Uno sguardo sul teatro napoletano - Biblioteca Universitaria di Napoli

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Uno sguardo sul teatro napoletano - Biblioteca Universitaria di Napoli
Napoli da Serao a Saviano:
racconto o cronaca?
UNO SGUARDO SUL TEATRO NAPOLETANO
Mary Fucci, Anna Guarino
Tra la fine dell’Ottocento e l’intero Novecento, il susseguirsi di due straordinarie
generazioni di drammaturghi: Viviani, i fratelli De Filippo, Santanelli, Moscato, Ruccello, Silvestri,
Vitiello, De Berardinis, ha posto all’attenzione della cultura e del pubblico la singolare altezza
drammaturgica del teatro napoletano. L’ultimo spettacolo di Eduardo De Filippo a Napoli Sik-Sik
assume il valore simbolico della fine di un’epoca.
Lo stesso Annibale Ruccello, rappresentante della “nuova drammaturgia napoletana”, in
un’intervista rilasciata tempo prima e pubblicata da “Sipario” nel numero a lui dedicato un anno
dopo la sua tragica morte, dichiarava tra l’altro: “La nostra drammaturgia è nuova perché non parte,
non si collega alla generazione precedente dei drammaturghi italiani, quelli degli anni Cinquanta.
Scaturisce invece assai più del lavoro degli anni Sessanta e Settanta, più dalla sperimentazione che
dalla drammaturgia tradizionale. Insomma, da una generazione che ha fatto una drammaturgia di
regia più che di scrittura scenica, di testo: una drammaturgia sui corpi. Noi, come corrente, veniamo
da questo universo, il nostro punto di riferimento è la vecchia avanguardia del Sessanta, con tutte le
sue ramificazioni. E per noi, che ci consideriamo in qualche modo l’avanguardia degli anni Ottanta,
c’erano due strade: una quella intrapresa, fino a un certo punto, dalla “Nuova Spettacolarità” che
portava alle sue estreme conseguenze il discorso su un tipo di teatro di immagine e di suoni.
La seconda era quella del ritorno a una narrazione, anche questa fino a un certo punto. Da
qui la giustificazione del termine “drammaturgia”. Ma noi, negli anni Ottanta, abbiamo anche il
problema di essere competitivi con il cinema e la televisione che inondano lo spettacolo di storie.
Le nostre devono allora essere “diverse”, avere qualcosa che il cinema e la televisione non hanno. E
poi, c’è il rapporto con i drammaturghi napoletani, con Viviani, con De Filippo, con lo stesso De
Simone. Un rapporto che non è di continuità diretta, ma di riscoperta, un andare a riconsiderare
quella che può essere stata una scrittura scenica, e cosa di questa scrittura per te può funzionare
ancora: può essere l’adesione al reale, al quotidiano di Eduardo; può essere la rappresentazione
vivianesca dell’emarginazione”.
Lo scopo di questo lavoro è di ripercorrere, attraverso la scelta di opere significative e per
gli autori e per il rapporto con la cultura napoletana, le tappe della storia del teatro napoletano,
individuandone il rapporto con il teatro nazionale, ma anche il peculiare uso del dialetto e il modo
di confrontarsi con la tradizione che in Eduardo De Filippo diviene il “trampolino” per la nascita di
una comicità originale di una nuova drammaturgia, saldamente ancorata alla cultura
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Napoli da Serao a Saviano:
racconto o cronaca?
contemporanea, ma anche alle tematiche pirandelliane, prima fra tutte quelle dell’umorismo, di cui
Eduardo si serve per “nobilitare il comico”.
Le opere scelte individuano un nuovo concetto di teatro che perdendo la connotazione
meramente spaziale del luogo della rappresentazione, si erigono a luoghi visti come catalizzatori di
una comune riflessione. La Napoli degli autori scelti è uno spazio soprattutto mentale, su cui si
costruisce un’identità, una cultura, un progetto artistico. La connotazione geografica può diventare
anche un pretesto per recuperare quel serbatoio spirituale che è appunto la napoletanità.
Gli autori napoletani dell’ultima generazione (Santanelli, Moscato, Ruccello, Silvestri,
Vitiello, De Berardinis), sono divenuti espressione delle contraddizioni e del malessere del proprio
paese; ne sono diventati la coscienza critica compiendo con il proprio teatro un’opera di
demistificazione del potere. Il teatro diventa così se non un esorcismo, almeno un rituale
preparatorio e propiziatorio ad una fine imminente; ed è metafora del crollo di una grande illusione:
la capacità di trasformare un mondo sempre più controllato dalle merci: dove l’impossibilità del
mutamento, l’impotenza e l’inerzia divengono l’unico rifugio; e il dramma individuale e privato
viene vissuto come difesa e scudo all’immutabilità degli eventi.
Un “Teatro della crisi”, quindi. Crisi di valori e di ideologie e crisi del linguaggio che si
esprime per rottura e crolli linguistici; per frantumazioni di segni e per personaggi disturbati e
nevrotici.
Bibliografia
Franca Angelini, Rasoi. Teatri napoletani del ‘900, Roma, Bulzoni, 2003.
Stefania Chinzari, Paolo Ruffini, Nuova scena italiana: il teatro dell’ultima generazione, Roma,
Castelvecchi, 2000.
Dopo Eduardo. Nuova drammaturgia a Napoli, a cura di Luciana Libero; tre drammi di Manlio
Santanelli, Annibale Ruccello, Enzo Moscato, Napoli, Guida, 1988.
Enrico Fiore, Il rito, l’esilio e la peste: percorsi del nuovo teatro napoletano: Manlio Santanelli,
Annibale Ruccello, Enzo Moscato, Milano, Ubulibri, 2002.
Rino Mele, La casa dello specchio : modelli di sperimentazione nel teatro italiano degli anni
Settanta, Salerno, Roma, Ripostes, 1984.
Paolo Puppa, Parola di scena : teatro italiano tra ‘800 e ‘900, Roma, Bulzoni, 1999.
Annibale Ruccello, Enzo Moscato, Milano, Ubulibri, 2002.
Annibale Ruccello, Teatro, a cura di Luciana Libero, Napoli, Guida, 1993.
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