Stefano Bottoni

Transcript

Stefano Bottoni
1
Tra stalinismo e nazionalismo
La creazione della Regione autonoma ungherese in Romania (1952)
Stefano Bottoni
Premessa
Il saggio si propone di illustrare i primi risultati emersi dalla mia ricerca di dottorato,
dal titolo “Territorialità e politica etnica in Europa orientale: la Regione autonoma
ungherese in Romania (1952-1960)”, e rappresenta un tentativo di declinare la questione
transilvana, affrontata tradizionalmente dal punto di vista politico-diplomatico, in
termini di storia della mentalità collettiva1.
La trattazione si divide in due parti. Nella prima, dopo aver inquadrato rapidamente il
contesto spazio-temporale delle vicende narrate, si ricostruisce la genesi ideologica e
politica della creazione di una regione autonoma ungherese in Romania tra il 1950 e il
1952, mentre nella seconda si analizzano le sue conseguenze sui rapporti tra
maggioranza romena e minoranza ungherese. La persistente potenza evocativa dei
simboli e delle forme nazionali sotto i regimi comunisti, evidenziati dalla storiografia
recente2, apparve evidente nella reazione dei due gruppi nazionali di fronte alla
campagna propagandistica in occasione dell’approvazione, nel 1952, della nuova
Costituzione nella quale l’Unione Sovietica aveva prescritto la creazione di un’area
ungherese autonoma. L’evocazione del concetto di “autonomia”, pure inserita dal
regime comunista romeno in un contesto ideologico internazionalista, fu in grado di
generare un’ondata di (ri)produzione di etnicità e di competizione nazionale nella
maggioranza romena come nella minoranza ungherese.
1
Sull’importanza della ricostruzione della storia della mentalità collettiva durante gli anni dello
stalinismo in Unione Sovietica nell’Impero esterno dell’Europa orientale dopo il 1948-1949, riflessioni
illuminanti in Sheila Fitzpatrick (a cura di), Stalinism. New directions, London, Routledge, p. 3. Oltre
all’ormai classico Sheila Fitzpatrick, Everyday stalinism.Ordinary life in extraordinary times: Russia in
the’30-s, si veda anche lo studio pionieristico sul secondo dopoguerra di Elena Zubkova, Quando c’era
Stalin. I russi dalla guerra al disgelo, Bologna, Il Mulino, 2003 (ed. or. 1998).
2
Tra i molti contributi segnalo Terry Snyder, The reconstructions of nations: Poland, Ukraine, Lithuania,
Belarus, New Haven, Yale UP, 2002; Peter Ther, Ana Siljak (a cura di), Redrawing nations: ethnic
cleansing in east-central Europe, 1944-1948 , Boston, Rowman and Littlefield, 2001.
2
L’integrazione politica degli ungheresi in Transilvania dopo la seconda guerra
mondiale
La costituzione di una regione autonoma su base etno-nazionale in Transilvania
rappresentò un tentativo unico di gestione del conflitto nazionale nell’Europa orientale
del secondo dopoguerra, eccezion fatta per la Jugoslavia, il cui stesso impianto statale si
reggeva sulla federazione di repubbliche e regioni autonome.
Secondo Andrea Graziosi la rivoluzione sociale portata dal comunismo nella parte
orientale dell’Europa fu infatti anche, e forse innanzitutto, una rivoluzione etnica in
senso omogeneizzatore, in cui lo stabilimento di un nuovo regime politico, il
comunismo “totale” di Stalin, si accompagnò a uno stravolgimento nella composizione
nazionale delle élite tra “popoli signori” e “popoli senza storia”3. Regioni come i Sudeti,
la Slesia, la Galizia, l’Istria persero forzatamente nel secondo dopoguerra il loro
carattere multietnico; scambi di popolazione, espulsioni, pogrom spontanei o gestiti
dalle autorità decimarono (talora fisicamente) le comunità tedesche dell’Europa
orientale, così come quelle polacche in Ucraina, ucraine in Polonia, o italiane in Istria e
Dalmazia4.
Occorre dunque ricercare le cause, o meglio le circostanze, che permisero alla
minoranza ungherese in Transilvania di rappresentare un soggetto politico nella
Romania dell’immediato dopoguerra e di integrarsi nelle strutture di potere comuniste.
La prima spiegazione è di ordine socio-demografico: in Transilvania non ebbero luogo,
negli anni 1940-1946, sommovimenti etnici di portata pari a quella di altre aree
multinazionali. Se infatti la Shoah ridusse a meno di un terzo la comunità ebraica
transilvana, forte di quasi 200.000 membri, così come la violenta deportazione dal
Banato romeno in Unione Sovietica nel 1944-1945 coinvolse oltre 100.000 dei circa
500.000 tedeschi, la comunità ungherese conservò – complice anche il passaggio della
Transilvania settentrionale all’Ungheria nel 19405 – una sostanziale integrità anche
3
Andrea Graziosi, Guerra e rivoluzione in Europa 1905-1956, Bologna, Il Mulino, 2001.
Un’ottima analisi delle dinamiche, delle conseguenze sociali e della memoria storica dell’esodo degli
italiani dall’Istria e dalla Dalmazia nel saggio di Gloria Nemec in Marina Cattaruzza (a cura di),
Nazionalismi di frontiera. Identità contrapposte sull’Adriatico nord-orientale 1850-1950, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 203-223. Per un quadro generale sulle espulsioni dei tedeschi e degli
italiani dopo la seconda guerra mondiale, cfr. i saggi di Detlef Brandes, Bernd Faulenbach, Raoul Pupo,
Marina Cattaruzza, Antonio Sema in Marina Cattaruzza, Marco Dogo, Raoul Pupo (a cura di), Esodi.
Trasferimenti forzati di popolazione nel ‘900 europeo, Napoli, Esi, 2000.
5
Sugli anni dell’amministrazione ungherese in Transilvania settentrionale e sul cambio di regime seguito
all’ottobre 1944 con l’occupazione militare sovietica, mi permetto di rimandare al mio saggio “La
4
3
dopo la riannessione della Transilvania alla Romania, nel 1945-1947, e rimase l’ultima
grande minoranza nazionale centro ed est-europea. Il censimento del 1948 avrebbe
conteggiato in Romania 1.500.000 ungheresi, appena 52.000 in meno rispetto al
precedente censimento romeno del 1930. Nel secondo dopoguerra gli ungheresi
costituivano il 9 per cento della popolazione romena e il 25 per cento di quella
transilvana; nelle quattro province della Transilvania orientale costituenti il Székelyföld
(Terra dei Secleri) essi costituivano invece i tre quarti della popolazione6. Secondo i
criteri fissati dalla dottrina nazionale staliniana (gruppi etnici abitanti compattamente un
dato territorio), gli ungheresi avevano diritto all’autonomia territoriale nel Székelyföld e
ne avrebbero rappresentato la “nazionalità titolare”.
Il secondo motivo alla base della concessione dell’autonomia fu la disponibilità
mostrata da una parte consistente degli ungheresi di Transilvania, per la prima volta dal
1918, a partecipare attivamente alla vita politica romena sotto le insegne del Partito
comunista, che offriva agli ungheresi, come a tutti i gruppi minoritari, una strategia di
integrazione selettiva (rivolta cioè ad alcune categorie sociali), ma al tempo stesso
universale in quanto sovranazionale, ovvero la garanzia di una piena eguaglianza
giuridica e sociale7. La stessa composizione sociale della popolazione ungherese
favoriva l’accoglimento del discorso comunista, o almeno di parti di esso: nei centri
urbani della Transilvania, dove costituivano ben il 40 per cento della popolazione, gli
ungheresi (insieme agli ebrei di lingua e cultura ungherese) avevano costituito tra le due
guerre il nerbo dei partiti socialdemocratico e comunista8.
Dei 703.000 membri del Partito comunista registrati nel luglio 1947, gli ungheresi
erano quasi 80.000 (il 12,32 per cento), con una sovra-rappresentazione di circa il 3,5
per cento rispetto alla percentuale della popolazione magiara9. In seguito all’ondata di
espulsioni seguita alla “verifica” del 1948-1950 la loro percentuale rimase stabile (11,34
minoranza ungherese in Romania dall’autunno 1944 al marzo 1945” in Annale del Dipartimento di
discipline storiche 1999-2000, Bologna, Clueb, 2002, pp. 233-249.
6
I dati del censimento del gennaio 1948, registrati secondo il criterio della lingua madre, sono riportati in
László Sebők, The Hungarians in East Central Europe: a demographic profile, “Nationalities papers”,
1996, n. 3, pp. 551-562.
7
In proposito rimando al mio Politiche nazionali e conflitto etnico. Le minoranze ungheresi nell’Europa
orientale 1944-1950, “Contemporanea”, 2002, n.1, pp. 85-115 e in particolare 103-112. Sull’evoluzione
della politica sovietica nella questione transilvana cfr. Tatiana V. Volokitina, Tofik. M. Islamov (a cura
di), Transilvanksij vopros. Vengero-Ruminskij territorial’nyi spor i SSSR, 1940-1946, Moskva, Rosspen,
2000.
8
Secondo dati archivistici del Comintern relativi al 1933, il 26,4% dei 1.665 membri del Partito
comunista clandestino registrati in Romania era ungherese e il 18 per cento ebreo. Vedi Ioan Chiper,
Considerations on the numerical evolution and the ethnic composition of the Romanian Communist Party
1921-1952, “Arhivele Totalitarismului”, 2002, n. 1-2, pp. 12-13.
9
I. Chiper, Considerations on the numerical evolution and the ethnic composition of the Romanian
Communist Party 1921-1952, cit., p. 19.
4
per cento dei membri di partito nell’aprile 1950)10. Gli ungheresi godevano inoltre del
privilegio di anzianità di militanza nel partito: a differenza dei romeni – iscrittisi in
massa a partire dalla seconda metà del 1945 – molti vi erano entrati ancora prima della
formazione del governo filocomunista guidato da Petru Groza (6 marzo 1945). La
preponderanza degli ungheresi e soprattutto degli ebrei di madrelingua ungherese
nell’apparato del partito e tra i simpatizzanti del regime sino alla metà degli anni
cinquanta ha, come ho cercato di illustrare, radici socio-politiche e morali11 che
travalicano il riduzionismo dell’attuale mainstream storiografico romeno, che tenta di
costruire una memoria “nazionale” fondata sulla dicotomia morale fra il terrore
stalinista degli anni cinquanta (e i suoi responsabili, gruppi minoritari alieni alla
nazione) e la società romena, incolpevole testimone della “distruzione della nazione”12.
Nella genesi della Regione autonoma ungherese (Rau) ricoprì un’importanza cruciale la
presenza nella minoranza ungherese (in particolare nel ceto intellettuale) di un
retroterra ideologico progressista, oltre che di un diffuso sentimento di gratitudine nei
confronti nell’Unione Sovietica considerata – in contrapposizione allo stato romeno –
un baluardo dei diritti minoritari. La Regione autonoma ungherese creata nel 1952
avrebbe avuto a disposizione un apparato di partito locale di nazionalità ungherese, ma
leale allo stato romeno e perfettamente allineato con la politica stalinista dettata alle
periferie da Mosca e Bucarest.
Il decisivo ruolo sovietico nella genesi della regione autonoma
Da chi e in base a quali considerazioni fu decisa la creazione di un’area amministrativa
autonoma per la più numerosa minoranza nazionale residente in Romania? Sebbene la
10
1950. România- din viaţa politică. Documente, Bucureşti, Arhivele Naţionale ale României, 2002, pp.
368-369.
11
I motivi ideali dell’adesione al comunismo degli ebrei di lingua romena o ungherese, scampati
all’Olocausto e alle persecuzioni attuate in Romania durante la dittatura di Antonescu, sono stati
efficacemente descritti dal matematico Egon Balas in Will to freedom. A perilous journey through
Fascism and Communism, Syracuse, Syracuse Up, 2000. Una tesi analoga nell’ottimo studio di Robert
Levy, Gloria şi decăderea Anei Pauker, Iaşi, Polirom, 2002, p. 200.
12
Tipici esempi del “canone” sono i saggi pubblicati negli anni novanta da prestigiosi storici come
Gheorghe Buzatu, Florin Costantiniu, Ioan Chiper, le riviste Magazin Istoric e Dosarele Istoriei, e i
volumi (sinora otto) apparsi nella collana Analele Sighet. Un approccio più problematico, seppur legato
alla tesi del comunismo romeno come puro sistema repressivo di carattere terroristico, in Dennis Deletant,
Communist terror in Romania. Gheorghiu-Dej and the police-state 1948-1965, London, Hurst&Co.,
1998. L’analisi critica più esaustiva e convincente del canone in Alexandra Laignel-Lavastine, Fascismo
e comunismo in Romania: posta in gioco e uso di una comparazione, in Henry Rousso (a cura di),
Stalinismo e nazismo. Storia e memoria comparate, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, pp. 211-217.
5
documentazione emersa dagli archivi russi e romeni non sia ancora in grado di chiarire
ogni dettaglio, i contorni si vanno delineando: la Rau – inserita in una costituzione
modellata su quella sovietica del 1936 – fu “suggerita”, presumibilmente imposta al
riluttante Gheorghiu-Dej dal Comitato centrale del Partito comunista sovietico e,
sembrerebbe, da Molotov e Stalin in persona. Neppure le motivazioni risultano ancora
chiare: diversi indizi sembrano tuttavia indicare una persistente insoddisfazione
sovietica per la gestione della questione nazionale ungherese in Transilvania. Questo
nonostante che in campo educativo e culturale le minoranze nazionali, in primis quella
ungherese, avessero ottenuto numerosi “privilegi” nei primi anni del regime comunista,
tanto che nel dicembre 1948 una risoluzione approvata dal Comitato centrale del
Partito comunista romeno13 poteva dichiarare risolta la questione nazionale nello
“spirito leninista”. Come ho accennato in precedenza, la politica sovietica delle
nazionalità non si era tuttavia limitata a forme di promozione culturale, ma aveva mirato
alla creazione, a livello locale, di autentiche élite nazionali. Ciò era avvenuto mediante
la territorializzazione della questione nazionale, ovvero attraverso la creazione di
repubbliche, regioni o distretti autonomi, nei quali alle “nazionalità titolari” veniva
concesso di avviare la costruzione di una propria identità etno-nazionale tramite una
sistematica promozione della lingua, della cultura, del folklore locale14.
La leadership stalinista romena era conscia del fatto che in Romania, dove a differenza
dell’Unione Sovietica degli anni venti la minoranza ungherese disponeva di una
coscienza nazionale moderna, il termine “autonomia” conservava anche negli anni
cinquanta – come in un tipico caso di nazionalismo giunto alla fase C dello schema di
Hroch15 – un potente valore simbolico ed evocativo nella maggioranza romena così
come nella minoranza ungherese. Nel contesto transilvano “autonomia” rappresentava
una parola stregata, designata ad anticipare o a mascherare, nel desiderio di gran parte
degli ungheresi e nell’atavico timore dei romeni, il ritorno della Transilvania (o di parte
di essa) all’Ungheria. Per l’élite romena educata tra le due guerre “autonomia”
significava una concreta minaccia all’integrità territoriale ottenuta dalla Romania nel
1918 e già una volta perduta nel 1940 con il secondo arbitrato di Vienna e la cessione
13
Dal 1948 al 1965 la denominazione ufficiale del partito-stato fu Partidul Muncitoresc Român
(Pmr).
14
Terry Martin ha coniato l’espressione “Affirmative Action Empire” riguardo alla gestione sovietica
della questione nazionale, teorizzata e applicata da Lenin e Stalin negli anni venti. Vedi T. Martin, The
affirmative action empire. Nations and nationalism in the Soviet Union, 1923-1939, Itacha&London,
Cornell Up, 2001.
15
Miroslav Hroch, Social Preconditions of National Revival in Europe. A Comparative Analysis of the
Social Composition of Patriotic Groups Among the Smaller European Nations. Cambridge, Cambridge
Up, 1985.
6
all’Ungheria della Transilvania settentrionale, ivi inclusi i distretti secleri della futura
Regione autonoma. Quanto detto acquista particolare rilevanza se analizziamo nel
dettaglio le varie fasi della genesi della Rau.
L’insoddisfacente riforma amministrativa del 1950
Il 6 settembre 1950 una radicale riforma amministrativo-territoriale elaborata dal
Comitato centrale del Pmr stravolse i confini interni del paese16. La riforma sostituiva il
sistema a due livelli (comuni – province) ereditato dal periodo interbellico con una
ripartizione territoriale interna modellata su quella sovietica17. Il territorio della
Romania venne così suddiviso in 28 regioni (di cui 11 in Transilvania) e 117 distretti.
Nella delimitazione delle nuove entità amministrative, così come nella scelta dei nuovi
capoluoghi regionali, il ruolo dominante spettò ai criteri economici. Molti dei nuovi
capoluoghi regionali o distrettuali sarebbero divenuti i grandi centri industriali del
paese. Ai fini del nostro ragionamento è tuttavia interessante menzionare anche quei
fattori meno “razionali”, di natura storico-politico-morale, che giocarono un ruolo nella
delimitazione degli spazi interni del paese. Nei pieghevoli propagandistici diffusi nel
corso del 1950 riecheggiava il tono della sessione del Comitato centrale del 15-17
maggio dedicata ai vari aspetti della riforma amministrativa. Per giustificare il
“declassamento” di centri urbani dal chiaro passato storico-culturale, quali Sibiu,
Sighişoara (entrambe città sassoni) o Blaj (sede arcivescovile della chiesa grecocattolica romena, soppressa e perseguitata dal 1948), veniva menzionato il loro carattere
“borghese” e “reazionario”, contrapposto per esempio al carattere operaio dei centri
minerari della Valle dello Jiu18. I distretti e le regioni di ispirazione sovietica, nella
peculiare fase “antinazionale”19 e, aggiungerei, ultramodernista che caratterizzò
l’arsenale ideologico e retorico dei comunisti romeni nei primi anni cinquanta,
16
Cristina Păiuşan, Dorin Ion, Mihai Retegan (a cura di), Regimul comunist din România. O cronologie
politică (1945-1989), Bucureşti, Tritonic, 2002, p. 70.
17
Dai documenti consultati risulta che da Mosca erano stati inviati in Romania, già tradotti dal russo, i
materiali utilizzati in Unione Sovietica per le riforme amministrativo-territoriali. Arhivele Naţionale
Istorice Centrale (Anic), Fond Comitetul Central al Pcr (Cc al Pcr), Cancelarie, dosar 32/1950 e 81/1950.
18
Vedi per esempio la brossura, stampata anche in lingua ungherese, A Román Népköztarsaság
területének raionálásáról. 8 kérdés – 8 felelet, Kiadja a Román Munkáspárt, Bukarest, 1950, pp. 3-4.
Argomentazioni analoghe troviamo in un rapporto sui principi-guida della riorganizzazione del territorio
della Repubblica popolare romena (Rpr) sottoposto al Plenum del Comitato centrale del 15-17 maggio
1950. Anic, Fond Cc al Pcr, Cancelarie, dos. 72/1950, p. 2.
19
L’espressione è contenuta in un saggio dell’eminente storico romeno Lucian Boia, Istorie şi mit în
conştinţă românească, Bucureşti, Humanitas, 1997, pp. 71-75.
7
assumevano il ruolo salvifico di “motori dello sviluppo socialista-operaio” (Vasile
Luca20), mentre occorreva “liquidare [sic] le province” (Constantin Pârvulescu21),
simbolo e residuo di un passato di oppressione e arretratezza feudale da cancellare. La
riforma amministrativa provocò (così come avvenne nel 1968 durante i primi anni di
governo di Nicolae Ceauşescu) un drastico ricambio nei quadri amministrativi locali.
Come emerge dai dati relativi alla regione Mureş (ma il giudizio può estendersi a tutto il
paese), l’intero apparato, compresi i vertici dei comitati locali di pianificazione, fu
epurato nell’estate 1950, generando instabilità e caos nell’amministrazione.
In seguito alla riforma, anche la ripartizione territoriale del Székelyföld subì un
mutamento radicale. Con una decisione le cui motivazioni restano per ora ignote, le
quattro ex province seclere vennero divise in due regioni: Stalin (con capoluogo Braşov,
storica cittá sassone ribattezzata Oraşul Stalin nello stesso 1950) e Mureş, regione a cui
capoluogo venne eletta la città di Târgu-Mureş (Marosvásárhely in lingua ungherese),
che nel censimento del 1948 contava 47.000 abitanti, 35.000 dei quali ungheresi, 11.000
romeni e circa 1.000 ebrei22. Nel complesso la regione Mureş risultò, nonostante
l’incorporazione dei distretti prevalentemente romeni di Târnăveni e Luduş, a lieve
maggioranza ungherese (52 per cento). Sulla regione Stalin non vi sono dati statistici
precisi: si può solo stabilire che quattro dei suoi sei distretti erano a netta maggioranza
ungherese, mentre il capoluogo era un centro storicamente sassone (con una presenza
ungherese del 20-30 per cento) ma a maggioranza assoluta romena dal 194023. Per
quanto riguarda la composizione dei vertici regionali, si sa con certezza che il primo
segretario, nominato nel 1950, era l’ungherese Lajos Csupor, originario della città di
Târgu-Mureş, militante del Partito comunista clandestino sin dagli anni trenta e
destinato a ritornare nella città natale come primo segretario della Rau nell’estate 1952.
Sull’apparato della regione Mureş disponiamo di informazioni statistiche più
dettagliate. Dei 100 funzionari in forza all’apparato regionale del partito nell’ottobre
1950, 63 erano di nazionalità ungherese, 28 romena e 6 ebraica. Il primo segretario
regionale era ungherese (Mihály Nagy, sostituito da un romeno, Nicolae Bota nell’estate
1951 per “eccessi di zelo” commessi durante la prima campagna per la
collettivizzazione agricola, nel corso del 1950), mentre i tre segretari erano di
20
Anic, Fond Cc al Pcr, Cancelarie, dos. 32/1950, p. 56.
Anic, Fond Cc al Pcr, Cancelarie, dos. 32/1950, p. 55.
22
Árpad E. Varga, Erdély etnikai és felekezeti statisztikája I. Kovászna, Hargita és Maros megye
népszámlálási adatok 1850-1992 között, TLA-Proprint, Budapest-Miercurea Ciuc, 1998, p. 302.
23
In seguito al secondo arbitrato di Vienna del 30 agosto 1940, la città di Braşov era rimasta parte della
Romania, mentre le province seclere situate a nord di essa erano state attribuite all’Ungheria. Molti coloni
(o nativi) romeni del Székelyföld si rifugiarono a Braşov in seguito alla divisione della regione.
21
8
nazionalità romena. Gli otto membri dell’Ufficio politico regionale erano equamente
divisi tra i due gruppi nazionali24. Sebbene dunque ungheresi ed ebrei fossero sovrarappresentati negli organi esecutivi locali (in particolare nel settore economicofinanziario, dove 21 dei 25 funzionari erano di nazionalità ungherese), da parte del
centro vi era uno sforzo di equilibrare la composizione dei vertici regionali, in
particolare l’Ufficio politico.
Non ci sono note le reazioni locali alla suddivisione delle 4 province storicamente
seclere tra le regioni Mureş e Stalin. Se anche vi fu un mormorio di disapprovazione,
esso non fu tale da suscitare l’attenzione della polizia politica, impegnata negli anni
1950-1952 nella durissima repressione delle campagne in rivolta contro la
collettivizzazione25. Neppure le organizzazioni locali o distrettuali delle zone più
svantaggiate dalla riorganizzazione amministrativa (come quella della ex provincia di
Ciuc, passata sotto la giurisdizione della regione Stalin distante oltre 100 chilometri.)
ebbero il coraggio di opporsi alle deliberazioni del Comitato centrale, preventivamente
santificate da Mosca. Sul ruolo giocato dall’Urss nell’elaborazione della riforma, così
come in qualunque altro aspetto della vita politica romena degli anni cinquanta, non
sussistono ormai più dubbi. Proprio Mosca, tuttavia, sembrò mostrare già nel corso del
1951 una certa inquietudine per l’applicazione della riforma amministrativa, inclusa la
situazione della minoranza ungherese nello Székelyföld. Rivelatrice in questo senso è
una conversazione svoltasi il 14 maggio 1951 tra il consigliere dell’ambasciata sovietica
a Bucarest, Spandarian, e il ministro degli Interni romeno, Teohari Georgescu26.
Spandarian, dopo aver menzionato l’arrivo di due esperti sovietici incaricati di
controllare il lavoro dei consigli popolari e il processo di “raionizzazione” (dal russo
rajon: la delimitazione dei nuovi distretti), riferiva a Mosca che, secondo lo stesso
Georgescu, il periodo successivo all’instaurazione dei consigli popolari locali (19491950) era stato segnato da un completo cortocircuito tra centro e periferia, nel quale
quest’ultima (ovvero i “consigli popolari”) veniva bombardata da migliaia di decreti e
circolari da Bucarest, spesso in contraddizione fra loro e non contenenti ordini precisi.
Spandarian riferì che nel Comitato centrale si era giunti a discutere se inviare da
24
Arhivele Naţionale Directia Judeţeană Mureş (Andjm), Fond 1134 (Comitetul Regional al Pcr Mureş
1950-1968), dosar 4/1950, pp. 1-2.
25
Sulla prima “ondata” della collettivizzazione agricola in Romania nel periodo 1949-1952 cfr. Oktavian
Roske (a cura di), Colectivizarea agriculturii in România 1949-1953: dimensiunea politică, Bucureşti,
Institutul Naţional pentru Studiul Totalitarismului (INST), 2000; Oktavian Roske-Dan Cătănuş (a cura
di), Colectivizarea agriculturii in România 1949-1953: dimensiunea represivă, Bucureşti, INST, 2004.
26
Tofik. M. Islamov, Tatiana. V. Volokitina (a cura di), Vostochnaya Evropa v dokumentakh rossiiskikh
arkhivov 1944-1953, Vol. II, 1949-1953, Moskva-Novosibirsk, Sibirskii Khronograf, 1998, pp. 530-532
(doc. 185). Quanto riportato in questa pagina è tratto dal documento testé citato.
9
Bucarest ai consigli popolari l’ordine del giorno delle sedute già compilato o
“permettere” che esso venisse allestito autonomamente dai presidenti locali.
I due esperti inviati da Mosca chiesero poi a Georgescu se nella delimitazione dei
confini delle regioni si era tenuto conto delle minoranze nazionali. Si può supporre che
il quesito cogliesse impreparato il ministro, che rispose in modo contraddittorio e
inesatto:
Abbiamo considerato la questione. Ad esempio abbiamo creato le regioni Mureş e Stalin con l’intento di
radunarvi il maggior numero possibile di ungheresi. Ma in realtà questo è un affare molto complesso,
perché le minoranze non vivono in un blocco compatto, ma disperse e mescolate alla maggioranza
romena. Questo rende molto difficile la creazione di regioni autonome. Abbiamo preso in esame la
possibilità di creare regioni autonome, ma non sono ancora stati compiuti passi concreti al riguardo27.
La redazione della nuova Costituzione (1950-1952)
Negli stessi mesi in cui veniva condotta la riforma amministrativa, il Comitato centrale
iniziò a occuparsi, nella più assoluta segretezza e consultandosi esclusivamente con il
Cremlino, della necessità di “aggiornare” il testo della Costituzione del 1948 alla realtà
dei progressi raggiunti nella costruzione di uno stato socialista (per esempio, la
nazionalizzazione delle imprese e l’avvio della collettivizzazione agricola nel 1949).
È inoltre interessante notare che – così come nel caso della riforma amministrativa –
dai discorsi pronunciati nella seduta della Segreteria tenutasi il 28 giugno 1950, in
particolare da Gheorghiu-Dej e Miron Costantinescu, trasparisse l’ansia di gettarsi alle
spalle ogni aspetto retrogrado, non “socialista” del passato recente. La vecchia
Costituzione, spiegò Gheorghiu-Dej, era stata elaborata in collaborazione con la
borghesia rappresentata dal partito liberale non ancora debellato e fotografava una
“democrazia popolare”, non una “dittatura del proletariato”. La nuova Costituzione, che
avrebbe dovuto entrare in vigore nel 1951, si sarebbe modellata su quella stalinista, pur
se appariva chiaro, secondo Costantinescu, che la Romania del 1951 non si sarebbe
collocata allo stesso stadio di sviluppo socialista dell’Urss del 193628.
Al termine della discussione venne approvata la nomina di una commissione interna
all’Ufficio politico, al cui lavoro non sarebbe stata data – venne deciso – la minima
pubblicità. La commissione avrebbe preparato un abbozzo di Costituzione da sottoporre
27
28
Vostochnaja Evropa, cit., p. 531. Il corsivo è mio.
Anic, Fond Cc al Pcr, Cancelarie, dos. 48/1950, pp. 3-9.
10
poi al Consiglio dei ministri, la cui approvazione era formalmente necessaria per ogni
legge dello Stato. Nessun accenno fu fatto alla soluzione della questione nazionale.
Il progetto originario, probabilmente in seguito alle gravi resistenze (sfociate talora in
autentiche jacquéries contadine) incontrate nella campagna per la consegna degli
ammassi, subì tuttavia un consistente ritardo. Soltanto nell’estate del 1951, ovvero un
anno dopo la seduta della Segreteria menzionata, il segretario Gheorghiu-Dej si rivolse
formalmente a Stalin (via telegramma) per richiedere l’aiuto sovietico nella redazione di
una nuova Costituzione29. Il 4 agosto 1951 Stalin comunicò a Gheorghiu-Dej la sua
risposta positiva alla richiesta proveniente da Bucarest, consigliandogli tuttavia di
sottoporre al giudizio degli esperti sovietici un progetto già elaborato dalla commissione
nominata dal Comitato centrale del Pmr30. Conformemente alle istruzioni ricevute, tra
l’agosto e il settembre 1951 venne costituita la commissione interna al Comitato
centrale incaricata di redigere la nuova Costituzione. Gli interrogativi relativi alla
travagliata redazione della nuova Costituzione derivano dalla scarsità di informazioni di
cui disponiamo sui sette mesi che intercorrono tra il 10 ottobre 1951, data in cui la
Segreteria del partito si riunì per discutere la “preparazione del materiale necessario
all’attività della commissione incaricata di elaborare la nuova costituzione”31, e il 14
maggio 1952, data in cui Gheorghiu-Dej inviò a Stalin il progetto “definitivo”. Quella
che segue è dunque una ricostruzione ipotetica, sulla base dei documenti già noti relativi
ai mesi di giugno e luglio 1952.
Sappiamo con certezza che il 22 novembre 1951 la commissione si riunì per discutere il
progetto32 e che, verso la fine dello stesso anno (ma non sappiamo ancora se prima di
tale seduta o in seguito a essa), apparve un documento dal titolo Progetto di nuova
Costituzione33. Nei mesi che seguirono, segnati da una gravissima crisi economica
legata al surplus di denaro circolante e agli altissimi tassi d’investimento nell’industria
pesante, crisi che costrinse i vertici a una drastica riforma monetaria nel gennaio 1952,
si perde ogni traccia del progetto. Il 25 marzo 1952, all’inizio della campagna
“antifrazionista” contro Vasile Luca, Ana Pauker e Teohari Georgescu – che avrebbe
portato al loro arresto nei mesi successivi – il tema della costituzione riapparve in una
29
Della richiesta di Gheorghiu-Dej non vi è traccia nel fondo “Comitato centrale del PCR” da me
consultato presso gli Archivi nazionali romeni. L’informazione è riportata in nota nel documento n. 208
del volume Vostochnaya Evropa, cit., p. 582.
30
Vostochnaya Evropa, cit., p. 582.
31
Anic, Fond Cc al Pcr, Cancelarie, dos. 41/1951. Procesul-verbal şi stenograma şedinţei Secretariatului
Comitetului Central.
32
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 53/1951.
33
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 88/1951. Proiectul Constituţiei Rpr (senza data).
11
seduta dell’Ufficio politico del Comitato centrale in una formulazione apparentemente
bizzarra: Linee-guida per la redazione del progetto di nuova Costituzione34. Quasi
sicuramente il progetto, già pronto alla fine del 1951, era stato bloccato da Mosca e si
era resa necessaria qualche sostanziale “correzione” nella preparazione della
Costituzione. Nei primi mesi del 195235 fu anche costituita una nuova commissione per
la redazione del progetto di nuova Costituzione36.
Come ho già ricordato, il 14 maggio 1952 Gheorghiu-Dej inviò a Stalin, con ogni
probabilità, il secondo progetto elaborato dalla nuova commissione interna al Comitato
centrale romeno. Le prime “osservazioni” furono effettuate dal viceministro degli Esteri
Vishinskij37 , il quale le trasmise il 25 maggio al Comitato centrale, nella persona di
Grigorian38. Questi, dopo aver formulato a sua volta osservazioni circa il progetto,
trasmise il testo a Molotov, il quale sottopose a Stalin, il 25 giugno, gli emendamenti
contenuti in un Progetto di risposta da inviare a Bucarest. Secondo gli storici russi che
hanno curato i volumi documentari citati, Stalin non approvò il documento presentatogli
da Molotov, ma lo integrò e corresse di proprio pugno, prima di rimandarlo a Molotov
nella forma definitiva in cui, il 6 luglio 1952, il Comitato centrale del Pc(b)us lo
trasmise alla direzione comunista di Bucarest.
Occorre notare che le osservazioni vergate personalmente da di Stalin in merito alla
Costituzione romena avevano un precedente significativo: pochi mesi prima, alla fine
del 1951, il dittatore sovietico si era cimentato con la “redazione” della Costituzione
polacca, da lui emendata con apporti di elevato valore simbolico, quale per esempio
l’uso reiterato del termine “nazionale” (“cultura nazionale polacca”, “rinascita
nazionale polacca”)39.
34
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 25/1952.
Il documento è senza data, ma risale senz’altro al primo trimestre 1952, in quanto tra i candidati
figurano Vasile Luca e Ana Pauker.
36
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 141/1952, p. 1. Il presidente della commissione era ovviamente GheorghiuDej.
37
Le osservazioni di Vishinskij sono riportate nella collezione documentaria Sovietskij faktor v
Vostochnoy Evrope 1944-1953 T.2. Dokumenty, Mosca, Rosspen, 2002, doc. 243.
38
Grigorian era il responsabile della commissione interna al Comitato centrale del Pc(b)us incaricata dei
rapporti con gli altri partiti comunisti. Le informazioni qui riportate sul decision-making sovietico sono
contenute in nota (p. 771) nel documento n. 277 (Nota di accompagnamento di Molotov per Stalin e sue
osservazioni in merito al Progetto di costituzione della RPR, 6 luglio 1952) di Vostochaya Evropa, cit.,
pp. 769-771. Il progetto di Costituzione romeno fu visionato, oltre che da Vishinskij, Molotov e Stalin,
anche da Malenkov, Berja, Bulganin, Mikoyan, Kaganovic e Krusciov.
39
Krzysztof Persak, Stalin as editor: the soviet dictator’s secret changes to the Polish constitution of
1952, Cold War International History Project, Washington Dc., 1998, Bullettin n. 11, pp. 149-154. La
Costituzione venne approvata dal Sejm (il parlamento polacco) il 22 luglio 1952, accogliendo tutti i
cambiamenti sostanziali “proposti” da Stalin.
35
12
Sulla base delle informazioni di cui disponiamo, dobbiamo ora tentare un raffronto, per
ciò che concerne il trattamento della questione ungherese, fra i progetti romeni e le
“osservazioni” formulate da Mosca. In base ai documenti sinora visionati, è possibile
ipotizzare che nei mesi di maggio e giugno si sia svolta intorno alla creazione di una
regione autonoma ungherese una silenziosa battaglia tra i due comitati centrali.
Il 12 giugno – mentre a Mosca era già in corso l’esame del progetto di Costituzione – si
tenne a Bucarest una seduta dell’Ufficio politico del Comitato centrale tra i cui temi
all’ordine del giorno figurava l’“introduzione di alcune modifiche nella raionizzazione
amministrativo-territoriale della Repubblica popolare romena”40. Secondo il rapporto
(referat) presentato in “prima istanza”41 dalla commissione guidata da Sándor
Mogyorós42 (Alexandru Moghioroş), divenuto l’uomo forte di nazionalità ungherese
nell’Ufficio politico in seguito alla caduta di Luca, il numero delle regioni sarebbe sceso
da 28 a 20, mediante accorpamenti effettuati tra le entità amministrative più piccole ed
economicamente meno “vitali”. Tra le nuove entità previste figurava ancora una regione
Târgu-Mureş, composta dagli stessi sei distretti43 da cui era formata la regione Mureş
creata nel 1950. Non vi era, dunque, ancora nel mese di giugno, il benché minimo
accenno da parte romena alla formazione di una regione autonoma ungherese.
Alcuni giorni più tardi – ma non oltre il 1° luglio, data in cui secondo il verbale della
seduta dell’Ufficio politico la commissione avrebbe concluso i lavori – la stessa
commissione redasse un altro rapporto intitolato Seconda tappa (Etapa II-a). Rapporto
sulle rettifiche alla raionizzazione amministrativo-territoriale della Rpr44. In esso si
legge:
“I principi e le direttive del partito e del governo [relative alla formazione di distretti e regioni] non sono
stati integralmente rispettati, poiché un gran numero di regioni non sono sufficientemente forti per
adempiere in modo soddisfacente al ruolo e ai compiti loro attribuiti dal Cc del Pmr. D’altra parte, il
testo del progetto di nuova costituzione prevede la creazione di una Regione Autonoma Ungherese
comprendente il territorio abitato dalla popolazione compatta ungherese-seclera45 … La Rau otterrà dalla
regione Stalin i distretti di Ciuc, Târgu-Secuiesc, Sfântu-Gheorghe, Odorhei e la parte orientale del
distretto di Racoş. Dall’attuale regione Mureş il distretto di Luduş e alcuni comuni della parte occidentale
40
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 49/1952, p. 3.
Nell’originale romeno “Etapa I-a”. Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 49/1952, p. 71.
42
Mogyorós, membro del Comitato centrale dal 1945 e dell’Ufficio politico dal 1948, fu il responsabile
dei problemi organizzativi del Pmr lungo tutti gli anni cinquanta come supervisore della sezione Quadri
del Comitato centrale. R. Levy, Gloria, cit., p. 207. A partire dal 1952, Mogyorós fu anche il braccio
destro di Gheorghiu-Dej nella gestione della “questione ungherese” nella Ram.
43
Oltre al capoluogo di regione, che costituiva dal 1950 un distretto autonomo, Gheorgheni, Luduş,
Reghin, Sângeorgiu de Pădure, Târnăveni e Târgu Mureş (ovvero la zona rurale circostante l’omonima
città). Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 49/1952, p. 82.
44
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 49/1952, pp. 84-105.
45
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 49/1952 p. 84.
41
13
dei distretti di Reghin e Târgu-Mureş passeranno alla regione Cluj46. … Questa regione avrà una
popolazione totale di circa 656.000 abitanti, dei quali 526.000 ungheresi e 123.000 romeni. La superficie
della regione sarà di 1.419.000 ettari [14.190 kmq], dei quali 294.000 ettari arabili”47.
Dietro le quinte venne dunque giocata una partita politica tra i due regimi: la gerarchia
sovietica, Molotov e Stalin in testa, non si limitò a “limare” il testo, ma vi introdusse
modifiche sostanziali. L’articolo 19 fu infatti così fissato da Molotov e Stalin:
La Regione Autonoma Ungherese è formata dal territorio abitato compattamente dalla popolazione
ungherese e seclera, e dispone di una conduzione amministrativa autonoma, eletta dalla popolazione della
Rau48.
Purtroppo il documento, che rivestirebbe un’importanza cruciale per stabilire in che
misura e dove il testo fu modificato dai sovietici, ovvero il progetto originario inviato a
Mosca da Gheorghiu-Dej nel maggio 1952, non è stato inserito nel fondo del Comitato
centrale del Pmr accessibile agli studiosi. Non è dunque ancora possibile affermare con
certezza se furono Vishinskij, Grigorian o Molotov a introdurre la Regione autonoma
ungherese nell’ordinamento amministrativo romeno. La discussione emersa a Bucarest
nella seduta del 10 luglio 1952 dell’Ufficio politico del Comitato centrale costituì, in
ogni caso, la dimostrazione di come la creazione della Regione autonoma ungherese
non rientrasse affatto nei piani del primo segretario Gheorghe Gheorghiu-Dej.
“Non ci spingiamo troppo avanti”: il monito di Gheorghiu-Dej
Il 10 luglio 1952, dopo aver ricevuto da Mosca le “correzioni” apportate al progetto di
Costituzione redatto a maggio, Gheorghiu-Dej convocò l’Ufficio politico del Comitato
centrale per discutere il testo emendato. Lo stenogramma della seduta, nel passo
concernente le funzioni e lo status della futura Regione autonoma ungherese,
rappresenta un plastico esempio di “resistenza passiva” all’imposizione sovietica da
parte di Gheorghiu-Dej, il quale, dopo aver distrutto ogni opposizione interna al partito,
iniziava a emergere come uno scaltro politico balcanico negli anni dello stalinismo
esportato in Europa orientale:
Emil Bodnăraş49 :
46
Anic, Fond Cc al Pcr, p. 85.
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 49/1952, p. 93.
48
Vostochnaya Evropa, cit., p. 771.
47
14
In seguito alla creazione della Regione Autonoma Ungherese credo che sia necessario prevedere l’uso
della lingua parlata in quei luoghi nei procedimenti giudiziari. I giudici e i giurati popolari sono eletti. Se
si elegge qualcuno che non parla il romeno, come si svolge il processo ?
Miron Costantinescu50 :
La costituzione sovietica prevede che in ogni regione autonoma i procedimenti giudiziari si svolgano
nella lingua materna dell’imputato. Da un punto di vista politico abbiamo solo da guadagnarci. Leggendo
poi la costituzione dell’Azerbaidzsan vediamo che qui si afferma che nei distretti [rajon] dove la
maggioranza della popolazione è russa o armena (lettura del testo51); poiché ho preso spunto da qui,
dovremmo dire: “Nella Regione Autonoma Ungherese i procedimenti giudiziari si svolgono in lingua
ungherese, ma nei distretti abitati da popolazione romena o di altra nazionalità, si svolge nelle rispettive
lingue.” Abbiamo infatti distretti dove la popolazione è romena, come Luduş, Târgu-Mureş.52
Gheorghe Gheorghiu-Dej:
Non ci spingiamo troppo avanti. Non è un caso, compagni, se i compagni sovietici non hanno fatto alcuna
osservazione. Lasciamolo così53, non aggiungiamo nulla, rimanga solo l’utilizzo della traduzione. In una
forma indiretta hai precisato una cosa molto importante. I procedimenti giudiziari si svolgono in lingua
romena assicurandosi l’utilizzo della lingua materna. È sufficiente nello stadio in cui ci troviamo noi
[corsivo mio]. Lasciamo l’articolo 69 [in realtà 68] così com’è, senza modificarlo54.
Il giorno seguente, al Plenum del Comitato centrale convocato per informare settori più
larghi del partito sullo stato dei lavori e preparare la campagna propagandistica in
favore della Costituzione, le ragioni della creazione della Regione autonoma furono
sollevate da Liuba Chişinevshi in un imbarazzato intervento55, rivelatore da un lato della
completa segretezza che circondò anche ai vertici del partito la nascita della Rau,
dall’altro invece della sottile ambiguità che avvolgeva lo status di questa regione allo
stesso tempo “uguale” e “diversa” :
Non mi è chiara la regione autonoma, non so, sarebbe forse meglio se ci esprimessimo in modo più chiaro
su cosa fa questa regione autonoma, quali diritti ha, perché così come l’abbiamo formulata, ovvero che
49
Bodnăraş era un ex ufficiale dell’esercito romeno emigrato in Urss (1933), da dove ritornò in patria
diversi anni dopo, e fu imprigionato sino al 1943. Membro del Comitato centrale dal 1945 e dell’Ufficio
politico dal 1948, ministro delle Forze Armate dal 1947. I dati biografici sono tratti da R. Levy, Gloria,
cit., p. 203.
50
Costantinescu, di origine ebraica e parlante bene l’ungherese, era membro del Comitato centrale e
dell’Ufficio politico sin dal 1945. Dal 1949 al 1955 fu presidente del Comitato statale per la
pianificazione. Nel 1956-1957, durante e in seguito alla repressione della rivoluzione, fu ripetutamente
inviato a Clui per dirigere le purghe antiungheresi all’Università Bolyai e tra gli intellettuali.
51
Il testo non è riportato nello stenogramma, ma si intuisce che la Costituzione azera prevedeva l’uso
della lingua russa o armena nei distretti a maggioranza russa o armena.
52
L’informazione è inesatta: il distretto di Luduş – a maggioranza romena – non venne inserito nella
RAU, ma incorporato nella regione con capoluogo Cluj. Il distretto di Târgu Mureş era invece a netta
maggioranza ungherese (80 per cento).
53
Gheorghiu-Dej si riferiva all’articolo 68 del progetto, che recitava: “Nella Repubblica popolare romena
i procedimenti giudiziari si tengono in lingua romena, garantendo nelle regioni e distretti abitati da
popolazioni di nazionalità non romena l’utilizzo della lingua materna per tali popolazioni”.
54
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 61/1952, pp. 8-9.
55
Liuba Chişinevschi era, assieme ad Ana Pauker, uno dei membri della “vecchia guardia” del partito,
con un passato di emigrazione in Unione Sovietica. Nominata membro del Comitato centrale nel 1945, fu
a lungo attiva in campo sindacale. Il marito Iosif era nel 1952 capo della sezione Agit-prop del Comitato
centrale e membro dell’Ufficio politico. Nel 1957 fu allontanato dalla direzione per deviazionismo, R.
Levy, Gloria, cit., p. 204.
15
ogni regione dispone di un consiglio popolare, e anche la Rau, insomma dovremmo dire che non si tratta
di una semplice regione56.
La proposta non generò alcuna reazione tra i presenti e la discussione virò
immediatamente sugli aspetti organizzativi della campagna, che si sarebbe ispirata,
come aveva affermato Dej il 10 luglio, al modello polacco, prevedendo cioè dibattiti
organizzati a ogni livello (officine, aziende collettive, case della cultura, scuole,
condomini) e condotti da agitatori appositamente addestrati57.
Nella Rau, per la quale disponiamo di fonti primarie soltanto nel periodo compreso tra
il 20 luglio e il 10 agosto, vennero reclutati circa 17 mila agitatori, radunati in 320
“punti di agitazione”, i quali tennero 3.200 assemblee alle quali parteciparono 66.700
persone (quasi il 10 per cento dell’intera popolazione della regione). Particolare
attenzione venne data al capoluogo Târgu-Mureş in cui, a detta del rapporto informativo
sullo svolgimento della campagna, tutti gli intellettuali operanti nella città avevano
partecipato al dibattito58. Tra i compiti principali che il centro assegnò alle sezioni
regionali Agitazione e propaganda figurava la lotta contro qualunque forma di
sciovinismo, unita a una lotta continua nei confronti delle “tendenze reazionarie” nella
Chiesa cattolica, ancora influenzata dal vescovo ungherese di Alba Iulia, Áron Márton,
arrestato nel 1949 e venerato come un martire dai fedeli per il suo coerente
anticomunismo e la difesa della minoranza ungherese59.
La propaganda ufficiale nell’estate 1952
La Regione autonoma si materializzò improvvisamente nella vita dei cittadini romeni il
18 luglio 1952, quando apparve a tutta pagina sulla stampa il testo del progetto della
nuova Costituzione già approvato dal Comitato centrale, ma non ancora trasformato in
atto legislativo formale. Il progetto dedicava tre articoli alla definizione delle
prerogative della Rau.
“La Regione Autonoma Ungherese della Repubblica Popolare Romena (Rpr) è formata dal territorio
abitato compattamente dalla popolazione ungherese seclera e ha conduzione amministrativa autonoma,
56
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 62/1952, p. 4.
Anic, Fond Cc al Pcr, dos. 61/1952, p. 10.
58
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, pp. 182-184.
59
Andjm, f. 1134, dos. 45/1952, pp. 131-137. Áron Márton fu arrestato per attività antistatale nel 1949,
rilasciato nel 1955 e posto nuovamente agli arresti domiciliari nel palazzo arcivescovile di Alba Iulia dal
1957 sino alla sua morte, avvenuta nel 1980.
57
16
eletta dalla popolazione della regione autonoma. La Rau comprende i seguenti distretti60: Ciuc,
Gheorgheni, Odorhei, Reghin, Săngeorgiu de Pădure, Sf. Gheorghe, Târgu-Mureş, Târgu-Secuiesc,
Topliţa. Il centro amministrativo della RAU è la città di Târgu-Mureş” (articolo 19).
“Le leggi della Rpr, i decreti e le deliberazioni degli organi centrali dello stato hanno valore anche sul
territorio della Rpr” (articolo 20).
Lo statuto della Rau viene elaborato dal Consiglio popolare61 della Rau e sottoposto all’approvazione
della Grande Assemblea Nazionale della Rpr62 (articolo 21).
Nelle settimane successive, sino alla sua entrata in vigore il 27 settembre 1952, intorno
alla nuova carta fondamentale dello Stato socialista sarebbe stata allestita una
gigantesca campagna di informazione e propaganda. Migliaia di assemblee popolari
furono tenute sui luoghi di lavoro, nelle università e persino nelle scuole primarie.
Nei quotidiani in lingua ungherese si spiegavano alla minoranza ragioni e vantaggi
della creazione di una zona autonoma, mentre i fogli di Bucarest tentavano di
rassicurare la maggioranza romena sull’integrità territoriale del paese.
Paradossalmente, ciò che il console britannico a Bucarest aveva brutalmente liquidato
come un “pezzo di carta di nessun valore”, “una piccola concessione all’insoddisfatta
minoranza ungherese” 63, ovvero l’autonomia formale a una minuscola regione agricola
posta geograficamente al centro del paese, finì per catalizzare l’attenzione della sfera
pubblica proprio in conseguenza della propaganda che accompagnò la sua creazione. La
campagna mediante la quale l’intera popolazione della Romania, a partire dal 18 luglio
1952 e per oltre due mesi, venne bombardata di informazioni relative alla costituzione e
la creazione della Regione autonoma, doveva chiarire l’incerta posizione del partito su
due punti-chiave: 1. le ragioni della creazione di una tale regione a quasi quattro anni
dalla “soluzione della questione nazionale; 2. il suo ruolo all’interno dello stato
comunista romeno.
Sulla stampa i primi articoli di commento apparvero il 19 luglio e sin dai primi giorni
seguirono fedelmente l’impostazione data da “Scânteia”, l’organo ufficiale del partito,
con un articolo firmato da Chişinevschi. La creazione della Rau rappresentava una
prova tangibile dei progressi raggiunti nella soluzione della questione nazionale in
60
In romeno raion, con un termine di derivazione russa. La ripartizione amministrativa della Romania
seguiva infatti, dal 1950, il modello sovietico a tre livelli (città o villaggi, distretti, regioni) al posto del
precedente modello francese basato su province con a capo un prefetto di nomina governativa.
61
Nella suddivisione dei compiti tra rami del potere nella Romania (e in generale nell’Europa orientale)
socialista, ai consigli popolari (a tre livelli, locali, distrettuali e regionali) spettavano funzioni
amministrative, mentre ai comitati di partito spettava l’esecuzione della direttive politiche provenienti dal
centro.
62
Proiectul noii Constituţii al RPR, “Scânteia”, 18 luglio 1952.
63
Public Record Office, Foreign Office, file 371/100794. Romania 1952. Creation of an autonomous area
in Romania for the Hungarian minority. Despatch from Bucharest, 25 July 1952.
17
Romania secondo le direttive leniniste-staliniste. Il quotidiano nazionale di lingua
ungherese, stampato a Bucarest e diffuso quotidianamente in circa 50.000 copie,
pubblicò lo stesso giorno un fondo dal titolo Il nuovo progetto di Costituzione sancisce
la parità giuridica delle minoranze nazionali64, nel quale si sottolineava con orgoglio
che la nuova Costituzione romena sarebbe stata modellata su quella sovietica del 1936.
Più interessante, in quanto inaugurava un tema di propaganda che sarebbe stato
ampiamente utilizzato negli anni successivi, era invece l’articolo pubblicato il giorno
seguente, nel quale si contrapponevano le politiche nazionali discriminatorie nel passato
sistema “feudal-borghese” ungherese ante-1918 e romeno tra le due guerre alla politica
di estensione di diritti promossa dal nuovo regime a partire dall’avvento del governo
Groza, nel marzo 194565.
Nelle settimane successive lo spettro dei temi affrontati dalla stampa si allargò
significativamente66. Particolare rilevanza venne data, accanto alla sempre presente
esaltazione dell’inedita armonia tra le nazionalità fiorita sotto il nuovo regime67, a un
argomento cui la comunità ungherese seclera si dimostrava sensibile: la Regione
autonoma come prospettiva di sviluppo culturale e al tempo stesso economicoesistenziale. L’intento di potenziare le istituzioni culturali locali mediante l’estensione
dei diritti linguistici era espresso in un articolo intitolato Nella nostra libera patria
studiamo nella nostra madrelingua, il quale esaltava la Facoltà di medicina e farmacia,
l’unica istituzione universitaria della Rau, come “il più importante centro culturale”
della regione68. Il pezzo, accostando elevazione culturale e progresso sociale69,
sottolineava che, a differenza del passato, ora erano i figli della classe operaia ungherese
di Târgu-Mureş e di tutta la Rau a poter accedere all’università, fucina della nuova
élite.
64
Az új Alkotmánytervezet szentesíti a nemzeti kisebbségek egyenjogúságát, “Romániai Magyar Szó”
(Rmsz), 19 luglio 1952.
65
A RNK nemzeti kisebbségei teljesen egyenjogúak a román néppel, Rmsz , 20 luglio 1952.
66
Ciò si riflette anche sulla quantità di materiale pubblicato sulla stampa locale. Soltanto nel periodo 20
luglio-10 agosto, mediante una campagna coordinata dalla sezione Agit-prop del Comitato centrale, erano
apparsi sul quotidiano “Vörös Zászló”, organo regionale del partito, 79 articoli di commento e reportage
sui motivi e le conseguenze pratiche della creazione della Rau. Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 189.
67
Vedi il reportage sulla convivenza nel villaggio di Aita Seacă/Szárazajta, luogo di gravi disordini e
vendette etniche sia nel 1940, all’ingresso dell’amministrazione e delle forze di sicurezza ungheresi nella
Transilvania del Nord, sia nel 1944, al passaggio delle cosiddette “Guardie Maniu”, gruppi paramilitari
romeni incaricati di preparare il terreno all’amministrazione romena in seguito alla conquista della
Transilvania ex ungherese da parte delle truppe sovieto-romene. Hazánk nemzeti kisebbségeinek virágzó
élete, Rmsz, 11 dicembre 1952.
68
Szabad hazánkban anyanyelvünkön tanulunk, Rmsz, 3 agosto 1952.
69
Più esattamente, le varie forme di numerus clausus di stampo classista in vigore, sino ai primi anni
sessanta, negli stati comunisti dell’Europa orientale.
18
Alla popolazione della Rau, una zona prevalentemente montuosa dal clima rigido,
lontana dalle grandi vie di comunicazione e industrialmente sottosviluppata, veniva poi
promesso quello sviluppo che avrebbe posto fine alla tradizionale emigrazione dei
secleri verso le aree più sviluppate della Transilvania o, sin dal XIX secolo, verso la
capitale della Romania, Bucarest70. Un altro argomento sfruttato dalla propaganda fu il
confronto tra la situazione delle minoranze nei paesi capitalisti (e in Jugoslavia) e in
quelli socialisti. Come esempio di oppressione nazionale veniva citata la situazione dei
“milioni di lavoratori di nazionalità italiana, cinese, portoricana, malaisiana, negra (sic)”
residenti negli Stati Uniti, la sindacalizzazione negata ai lavoratori (dei quali non era
specificata la nazionalità) in Marocco e in Indonesia, o il più “familiare” caso delle
minoranze romene, albanesi, ungheresi in Jugoslavia, “oppresse e perseguitate nella
maniera più barbara”71. Un altro articolo, ripreso da un pezzo pubblicato su “Scânteia”,
illustrava invece uno degli esempi dato dall’Urss nella soluzione della questione
nazionale: la regione autonoma dell’Adigej, un piccolo territorio del Caucaso situato nei
pressi della città di Krasnodar, il quale proprio nel 1952 celebrava il 30° anniversario
della sua formazione72. È improbabile che l’associazione implicitamente proposta tra
una regione situata all’interno della civilizzazione europea (nonostante la sua
arretratezza storica) e uno sperduto territorio caucasico abbia riscosso il gradimento
della popolazione della Rau. Come vedremo più avanti, tuttavia, Bucarest aveva diverse
buone ragioni per inviare agli ungheresi altri avvertimenti che la “cultura stalinista”, che
iniziava a permeare la mentalità dei comunisti della regione, avrebbe certo permesso
loro di decodificare. Il messaggio più diretto venne dal verboso articolo “dottrinale”
rivolto agli attivisti di partito apparso su “Scânteia” il 30 luglio. In esso, dopo aver
tentato di convincere la maggioranza che la creazione della Rau “corrispondeva agli
interessi fondamentali del popolo lavoratore romeno”, si ammonivano gli ungheresi che,
anche secondo il compagno Stalin, “l’autonomia non significa indipendenza” e che al
contrario “l’autonomia regionale è la forma più reale e concreta di unione”73.
70
Tipico esempio è il reportage dal distretto di Ciuc: A népi demokratikus rendszer vívmányai Csík
rajonban, Rmsz, 6 settembre 1952.
71
Milyen a nemzeti kisebbségek helyzete a tőkés országokban, “Vörös Zászló” (Vz), 16 agosto 1952.
72
Ad Adigej Autonòm Tartomànyban, Vz (ripreso dal n. 2410 di “Scânteia”), 25 luglio 1952.
73
Crearea Ram – un nou success al politicii naţionale leninist-staliniste a partidului,“Scânteia”, 30
luglio 1952.
19
La formazione del nuovo apparato regionale
Nell’apparato locale del partito la creazione della Rau non generò apparentemente
alcun entusiasmo né obiezione. Il 18 luglio 1952, il giorno dell’annuncio pubblico del
progetto di nuova Costituzione, si tenne a Târgu-Mureş una seduta straordinaria
dell’Ufficio politico regionale in cui il primo segretario uscente, il romeno Bota,
annunciò senza troppa enfasi che, nel quadro della nuova Costituzione, il partito aveva
previsto la creazione di una regione autonoma ungherese come “espressione della giusta
soluzione della questione nazionale nello spirito dell’insegnamento leninistastalinista”74. Soltanto il presidente del Consiglio popolare regionale, Alexandru Cârdan,
reagì all’annuncio domandandosi – da vero uomo di apparato – in quale lingua
sarebbero stati tenuti i verbali delle sedute. La preoccupazione principale dei funzionari
locali sembrava quella di aspettare direttive ideologiche dal centro e nel frattempo
condurre a termine senza intoppi il necessario ricambio “etnico” della nomenklatura di
una regione divenuta a grande maggioranza ungherese75.
Per la seduta di “investitura” dell’Ufficio politico tenuta il 24 luglio, guidata da quattro
membri del Comitato centrale inviati da Bucarest (in testa l’ungherese János Vincze,
ministro dell’Interno aggiunto dal maggio 1952) e allargata ai segretari distrettuali, il
nuovo vertice nominato dal centro era già stato designato ed era entrato in carica76.
Scorrendo la nuova nomenklatura dettata da Vincze appare rilevante dal punto di vista
simbolico il ricambio etnico attuato con la formazione della Rau. Il nuovo primo
segretario regionale (il già citato Csupor) e il presidente del Consiglio popolare
regionale, Pál Bugyi, erano entrambi ungheresi, così come la maggior parte dei loro
vice77. Era evidente l’intento – o piuttosto la necessità dettata da Mosca – di
“promuovere” all’interno dell’apparato i quadri locali ungheresi; questa tendenza si
rafforzò negli ultimi mesi del 1952. Analizzando la composizione nazionale dei membri
di partito e dei vertici dell’apparato locale nel dicembre del 1952, alla vigilia della
prima conferenza regionale, scopriamo che sui 21.598 registrati (il 2,9 per cento della
popolazione complessiva della Rau78) 17.583 erano ungheresi (81,4 per cento) e 3.880
74
Andjm, fond 1134 , dosar 43/1952, p. 131.
Secondo il censimento del 1956 (dati relativi alla nazionalità), la Rau contava 731.387 abitanti, dei
quali 565.510 ungheresi (77.3 per cento) e 146.830 romeni (20.1 per cento). Á.E. Varga, Erdély, cit., p.
36.
76
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, pp. 144-148.
77
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 144.
78
La percentuale dei membri di partito nella popolazione non si discostava dalle percentuali nazionali (su
una popolazione di circa 18 milioni di abitanti i membri di partito erano circa 600.000), ma era piuttosto
75
20
romeni (18 per cento)79. Gli ungheresi erano dunque lievemente sovrarappresentati
rispetto alle percentuali etniche nella regione (77,3 per cento contro 20,1 per cento).
Differenze più marcate emersero alla conferenza tenuta nel gennaio 1953, in cui fu
eletto un Comitato regionale con 41 membri ungheresi su 50 e, dato ancora più
rilevante, un Ufficio politico di 11 membri, dei quali ben 10 ungheresi80.
Un’ultima serie di dati, relativi alla penetrazione del partito nelle zone rurali della Rau,
contribuisce, oltre che a rafforzare l’impressione di un maggior radicamento nelle zone
a maggioranza ungherese, anche a differenziare e sfumare l’immagine di un partito-stato
non solo onnipotente, ma capillarmente presente su tutto il territorio nazionale. Ancora
nel 1952, ben 77 dei 428 comuni della Rau, soprattutto villaggi romeni dei distretti di
Reghin e Târgu Mureş, non avevano una propria organizzazione di partito, oppure erano
stati costretti a scioglierla in seguito all’ondata di espulsioni iniziata nel 194981.
Possiamo parlare di un qualche grado di autonomia reale concessa all’apparato di partito
ungherese della Rau nei mesi della sua creazione? La risposta, del tutto negativa, può
essere illustrata con un piccolo, curioso episodio accaduto nei primi giorni dell’agosto
1952.
La creazione della Regione autonoma implicò, tra i molti adempimenti formali, anche il
cambio di denominazione del quotidiano in lingua ungherese Előre (Avanti), “organo
del comitato regionale e del consiglio popolare della regione Mureş”. A fine luglio, con
l’arrivo da Oraşul Stalin (Braşov) a Târgu-Mureş dei nuovi vertici regionali, guidati da
Csupor, venne deciso anche il trasferimento del locale quotidiano in lingua ungherese
nel capoluogo della Rau. Braşov e la sua regione furono così private del loro organo di
stampa in lingua ungherese a “vantaggio” di Târgu-Mureş. L’ultimo numero di Előre
apparve il 3 agosto. Due giorni più tardi, la voce ufficiale del regime nella Rau fu
ribattezzata Vörös Zászló (Bandiera rossa) – Foglio della Direzione della Regione
Autonoma Ungherese del Pmr e del Consiglio popolare regionale”.
In una seduta dell’Ufficio politico regionale tenuta il 13 agosto, il primo segretario
Csupor fu però costretto, con un certo imbarazzo, a sollevare il problema delle modalità
della procedura del cambio dell’intestazione. Il giorno prima Mogyorós gli aveva
telefonato infuriato da Bucarest per esigere una spiegazione su chi aveva autorizzato i
ridotta se paragonata alla composizione sociale della Rau, in cui nel 1952 solo tra gli operai dell’industria
erano classificate oltre 33.000 persone. Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 227.
79
Andjm, f. 1134, dos. 51/1952, pp. 1-10. (Tabele statistice lunare cu privire la membrii şi conducere de
partid)
80
Andjm, f. 1134, dos. 64/1953.
81
Andjm, f. 1134, dos. 51/1952.
21
cambiamenti operati nella testata. Il responsabile dell’Agit-prop Szövérfi rispose che il
cambio di nome era stato verbalmente concordato con il settore stampa della sezione
Agit-prop del Comitato centrale, ma che in effetti il testo del sottotitolo non era stato
approvato dal centro bensì elaborato in loco. Csupor precisò allora il motivo della
sfuriata del temuto Mogyorós, plenipotenziario di Gheorghiu-Dej per la gestione della
minoranza ungherese: il cambiamento era avvenuto senza la preventiva approvazione
della direzione del partito, e la “mancanza di disciplina” risultava ancora più grave in
quanto il progetto di Costituzione era ancora un progetto. Cosa sarebbe successo se non
fosse stato approvato in quella forma dalla Grande assemblea nazionale? Il nemico di
classe, aveva concluso Mogyorós, “sfrutterá certamente questa gaffe, potendo dire: ma
che democrazia è questa, se una legge non è neppure stata votata ed è già entrata in
vigore ?”82.
La Rau come catalizzatore di conflitto etnico
La creazione della Rau ingenerò dunque una situazione apparentemente paradossale.
Da una parte, il potere centrale teneva saldamente in pugno ogni leva del comando,
tanto da potersi “occupare” di un precipitoso quanto (presumibilmente) innocuo cambio
di testata locale. Dall’altra, lo stesso partito era conscio del fatto che la forza evocativa
del termine “autonomia” tra gli ungheresi di Transilvania aveva resistito al trauma
della seconda guerra mondiale e anche alla retorica dell’internazionalismo comunista.
Facendo emergere nella sfera pubblica temi ufficialmente tabù quali i diritti delle
minoranze
e
l’autonomia,
la
campagna
propagandistica
svolse
del
tutto
involontariamente il ruolo di catalizzatore di etnicità tra una popolazione in cui la
storica competizione etnica tra romeni e ungheresi, lungi dal rappresentare un puro
“residuo di un passato feudal-borghese”, era sopravvissuta al nuovo regime come
dimensione talora nascosta, talora palese della quotidianità.
L’apparato regionale del partito, pur colto di sorpresa dalla creazione della Rau di cui
fu tenuto all’oscuro sino all’ultimo, si rese presto conto della potenziale gravità del
processo innescato. Nella seduta dell’Ufficio politico regionale del 24 luglio Bugyi,
constatando la forza nella Regione della “deviazione di destra” (ovvero la presenza di
uomini legati all’ex-ministro delle Finanze Luca, appena caduto in disgrazia), segnalò
82
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, pp. 180-181.
22
che il nemico si era attivato con slogan sciovinisti già all’apparire del progetto di
costituzione. Secondo Bugyi, il problema non era soltanto economico (limitato allo
sciovinismo delle ex classi dominanti): esisteva a suo avviso una “grave questione
nazionale” sulla quale occorreva lavorare intensamente83. Uno dei segretari regionali,
László Lukács, aggiunse subito che la formazione di una regione autonoma era qualcosa
di nuovo nella storia del paese e che compito della propaganda sarebbe stato di chiarire
alla popolazione che la Rau, a dispetto della sua denominazione, non apparteneva
soltanto alla sua popolazione maggioritaria ma rappresentava un “confine che unisce
romeni e ungheresi”84.
Da parte sua, il segretario uscente Bota segnalò “manifestazioni pericolose” all’Istituto
medico-farmaceutico di Târgu-Mureş, che costituiva un “sensore” importante in quanto,
essendo l’unica istituzione universitaria nella Rau, era considerato dalla popolazione un
patrimonio “nazionale” ungherese e dal partito una fucina di quadri da gestire con
oculatezza. In un’assemblea dedicata alla nuova Costituzione molti avevano domandato
perché nell’articolo apparso il 19 luglio su “Scânteia” era stato reintrodotto il temine
“minoranze nazionali”, sostituito nel 1948 con quello, giudicato più neutro, di
“nazionalità coabitanti”85.
Nelle settimane che seguirono la situazione non migliorò affatto. Parte della
popolazione della Regione (inclusi membri di partito) non partecipava alle assemblee,
convocate preferibilmente la domenica nell’orario di messa. Chi vi prendeva parte, e
soprattutto gli ungheresi, punteggiava la discussione con “domande tendenziose”
sull’uso dei simboli nazionali ungheresi e in particolare della bandiera, sulla lingua che
l’esercito avrebbe adottato per i contingenti stanziati nella Rau, o addirittura su quale
moneta sarebbe stata coniata e scambiata nella regione86. In molti riferirono per esempio
di aver udito che era imminente uno scambio di popolazione tra romeni e ungheresi
delle regioni circostanti, evidentemente nell’intento di creare un territorio ungherese
etnicamente omogeneo87. Seppure le autorità si affrettassero a garantire l’infondatezza
di tali voci, le assemblee diventarono il megafono involontario della messe di “false
notizie” che correva di bocca in bocca tra la popolazione.
In alcuni ungheresi parve scattare un riflesso condizionato dettato dal termine
“autonomia”, secondo il quale essa costituiva il preludio del ritorno della Transilvania,
83
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 145.
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 145.
85
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 147.
86
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 185 (Raport informativ, 10 august 1952)
87
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 185 (Raport informativ, 10 august 1952).
84
23
o di una parte di essa all’Ungheria. Come nel 1940, nei giorni dell’effimero ritorno
del Székelyföld all’Ungheria la cui memoria collettiva era ancora vivissima, i romeni
residenti nella regione (fossero essi nativi o coloni del periodo interbellico) ridivennero
“alieni”, e in casi isolati oggetto di insulti e minacce da parte della maggioranza locale
ungherese88. Nel distretto di Reghin abitato in maggioranza da romeni si diffuse il
panico tra la popolazione, che mormorava sconsolata: ”Ora torniamo sotto il dominio
degli ungheresi”89.
La “sindrome del 1940” colpì però, nell’estate del 1952, non soltanto i nativi, fossero
essi ungheresi o romeni, ma anche numerosi funzionari ministeriali e di partito di
Bucarest che nella seconda metà di luglio trascorrevano le loro vacanze nella celebre
località termale di Bâile Tuşnad, situata nel cuore della Rau. Secondo una leggenda ben
viva nella memoria storica locale, alla notizia della costituzione della Regione autonoma
appresa via radio molti interruppero le vacanze e tornarono nella capitale col primo
treno disponibile. Ma anche una fonte insospettabile, la sezione corrispondenza di
“Scânteia”, testimonia quanto stupore e quali atavici “timori di annientamento” – così
ben descritti qualche anno prima da István Bibó90 – suscitò nella popolazione romena
l’istituzione della Rau .
Le “proposte di modifica” alla Costituzione e la gestione del problema da parte di
Gheorghiu-Dej
Per quasi due mesi, dal 18 luglio alla metà di settembre 1952, due organi strettamente
legati al partito quali la sezione corrispondenza (Secţia scrisori) di “Scânteia” e la
Commissione giuridica del Consiglio centrale del Fronte Democratico Popolare91
raccolsero minuziosamente tutto ciò che era emerso dal gigantesco “sondaggio”
costituito dalle decine di migliaia di assemblee tenute in ogni angolo del paese. Le
lettere dei corrispondenti di “Scânteia”, così come le oltre 5.000 proposte di modifica
alla Costituzione (recanti nome e recapito postale dello scrivente), costituiscono un
88
Diversi casi concreti di aggressione verbale sono riportati nel rapporto redatto dal Comitato regionale il
10 agosto. Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, pp. 190-191.
89
Andjm, f. 1134, dos. 43/1952, p. 191.
90
István Bibó, Miseria dei piccoli stati dell’Europa orientale, Bologna, Il Mulino, 1994, edizione italiana
a cura di Federigo Argentieri. Lo scritto fu redatto dal pensatore ungherese nel 1946.
91
Comisia juridică Consiliului Central – Fdp. Il Fronte in Romania era, come negli altri stati comunisti,
un’organizzazione di massa attivata dal partito in occasione di grandi campagne di propaganda (appelli
per la pace e il disarmo, elezioni, dibattito sulla nuova Costituzione).
24
affresco multicolore (e molto meno “manipolato” di quanto sarebbe lecito supporre) di
come la “società” reagiva agli stimoli provenienti dal “potere”. In questo contesto, la
quantità di opinioni e di proposte legate alla Rau ne fecero il tema più controverso e
dibattuto dell’intera campagna di propaganda; nel giudizio su di essa emersero, come
raramente nella sfera pubblica ufficiale degli anni di Gheorghiu-Dej, le fratture etniche
tra ungheresi e romeni.
L’opinione degli ungheresi, data la loro scarsa attitudine a scrivere in lingua romena, è
ricostruibile attraverso le proposte di modifica al progetto di Costituzione più che dalle
lettere inviate a “Scânteia”. Il problema sollevato dalla maggioranza delle proposte
riguardava l’estensione dei diritti linguistici della minoranza: molti chiedevano il totale
bilinguismo nella toponomastica, nell’apparato amministrativo (compreso il sistema
ferroviario) e giudiziario92, o persino nell’esercito, dove un candidato al partito,
Dominic (Domokos) Horváth reclamava la possibilità per i giovani di nazionalità
ungherese di venire istruiti nella lingua madre93.
Richieste più specifiche ma altrettanto significative vennero da membri di partito o
addirittura esponenti locali dell’apparato. Dezideriu (Dezső) Klein propose di trasferire
da Cluj a Târgu-Mureş la filiale transilvana della sezione ungherese dell’“Editura de
stat” e di inaugurare una rivista in lingua ungherese per l’Istituto medico-farmaceutico.
Ioan (János) Bolyai, membro del Consiglio popolare di Odorheiu Secuiesc, cittadina
ungherese nel cuore della Rau, chiese invece di integrare l’articolo 17 sulla “difesa
dell’indipendenza del popolo romeno” con la significativa postilla “e delle minoranze
nazionali”94.
La creazione di un’area amministrativa autonoma per una minoranza suscitò interesse
negli altri gruppi etno-nazionali viventi nel paese, in particolare nei tedeschi della
regione di Arad95, che chiedevano un territorio autonomo nella zona, ma anche negli
ebrei di Iaşi. Un certo Goloştein, membro del partito, si informò in un’assemblea se non
fosse possibile organizzare una regione autonoma ebraica nella regione di Iaşi,
giustificando il suo interesse con il gran numero di ebrei ivi residenti96.
92
Come in risposta a Gheorghiu-Dej, un certo Iosif Condes proponeva questa modifica all’articolo 69
sulla lingua d’uso nei procedimenti giudiziari: essi si sarebbero svolti “metà in ungherese, metà in
romeno, affinché non ci sia più bisogno del traduttore”. Anic, Fond Cc al Pcr, Cancelarie, dos. 143/1952,
p. 70.
93
Anic, Fond Cc al Pcr, Cancelarie, dos. 142/1952, p. 204.
94
Anic, Fond Cc al Pcr, Canc., dos. 143/1952, p. 58.
95
Anic, Fond Cc al Pcr, Canc., dos. 142/1952, pp. 12-29 (Buletin n. 14).
96
Anic, Fond Cc al Pcr, Canc., dos. 142/1952, p. 6 (Secţia scrisori, buletin de sinteză 25 iulie 1952).
25
La maggioranza romena reagì con stupore e incomprensione a questa “fioritura” di
etnicità, che metteva in discussione, apparentemente con la benedizione del partito, una
delle basi – non scritte – dell’identità nazionale moderna romena: il carattere unitario
dello Stato come garanzia della sua integrità. Già il 22 luglio un collaboratore della
Secţia scrisori recatosi a Cluj trasmetteva a Bucarest la seguente domanda postagli da
operai romeni: “Perché c’è bisogno di uno statuto a parte per la Rau ben sapendo che le
leggi sono ugualmente valide su tutto il territorio nazionale?”. Qualcuno, nella stessa
discussione, aveva poi aggiunto: “La costituzione proclama la Rau sebbene questa si
trovi sul nostro territorio. Noi non siamo una repubblica federativa ma una repubblica
popolare”.97 Le lettere rimproveravano al partito la non-difesa degli interessi romeni:
“Perché è stata necessaria la Rau? Perché i confini della Rau non sono fissati nella
Costituzione?”; “La Rau è sotto il controllo della Repubblica popolare romena o
dell’Ungheria? Se è sotto il controllo della Rpr, perché c’è bisogno di una regione
autonoma?”; “La regione autonoma significa stato nello stato?”98.
Altri, come Teodora Popescu di Târgu-Mureş, riferirono a “Scânteia” che in città si
parlava apertamente della chiusura delle sezioni romene nelle scuole e del trasferimento
degli alunni romeni in scuole di altre regioni99. Tra le proposte “concrete” di soluzione
della questione spiccava invece quella un membro di partito della regione di Bacău,
confinante con la Rau, il quale proponeva uno scambio di popolazione tra romeni e
ungheresi in relazione alla Rau100.
Così com’era emersa, la “fioritura di etnicità” generata da questi “giochi di democrazia
stalinista” (secondo la bella definizione di Alexei Kojevnikov101) scomparve dopo
l’approvazione della Costituzione dalla sfera pubblica romena. L’esportazione
meccanica del modello sovietico di autonomia territoriale in un contesto profondamente
differente (l’Europa centro-orientale e il suo nazionalismo moderno) aveva tuttavia
prodotto conseguenze non calcolate. La creazione della Rau si risolse infatti – per tutti i
gruppi etnici del paese – in una catalizzazione di etnicità che, impiantandosi sulla
memoria storica della popolazione (segnatamente la data del 1940, anno della
riannessione di parte della Transilvania all’Ungheria), risvegliò conflitti e rancori
superficialmente sopiti.
97
Anic, Fond Cc al Pcr, Canc., dos. 142/1952, p. 4.
Anic, Fond Cc al Pcr, Canc., dos. 142/1952, p. 5-6.
99
Anic, Fond Cc al Pcr, Canc., dos. 142/1952, p. 10.
100
Anic, Fond Cc al Pcr, Canc., dos. 143/1952, p. 210.
101
Alexei Kojevnikov, Games of Stalinist democracy: ideological discussions in Soviet sciences 19471952, in Stalinism: new directions, cit., pp. 142-175.
98
26
Come risposta alla pressione proveniente da ampi settori della minoranza ungherese
transilvana, lo stato comunista guidato da Gheorghiu-Dej, dimostrando di aver
perfettamente compreso la straordinaria forza e duttilità del nazionalismo statale, avviò
un rapido processo di territorializzazione della questione ungherese: la Rau, in cui
viveva appena un terzo degli ungheresi di Transilvania, si sarebbe provvisoriamente
trasformata in un ghetto culturale, dove alla popolazione era data la possibilità di
sentirsi parte di una “piccola Ungheria”. Gheorghiu-Dej è stato dipinto come un “uomo
senza qualità”, disprezzato dagli intellettuali del partito, un elettricista di umili origini
contadine assurto con sagacia e spietatezza alla guida del paese. Egli era soprattutto un
leader politico pragmatico, al tempo stesso profondamente comunista e nazionalista, in
grado di comprendere già nei primi anni cinquanta la necessità di pervenire a un modus
vivendi con la Chiesa ortodossa102. Il governo di Bucarest avviò inoltre nelle zone a
forte presenza ungherese (per esempio la città di Cluj) non rientranti nella Rau, un
sistematico processo di “nazionalizzazione”, ovvero di promozione socio-culturale del
gruppo etnico maggioritario nei confronti delle minoranze103.
Conclusione
Dopo aver ricostruito nei dettagli una “piccola” storia accaduta circa 50 anni fa in una
regione dimenticata dell’Europa orientale, cercherò, mediante un esercizio di astrazione
mentale, di trasferire questa vicenda apparentemente minore sul grande scenario dei
temi centrali della storia europea.
Quali sono dunque i caratteri fondanti del nazionalismo? Che rapporto esiste tra
nazionalizzazione e consolidamento statale nella storia europea del XX secolo? Che
rapporto c’è, se ve ne è uno, tra nazionalismo e comunismo?
Da oltre mezzo secolo i teorici del nazionalismo si accapigliano su una serie di
dicotomie: “occidentale” vs “orientale”, “etnico” vs “civico” (nell’accezione
habermasiana di “patriottismo costituzionale”), “moderno” vs “primordiale”, solo per
citarne alcune. Scorrendo la miriade di definizioni ed esempi storici offerti dagli autori
102
I dati biografici citati sono contenuti nella biografia scritta da Paul Sfectu, capo di gabinetto di
Gheorghiu-Dej fra il 1952 e il 196. Paul Sfectu, 13 ani în anticamera lui Dej, Bucureşti, Ed. Fundaţia
Culturală Româna, 2000.
103
L’osservazione è di Lavinia Betea, curatrice del volume citato, p. 135.
27
inseriti nella pur ottima antologia Oxford Readers104, chi come storico tenta di occuparsi
professionalmente di questioni nazionali deve riflettere sul fatto che gli studiosi di
scienze sociali non solo hanno invaso il suo campo, ma soprattutto – attraverso un
uso/abuso della deduzione e della tipologizzazione – hanno creato un meta-linguaggio
astratto e confuso per definire processi e fenomeni storici concreti, sebbene
tremendamente complessi105.
Procediamo allora per induzione, dal particolare al generale. Il nazionalismo che
abbiamo visto in azione nella vicenda narrata è innanzitutto un concetto a geometria
variabile, un’ideologia o piuttosto un coacervo talvolta emotivo, talvolta razionale, di
sentimenti nazionali che, adattandosi ai contesti ideologici più svariati (e
apparentemente sfavorevoli al suo sviluppo), diventa pratica politica ed esercita una
profonda influenza sull’azione di uno stato o di un gruppo nazionale. Il nazionalismo
che incontriamo nei territori dell’Europa orientale, come ha ricordato Andrea Graziosi
in un saggio di rara forza analitica106, è indissolubilmente legato al problema della
costruzione statale. La Romania costituisce un peculiare caso di Stato dell’Europa
orientale dove tensioni etniche, sforzi modernizzatori (nel senso del catching up
modernization), costruzione di un apparato statale e produzione ideologica (liberalismo,
“terza via” contadina, nazionalismo conservatore, fascismo antisemita, dal 1945
comunismo) si sovrappongono e si influenzano107.
Il primo decennio del periodo comunista è entrato nella memoria pubblica in Romania
come un momento di “morte della nazione”. In realtà, negli anni quaranta il concetto di
nazione venne ridefinito, a tratti stravolto, ma non scomparve mai dall’orizzonte
ideologico e culturale del Partito comunista romeno. Come ricordavo nella premessa, la
grande quantità di studi sul discorso e le pratiche nazionaliste nell’Europa centroorientale del secondo dopoguerra fioriti negli ultimi anni e finalmente basati sullo studio
di fonti primarie ha radicalmente modificato il nostro orizzonte sulla politica nazionale
sovietica durante e dopo la seconda guerra mondiale e sugli echi europei dei mutamenti
104
Mi riferisco ai due volumi, dal titolo Nationalism ed Etnicity curati da Antony D. Smith e John
Hutchinson e apparsi per i tipi di Oxford University Press rispettivamente nel 1994 e 1996.
105
Un’eccezione significativa: Rogers Brubaker, Nazioni e nazionalismi nell’Europa contemporanea,
Roma, Editori Riuniti, 1998. La sua teoria del “rapporto triadico” fra stati nazionalizzatori, minoranze
nazionali e madrepatrie esterne, oltre a essere modellata su una concreta esperienza (la sconfitta e lo
smembramento della Germania e dell’Ungheria dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale), aiuta lo
storico ad analizzare in ottica comparata processi di costruzione nazionale come quello romeno,
cecoslovacco, ma anche quello italiano relativamente alla questione sud-tirolese.
106
A. Graziosi, Guerra e rivoluzione, cit., p. 12.
107
A. Graziosi, Guerra e rivoluzione, cit., p. 123.
28
nelle concezioni di politica nazionale sotto Stalin108. Sulla Romania non disponiamo al
momento di risultati simili, ma la fine analisi di Irina Livizeanu sulle drastiche politiche
di nazionalizzazione e promozione dell’etnia romena condotte dall’élite liberale negli
anni venti109 e le recenti riflessioni di Robert Levy, Radu Ioanid, Dennis Deletant e
Hildrun Glass sulla politica antiebraica del regime di Antonescu e sul rapporto del
regime comunista con gli ebrei costituiscono tappe significative nella rottura dei tabù
storiografici tuttora esistenti sull’unitarietà, o meglio la monoliticità, del paese e il ruolo
della Romania nella seconda guerra mondiale.
La ricerca storica sul periodo comunista inizia a confermare l’ipotesi avanzata da
Graziosi, ovvero che gli anni cinquanta e gli anni dello stalinismo esportato in Europa
orientale, costituiscano non una parentesi e non una frattura, bensì, grazie alla duttilità
mimetica del nazionalismo come pratica politica, una parte integrante del continuo
processo di nazionalizzazione promosso dallo stato moderno110.
Stefano Bottoni
108
Oltre al già citato lavoro di Martin, ricordo l’eccellente numero della “Slavic Review”, Spring 2002,
dedicato al dibattito sul carattere della politica nazionale staliniana. Per uno studio sintetico in chiave
comparativa si veda Norman M. Naimark, La politica dell’odio. La pulizia etnica nell’Europa
contemporanea, Roma, Laterza, 2002, il quale analizza cinque casi paradigmatici: il conflitto etnico tra
armeni e greci nell’Anatolia, l’antisemitismo nazista e la Shoah, la deportazione dei tatari e dei ceceni,
l’espulsione dei tedeschi dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia, le guerre di successione jugoslava nei loro
aspetti di pulizia etnica. Altri contributi significativi troviamo nei due volumi pubblicati a cura di Marco
Buttino, In fuga (2001) e In armi (2002) per i tipi di L’ancora del Mediterraneo, Napoli. Sempre a cura di
Marco Buttino, occorre ricordare gli atti del convegno organizzato dalla Fondazione Feltrinelli nel 1992,
In a collapsing empire. Underdevelopment, ethnic conflicts and nationalisms in the Soviet Union, Milano,
Feltrinelli, 1993. Riflessioni interessanti sul rapporto tra “impero” e costruzione nazionale nei saggi di
István Deák, Ronald G. Suny e Rogers Brubaker, contenuti in Karen Barkey e Marc Von Hagen (a
cura di), After Empire. Multiethnic societies and nation-building, Boulder (Co), Westview Press, 1997.
109
Irina Livizeanu, Cultural politics in Greater Romania. Regionalism, nation-building and ethnic
struggle 1918-1930, Cornell Up, Itacha&London, 1995.
110
A. Graziosi, Guerra e rivoluzione, cit., pp. 273-274.