tatuaggio penale

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tatuaggio penale
Maggio 2013
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Attribuzione, Non Commerciale, Non Opere Derivate
Il Tatuatore
Jun’ichirō Tanizaki
a cura di Armando Liccardo
Jun’ichirō Tanizaki
1886 - 1965
Indice
• Introduzione
• Il Tatuaggio in Giappone
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• Il Tatuatore
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Introduzione
Una bellezza trascendentale sublimata in un corpo femminile divenuto tela superba grazie all’arte di un maestro dell’inchiostro. Un’opera eccelsa, un rituale magico indelebile che si
dispiega sottopelle in un’immagine dal potere inarrestabile.
Sensualità e dolore, per un piacere estremo a cui è impossibile
resistere, che con forza innaturale, quasi demoniaca, ammalia
ogni sguardo sino a rendere l’anima prigioniera delle proprie
trame. Mani, in trance, che schiudono un sè rivelatosi fascino terrificante, una terribile tortura per la brama infuocata
dell’uomo che mira alla sua possessione. Un avvelenamento
estatico che rende vittime di emozioni dirompenti.
Il racconto breve ma intenso della furia della bellezza, esaltazione della donna-demone che danza con piedi perfetti sui
corpi degli uomini che ha reso suoi succubi, senza timore o
paura alcuna, decisa come una vedova nera a irretire ogni
desio. E’ la donna di Tanizaki, quella che inizia a dargli la
notorietà nel 1910, anno di pubblicazione di Seshi (Il Tatua-
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tore), e che mostra il suo fascino con una terribile malìa.
La decorazione del corpo non è fine a se stessa ma è l’atto
con cui si trasferisce la propria anima ad una tela vivente, è
il momento in cui, l’ago trafigge contemporaneamente due
cuori, in cui, goccia dopo goccia, l’uno scorre nell’altro per
diventare segno indelebile di un potere che poi si inverte alla
fine, quando l’artista stesso si scioglie nelle fiamme di una
perfezione a cui ha dato se stesso.
Tanizaki ci conduce in un atmosfera seducente, intrisa di
piacere pur non presentando nessun atto propriamente erotico. Le sue descrizioni della donna la materializzano in tutta
la sua perfezione, avviluppata in un incantesimo che non da
scampo. Il lettore si lascia atterrire da questa bellezza descrittiva che poi è la bellezza che irretisce e lascia di sasso con un
innamoramento istantaneo.
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Il Tatuaggio in Giappone
Il tatuaggio in Giappone ha origini antichissime, pare infatti
che le prime tracce si possano far risalire al periodo Jomon
(10.000 a.C - 300 a.C) dove le dogu, figurine in ceramica, riportano segni simili alle trame di tatuaggi. Nello Gishiwajinden, testo storico Cinese del III secolo è riportato che la gente
di Wa (Giappone) decorava il volto ed il corpo con vari disegni. Questi segni differivano da tribù a tribù, nella dimensione e nella trama, ed in base allo status del tatuato.
Nelle Tribù più antiche come Ryukyu e Ainu, il tatuaggio,
simbolo di purezza, era usato anche come protezione contro
le atrocità operate dalle tribù avversarie, e possedeva quindi
una connotazione positiva legata alla spiritualità e alla magia, rappresentando spesso anche passaggi da un’età all’altra,
o momenti importanti della vita, come l’età del matrimonio.
Ma è nell’VIII d.C secolo che compare il primo libro Giapponese sui tatuaggi, il Kojiki, in cui si dice che esistono due tipi
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di tatuaggio, uno di questi è segno di distinzione per gli uomini di elevato rango sociale, mentre l’altro è marchio identificativo dei criminali. In quest’ultimo caso si trattava di vere
e proprie punizioni, una pratica che comunque pare abbia
avuto inizio dalla metà del periodo Kofun.
Dal 600 d.C al 1600 d.C c’è poca letteratura, ma si conferma
l’uso del tatuaggio per identificare i reietti della società che
formavano quindi i gruppi di minoranza. Certi studiosi affermano cha anche tra alcuni gruppi di Samurai v’era l’usanza di tatuarsi per identificarsi.
Il Periodo Edo (1600 - 1867) è una fase di grossi cambiamenti socio-economici strettamente connessi all’unificazione
del Paese e alla divisione in quattro caste del sistema sociale.
Contemporaneamente il primo shogun sancisce regole ben
precise per l’abbigliamento e sposando appieno la pietà filiale
del Confucianesimo invita a preservare il corpo como dono
dei genitori.
La prosperità economica del periodo favorisce un miglioramento dello standard di vita degli abitanti della città che godono della fioritura delle arti e della diffusione di materiali
preziosi, una ricchezza che si esprime nella gaiezza dei colori
nelle decorazioni e nelle trame degli abiti.
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Siamo nell’Era Genroku, cioè Ukiyo o “mondo fluttuante”,
termine buddista che significa l’oscuro, oscillante mondo
dell’esistenza, o della caducità della vita. La gente della città circondata dalla ricchezza non si preoccupa della salvezza futura preferendo invece crogiolare nei piaceri della carne
vivendo per il momento. In questo contesto si diffondono la
prostituzione legale, i quartieri di piacere e la figura della Geisha, artiste professioniste dell’intrattenimento.
Parallelamente fa la sua comparsa il tatuaggio (irebokuro),
amato e accettato di buon grado soprattutto dalle yujos (prostitute legali), dalle Geishe e dai loro clienti. Inizialmente si
tratta più che altro di un’arte del punto e non di disegno vero
e proprio, e rappresenta un memento per gli innamorati e
quindi un voto d’amore eterno. Tatuarsi il nome del “cliente” era uno degli atti d’amore che le Geishe erano tenute a
fare, ed eventualmente a disfare nel momento in cui il cliente
cambiava.
Nel 1716 il nuovo shogun porta enormi cambiamenti, soprattuto inerenti alla troppa ostentazione di ornamenti lussuriosi;
qualche anno dopo, dal 1720 al 1870 circa, viene introdotto il
tatuaggio penale, un anello nero attorno al braccio o una lettera giapponese sulla fronte, indica il crimine compiuto dal
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tatuato.
Il tatuaggio pittorico fa la sua comparsa nell’era Horeki grazie
allo sviluppo dell’arte Ukiyo-e caratterizzata dalla rappresentazione del mondo fluttuante, quindi paesaggi, vita quotidiana e quartieri del piacere. In Giappone però la limitatezza dei
materiali portò allo sviluppo del sumie o suibokuga e cioè
dipinti ad inchiostro monocromo che influenzano anche il
mondo del tatuaggio. Solo successivamente saranno importati i colori da altri paesi.
I temi principali dell’arte del tatuaggio Giapponese vengono
dalle arti tradizionali, infatti il pennello del pittore viene alterato in un gruppo di aghi pronto a disegnare mitici personaggi dei racconti leggendari presi dal Suikoden, testo Cinese
tradotto nel 1757, tra cui Shishin tatuato con nove dragoni in
competizione tra loro.
Il tatuaggio su tutto il corpo prende il via proprio dal sumie
e dalla moda vestiaria del momento. L’idea viene dai costumi
dei Samurai che avevano i loro disegni preferiti, una divinità
o un dragone a protezione, proprio sul dorso del Jimbaori.
Inizialmente infatti il tatuaggio pittorico si realizza solo sulla
schiena poi successivamente sul resto del corpo ad eccezione
di una striscia verticale sul torace che dà proprio l’idea di un
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abito sbottonato. Tatuarsi interamente è vestirsi, è dare personalità ad un corpo che altrimenti con la sua povera nudità
non può essere nè bello nè divino.
Il termine iki indica lo stile, l’eleganza o l’essere chic, e simboleggia proprio il carattere fondamentale del periodo Edo
e dello spirito della gente comune che entra in competizione
per mostrare il proprio essere cool, dando un forte colpo alle
restrizioni di quel periodo. Dal 1804, periodo Bunka Bunsei,
aumenta il numero di persone tatuate e inizia a diffondersi la
figura del tatuatore professionista.
Nel 1868, inizio dell’era Meiji, il Giappone inizia la propria
modernizzazione assorbendo molti elementi della cultura
occidentale e coltivando nuovi modi di pensare e nuove attitudini. Nel cercare di diventare una delle più importanti potenze modiali ed un paese sofisticato, il governo giapponese
proibisce ogni forma di tatuaggio eccetto per gli stranieri. In
risposta lo stile nipponico si diffonde oltre oceano. Nel 1948 il
divieto di tatuarsi si attenua ma resta valido per i giovani sotto i 18 anni, ma a causa del suo passato il tatuaggio conserva
oggi un’accezione negativa e oscura sebbene sia comunque
una pratica legale. Infatti nonostante la moda giovane oggi
veda nel tatuaggio e nel piercing una forma di auto-espressione, la gente resta in parte legata al codice etico nipponico e
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quindi non è mai completamente a proprio agio, tutto ciò ha
portato alla diffusione del tatuaggio temporaneo che permette alle persone di essere alla moda e di non correre il rischio
di infrangere il codice culturale.
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Il Tatuatore
C’era un tempo in cui gli uomini onoravano la nobile virtù
della frivolezza, quando la vita non era così dura come oggi.
Era un tempo piacevole, un tempo in cui gli spiritosi rendevano la vita eccellente ai ricchi e giovani gentiluomini tenendoli
di buon umore e mostrando loro che il sorriso delle dame di
Corte e delle geishe non spariva mai. Nei racconti illustrati di
oggi, nel teatro Kabuki, dove rudi eroi maschi come Sadakuro e Jiraiya erano trasformati in donne -- ovunque la bellezza
e la forza rappresentavano una sola cosa. Le persone facevano il possibile per abbellirsi, alcuni si facevano iniettare pigmenti sotto la propria preziosa pelle. Sui corpi degli uomini
danzavano vistosi schemi di linee e colori.
I visitatori dei quartieri del piacere di Edo preferivano noleggiare quei portatori di portantine che erano splendidamente
tatuati; le concubine dei quartieri di Yoshiwara e Tatsumi si
innamoravano di questi uomini. Tra questi uomini adornati
non vi erano solo giocatori d’azzardo, pompieri, e simili, ma
anche membri della classe dei mercanti e addirittura samu-
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rai. Le esibizioni si tenevano di continuo; ed i partecipanti, si
spogliavano per mostrare i propri corpi di filigrana, si colpivano orgogliosi, si vantavano dei propri nuovi disegni criticando i meriti degli altri.
C’era un tatuatore giovane e molto bravo di nome Seikichi.
Era elogiato ovunque come maestro del calibro di Charibun
o Yatsuhei, e la pelle di decine di uomini gli era stata offerta
come seta per il suo pennello. La gran parte dei lavori ammirati alle esibizioni erano suoi. Gli altri potevano essere noti
per la capacità di rendere le ombre, o per l’uso del cinabro, ma
Seikichi era famoso per la nitidezza senza rivali e lo charm
sensuale della sua arte.
Seikichi in passato si era guadagnato da vivere come pittore
ukiyoye della scuola di Toyokuni e Kunisada, un background
che, nonostante il suo declino allo status di tatuatore, era evidente nella sua coscienza e sensibilità artistica. Nessuno, il
cui corpo non lo avesse interessato, avrebbe potuto comprare
i suoi servigi. I clienti che egli accettava dovevano lasciar scegliere a lui il disegno ed il costo -- e resistere uno o anche due
mesi all’atroce dolore causato dai suoi aghi.
Nel profondo del suo cuore il giovane tatuatore nascondeva
un piacere ed un desiderio segreti. Il suo piacere era nell’agonia degli uomini allorquando i suoi aghi penetravano la loro
pelle, torturandone la carne gonfia e insanguinata; più forte
grugnivano più forte era lo strano piacere di Seikichi. L’ om-
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breggiatura e la vermigliatura -- che pare fossero dolorossissime, erano le tecniche che più amava.
Dopo che un uomo era stato punto cinque o seicento volte nel corso di un intero giorno di trattamento e poi aveva
ravvivato i colori con un bagno, avrebbe potuto collassare ai
piedi di Seikichi mezzo morto.
Ma Seikichi lo avrebbe guardato con disinvoltura. “Ti avevo
detto che faceva male,” avrebbe apostrofato con aria soddisfatta. Quando un uomo senza spina dorsale si lamentava o
stringeva i denti e torceva la bocca come stesse morendo, Seikichi gli diceva: “Non fare il bambino. Trattieniti, hai a malapena cominciato a sentire i miei aghi.” Avrebbe proseguito a
tatuare, come sempre imperturbabile, con uno sguardo occasionale alla faccia in lacrime dell’uomo.
Qualche volta un uomo molto forte stringeva i denti e resisteva stoicamente, senza neanche accigliarsi. Seikichi allora
sorrideva e diceva: “Tu sei uno tenace! Ma aspetta. Presto il
tuo corpo comincerà a pulsare di dolore. Dubito che rimarrai
in piedi...”
Per molto tempo Seikichi nutriva il desiderio di creare un’opera d’arte sulla pelle di una bella donna. Una donna tale doveva però possedere varie qualità sia nel carattere che estetiche. Un volto dolce e un corpo bello non erano abbastanza
per soddisfarlo. Sebbene avesse ispezionato tutte le bellezze
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regnanti del quartiere del piacere di Edo non trovò ciò che
cercava. Passarono diversi anni senza successo, ma il volto e
la figura della donna perfetta continuavano ad ossessionarlo.
Non perse mai la speranza.
Un pomeriggio estivo durante il quarto anno della sua ricerca Seikichi si trovò a passare per il Ristorante Hirasci, nel
distretto Fukagawa di Edo, non lontano da casa sua, quando
notò il piede nudo bianco-latte di una donna spuntare dalle
tende di una portantina che stava per partire. Al suo occhio
fine, un piede umano risultava tanto espressivo quanto un
volto. Questo era pura perfezione. Dita squisitamente cesellate, unghia come le iridescenti conchiglie della spiaggia ad
Enoshima, un tallone rotondo come una perla, una pelle così
splendente da sembrare bagnata nelle limpide acque di una
sorgente di montagna -- questo, infatti, era un piede da nutrire col sangue umano, un piede che doveva caplestare corpi.
Certamente era il piede di una donna unica, che lo aveva eluso per molto tempo. Desideroso di catturare un pezzetto del
suo volto, Seikichi comiciò a seguire la portantina. Ma dopo
averla seguita per diverse strade e viuzze li perse di vista.
Il vecchio desiderio di Seikichi si tramutò in amore appassionato. Una mattina della successiva primavera egli era sulla
veranda di bamboo di casa sua a Fukagawa, ad ammirare un
vaso di lillà omoto, quando udì qualcuno al cancello del giardino. Nell’angolo del recinto interno apparve una giovane ra-
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gazza. Era venuta a fare una commissione per una sua amica,
una geisha del vicino quartiere di Tatsumi.
“La mia signora mi ha chiesto di portarle questo mantello,
e inoltre si chiedeva se lei fosse così gentile da decorarne la
fodera”, disse la ragazza. Aprì un mantello giallo zafferano da
cui prese un mantello di seta da donna (avvolto in un foglio
sottile con il ritratto dell’attore Tojaku) ed una lettera.
La lettera ripeteva la richiesta della sua amica e continuava
dicendo che la ragazza avrebbe presto intrapreso la carriera da geisha sotto la sua protezione. Ella confidava nel fatto
che, pur non dimenticando i vecchi legami, lui stesso avrebbe
preso sotto la propria protezione questa ragazza.
“Credo di non averti mai vista prima”, disse Seikichi, scrutandola attentamente. Sembrava avere appena 15-16 anni, ma il
suo volto era di una bellezza stranamente matura, un aspetto
da donna di esperienza, come se avesse già speso anni nel
quartiere del piacere e affascinato innumerevoli uomini. La
sua bellezza rispecchiava i sogni di generazioni di uomini e
donne eleganti che avevano vissuto ed erano morti in quella
vasta capitale, dov’erano concentrati i peccati e la ricchezza
della nazione.
Seikichi la fece accomodare in veranda, e ne studiò i piedi
delicati, che erano nudi eccetto per gli eleganti sandali di paglia. “Tu hai lasciato l’Hirasci su una portantina una notte del
luglio scorso non è vero?”, le chiesè.
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“Potrebbe essere”, replicò, sorridendo per la strana domanda.
“Mio padre era ancora vivo allora, e spesso mi portava lì”.
“Ti ho aspettato per cinque anni. Questa è la prima volta che
vedo il tuo volto, ma ricordo il tuo piede... vieni dentro un
attimo, ho qualcosa da mostrarti.”
Lei si alzò per andarsene, ma egli le prese la mano e la guidò
sulle scale verso lo studio che dominava l’ampio fiume. Poi
prese due rotoli dipinti e ne srotolò uno davanti a lei.
Era un dipinto di una principessa Cinese, la favortia dell’imperatore Zhou della dinastia Shang. Era piegata su di una
balaustra con una posa languorosa, la lunga gonna decorata
trascinata per metà su una rampa di scale, il suo corpo fine
a malapena capace di sopportare il peso della corona d’oro
costellata di lapislazzuli e coralli. Nella mano sinistra teneva
una grossa coppa di vino, inclinata verso le labbra mentre
guardava in basso un uomo che doveva essere torturato nel
giardino sottostante. Questi aveva mani e piedi incatenati ad
una colonna di rame vuota in cui sarebbe stato acceso un
fuoco. Sia la principessa che la sua vittima -- la testa chinata
innanzi a lei, gli occhi chiusi, pronto ad incontrare il proprio
destino -- erano rappresentati con terrificante vividezza.
Non appena la giovane guardò la bizzarra rappresentazione
le sue labbra iniziarono a tremare ed i suoi occhi a brillare.
Gradatamente il volto prese curiosamente ad assomigliare a
quello della principessa. In quel dipinto scoprì il suo sè se-
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greto.
“Qui si rivelano i tuoi stessi segreti,” Seikichi le disse con piacere quando vide il suo volto.
“Perchè mi mostri questa terribile immagine?” le chiese la
ragazza guardandolo. Era diventata pallida.
“La donna sei proprio tu. Il suo sangue scorre nelle tue vene.”
Allora srotolò l’altro dipinto.
Trattavasi di un dipinto intitolato “Le Vittime”. Nel bel mezzo
vi era una giovane donna appoggiata al tronco di un ciliegio:
gongolava su un mucchio di corpi di uomini che giacevano ai
suoi piedi. Piccoli uccellini le volteggiavano intorno, canticchiando in trionfo; i suoi occhi brillavano di orgoglio e gioia.
Era un giardino primaverile o un campo di battaglia? In questo dipinto la ragazza sentiva di aver trovato qualcosa che a
lungo era rimasto nascosto nell’oscurità del proprio cuore.
“Il dipinto mostra il tuo futuro,” Seikichi disse, indicando la
donna sotto il ciliegio -- l’immagine della giovane ragazza.
“Tutti questi uomini manderanno la loro vita in rovina per
te.”
“Ti supplico di metterlo via!” Girò la schiena come per fuggire a quell’allettante richiamo e si prostrò ai suoi piedi, tremante. Infine parlò dinuovo. “Si, ammetto che hai ragione
su di me -- Io sono come quella donna... perciò, per piacere
mettilo via.”
“Non parlare come una codarda”, le disse Seikichi, con il suo
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malizioso sorriso. “Guardalo più da vicino. Non ti impressionerà a lungo.”
Ma la ragazza rifiutò di girare la testa. Ancora prostrata, il
volto tra le maniche, ripeteva di essere spaventata e di voler
andar via.
“No, devi restare -- Ti renderò stupenda”, disse, avvicinandosi a lei. Sotto il suo kimono aveva una fiala di anestetico che
aveva avuto tempo fa da un fisico Tedesco.
Il sole mattutino scintillava sul fiume, infiammando di luce
lo studio di otto tatami. I raggi si rifelttevano dall’acqua disegnando onde dorate ed increspate sui fogli scorrevoli dei
paraventi e sul volto della ragazza, che rapidamente si addormentò. Seikichi chiuse le porte e prese i suoi strumenti di
tatuatore, ma per un attimo si sedette come in trance, assaporando la sua completa e terribile bellezza. Pensava che non
si sarebbe mai stancato di contemplare il suo volto sereno
come una maschera. Proprio come gli antichi egizi avevano
abbellito la loro magnifica terra con le piramidi e le sfingi,
egli avrebbe abbellitto la pura pelle di quella ragazza.
Rapidamente sollevò il pennello che teneva tra il pollice e
le ultime due dita della mano sinistra, ed appoggiò la punta
alla schiena della ragazza, e, con l’ago che reggeva nella mano
destra, cominciò a creare un disegno. Egli sentiva il proprio
spirito dissolversi nell’inchiostro nero-carbone che macchia-
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va la sua pelle. Ogni goccia del cinabro di Ryukyu che mescolava con alcool e spingeva dentro era una stilla del suo stesso
sangue vitale. Intravedeva nel suo pigmento le prove della
sua stessa passione.
Presto divenne pomeriggio, e allora il tranquillo giorno di
primavra giungeva alla fine. Ma Seikichi non si fermò un attimo, nè il sonno della ragazza fu interrotto. Quando sopraggiunse un servo della casa delle geishe per chiedere di lei,
Seikichi lo rimandò indietro dicendo che se ne era andata
molto tempo prima. Ore dopo, quando la luna era sospesa
sulla casa attraverso il fiume, bagnando le case lungo la riva
con una radianza da sogno, il tatuaggio non era nenache fatto per metà. Seikichi vi lavorò anche alla luce delle candele.
Anche inserire una singola goccia di colore non era una cosa
facile. Ad ogni puntura del suo ago Seikichi sospirava pesantemente e si sentiva come se avesse pugnalato il suo stesso
cuore. Poco a poco, il tatuaggio iniziava a prendere la forma
di una grossa vedova nera; e nel momento che il cielo notturno stava impallidendo all’alba questa misteriosa, maligna
creatura distese le otto zampe ad abbracciare l’intera schiena
della ragazza.
Nella piena luce dell’alba primaverile le barche erano spinte
su e giù per il fiume, i loro remi rumoreggiavano nella quiete della mattina; le tegole del tetto luccicavano al sole, e la
foschia cominciava ad assottigliarsi lasciando intravedere i
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gonfiori delle vele al primo frescore. Alla fine Seikichi posò il
pennello e guardò il ragno tatuato. Quell’opera d’arte era stato il suo sforzo più grande. Ora che aveva finito il suo cuore
era zuppo di emozioni.
Le due figure rimasero ferme per alcuni istanti. Poi la voce
bassa e roca di Seikichi vibrò per tutta la stanza:
“Per renderti davvero bella ho purificato la mia anima in questo tatuaggio. Oggi non c’è donna in Giappone comparabile a
te. Le tue vecchie paure sono svanite. Tutti gli uomini saranno tue vittime.”
Come in risposta a queste parole un lieve gemito venne dalle labbra della ragazza. Lentamente cominciò a riprendere
i sensi. Ad ogni respiro, le zampe del ragno si muovevano
come fosse vivo.
“Starai soffrendo. Il ragno ti ha nelle sue grinfie.”
A quel punto la ragazza aprì leggermente gli occhi, con uno
sguardo smorto. Gli occhi comiciarono a brillare progressivamente, come la luna brilla al pomeriggio, fino a scintillare
in modo stupefacente sul suo volto.
“Fammi vedere il tatuaggio”, disse, parlando come in sogno
ma con una punta di autorità nella voce.
“Dandomi la tua anima devi avermi resa davvero bella.”
“Prima devi farti un bagno per ravvivare i colori”, sussurrò
Seikichi compassionevolmente. “Ho paura che farà male, ma
sii coraggiosa ancora un pò.”
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“Posso sopportare tutto per ottenere la bellezza”. Nonostante
il dolore che le percorreva tutto il corpo, ella sorrideva.
“Come punge l’acqua!... Lasciami sola -- aspetta nell’altra camera! Odio avere un uomo che mi guarda soffrire così!”
Quando lasciò la vasca, troppo debole per asciugarsi da sola,
la ragazza spinse via la mano compassionevole di Seikichi,
e cadde al pavimento in agonia, gemendo come in un incubo. I suoi lunghi capelli scompigliati le cadevano davanti alla
faccia in un selvaggio groviglio. Le bianche piante dei piedi
erano riflesse nello specchio dietro di lei.
Seikichi era stupefatto del cambiamento avuto dalla timida
e docile ragazza del giorno prima, ma egli aveva fatto come
ordinato ed era andato nel suo studio. Un’ora dopo lei tornò, ben vestita, i capelli bagnati e morbidamente pettinati le
cadevano sulle spalle. Piegata sulla ringhiera della veranda,
guardò in alto, il cielo appena nebbioso. I suoi occhi erano
brillanti; non v’era più, in lei, nessuna traccia di dolore.
“Desidero darti anche questi dipinti”, disse Seikichi, offrendole i rotoli. “Prendili e vattene”.
“Tutte le mie paure sono svanite -- e tu sei la mia prima vittima!” Scoccò uno sguardo lucente come una spada. Un canto
trionfale le ronzava nelle orecchie.
“Fammi vedere il tuo tatuaggio ancora una volta”, la supplicò
Seikichi.
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Silenziosamente la ragazza annuì col capo e fece scivolare il
kimono dalle spalle. Proprio in quell’istante la sua splendida
schiena tatuata colse un raggio di sole e il ragno fu avviluppato nelle fiamme.
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Marzo 2013
MenteSuggeSostanza Edizioni
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in copertina:
Narration di H. Michaux 1927 (estratto)
Senza titolo di H. Michaux 1960
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“Verso la Pienezza e altre Poesie”
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