Come ricostruire la nostra Europa? Con questa inquieta e
Transcript
Come ricostruire la nostra Europa? Con questa inquieta e
Come ricostruire la nostra Europa? Con questa inquieta e impellente domanda ho deciso di intitolare questo libro per iniziare a rispondere ai dubbi e alle angosce degli Europei e per aprire un dibattito, serio e costruttivo, su quale forma istituzionale convenga offrire all’Europa del Terzo Millennio. In verità, il titolo è preso dal saggio politico “Come ricostruire la nostra Russia” del 1990 con cui il Premio Nobel per la Letteratura Aleksandr Solženicyn (l’uomo che ha denunciato in modo più nitido i crimini del sistema comunista sovietico) ha voluto dare il suo contributo intellettuale per ricostruire un soggetto politico russo di fronte al crollo dell’ideologia marxista (in seguito al crollo del Muro di Berlino e alla liberazione dei Paesi sotto il giogo comunista) e al conseguente collasso dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. A più di venti anni di distanza, aggiornando la domanda alla situazione politica comunitaria, come si può ricostruire la nostra Europa se essa non vuole essere relegata a una obsoleta espressione geografica? 1 Per capire il suo sviluppo bisogna conoscere la storia dell’integrazione europea. L’attuale Unione Europea iniziò a prendere forma con la Dichiarazione del 9 Maggio 1950, nella quale l’allora Ministro degli Esteri francese Robert Schuman volle superare il secolare contrasto tra la Francia e la Germania, responsabile delle due Guerre Mondiali, e gettare le basi per una Europa unita dove al posto dei vecchi odi, rancori e antipatie vi sia la solidarietà fra le Nazioni che la compongono, unite dall’appartenenza a un’unica e comune civiltà. Una civiltà le cui origini istituzionali risalgono al Medioevo quando, dopo la caduta dell’Impero Romano e i secoli bui seguiti alle invasioni barbariche, la consacrazione del Sacro Romano Impero di Carlo Magno (avvenuta nella notte di Natale dell’anno 800) segna di fatto la nascita del moderno concetto di ‘Europa’, la quale, da vaga espressione geografica coniata dagli antichi Greci, diventa una grande entità politica in cui viene adottato il latino come lingua ufficiale scritta e gli abitanti professano la stessa religione cristiana e utilizzano la stessa moneta. Lo Stato carolingio era composto dalle odierni 2 Francia, Germania, Benelux, Italia (ovvero i Paesi che dodici secoli dopo firmeranno il Trattato di Roma) e che in seguito si estese alla Penisola Iberica e alla popolazioni slave dell’Est. I successori di Carlo Magno non riuscirono però a mantenere unito l’Impero e lo divisero, segnando la nascita delle moderne Nazioni e allo stesso tempo del millenario dissidio per la sua eredità. Le differenze nazionali hanno condotto gli Europei a competere fra di loro, primeggiando nelle arti, nelle scienze, nello sviluppo tecnologico, portandoli a scoprire le Americhe prendendo su di sé la missione di civilizzare il resto del mondo. Purtroppo, alimentato da furori ideologici, esse hanno scatenato anche le due Guerre Mondiali, dalle quali l’Europa ne è uscita completamente annientata, senza più un ruolo da protagonista nelle vicende umane. Fu allora che concretamente nasce il progetto dell’unità politica europea (prima con la Comunità Economica e poi con l’Unione Europa), il quale, grazie a illustri esponenti politici come il citato Robert Schuman, l’italiano Alcide De Gasperi e il tedesco Konrad Adenauer, volle essere la risposta alla 3 domanda posta dall’anima e dal cuore dell’Europa e allo stesso tempo rivolta dall’esterno, replicando all’ironica frase del Segretario di Stato americano Henry Kissinger: “L’Europa! Che numero di telefono ha?”; riferendosi al fatto che gli USA hanno un solo Presidente, il quale con un telefono nel suo ufficio era in comunicazione diretta con il Cremlino a Mosca (dove risiedeva il Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica), mentre i Paesi alleati dell’Europa occidentale, perduti i loro imperi coloniali, non riescono tuttora ad avere un’unica politica estera per difendere la propria indipendenza. (In realtà, Kissinger non può essere definito un’anti-europeista, tutt’altro, infatti nel 1987 ha ricevuto il Premio Carlo Magno - premio annuale conferito dalla città di Aquisgrana a personalità con meriti particolari in favore dell’integrazione europea - e con la frase in questione voleva strigliare gli Stati europei a compiere l’unità politica dell’Europa, affinché essa possa continuare a essere un faro per tutta l’umanità, come è avvenuto negli ultimi secoli e che negli ultimi decenni si è voluto dimenticare.) 4 Nella prima parte del libro intitolata appunto ‘UNIONE’, approfondendo la storia e trattando i profondi vincoli che uniscono gli Europei, ho voluto indicare la direzione in cui essi possono trovare quella coesione e quella solidarietà di fatto (senza le quali non si va da nessuna parte) tali da spingerli a completare l’unificazione politica, in modo da stabilire quali Stati Nazionali possano far parte di una Unione Europea che abbia un funzionale ordinamento giuridico definito da una Costituzione (l’unione politica, in realtà, non minaccia le singole identità nazionali, bensì le difende e le valorizza in nome di una superiore unità culturale, garantendole la loro continuità storica). Le cosiddette “colpe” che genericamente vengono attribuite all’Europa (intesa come istituzione) non possono (e non devono) essere ricercate nel momento esatto in cui si è voluto intraprendere il cammino per la nascita del soggetto politico unitario, ma risiedono invece nelle divergenti e contrastanti iniziative prese dai singoli Stati per impedire l’effettivo sviluppo delle istituzioni europee. Infatti, esiste un Parlamento Europeo che non ha il potere tangibile di 5 legiferare ed esiste un surrogato di governo europeo che risulta incapace a governare. Per superare questa impasse, l'Unione Europea necessita di una Costituzione che le dia una personalità giuridica valida nel consesso delle relazioni internazionali e che le definisca una forma e un assetto istituzionale, semplificando il quadro odierno, con l’univoca definizione dei relativi poteri, ruoli e competenze. Una soluzione appropriata consiste nella Unione di Stati Sovrani (il cui corrispondente giuridico è dato dalla Confederazione) in cui le Nazioni appartenenti, pur conservando e difendendo le loro eccellenti specificità, si uniscano in una struttura superiore intesa a garantire la reciproca indipendenza e a curare i propri interessi comuni. Così, l’Unione Europea deve avere un unico esercito con un’unica politica estera, un’unica moneta con un’unica politica monetaria e in virtù del mercato comune un’unica politica legislativa sulle attività produttive. Si potrebbe obiettare che siccome da molti anni questo progetto non si è riuscito a realizzare, sarebbe opportuno abbandonarlo visto che non può offrire i benefici sperati. 6 Però l’Unione Europea sta dando ai Paesi membri un beneficio, tutt’altro che scontato, rappresentato dalla Pace (l’Europa, come detto, è stato teatro di due Guerre Mondiali - nel ’15-’18 lungo il confine orientale italiano sono morti 1,5 milioni di ragazzi - e attualmente appena fuori dai confini della UE vi sono focolai bellici come nell’Ucraina). Forse potrebbero bastare solo degli accordi internazionali per garantire una pacifica convivenza, senza costituire una Confederazione (o un “Superstato” come lo chiamano i detrattori) di Nazioni europee. Ma esiste già una organizzazione militare di difesa (NATO) e i piccoli Stati europei, sempre in disaccordo fra di loro, sono succubi del grande alleato americano (gli USA sono nostri alleati, figuriamoci quando bisogna confrontarsi con Paesi come la Cina o l’India) e si rivelano di fatto dei nani geopolitici. Oppure basta considerare l’Euro che ha dato e continua a dare la stabilità monetaria (si pensi all’inflazione e al debito pubblico - i cui nodi stanno venendo ora al pettine - creato al tempo della Lira), ma senza una politica comune rischia di fallire portando dietro di sé tutta l’Europa. Perciò, per 7 contrastare la progressiva decadenza dell’Europa, bisogna inequivocabilmente prendere atto del progetto unitario, a discapito delle divergenze e delle storiche rivalità. Oggi, in un mondo globalizzato, i cui centri direzionali sono fuori dal nostro continente, l’unificazione politica (cioè l’Unione Europea) è l’unico mezzo che le Nazioni europee hanno a disposizione per garantirsi un avvenire e vincere le sfide della globalizzazione se non vogliono soccombere alle nuove Potenze mondiali. Basta osservare i grafici di pagina 47 e 48 del libro, dove sono analizzati gli Stati del G20, in cui si può constatare che Giganti di recente industrializzazione come la Cina e l’India, o Paesi come il Brasile, il Messico, l’Indonesia, guadagnano posizioni a discapito proprio delle Nazioni europee per via del soverchiante rapporto di superficie e di popolazione. Soltanto mettendosi insieme, gli Stati europei potranno avere un futuro, altrimenti seguiranno le sorti degli Stati italiani che nel ‘400 dominavano l’Europa (cioè il Mondo), ma in seguito, rimanendo divisi e con i traffici spostati sull’Atlantico, finirono alla mercé dell’invasore di turno. 8 Intitolando ‘POLITICA’ la seconda parte del libro, intendo proporre delle misure propriamente politiche riguardanti le principali questioni economiche, produttive e sociali che siano adatte all’Unione Europea per affrontare la sua crisi (morale prima ancora di essere materiale) e di uscirne. Esse devono essere coerenti con quella ‘economia sociale di mercato’ ispirata ai valori di libertà e di responsabilità umana, in cui le leggi che regolano il funzionamento dello Stato e il meccanismo del Mercato non sono dogmi inconfutabili, bensì rappresentano le condizioni nei quali gli uomini si sono dati delle regole di convivenza civile, il quale sistema ha permesso, nel recente passato, di uscire dalle macerie del secondo dopoguerra e di avviare, nei Paesi liberali e democratici dell’Occidente, la ricostruzione e il rilancio economico. Solo riconducendo lo Stato al suo intrinseco ruolo di fare le leggi, applicarle e giudicare chi non le rispetta, salvaguardando la libera iniziativa economica, si potrà riportare l’Europa alla crescita, intesa come segno positivo, e soprattutto al suo sviluppo che prima di essere economico deve essere sociale e culturale. 9 I conti pubblici degli Stati Nazionali sono la principale emergenza che l’Unione Europea deve affrontare. Le difficoltà dell’Euro sono date dalla mancanza di un vero governo europeo che affianchi la moneta comune per difenderla dagli errori nazionali e dalle speculazioni internazionali. Per cui la BCE, come ogni istituto che emette moneta, deve diventare portatrice di ultima istanza facendosi carico dei debiti dei Paesi membri (creati prima dell’avvento dell’Euro) e l’Ecofin (sulla carta il Ministero del Tesoro europeo) deve programmare la politica monetaria vincolandoli a obblighi certi e inderogabili. Il pareggio dei bilanci pubblici degli Stati (che prima della UE deve essere imposto dal comune buonsenso) può essere raggiunto, senza ulteriori “sacrifici”, se si affidasse all’Unione Europea la competenza delle materie elencate in precedenza. Per esempio, l’istituzione di un esercito europeo farebbe risparmiare all’Italia metà della propria spesa militare, cioè circa 15 miliardi di euro l’anno, e si fosse fatto venti anni fa, alla fine della Guerra Fredda, avremmo risparmiato 300 miliardi di euro, ovvero il 15% del debito pubblico totale. 10 Ma per uscire dalla crisi, bisogna focalizzarsi sulla reale produzione della ricchezza sviluppando le attività inerenti. Infatti, l’Europa soffre di mancanza di produttività e di innovazione da parte delle proprie imprese. Esse non si sono adeguatamente sviluppate nell’alta tecnologia (non ci sono aziende che producono computer) e devono subire, oltre a una burocrazia asfissiante, la concorrenza sleale di determinati Stati extracomunitari, in primis la R.P.C. L’Unione Europea deve garantire una libera e partecipe iniziativa economica, che se nel mercato interno consiste nel far pagare i costi sociali, come l’inquinamento, a chi inquina e non farli ricadere su tutta la comunità, a livello internazionale essa corrisponde a bloccare l’importazione di merci prodotte in quei Paesi dove quotidianamente vengono violati i più elementari diritti umani. In questo modo si può continuare a produrre e a lavorare in Europa e, permettendo alle imprese di investire nelle scuole e nelle università, si possono innovare gli attuali processi produttivi, cosa che gli Europei hanno fatto negli ultimi secoli, cioè da quando hanno ideato la moderna industria. 11 Garantendo la libertà di impresa, l’Unione Europea deve garantire anche i diritti e i servizi sociali attraverso una legislazione che responsabilizzi le persone facendo gestire a loro stesse i propri interessi economici. Se il suffragio universale è stata la principale conquista democratica del secolo scorso, oggi, l’effettiva democrazia consiste nel dare a sempre più persone la propria proprietà e a prendere parte alla ricchezza prodotta in modo da essere artefici della propria fortuna. Per esempio i singoli dipendenti delle S.p.A., possedendo quote di azionariato dell’impresa per cui lavorano e con leggi che lo consentono, possono mediante le elezione di legittimi rappresentanti entrare nei Consigli di Amministrazione, partecipare alle decisioni e ripartirsi gli utili alla fine dell’anno. Questa responsabilità sociale, abbinata alla singola responsabilità individuale, consentirà a ogni persona di gestire la propria spesa previdenziale e decreterà il superamento dell’attuale Stato Sociale che negli ultimi decenni ha prodotto solo gli aumenti della spesa e del debito pubblico, delle tasse e delle sperequazioni all’interno della società. 12 Proprio sulla ‘SOCIETA’ ho insistito nella terza e ultima parte del libro, esaminando i modelli sociali che le ideologie, gli “ismi” hanno generato. Si è tentato di edificare una società fondata sull’idea che l’essere umano sia assoluto, dando così a un ristretto gruppo di uomini la facoltà di creare uno Stato, diventato Idolo, che per adorarlo l’Uomo deve abbandonare la condizione umana per diventare un automa, un robot. Infatti l’Umanesimo derivato dall’Illuminismo (o dal Marxismo), che aveva lo scopo di liberare l’intera umanità, si è trasformato in un Umanesimo senza l’Uomo, conducendo a ciò che i sociologi chiamano “post-umano”. Queste ideologie, per imporsi, si erano poste l’insano obiettivo di sradicare il Cristianesimo dall’Europa, facendo scomparire, insieme al sentimento patriottico e familiare, la cultura e la civiltà europea se non il concetto stesso di “essere umano”. Come sostiene lo storico americano Rodney Stark, che ho ripreso nel libro, “la civiltà europea è stata resa possibile solo dal Cristianesimo, grazie a due suoi intrinsechi criteri quali la logica, applicata dalla teologia alla scienza, e la dignità 13 umana, riconoscendo i fattori propri della persona razionale quali la libertà, la responsabilità personale, il merito nell’esercizio delle virtù”. A riprova del fatto che senza la tradizione cristiana l’Europa non esisterebbe nemmeno, al centro di ogni città del nostro continente si trova una cattedrale dove gli uomini hanno voluto trovare la loro dimensione. Soltanto se gli Europei riscopriranno le loro radici spirituali, essi potranno trovare, oltre alla coesione che una singola moneta non può dare, un futuro di crescita e di sviluppo. Forse proprio per questo motivo, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, si è voluto affidare alla Vergine Maria il destino delle Nazioni del Vecchio Continente, scegliendo come bandiera dell’Europa il suo vessillo (un manto azzurro “con una corona di dodici stelle”), memori della preghiera che il laico Dante rivolse alla Madre di Dio nell’ultimo canto del Paradiso. 14 Concludo, chiedendo a Voi, che avete avuto la gentilezza di seguirmi, se la mia proposta possa essere utile per il bene dell’Europa. Io credo che la proposta vale, forse non vale chi la presenta, ma se però rimane solo nella testa di chi la espone, beh, credo che essa non possa andare molto lontano. 15