Hedvig Sulyok IL BELPAESE SULLE INSEGNE DI SZEGED 1.1. L

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Hedvig Sulyok IL BELPAESE SULLE INSEGNE DI SZEGED 1.1. L
Hedvig Sulyok
IL BELPAESE SULLE INSEGNE DI SZEGED
1.1. L'onomastica — insieme all'onomasiologia, la scienza delle denominazioni —
è una disciplina a carattere integrativo facente capo alla lessicologia. Si serve dei
risultati di altre discipline a lei in qualche modo collegate (folclore, etnografia, storia
della cultura, archeologia, psicologia, ecc.), e al contempo essa stessa, mantenendo il
suo carattere interdisciplinare, può funzionare come disciplina ausiliaria di
molteplici campi scientifici (storia degli agglomerati, geografia generale e
economica, antropologia culturale, ecc.), rimanendo nel frattempo uno studio di
carattere fondamentalmente linguistico. Béla Kálmán per esempio(1973:7) ritiene
ancora che i nomi propri formino un gruppo specifico di sostantivi, tuttavia negli
ultimi tempi un certo numero di linguisti allarga questa categoria: il nome proprio
può essere parola, costrutto, persino frase, perciò non può essere classificato tra le
parti del discorso. Prendendo in considerazione la sua funzione sintattica si comporta
per lo più come sostantivo ( cfr. Hegedűs 1997:5,6). La funzione ed il ruolo assunto
nella vita della lingua è primariamente di designazione particolare, identificazione,
individualizzazione.
Il nome è una parte integrante del lessico, per questo è soggetto a molteplici
variazioni simili agli altri elementi che formano il lessico: nasce, esiste, cambia, si
estingue. La vita di certi nomi propri (toponimi, idronimi, deonimi) può abbracciare
un arco di secoli, millenni, altri nomi possono essere invece effimeri, come ad es.
quelli dei negozi, delle S.r.l. o delle società in accomandita sottoposte alle burrasche
dei cambiamenti economici. Il presente saggio desidera occuparsi di quest'ultima
tipologia, più precisamente dei nomi italiani, o che comunque rimandano all’Italia, di
ditte e negozi di Szeged.
2.1 Negli anni immediatamente precedenti e successivi al cambiamento del
sistema politico si è assistito ad un mutamento non solo nel campo politico. Nel
periodo del cosiddetto socialismo reale nell'industria e nel commercio non era
particolarmente
denominazioni
importante
quali
Vörös
una
calzante
Október
denominazione
Férfiruhagyár,
delle
Szolidaritás
ditte:
tra
Háziipari
Szövetkezet, Béke Szálló o Csemegebolt numero X, spiccava, in quanto colorito,
anche il nome Hófehérke Áruház. A cavallo degli anni '80 e '90 i proprietari o
direttori delle diverse attività commerciali si accinsero a trasformare le insegne in
maniera più libera e facendo ricorso ad una vivace fantasia. (In questo contesto non
approfondiamo la questione per cui le motivazioni non erano solo psicologiche, bensì
anche economiche; era scomparsa l’economia di carenza, vennero aperti uno dopo
l'altro nuovi negozi, nuove imprese e spesso l'illusione data dal nuovo nome serviva
anche ad attrarre nuovi clienti.). I cambiamenti di nome, tuttavia, non di rado
portarono verso una situazione per cui, potremmo dire con una certa esagerazione,
dopo un po' solo gli abitanti delle grandi città e tra di loro le generazioni più giovani,
in possesso di una più meno grande conoscenza dell'inglese, erano in grado di
orientarsi nel mondo dei shop, point, center e plaza.
Seppure già presenti negli anni '80, è a partire dai primi anni '90 che le prese
di posizione tese a frenare l'ondata di parole straniere, o per lo meno a farle rientrare
in un alveo più moderato e salutare, e gli auspici di un intervento legislativo in
materia comparvero con sempre maggior frequenza alla radio e alla TV, sulle riviste
linguistiche più attente alla cura della propria lingua. (Già nel XIX secolo provarono
a regolamentare le denominazioni di ditte e negozi con decreti o leggi industriali —
come ad es. l'articolo di legge XVII del 1884 — le quali tuttavia miravano per lo più
a evitare che il proprietario denominasse in maniera impropria la pensione hotel o la
trattoria ristorante. È comprensibile che durante la Monarchia l'eventuale presenza di
elementi stranieri nelle denominazioni fosse meno problematica.)
Nel 1995-96 la Commissione per la Lingua Ungherese dell'Accademia delle
Scienze ha dedicato alla battaglia contro l’invasione delle parole straniere non
necessarie un'intera serie di sedute, durante le quali emersero questioni come quella
se in Ungheria fosse o meno necessaria una legge complessiva sulla lingua. Nella
situazione di allora, a causa dell'associazione alla legge sulla lingua in Slovacchia e
in Francia, lo stesso termine “legge sulla lingua” veniva percepito in maniera non del
tutto positiva. Fu invece sollecitata l'attuazione di un decreto del Ministero per il
Commercio Interno, risalente al 1986, secondo il quale le parti dei nomi di ditte o
istituzioni devono essere scritte secondo un ordine ungherese, inoltre devono
contenere termini ungheresi o comunque acclimatati e intellegibili a tutti. (In realtà
però questo decreto fu poco efficace.)
Visto che l'esperienza degli ultimi decenni ha dimostrato che nel nostro mondo in
via di globalizzazione la lingua inglese non solo ha colonizzato il linguaggio
scientifico, tecnico, politico e informatico, ma si è insediata anche in quello
economico, commerciale e pubblicitario (cfr. effetto rullo), finalmente nel 1997 è
stata portata in vita una legge secondo cui in Ungheria nel nome della ditta dopo la
voce principale (‘vezérszó’) possono comparire solo parole ungheresi, in conformità
alle regole ortografiche ungheresi (legge CXLV 1997,§ 15, comma 5). La voce
principale è una espressione o un acronimo che nel nome della ditta sta al primo
posto, contribuisce a identificare la ditta o il negozio o a distinguere da altre ditte
dall'attività più o meno simile: comma 2, § 15 della medesima legge (Wallendums
2002: 61, 67).
Quindi la voce principale, alla luce di quanto detto sopra, è una parte
caratterizzante del nome della ditta, la quale può anche non essere ungherese; la
parte seguente del nome della ditta (dunque l'elemento che segnala la tipologia) deve
essere una parola ungherese o comunque oramai riconosciuta come tale. (Per chiarire
con un esempio: non Pensione Bella, bensì Bella Panzió.)
2.2. Un paio di anni fa, in un saggio dal simile oggetto di studio, mi chiedevo
quale fosse la motivazione per cui i negozi e la merce ungherese ricevano così
volentieri, anzi troppo volentieri, e così di frequente dei nomi e marchionimi
stranieri. La risposta è complessa, sarebbe in teoria necessario intervistare uno ad
uno i proprietari o coloro che propongono le denominazioni sulle motivazioni,
tuttavia, si tratti di denominazioni di tipo inglese o italiano, si può riscontrare un
punto comune: la denominazione straniera desidera esprimere qualcosa di buono, di
migliore, di extra, vuole risvegliare nell'acquirente piacevoli associazioni ed
eventualmente evocare ricordi positivi (Sulyok 1999:266).
A tale proposito Károly Minya è di parere simile quando scrive che ai giorni nostri
la denominazione dei negozi è guidata dalla moda, che si manifesta primariamente
nell'uso di parole straniere. All’interno di questo fenomeno un grande ruolo è giocato
dalla globalizzazione, dall'uniformizzazione e dalla pubblicità. I proprietari
ritengono che le denominazioni straniere siano per loro garanzia di maggior prestigio
e giro d'affari (Minya 1999: 30).
Dalle nostre parti lo snobismo linguistico molte volte si accontenta anche solo se
la denominazione comune posteriore, almeno esteriormente, non è ungherese:
Velence Restorante (sic!), Firenze Boutique, invece del termine acclimatato butik.
(Possiamo assistere ad un simile fenomeno nel caso dei nomi di battesimo.
All'apposita sezione dell'Istituto di Linguistica arrivano numerose richieste di nomi
francesi, inglesi ed italiani. In Ungheria, però, i nomi di persona devono essere
trascritti secondo le norme dell'ortografia ungherese, cioè invece delle forme
desiderate Bianca, Rocco, Yvette, Jeanette, Jennifer, Cristopher, ecc., all'anagrafe
vengono scritte Bianka, Rokkó, Ivett, Zsanett, Dzsenifer, Krisztofer. Sul tema vedi
anche Fábián 1998:82-83.)
2.3. Cosa costituisce per noi una difficoltà in rapporto alle parole straniere? In
primo luogo il fatto che il lettore o l'ascoltatore non sa a cosa collegarle, cioè non
sono, almeno per noi, motivate. Inoltre il loro significato è sconosciuto, come anche
molto spesso — e nel caso delle parole inglesi quasi sempre — la loro pronuncia e la
loro grafia (cfr. Szathmári 1995).
Guardiamo qual è la situazione riguardo alla pronuncia dei nomi italiani, di tipo
italiano o che evocano l'Italia.
Una proprietà dell'ungherese è la fonazione pulita (in ciò corrisponde all'italiano),
dunque non ci sono foni particolari (consonanti aspirate, cacuminali, uvulari). Per i
parlanti ungheresi la pronuncia delle vocali non costituisce una particolare difficoltà,
e a grandi linee possiamo dire lo stesso per le consonanti. È vero che ci sono
differenze ortografiche, ma nemmeno queste sono così importanti, sono facilmente
ritenibili, nel loro grado di difficoltà non sono paragonabili a quelle dell'inglese o del
francese. (Purtuttavia un cliente medio in un negozio di alimentari non di rado
pronuncia pizza con /z/ lunga come per es. nella parola naso, o tiramisu con /š/ come
nella parola sci, anzi, il marchionimo Chicco viene pronunciato alla spagnola.)
Di fatto l'industria italiana influenza in maniera notevole quei settori commerciali
le cui denominazioni possono con qualche certezza essere italiane, così non è raro
trovare un nome italiano nel campo della moda, dell'arredamento, dell'ospitalità,
dell'estetica. Questi spesso sono nomi di fantasia; talvolta il loro significato è in
rapporto al tipo di negozio (Ghiotto Pizzéria), altre volte hanno solo un carattere
denotativo, la funzione del nome (oltre all'identificazione) è solo di far sorgere
un'illusione, di ricreare un'atmosfera (Vecchia Bologna Étterem). Una buona
denominazione di una ditta equivale ad una buona pubblicità: originale, anzi unica,
non confondibile con altri nomi, dunque, secondo Fodor (1993: 101), è davvero
buona se è geniale allo stesso tempo a livello sia linguistico sia contenutistico, se
rimanda al profilo della ditta. Poiché ritenevo inusuale per una pasticceria il nome A
Cappella, pensai di chiedere il motivo di una tale scelta. Non trovai il proprietario,
ma una delle commesse mi fornì chiarimenti: lei era al corrente che il proprietario
amava moltissimo e trovava molto bello e affascinante il canto a cappella. Nel
momento in cui doveva scegliere un nome per la sua attività commerciale avrebbe
espresso il desiderio che il suo negozio fosse nel campo della pasticceria come lo
stile a cappella nella musica: bello, elegante, raffinato e affascinante.
Il bel suono, le piacevoli associazioni possono di molto contribuire affinché la
simpatia e l'attenzione dell'acquirente si orientino verso il negozio e, in ultima
analisi, verso la merce da esso offerta. (Una opinione competente riguardo all'eufonia
del nome, portatore di un significato positivo, viene espressa da Fábián a proposito
dei marchionimi in Verbum 2002:119 e passim, riguardo al contatto emotivofunzionale-fonico da Sulyok 1999:268).
Nomi come Bravo Cipőbolt, Avanti Férfi-Női Divat, Pizzeria Forza Italia
trasmettono ardore, espressività, entusiasmo; i nomi di negozi di moda femminile,
come Mirabella, Miletta, Primavera, Amica, ad un ascoltatore ungherese ispirano
leggerezza giocosa, piacevolezza, fiducia. Sull'insegna del negozio Porta Aperta
(dato che supera i limiti della conoscenza dell'italiano dell'acquirente medio
ungherese) per una migliore comprensione c'è scritto anche: nonstop élelmiszerbolt
(alimentari non-stop).
I nomi più rari, più insoliti possiedono una maggiore magia. Questo fenomeno non
si può riscontrare solo nel caso dei nomi di battesimo, ma anche in quello dei nomi di
negozi: Grazie Mille Pizza & Cofee (sic!)/Ezer Köszönet pizzéria & kávézó . Il nome
del negozio, aperto da poco, è concepito nello spirito della più recente legge sulla
pubblicità (entrata in vigore all’inizio del 2002), la quale non vieta l'uso delle parole
e espressioni straniere, ma esige che accanto compaia anche il corrispondente
ungherese. Fanno eccezione le scritte in lingua straniera oramai acclimatate (ad es.
nonstop), come anche i nomi delle ditte o gli slogan presenti sotto il marchio di
fabbrica e che i pubblicitari non sono tenuti a rendere in ungherese. (Alcuni nomi di
negozi passano per graduali metamorfosi: cambiano, tuttavia rimangono se stessi.
Forse la sopraccitata legge ha influenzato il destino di un piccolo negozio di
alimentari: si chiamava Acquario, dopo un po’ di tempo l'insegna venne ampliata in
Acquario − Vízöntő, da alcuni mesi invece veniamo accolti solo dal nome ungherese:
Vízöntő.)
Secondo il linguista László Szűts la legge ungherese, all'interno del quadro
europeo,
si
rivela
particolarmente
liberale,
rispetto
ad
essa,
regolamentazione francese o polacca è molto più severa (Pilhál 2004).
infatti,
la
3.1. Come già accennato, di fatto l'industria italiana determina in maniera
rilevante quei settori dove riscontriamo con maggior frequenza nomi di negozi che si
riferiscono all'Italia. (Prima però di elencare secondo raggruppamenti i dati, devo
premettere che in qualche caso la forma presente sull’insegna della ditta e quella
presente nell’elenco telefonico sono un po’ differenti. Il motivo può ad es. essere che
sull'insegna viene messo in evidenza il profilo dell’attività — ad es. negozio di
articoli di moda oppure negozio di alimentari — nell’elenco accanto al nome proprio,
o al suo posto, molte volte figurano gli acronimi bt. per società in accomandita o kft.
per società a responsabilità limitata, vale a dire la forma secondo cui funziona la
ditta in questione. L’altro motivo è che il nome sulla facciata deve essere breve,
chiaro, riconoscibile; l’intero nome deve invece comparire nell’elenco ufficiale delle
ditte. Ci sono inoltre dei dati, i quali non si riferiscono a negozi o botteghe, bensì a
imprese di genere diverso, così che non ho saputo determinare il loro campo
d’attività, perciò apporto solo i loro nomi).
Negozi di abbigliamento per l'infanzia: Bambino, Bambinó, Bambini Moda,
Mirasole Bt., Raffaelló, Pollicino, Pinocchio, Sette Nani.
Negozi di abbigliamento donna e uomo: Amica butik, Bravó Divatáru, Bella
Italia Ruházati Bt., Avanti Férfi és Női Divatkereskedés, Bellina női ruhák, Donna
Kereskedelmi Bt., Danubió Sportruházat, Firenze Boutique, Giampaolo Férfi Divat,
Giuseppe Design Bt. Óriás bolt, Lady Moletti, Miletta, Mirella Női ruhák, Mirabella
Női Divat, Monte Rosa Ruházati Bolt, Primavera Harisnya, rövidárú, Punto Nero
Divat, Rómeó Férfi Divat, Rocco Divatház, Terranova Olasz Divat, Visone harisnya
üzlet, Zenzero Kft..
Negozi di calzature: Bravo Cipő, Corvo Bianco, Milano Cipő, Simona, Le Scarpe
Cipőház.
Ristoranti, pizzerie, gelaterie: A Cappella Cukrászda, Brávó Pizzéria, Ciao
Pizzéria, Ciao Piccolo Fagyizó, Corso Café, Don Pepe Pizzéria, Pizzeria Forza
Italia, Ghiotto Pizzéria, Gondola Fagyizó, Gondola Pizzéria, Grazie Mille Pizza
& Cofee/ Ezer Köszönet Pizzéria & Kávézó, La Palma Pizzéria, La Pizza, Monaco
Kávézó, Numero Uno Pizzéria, Étterem Söröző, Piccolo Mondo Étterem, Pinocchio
Fagyizó, Tutti Frutti fagyizó, Vecchia Bologna Étterem, Velence Restorante, Taverna
Étterem.
Negozi
di
Acquario − Vizöntő,
alimentari:
Bianco,
Delicato,
Porta
Aperta − nonstop élelmiszer, Rosso Élelmiszerbolt, Tutti frutti zöldség-gyümölcs.
Salone da parrucchiere ed estetica: Bellissima Fodrászat, Belissima, esposizione
di
moda
1996,
Cinecittà
Fodrászszalon,
Paradiso
szolárium,
fitneszszalon,
SolarQuattro Kft.
Arredamento
per
la
casa,
arredamento
bagno,
accessori:
Casabella
Bútoráruház, Castello Bútorszalon, Italia Szalon Bútor, La Rosa Függönyszalon,
Millemobili Bútorszalon, Pompei Kerámia, Szicília Kft. Fürdőszobaszalon, Toscana
Konyhabútor Stúdió, Tuttomobili Bútoráruház.
Scuole di lingue: Egida Nemzetközi Nyelviskola, Lingua, Parole Nyelvoktató Bt.
Negozi, ditte, società in altri settori commerciali, tecnici, industriali: Albergo
’94 Szolgáltató Kft., Bellária 2000 Kft., Carina Kisteherautó Forgalmazó Bt.,
Corazza Kft., Dentissima Fogászati Bt., Dogana Due Bt., Graffiti Irodatechnikai Bt.,
Hotel Bella, In Via Babysitter közvetítő Bt., La Perla Kereskedelmi Bt., Leonardo
Kft.,
Mercurio
Export-import
Kft.,
Miramare
Szállitmányozási
Bt.,
Ombra
Kereskedelmi Kft., Primavera Bt. Klímatechnika, Primo Studio Kft., Punta Kft.,
Quartissimo Bt., Rosa Dei Venti Bt., Sole Hungária Rt., Sole Mio Festék, vegyiáru
kkt., Sconto Kft., Sonnifero Ágyneműforgalmazó Textilipari Bt., Trieszt 2000
Tanácsadó Bt., Vendo Kft., Vento 2000 klímatechnikai Bt., ecc.
4.1. Un capitolo a parte meriterebbe la tipologizzazione dei nomi e la questione
dell'ortografia, qui segnaliamo solo alcune riflessioni. In precedenza abbiamo
ricordato che le parole straniere per gli acquirenti, i consumatori, gli utenti non
hanno motivazione, non sono ricollegabili ad alcunché. Questo, in riferimento alla
lingua italiana, non è del tutto vero, perché una buona parte degli acquirenti
ungheresi conosce parole italiane come bambino, bravo, avanti, donna, ciao, piccolo,
gondola, e tra i nomi propri suonano conosciuti nomi come Romeo, Rocco, Bella
(Italia) oltre a molti altri. Già Péter Havas, nel suo lavoro sui nomi di caffetterie del
XIX secolo (2002:33), scrive che una parte significativa di nomi di carattere
memorabile si riferisce a nomi di luoghi italiani, e anche a Szeged ne troviamo alcuni
(Velence, Firenze, Bologna, Trieszt, Miramare); essi riportano alla memoria il
ricordo di viaggi passati, risvegliano cioè reminiscenze, come anche ne promettono
di futuri. Una parte dei nomi sono usati secondo la grafia ungherese già acclimatata
(cfr. Velence, Trieszt, Szicília, Rómeó, ecc., qui la modalità di denominazione è
oramai ungherese. Altrove — a destare una impressione di maggiore italianità —
incontriamo la forma italiana pur esistendo la corrispettiva forma ungherese
acclimatata (Toscana/Toszkána, Milano/Milánó). In ungherese la -ó in fine di parola
è sempre lunga, e cadono vittime di questa regola i nomi Bambinó, Raffaelló,
Danubió. La parola bravo compare in tre denominazioni, in tre forme diverse: bravo,
bravó, brávó. La seconda variante, con -ó finale lunga, è un'interiezione di origine
italiana da noi ben acclimatatasi per esprimere approvazione, mentre la terza variante
risulta un po’ sconcertante. Questo prestito avrebbe piuttosto il significato di
‘sicario’, tuttavia il termine in tal senso oramai è caduto in disuso, è un'espressione
letteraria; in questo caso potrebbe darsi che la /a/ italiana è stata sostituita con la
vocale ungherese più vicina ad essa nella pronuncia, così si tratta solo di una
questione di scrittura e non di significato.
4.2. Tra gli esempi elencati non ho inserito quelle denominazioni, di cui
presumevo che il punto di partenza fosse piuttosto una forma latina o dotta (per es.
Aero Kft., Alterra Építőipari Kft., Terra Bt., Fortuna Kft.), benché le ultime due
possano essere anche italiane...
I vari nomi e le denominazioni qui presentati sono stati raccolti negli ultimi setteotto anni in base alle insegne di Szeged, inoltre sono state consultate le pagine
pubblicitarie dei giornali locali, come anche l'elenco telefonico e le Pagine Gialle
delle annate in questione. Siccome le ricerche hanno abbracciato quasi un decennio,
è probabile che una parte delle attività commerciali durante questo periodo abbia
cambiato proprietario e/o nome, come anche sia fallita o estinta, cosicché la lista qui
presente non può essere considerata compiuta né riferita a un periodo ben preciso.
L'autrice dichiara inoltre che il presente lavoro è stato preparato esclusivamente con
finalità di carattere linguistico, senza alcuna intenzione né pubblicitaria, né di
attacco alla privacy.
Bibliografia:
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nr. 4, Budapest, pp. 75-85.
Fábián, Zsuzsanna (2000): Nomi propri italiani nell’ungherese III. Nuova Corvina
nr. 8, Budapest, pp. 96-107.
Fábián, Zsuzsanna (2002): Nomi propri italiani nell’ungherese IV: Marchionimi.
Verbum, Piliscsaba, 2002/1. pp. 117-138.
Fodor Katalin (1993): Adalékok az újabb magyar cégnevek tipizálásához. Névtani
Értesítő 15, Budapest, pp. 100-105.
Havas Péter (2002): Budapesti kávéháznevek funkcionális-szemantikai vizsgálata a
XIX-XX század fordulójától az első világháborúig. Névtani Értesítő 24, Budapest, pp.
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Hegedűs Attila (1997): Mi a tulajdonnév? Névtani Értesítő 19, Budapest, pp. 5-8.
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Minya Károly (1999): A turkálótól a plazaig. (Üzletnévadás az ezredfordulón).
Névtani Értesítő 21, Budapest, pp. 330-334.
Pilhál Tamás (2004): Tartós az angolkór. Magyar Nemzet, Budapest, 2004 jan. 6.
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Sulyok Hedvig (1999): Dentissima és társai. In: A nyelv mint szellemi és
gazdasági tőke. A VIII. Magyar Alkalmazott Nyelvészeti Konferencia előadásainak
gyűjteményes kiadása. Szombathely, 1999. pp. 265-270.
Szathmári István (1995): A franglais példája. Édes Anyanyelvünk XVII/1. p. 7.
Wallendums Tünde (2002): Nyelvpolitika a budapesti szállodák elnevezéseinek
tükrében. Modern Nyelvoktatás 2002/1. pp. 59-68.