Rigenerare comunità per ricostruire il Paese ACLI

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Rigenerare comunità per ricostruire il Paese ACLI
XXVII° Congresso Provinciale delle ACLI
della Provincia di L’Aquila
10 Marzo 2012
Rigenerare comunità per ricostruire il
Paese
ACLI artefici di democrazia
partecipativa e di buona economia
Relazione della Presidenza Provinciale
Relatore Vice Presidente Vicario
Gianfranco De Crescentis
Acli Provinciali L’Aquila
Via G. Carducci N. 30
67100 L’Aquila
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Il tema Congressuale scelto dalle ACLI in occasione del XXVII° Congresso è come
al solito attuale, stimolante e allo stesso tempo originale e innovativo.
Per noi Aclisti della Provincia di L’Aquila questo Congresso riveste un carattere ed
una forma ancor più particolare: è il primo Congresso dopo il terribile sisma del 6
Aprile che ha duramente colpito il nostro territorio con inaudita violenza.
Diversi amici aclisti purtroppo non ci sono più, altri hanno perso la loro casa i loro
amici, i loro affetti.
Credo che ognuno di noi, anche se in diversa misura, ha vissuto una terribile
esperienza che ci ha segnato la vita, che è difficile dimenticare, che ha cambiato il
nostro modo di affrontare e vivere le cose, che ci ha fatto riscoprire o apprezzare
alcuni valori che riesci a capire solo quando vivi direttamente un’esperienza così
drammatica.
E’ difficile comprendere la drammaticità di questo evento se non lo si vive
direttamente.
Celebrare, a tre anni dal sisma, il Congresso Provinciale delle ACLI mi dà un minimo
di parvenza di ritorno alla normalità, alla vita associativa, ai progetti che avevamo in
cantiere prima del 6 Aprile e che in trenta secondi abbiamo visto distrutti, sconvolti,
radicalmente modificati.
In un Congresso solitamente si fa un bilancio dell’attività svolta nel quadriennio
precedente e delle strategie future da intraprendere. Nel nostro territorio è innegabile
che è particolarmente difficile parlare di futuro, di vita associativa, di progettualità,
sapendo che diverse strutture circolo non hanno più una sede, che diversi soci hanno
problemi per la ricostruzione della propria abitazione, che alcuni di loro hanno perso
il lavoro, altri sono stati costretti a trasferirsi.
Oltre alla ricostruzione materiale occorre ricostruire il tessuto sociale, ripristinare un
sistema economico produttivo che assicuri un posto di lavoro ai residenti che hanno
bisogno di sentirsi ora più che mai attratti da questa città e non esclusi ed emarginati.
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E che cosa dire dei nostri giovani? Non hanno più una città dove passeggiare,
incontrarsi, ridere e scherzare.
Luoghi come il Corso, i Portici, Piazza Duomo che fino a qualche anno fa erano un
misto di voci suoni e colori sono adesso dei luoghi in cui regna una desolazione ed un
silenzio spettrale. Passeggiando per la città, mi vengono in mente episodi e luoghi che
frequentavo nell’adolescenza e che ora sono transennati o crollati e mi chiedo se è
giusto che i nostri figli vivano in una città senza luoghi comuni, senza riferimenti,
senza spazi decenti ove incontrarsi.
Più penso queste cose e più mi convinco che la classe dirigente delle ACLI, ora più
che mai, ha il dovere di svolgere il proprio ruolo che è quello di stare vicino alle
persone, intercettare il più possibile i loro bisogni, provare a dare loro delle risposte.
Il contesto su cui operare è particolarmente difficile: non abbiamo luoghi idonei dove
svolgere la nostra attività, non abbiamo spazi dove far incontrare le persone, non
riusciamo ad individuare un baricentro fra i vari “progetti case” ove poter svolgere la
nostra azione associativa.
Abbiamo l’obbligo di fornire ai nostri associati dei luoghi di aggregazione e di
incontro. Non possiamo permettere che un gruppo di soci, non avendo spazi, si
riunisca giornalmente, ai margini della zona rossa, sotto a quella che era la pensilina
di attesa degli autobus, a fare la quotidiana partita a carte.
I vicini di casa e gli amici non si vedono più in quanto dislocati a chilometri di
distanza.
Gli anziani che si incontravano ogni giorno a Piazza Duomo oggi vivono a chilometri
di distanza e quando vengono nei nostri uffici ci chiedono come fare per ricostruire
una piazza, un luogo di aggregazione.
I giovani sono stanchi di frequentare i centri commerciali che sono asettici, freddi,
sterili; ci chiedono degli spazi, ma più che gli spazi chiedono una città, un luogo dove
poter passeggiare.
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Purtroppo facendo un giro per la città a tre anni dal sisma, ti rendi conto che rivivere
il centro storico è un sogno una chimera che forse si realizzerà fra dieci o quindici
anni ma nel frattempo dove facciamo incontrare i nostri figli e come facciamo a dare
una risposta a quegli anziani che ci chiedono una piazza?
Credo che ora più che mai c’è bisogno di uno sforzo comune. C’è bisogno di un
progetto comune di associazioni, di Istituzioni, di persone di buona volontà che
hanno a cuore il futuro di questa città di unirsi, di mettere da parte tutte le loro
diversità e fare delle proposte per il bene comune per ridare vita a questa comunità,
per assicurare un futuro ai nostri giovani considerando anche la particolare situazione
che sta attraversando il nostro Paese.
In questo difficile quadriennio la Presidenza Provinciale uscente ha affrontato enormi
difficoltà ma lo spirito aclista di comunità, di fratellanza e di massima disponibilità
ha permesso di intercettare e soddisfare nel miglior modo possibile i bisogni della
gente.
E’ questo spirito che ci ha spinto, a poche ore dal sisma, a recarci presso la Sede
Nazionale delle ACLI non per richiedere aiuti economici ma strumenti per continuare
a lavorare e a svolgere la nostra azione fra la gente che aveva bisogno di assistenza
nelle tendopoli, nei progetti case, nei MAP.
Abbiamo operato con il nostro camper nelle piazze e nelle tendopoli cercando di
soddisfare i bisogni della gente con uno spirito di solidarietà e di fratellanza ovvero
quello spirito aclista che ci ha sempre contraddistinto.
Colgo l’occasione per ringraziare tutta la struttura della sede provinciale e tutti gli
operatori del Caf e del Patronato per l’opera instancabile prestata in quel periodo di
emergenza.
Negli anni futuri la classe dirigente di questa Provincia sarà chiamata ad un compito
ancor più arduo diretto a far sentire in maniera più incisiva la nostra azione sul
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territorio già ferito ed ancor più vulnerabile ed esposto agli effetti della crisi
economica ma anche etica ed antropologica che sta attraversando il nostro Paese.
In questo periodo credo che le realtà che come le ACLI hanno una storia ed una
vocazione educativa sono chiamate a riprendere con fiducia e determinazione il loro
compito.
Occorre ora più che mai che le domande di senso abbiano spazi in cui esprimersi, che
le parole di speranza ritrovino canali e luoghi in cui risuonare e che i progetti di
comunità e di solidarietà possano essere condivisi e costruiti insieme.
In stretta connessione con il radicamento nella Parola di Dio e con la cura della
spiritualità associativa, si rafforza pertanto la passione per quel compito educativo e
formativo che da sempre ha caratterizzato il nostro movimento, per quella pedagogia
sociale da cui da sempre sono connotati i progetti, le esperienze aggregative, le opere
delle Acli.
I giovani devono essere i primi destinatari dell’azione educativa, mentre quella
rivolta alle persone adulte, apre alle Acli grandi possibilità di azione, dalla
valorizzazione degli elementi dinamici ed evolutivi della persona durante tutto l'arco
della vita, fino al sostegno educativo dell’azione sociale e politica. Un processo di
apprendimento che si sviluppa nel tempo riguarda tutte le generazioni accomunate da
un percorso di crescita umana, mai ultimato, e dalla ricerca continua di una vita
buona.
Quando parliamo di educazione degli adulti, parliamo immediatamente di una
formazione educativa calata nella vita, nell’esperienza personale e sociale, nelle
responsabilità familiari, civiche, politiche, nei contesti organizzativi dell’impresa e
del lavoro; un’educazione che ha a che fare con l’esercizio della responsabilità e
dell’autorità. Parliamo di una formazione che non è un qualche addestramento a
questa o quella abilità, ma un processo più profondo che tocca tutte le dimensioni
dell’umano: compresa quella psicosociale e quella spirituale.
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In questo senso, a partire dall’esperienza fatta nel quadriennio appena concluso,
vanno riproposti e rafforzati innanzitutto i percorsi formativi dei dirigenti apicali
dell’organizzazione, in particolare i Presidenti provinciali e regionali e i responsabili
alla funzione Sviluppo associativo.
Particolarmente strategica è inoltre la costruzione condivisa di progetti formativi con
le strutture territoriali – soprattutto regionali – con particolare attenzione alla
formazione dei responsabili delle strutture circolo.
La formazione aclista accompagna anche processi organizzativi e progetti che
favoriscono la partecipazione attiva dei soci e dei cittadini, una partecipazione
consapevole e imprenditiva, che sviluppa senso di appartenenza e di responsabilità,
come nel caso dei percorsi condivisi con la rete dei Punto famiglia delle Acli.
In un’ottica di sistema va inoltre proseguito il lavoro di condivisione di percorsi e
iniziative formative con i responsabili politici dei servizi e i dirigenti tecnici degli
stessi, così come con le associazioni specifiche e professionali e i soggetti sociali del
movimento.
Trattando insomma di educazione e di formazione, nelle Acli, parliamo di una
pedagogia sociale strettamente connessa ai processi organizzativi e all’azione
sociopolitica di cui gli adulti di oggi sentono nuovamente necessità e desiderio in
quanto risponde alla complessità del vivere sociale e alle inedite domande di senso
del nostro tempo. L’obiettivo è quello di educare ed educarsi ad una spiritualità
laicale adulta, ad una matura responsabilità familiare e genitoriale, ad un consapevole
impegno sociale e politico. È una pedagogia sociale a tutto campo, che contrasta il
trionfo dell’individualismo, la mentalità dello spreco e del privilegio, promuovendo
una necessaria conversione degli stili di vita e di consumo. Sono queste le piste per la
nostra formazione socio-politica popolare. Il compito da affrontare è talmente
impegnativo che nessuno può pensare di poterlo compiere da solo. Come Acli
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facciamo parte di importanti reti, tra le quali il Tavolo interassociativo, presso
l’Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università.
Credo sia necessario promuovere un’alleanza educativa tra tutte le agenzie e gli attori
coinvolti sul territorio: famiglia, scuola, parrocchia, gruppi e associazioni, mass
media e network sociali.
Infine, una specificità delle Acli che va oggi rilanciata con forza è la tensione a
interpretare in chiave educativa integrata l’intero orizzonte del proprio impegno:
sociale, imprenditoriale, politico. Le Acli sono, infatti, consapevoli del valore
potenzialmente educativo della propria missione associativa, del produrre servizi e
fare impresa a vocazione sociale, della propria esperienza democratica, del proprio
specifico modo di svolgere una funzione di rappresentanza e politica. A fronte della
crisi che stiamo attraversando e che interpella le forme stesse della rappresentanza e
della rappresentatività, in un passaggio che non è esagerato definire storico, questo
aspetto chiede di essere rilanciato, condiviso e nuovamente fatto oggetto di
investimenti e cura.
La politica italiana vive oramai una fase di stallo della classe dirigente, incapace di
rigenerarsi, ma anche difficoltà nel darsi gambe e valori culturali che ispirino
l’azione. Il nostro Paese non vive tanto un’emergenza democratica, ma piuttosto
un’insofferenza diffusa e motivata verso il sistema di rappresentanza dei cittadini
nelle Istituzioni. Il problema della rappresentanza nel nostro Paese (a cui è
strettamente legato il tema della partecipazione dei cittadini alla vita democratica)
non è tanto, come spesso si vuol far credere, quello di sostituire il ceto dirigente ma
di garantire dal basso il rinnovamento del sistema politico. A questo bisogna
affiancare una seria azione che faccia sì che coloro che gestiscono la cosa pubblica
(in senso lato intendendo Amministratori pubblici, Presidenti di Associazioni,
Dirigenti politici dei partiti, ecc.), possano essere all’altezza del compito sia sul piano
delle competenze, sia sul piano culturale e valoriale.
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La necessità, quindi, di riformare la politica nel suo complesso sistema di
ramificazioni che interseca le Istituzioni, i Partiti, i corpi intermedi in generale, ma
anche tutte le strutture di governo che compongono a vario titolo la classe dirigente
del nostro Paese, (ordini professionali, enti pubblici, società a partecipazione
pubblica, ecc.), va legata ad almeno due ordini di questioni che interessano anche il
contributo che la nostra associazione può dare.
Credo che la prima è la “revisione” della cosiddetta “questione generazionale”,
ripresa in modo ricorrente attraverso la formula per cui la presenza dei giovani
implica “novità” (e quindi innesca processi di riforma) nei luoghi che questi abitano e
governano; da qui la necessità del cosiddetto ricambio generazionale.
Ma una vera riforma della politica, più che del ricambio necessita della rigenerazione,
che implica la necessità di costruire il nuovo, quel nuovo che crea naturalmente
spazio ai giovani. In questo modo si afferma la logica per cui le generazioni debbono
cooperare tra di loro nella costruzione di luoghi democratici capaci di autorinnovarsi,
unica via per evitare la stagnazione in cui si annida molto spesso la degenerazione del
sistema (comprese le illegalità).
Analogo rilievo va fatto rispetto alla questione annosa della maggiore presenza delle
donne nei luoghi della politica. Anche in questo caso, superata una politica di puro
rivendicazionismo, si tratta di innovare stili, tempi e codici della politica rendendoli
più accoglienti per il genere femminile, e in ultima analisi più compatibili con le
esigenze della vita relazionale e quotidiana.
La seconda attiene all’urgenza di formare (e prima educare) la classe dirigente del
nostro Paese. Se è vero infatti che l’azione politica deve essere animata da
competenze e valori forti, l’unica chance perché ciò avvenga è attivare (e forse
riscoprire) la nostra vocazione alla formazione/educazione socio-politica dei cittadini,
come strumento per rigenerare il territorio. Formare alla politica oggi vuol dire
proprio questo: non solo quadri ma anche cittadini attivi che aiutino la nostra società
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a “traslocare” dall’attuale modello di democrazia consensuale approdando a quella
deliberativa dove senza una società civile organizzata e formata, il modello non è
nemmeno configurabile.
Le ACLI fin dalle origini hanno avuto a cuore la promozione e la tutela dei diritti
delle persone, con una precisa scelta di campo: dalla parte dei più deboli.
Dire welfare pro-motore di sviluppo significa anche avere il coraggio di sostenere ed
investire sul protagonismo dei giovani, i cui percorsi lavorativi sono sempre più
flessibili, compositi, incerti.
Occorre promuovere la famiglia con politiche attive che ne riconoscano la
soggettività sociale e il sostanziale e quotidiano contributo offerto per la “tenuta di
uno stato sociale” che sempre più segna il passo.
E’ necessario investire nella cura del capitale umano potenziando ricerca e solida
formazione, strade maestre per ridare al paese nuova linfa e competitività. Questo
modello presuppone una qualificazione della presenza sui territori di sistemi integrati
di servizi e interventi sociali e socio-sanitari per evitare l’incapacità di assicurare a
tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di residenza, uguali prestazioni e standard
essenziali nell’attuazione dei diritti sociali.
I risultati di tali investimenti, soprattutto se processi riformatori procedessero insieme
in settori contigui (ammortizzatori sociali, investimenti lavorativi, progetti di
formazione, piano casa, progetti di sostegno a famigli e minori, fondo per la non
autosufficienza, politiche promozionali per anziani) assicurerebbero a molte persone
e alle loro famiglie condizioni di vita più eque e contribuirebbero a quella coesione
sociale sempre più considerata requisito cruciale anche per lo sviluppo economico.
Le ACLI inoltre hanno il dovere di pensare alla famiglia quale essa è nel tempo
presente, con le sue reali difficoltà e potenzialità.
L’intento è quello di assumere la famiglia come fulcro e come perno e quindi
considerarla come il bene comune nel nuovo secolo.
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Occorre declinare la predilezione speciale dell’associazione verso la famiglia,
ponendo attenzione alle sue reali e quotidiane necessità e, nel contempo,
coinvolgendola nella vita sociale, quale soggetto attivo e propositivo.
In questa direzione si pone l’ipotesi di mettere la famiglia al centro della vita di
circoli a questo dedicati.
In tal modo si consente alla famiglia di essere vitale e dinamica, di realizzare
l’incontro tra le generazioni e di riconoscere, nella stessa esperienza di vita, anche
famiglie di altre culture, allargando il cerchio della solidarietà primaria al più vasto
contesto sociale.
Nel nostro DNA associativo è scritto che un’altra felicità è possibile. È quella che
nasce dallo stare insieme agli altri, dal significato e dalla ricchezza della vita
relazionale.
Le stesse pratiche associative- dalla vita dei circoli all’operato dei servizi e delle
imprese- dicono meglio di qualunque discorso che le ACLI propongono e incarnano
nella quotidianità una felicità intesa come bene relazionale.
La propongono nelle loro forme aggregative, nell’impegno sociale e nel radicamento
territoriale, nella proposta educativa e nella responsabilità laicale.
Una felicità che è generativa di relazioni buone anche nell’economia, perché vuole
fare i conti con la sostenibilità e compatibilità dei desideri di tutti e di ciascuno,
perché mette l’accento sulla qualità dei legami più che sulla quantità dei beni. Una
felicità che supera i confini troppo stretti dell’individuo e si richiama alla persona,
nella sua interezza e nella sua giusta aspirazione ad una vita buona.
In un contesto globale che tende a mettersi sempre di più “in rete”, sarà strategico
l’impegno delle ACLI a sviluppare e sperimentare la rete dentro il proprio tessuto
associativo, così diffuso a livello territoriale, come contributo alla propria crescita e a
quella della società civile.
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Da una parte, nel proseguire e portare a compimento il potenziamento e la
semplificazione della “rete ACLI”, guardando all’ottimizzazione del rapporto tra la
dimensione verticale dell’associazione (centro/sedi locali) e quella orizzontale
(associazioni specifiche, servizi, imprese sociali ecc). Dall’altra, compiendo un
investimento di riforma e semplificazione organizzativa e comunicativa che permetta
a tutti di meglio individuare, usufruire e valorizzare, anche verso l’esterno, le risorse
presenti nella “RETE ACLI”: competenze, informazioni, azioni e relazioni.
Inoltre, in una società dove il controllo delle reti e la gestione e la produzione delle
informazioni sarà sempre più uno strumento politico ed economico strategico, potrà
essere compito delle ACLI quello di sviluppare percorsi di formazione, interna ed
esterna, che offrano gli strumenti per interpretare le reti globali e le informazioni
circolanti, nonché quello di sperimentare e proporre azioni e buone pratiche di rete
che ne valorizzino le potenzialità, a servizio della difesa dei diritti dei
lavoratori/cittadini globali e della democrazia. In questo contesto è fondamentale
ripristinare un rapporto con le autorità locali, proporsi come soggetto di cittadinanza
attiva verso le istituzioni, tornare a quel ruolo proponente verso le istituzioni diretto a
rappresentare e valorizzare i bisogni dei singoli.
In questo momento, in questa città più che altrove, abbiamo il dovere di lavorare tutti
insieme rimuovendo gli steccati, le ideologie, le diversità che ci caratterizzano e che
spesso ci dividono, per il raggiungimento di un bene comune che è quello di
ricostruire il nostro comprensorio e di dare un futuro a questa città e alle future
generazioni.
Ognuno di noi nel suo piccolo credo abbia il dovere, ciascuno per il proprio ruolo e
competenze, di attivarsi, di rimboccarsi le maniche e di mettersi a disposizione della
Comunità per garantire la rinascita di questo territorio.
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Chiudo citando una frase di Einstein che ho letto qualche giorno fa e che mi ha
colpito molto e che riporto qui di seguito:
"Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo.
La crisi è la miglior cosa che possa accadere a persone e interi paesi perché è proprio
la crisi a portare il progresso.
La creatività nasce dall‘ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi
che nasce l‘inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se
stesso senza essere superato.
Chi attribuisce le sue sconfitte e i suoi errori alla crisi violenta il proprio talento e
rispetta più i problemi che le soluzioni.
La vera crisi è la crisi dell‘incompetenza.
Lo sbaglio delle persone e dei paesi è la pigrizia nel trovare soluzioni.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine, una lenta agonia.
Senza crisi non ci sono meriti.
E’ nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora perché senza crisi qualsiasi vento
è una carezza.
Parlare di crisi è creare movimento; adagiarsi su di essa vuol dire esaltare il
conformismo.
Invece di questo, lavoriamo duro!
L‘unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla.”
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