturi. In ogni caso, l'appoggio russo in sede ONU, e non solo, è fondamentale. Il terzo dossier si chiama Ucraina. Il premier italiano cerca l'appeasement con Mosca, senza però rompere l'unità del fronte europeo rappresentato recentemente a Minsk da Germania e Francia. Infatti, Renzi sta ripercorrendo gli stessi passi di Merkel ed Hollande: prima di incontrare Putin, è stato a Kiev per vedere il presidente Poroshenko. Una visita di cortesia quella a Kiev, ma il vero interesse dell'Italia è a Mosca: è importante far riavvicinare la Russia all'Europa, che non vengano inflitte nuove sanzioni e, se possibile, che vengano tolte quelle in vigore. Infatti queste colpiscono indirettamente (a causa delle contro-sanzioni russe) ma pesantemente anche le aziende italiane, soprattutto nell'export agro-alimentare verso il Paese slavo, contribuendo a ritardare la nostra ripresa economica. In conclusione, a Mosca è riuscito il presidente del Consiglio a salvare capra (interesse nazionale italiano) e cavoli europei? Forse sì, ma non basta una missione. I tempi della diplomazia sono lunghi, i problemi sono complessi ed il solco tra Mosca e Occidente si è fatto profondo. Siamo solo all'inizio di un percorso. I russi sono molto suscettibili e sospettosi, per natura e per quanto è accaduto dal crollo dell'Unione Sovietica. Con Mosca occorre avere pugno d'acciaio in guanto di velluto, qualità che Renzi ha dimostrato di avere in patria. Speriamo che le abbia anche all'estero. INTERNAZIONALE Gli algerini in piazza contro il fracking Gli abitanti di In Salah, in Algeria, protestano da due mesi contro le esplorazioni delle riserve di gas di scisto. Il 28 febbraio ci sono stati i primi scontri con le forze dell'ordine Yazid Alilat, Le Quotidien d'Oran, Algeria Dopo due mesi di proteste, gli attivisti che nel centro dell'Algeria si battono contro i progetti per l'estrazione del gas di scisto potrebbero aver ottenuto il loro primo successo. Secondo alcune testimonianze, il 27 febbraio l'azienda statunitense Halliburton e le francesi Schlumberger e Total hanno tolto le loro attrezzature per la trivellazione e la fratturazione idraulica ( frack ing ) dal bacino di Ahnet, uno dei siti per l'esplorazione del gas di scisto individuati dall'azienda energetica 9 Sommario di stato algerina Sonatrach. Non è chiaro, però, se le aziende siano state costrette a lasciare il sito a causa delle proteste degli abitanti o semplicemente perché le squadre incaricate di valutare il potenziale del bacino hanno concluso la loro missione. Nel frattempo a In Salah, la città diventata l'epicentro delle proteste contro il frack ing , la tensione resta alta. Il 28 febbraio e il 1 marzo sono scoppiati dei violenti scontri tra migliaia di manifestanti e gli agenti della gendarmerie . Il 28 febbraio gli attivisti per la difesa dell'ambiente a In Salah hanno circondato l'edificio dell'amministrazione locale ( daïra ) e forzato il cordone di sicurezza formato dalle forze antisommossa. Gli agenti hanno usato i gas lacrimogeni, ferendo alcune persone. Molte altre sono state arrestate. La Lega algerina per la difesa dei diritti umani ha condannato l'intervento della gendarmerie e ha chiesto la liberazione delle persone fermate. Richiamo internazionale Il livello di mobilitazione nell'Algeria centrale è molto alto. Il movimento contro il frac king si sta espandendo dopo l'arrivo di ecologisti stranieri che hanno risposto all'appello dei cittadini di In Salah. In un comunicato pubblicato il 28 febbraio il collettivo degli abitanti ha condannato "la linea dura della Sonatrach e le manovre delle multinazionali". Per "rispettare i contratti firmati con le aziende straniere", si legge nel comunicato, "la Sonatrach ha deciso di procedere con il fracking e di afidare le operazioni, accompagnate da un raforzamento straordinario dei dispositivi di sicurezza, all'azienda statunitense Halliburton. La Sonatrach non si fermerà davanti a niente: né di fronte ai rischi per la salute della popolazione né di fronte al pericolo di contaminazione dell'acqua e dell'ambiente né di fronte alle foto e ai video del sito di trivellazione che mostrano fino a che punto i lavori siano svolti all'insegna dell'incompetenza, del lassismo e dello sperpero". Di fronte all'aumento delle proteste contro l'estrazione del gas di scisto, l'amministratore delegato della Sonatrach ha dichiarato che non è stata ancora presa una decisione definitiva sullo sfruttamento del gas di scisto e che "la fattibilità tecnica e commerciale del progetto non è ancora stata accertata". Ha aggiunto che i due pozzi trivellati nel bacino di Ahnet avevano unicamente lo scopo di valutarne il potenziale e che la Sonatrach "non risparmierà sulle misure di protezione dell'ambiente, soprattutto delle falde acquifere". Sarà vero? Il dibattito è appena cominciato, anche se per il momento non si registra una grande mobilitazione tra il resto della società civile algerina. Da sapere Nel maggio del 2014 l'Algeria ha approvato le esplorazioni delle riserve di gas di scisto, che secondo alcune stime sarebbero le terze più grandi del mondo. Da allora sono stati trivellati quattro pozzi nei bacini di Ahnet e Illizi, in una regione arida. Il progetto è stato criticato sia per le conseguenze ambientali sia per quelle economiche. L'Algeria è il primo produttore di gas e il terzo di petrolio in Africa. Ma la sua economia non è diversificata e ha subìto un duro colpo dopo il calo del prezzo del petrolio. STAFFETTA QUOTIDIANA La scelta di Berlino Consultazione pubblica per riforma del mercato elettrico G.B. Zorzoli Neanche a me, con la sua petulante richiesta di fare (bene) i compiti a casa, il governo di Berlino è particolarmente simpatico. Tuttavia, il Libro Verde sulla riforma del mercato elettrico tedesco nella fase di transizione verso il 2050 (quando almeno l'80% del power mix dovrà essere coperto da rinnovabili) mi obbliga, almeno parzialmente, a ricredermi. È un documento di consultazione del governo tedesco (v. Staffetta 05/03), dove vengono sostanzialmente poste due alternative. La prima, denominata “Electricity market 2.0”, si limita a introdurre una serie di modifiche agli attuali meccanismi di mercato. All'intermittenza della produzione eolica e fotovoltaica si risponde massimizzando la flessibilità della produzione tradizionale e della domanda, avvalendosi dell'apporto degli accumuli e sfruttando la capacità virtuale, resa disponibile dallo sviluppo del market coupling. Altri contributi potranno venire da una maggiore integrazione con la produzione/consumo di calore e con il trasporto. La stessa volatilità dei prezzi rappresenta il principale incentivo allo sviluppo della flessibilità in tutte le articolazioni del sistema elettrico. Insomma, per rispondere ai problemi aperti dalla transizione energetica in modo non solo ambientalmente adeguato, ma anche cost effective e sicuro, è sufficiente sfruttare le potenzialità del mercato della flessibilità, che è in grado di fornire i segnali di prezzo richiesti per garantire la capacità necessaria a soddisfare la domanda dei consumatori. L'alternativa proposta nel Libro 10 Sommario Verde è il mercato della capacità, presentato in tre versioni diverse, di cui una coincide sostanzialmente con quella adottata in Italia. Esso si basa sull'ipotesi che l'attuale mercato elettrico, anche se ottimizzato, non riuscirà a garantire la capacità necessaria. Una struttura centrale (in Italia è Terna) stabilisce quindi qual è la capacità minima che deve rimanere disponibile e la remunera (in Italia sulla base di un'asta competitiva con un floor price). Il Libro Verde afferma esplicitamente che questo onere aggiuntivo sarà a carico dei consumatori, il decreto attuativo italiano afferma invece che sarà “senza aumento dei prezzi e delle tariffe dell'energia elettrica per i clienti finali” (come, non viene però chiarito). Il Libro Verde non nasconde la sua preferenza per l'“Electricity market 2.0”, anche sulla base del parere di un team di esperti che, rifacendosi in particolare alle esperienze americane, sottolineano: a) le difficoltà di organizzare il capacity market in modo corretto; b) l'elevata probabilità di interventi, per diversi anni, volti a modificarne gli aspetti critici; c) i maggiori costi per il sistema (9 miliardi/anno); d) i rischi considerevoli in termini di complessità gestionali, di inefficienze, di irreversibilità e di minori stimoli allo sviluppo della flessibilità. Il confronto tra le due opzioni (che occupa 15 dense pagine) è preceduto da circa 35 pagine, dedicate a un accurata analisi dell'attuale funzionamento del sistema e del mercato elettrico e ad una serie di misure – tecniche, economiche, politiche, ambientali - che vanno comunque prese per garantire il buon funzionamento dell'insieme, indipendentemente dall'opzione scelta. Qualunque sia il giudizio sul documento e sulle strategie che propone, alcune conclusioni sono indiscutibili. Prima di scegliere, il governo tedesco ha deciso di indire una consultazione pubblica, dando spazio e ascolto a tutti coloro che sono “coinvolti” nel futuro del mercato elettrico tedesco. E lo fa fornendo informazioni adeguate a chi intende avanzare osservazioni, critiche, proposte, senza nascondere quelle che per qualcuno possono risultare sgradevoli. Anche da noi si elogia la ricerca di maggiore efficienza, ma non ho ricordo di un documento ufficiale dove, come nel Libro Verde tedesco, si affermi esplicitamente che in tal modo si riduce la necessità di produrre energia elettrica, per cui, dato il crescente apporto delle fonti rinnovabili, è inevitabile una significativa dismissione di centrali alimentate da combustibili fossili. Inoltre, a differenza di quanto è accaduto in Italia, malgrado consideri più appropriato il mercato della flessibilità, il governo tedesco ha ritenuto la scelta così importante per il futuro energetico del paese da rendere necessaria una consultazione aperta a tutti gli stakeholder. Sì, i tedeschi si comportano spesso in modo antipatico, ma qualche giustificazione gliela dobbiamo concedere. QUOTIDIANO ENERGIA Entso-E: "Cambiare l'interfaccia tra Tso e Dso" Le proposte per la transizione e per l'Unione energetica "C'è bisogno di cambiare l'interfaccia tra i Tso e i Dso per sbloccare il potenziale dei consumatori, dei produttori elettrici e degli attori del bilanciamento". E' la motivazione che ha spinto l'associazione degli operatori dei sistemi di trasporto dell'elettricità (Entso-E) a mettere a punto il position paper "Towards smarter grids: developing Tso and Dso roles and interactions for the benefit of consumers", che affronta le questioni dell'assetto del mercato, delle operazioni del sistema, della pianificazione delle reti e della gestione dei dati. In particolare, Entso-E ritiene che i consumatori devono poter partecipare a tutti i mercati e che, di conseguenza, i Tso e i Dso hanno il compito di fornire un appropriato quadro di mercato. Inoltre, Tso e Dso dovrebbero lavorare con le autorità di regolazione al fine di determinare i requisiti per la "osservabilità" e la "gestione attiva" della generazione distribuita e della risposta sul lato della domanda. Secondo il position paper, i Tso e i Dso "devono avere un quadro di governance chiaro e coerente", anche se, considerate le diversità esistenti a livello nazionale, non vi è una soluzione univoca per tutti i Paesi europei. Entso-E ha pubblicato anche un documento contenente le raccomandazioni dell'associazione per definire e applicare l'Unione energetica, per la quale è innanzitutto necessario attuare pienamente tutte le legislazioni esistenti (a cominciare dai 10 codici di rete per l'elettricità). Occorrerà inoltre facilitare gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto attraverso un piano paneuropeo e coordinare maggiormente le azioni degli Stati membri Ue in materia di mix energetico e politiche per la sicurezza degli approvvigionamenti, nonché aggiornare l'attuale assetto del mercato per integrare le rinnovabili. Infine, dovrà essere accresciuto il potere dei consumatori finali e favorita l'innovazione e le nuove tecnologie. 11 Sommario Effetti sentenza Robin tax, si attendono informazioni in Senato All'indomani della Consulta D'Alì (FI) aveva chiesto al Governo di riferire sulle conseguenze dello stop alla maggiorazione Ires Si attendono informazioni del Governo in commissione Bilancio del Senato sugli effetti finanziari della sentenza della Corte Costituzionale sulla Robin tax. Il presidente della V commissione, Antonio Azzollini, ha annunciato martedì che verrà a breve elaborato un calendario dei lavori che tenga conto di tutte le richieste di approfondimenti avanzate dai senatori su temi di particolare rilievo, tra cui appunto le conseguenze della cancellazione dell'addizionale Ires sul settore energetico. A chiedere all'esecutivo di riferire sulle conseguenze dello stop della Consulta alla maggiorazione Ires era stato il senatore di Forza Italia Antonio D'Alì, il giorno dopo la sentenza. Il viceministro dell'Economia, Enrico Morando,- presente alla seduta della V commissione- aveva subito confermato la disponibilità del Governo a discuterne sottolineando "la rilevanza della decisione (della Corte, ndr), al di là dell'obiettiva difficoltà creata dal venir meno di un gettito cospicuo, la quale per la prima volta applica espressamente il principio di equilibrio di bilancio introdotto nell'articolo 81 della Costituzione". La Commissione Ue conferma: "La Russia può usare il Tap" Avviati intanto i rilievi topografici per il gasdotto nell'area di San Foca Gazprom può usare il gasdotto Tap per trasportare il suo gas verso l'Europa. Lo ha confermato l'advisor della DG Energia della Commissione Ue, Brendan Devlin, spiegando che se Mosca intende realizzare la condotta Turkish Stream dalla Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero sarà libera di commercializzare poi il suo gas attraverso tutte le infrastrutture di trasporto dell'Unione europea, come prevede il terzo pacchetto energia. Per il momento, ha detto Devlin intervenendo ieri a Bruxelles alla conferenza "Refuelling Europe: The Single Energy Market and Energy Union in a postSouth Stream Environment", è improbabile che un altro grande gasdotto oltre al Corridoio Sud possa essere realizzato nell'Europa sud-orientale, giacche "i mercati sono troppo piccoli". Ma in futuro, ha aggiunto, la capacità di Tap potrà essere raddoppiata a 20 miliardi di mc l'anno. Tap, ha precisato Devlin al portale "EurActiv", ha la possibilità di espandersi del 50% nel caso in cui vi sia uno shipper diverso dall'Azerbaijan. "Non importa chi sia lo shipper e per noi non fa alcuna differenza se si tratta di gas russo, libico o azero, perché è così che funziona il mercato interno", ha sottolineato l'advisor. Tap, intanto, ha precisato che nella giornata di mercoledì sono stati effettuati a San Foca (Lecce) rilievi topografici in aree pubbliche e demaniali lungo il futuro tracciato a terra del gasdotto. Questa attività, sottolinea una nota, "non necessita di alcun genere di autorizzazione" e "non è in alcun modo connessa con i quattro sondaggi geotecnici in aree sottoposte a vincolo paesaggistico in prossimità della costa, che saranno effettuati non appena saranno rilasciate le autorizzazioni necessarie". Hera, addio tetto 50% Comuni. “Ora nuove fusioni” Il presidente del Patto di sindacato, Manca, a QE: “Scendiamo dal 51% al 38% ma ogni socio è libero di decidere se vendere. Si parte non prima di luglio” di Carlo Maciocco La discesa del controllo pubblico nelle utility sotto la fatidica soglia del 50% comincia a divenire realtà. A fare da apripista a un processo stimolato dalle norme della legge di Stabilità è Hera. Ieri il Patto di sindacato della società bolognese ha infatti deciso di ridurre dal 51% al 38% la quota vincolata, lasciando però libertà ai singoli Comuni se vendere o meno il 20% svincolato (comprese le quote fuori dagli accordi parasociali). "Si poneva l'esigenza di rinnovare per il prossimo triennio il Patto, che è in scadenza al 30 giugno 2015 - dice a QE il presidente del Patto nonché sindaco di Imola, Daniele Manca - e l'obiettivo primario è quello di consolidare il controllo pubblico sulla società, non di vendere. La quota del 38% assicura comunque un ruolo decisivo ai Comuni nella governance, pur lasciando maggiore libertà di movimento sulle quote residue. Ciò principalmente al fine di sostenere ulteriormente la crescita di Hera, proseguendo nella strategia di aggregazioni fin qui portata avanti: piccoli passi e con società contigue territorialmente". Manca tiene però a precisare che la decisione presa ieri apre solo un percorso, che non avrà tempi brevi e che dovrà essere monitorato da ciascun Consiglio comunale. Fermo restando che non tutti i Comuni necessariamente decideranno di vendere. "L'orientamento del Con.Ami (il Consorzio azienda multiservizi intercomunale capitanato da Imola, che detiene il 7% circa dell'utility, ndr) non è certo per la cessione di quote - rimarca il sindaco - anche perché per noi Hera è un valore, non solo in 12 Sommario termini di dividendi ma anche di servizi sul territorio. L'eventuale collocamento sul mercato di azioni verrà vagliato nei tempi tecnici da ciascun Comune, anche con l'obiettivo di non impattare sulle quotazioni del titolo. Credo comunque che prima di luglio non si muoverà nulla". Per capire chi sarà a muoversi per primo bisognerà quindi aspettare qualche mese. Anche se il sindaco di Bologna, Virginio Merola, sembra già intenzionato a cedere almeno parte delle quote di quello che è il principale azionista di Hera con il 10% (Consiglio comunale permettendo). Fermo restando che, se i collocamenti sul mercato dovranno essere funzionali a nuove partnership o aggregazioni, dovranno ovviamente essere coordinati e rispettare le tempistiche di tali eventuali operazioni. Digitalizzazione accise, convocato il tavolo tecnico L'11 e 12 marzo nella sede centrale di Roma delle Dogane L'Agenzia delle Dogane ha convocato con la nota n. 24630/RU del 3 marzo il tavolo tecnico "Digitalizzazione delle Accise" per una nuova sessione di lavori l'11 e 12 marzo a Roma, nella sede centrale dell'agenzia. Nel corso della riunione, in particolare, verranno condivisi "gli esiti della sperimentazione della Fase 2 del Progetto RE.TE. condotta dagli operatori e dagli uffici delle Dogane", "le attività in corso per la gestione automatizzata dei conti garanzia", "le attività in corso per l'integrazione nella banca dati Taric delle informazioni del settore accise" e "la determinazione direttoriale per la tenuta informatica dei registri". Goldman Sachs: Gnl seconda commodity dopo il greggio Nel 2015 il gas liquefatto supererà il ferro. BG: Trading +5,1% l'anno di qui al 2025 Nel 2015 il valore del commercio internazionale di Gnl supererà i 120 miliardi di dollari, scavalcando così il ferro e divenendo la seconda commodity mondiale dopo il petrolio. Lo afferma un rapporto di Goldman Sachs, secondo cui la crescente concorrenza sul mercato del gas porterà gli acquirenti ad affidarsi sempre meno ai contratti di lungo-termine e sempre più al mercato spot. Goldman Sachs rileva che "con il separarsi dei prezzi dei contratti da quelli spot l'indicizzazione al petrolio continuerà a perdere attrattività e il Gnl crescerà divenendo una normale commodity valutata in base ai suoi fondamentali specifici piuttosto che a quelli di un'altra commodity, sebbene correlata". Secondo le proiezioni di BG Group, pubblicate ieri, il trading di Gnl crescerà a una media annua del 5,1% di qui al 2025, a seguito dell'avvio di impianti produttivi negli Usa e in Australia e dell'emergere di nuovi mercati in Asia, Medio Oriente e regione del Baltico. 13