aspetti economici e sociali delle città longobarde dell`italia
Transcript
aspetti economici e sociali delle città longobarde dell`italia
Gian Pietro Brogiolo 77 ASPETTI ECONOMICI E SOCIALI DELLE CITTÀ LONGOBARDE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE Gian Pietro Brogiolo Università di Padova Nella ricostruzione degli aspetti economici e sociali delle società preistoriche e classiche, l’archeologia ha potuto basarsi in primo luogo sulle produzioni ceramiche: suppellettili domestiche e contenitori da trasporto. Vi è però più di un dubbio che tali prodotti costituiscano sempre e comunque uno specchio attendibile della trasformazioni della società. Nell’Altomedioevo italiano, ad esempio, vi è una palese differenziazione tra l’Italia centromeridionale, dove permangono produzioni di pregio oggetto di scambi interregionali e l’Italia settentrionale longobarda, dove le produzioni ceramiche, nel corso del VII secolo si riducono a poche forme di grezza (BROGIOLO, GELICHI 1996). A nord del Po, in particolare, fino al XIV secolo le ceramiche non costituiranno più un indicatore significativo della potenzialità economica di una città o di un territorio. Anche se certamente concorrono a definire la “cultura” di quei contesti. Martin Carver (1993), ribaltando una visione economicistica dei cambiamenti, ha messo al centro della scena l’ideologia, come motore delle trasformazioni tra il mondo classico e quello altomedievale. Essa avrebbe agito in modo differente nelle regioni mediterranee, ancor pregne della tradizione classica, e in quelle dell’Europa del Nord, sospinte da un sostrato barbarico mai spento. La sopravvivenza dell’urbanesimo classico, più marcata nell’Europa meridionale, ne sarebbe la prova tangibile. La tesi, che recupera temi cari alla tradizione storico artistica dell’Archeologia cristiana, merita di essere discussa. Ed è quanto intendo fare in questo contributo. Utilizzerò come parametro l’edilizia privata che, a differenza di quella pubblica utilizzata molto spesso come strumento di propaganda politica, rispecchia fedelmente le condizioni sociali ed economiche di una città. Sull’edilizia urbana disponiamo ormai (almeno per alcune regioni: Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana) di un relativamente cospicuo numero di informazioni, sintetizzate in un seminario tenutosi nel 1993 a Monte Barro (BROGIOLO 1994c), che consentono di delineare comuni linee di tendenza a partire dal III-IV secolo, quando, pur con tempi e modalità diverse, inizia il processo di cambiamento della città classica. Nel periodo di transizione, tra tarda antichità e altomedioevo, sulla base dell’evidenza archeologica attuale, possiamo con una prima approssimazione distribuire le nostre informazioni in due fasi principali: • III/IV - metà VI: un lungo periodo di lente e contraddittorie trasformazioni del tessuto edilizio urbano, segmentato in più fasce tecnologicamente distinte a fronte di una committenza sociale ancora articolata; • ex VI - metà VII: una fase di accelerazione nei cambiamenti con la crisi definitiva del modello classico di residenza urbana, ridotta nell’età longobarda a due soli livelli: una rara edilizia di qualità (non confrontabile tuttavia con quella più antica) e una più generalizzata attività costruttiva che si avvale di tecniche e materiali diversificati, tutti assai precari e realizzati in ambito familiare. A- III/IV- METÀ VI: MODELLI CLASSICI DI EDILIZIA URBANA E DEGRADO DELLEANTICHE ARCHITETTURE In questo lungo periodo, nel quale si concludono e perfezionano le grandi trasformazioni urbanistiche caratterizzate dal rafforzamento dei sistemi di difesa e dall’inserimento in città delle nuove sedi del culto cristiano e del potere civile, l’edilizia mantiene ancora, almeno nelle costruzioni della classe dominante, un alto livello qualitativo, pur con smagliature e fenomeni, più o meno precoci, di decadenza di alcuni settori urbani: in Toscana, fin dal II-III secolo (C IAMPOLTRINI 1994), in Emilia Romagna (O R T A L L I 1991) e Piemonte (C A N T I N O WATAGHIN 1994) dalla fine del III. In Lombardia, grazie al positivo influsso esercitato, per tutto il IV secolo, da Milano, capitale dell’Impero dal 286 al 402 d.C., la crisi si manifesta nel corso del V secolo, segnalata a Brescia dall’abbandono dei quartieri meridionali (R OSSI 1996), a Milano dal degrado dei nuclei periferici, iniziato peraltro solo alla metà secolo (A RSLAN , 78 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN CAPORUSSO 1991). La Romagna, ed in particolare la nuova capitale Ravenna, superata la crisi del III secolo, mantengono invece un certo fervore edilizio fino all’età gota (GELICHI 1994). In questa situazione fortemente regionalizzata, sono dunque attestati, con differenziazioni cronologiche e geografiche che andranno meglio precisate, contrastanti fenomeni edilizi, alcuni dei quali vanno nella direzione di un marcato e peggiorativo cambiamento, altri di una continuità con i modelli dell’edilizia classica. 1 - frazionamento e degrado di domus e ville (IV?-V/VI secolo) Alcune lussuose domus urbane, perduta la loro funzione unitaria, vengono frazionate in unità abitative unifamiliari, anche se permane in pianta ed in alzato la percezione di un originario complesso edilizio. Non si tratta di abbandoni, ma di un uso diverso e più serrato, tenuto conto che si occupano per attività, abitative o artigianali, anche le aree porticate. I nuovi ambienti, ciascuno con un proprio focolare, hanno talora pareti lignee e piani d’uso quasi sempre in battuto. A Brescia, per le strutture lignee di via Alberto Mario, ricavate nel peristilio di una domus, è stata proposta una datazione alla metà del V secolo (BROGIOLO 1988), mentre per per analoghi fenomeni di degrado accertati un po’ in tutti i comparti urbani, viene ora ipotizzata una cronologia di fine IV secolo (ROSSI 1991). Il campione più rappresentativo è quello di S. Giulia (BROGIOLO 1991), dove, nella parte centrale della domus, sono quattro gli ambienti, compresa la piscina, che, in fasi anteriori all’arrivo dei Longobardi, hanno buche di palo distribuite lungo i lati. La dimensione di questi buchi (da pochi centimetri ad un massimo di 20, con una prevalenza attorno ai 10 cm e profondità medie attorno ai 20 cm) è congrua sia per contropareti lignee, sia, con un’interpretazione più riduttiva, per panche infisse nel pavimento. La presenza di focolari comprova peraltro un uso abitativo. Sempre a Brescia, in via Alberto Mario, l’insieme delle buche e solchi, impronte lasciate da strutture lignee, offre l’immagine composita di un edificio (BROGIOLO 1988 e 1993) con pareti in tavole di legno, in parte addossate ad un muro romano ancora parzialmente conservato in alzato, in parte ancorate a pali portanti verticali, in parte infisse in un trave orizzontale, mentre il colmo del tetto era sorretto da tre grossi pali verticali. Una sessantina di piccole buche di palo distribuite senza un ordine apparente è forse la traccia di modesto arredo (panche o sgabelli) o di piccoli recinti. Strutture simili sono attestate a Bergamo Biblioteca Angelo Mai, in età tardoantica non meglio precisata (POGGIANI KELLER 1990). Buche di palo che tagliano mosaici sono state documenta- te anche a Bergamo, via Solata (FORTUNATI ZUCCA1990b), Brescia, via Vicolo Settentrionale 15 (ROSSI 1988-89a). Fenomeni analoghi si verificano anche nelle ville rurali, così a Desenzano (ROSSI 1988-89b), a Pontevico, in fasi datate al IV secolo (ROSSI 1987b), a Nuvolento (ROSSI 1987a, R OSSI 1996) e a Monzambano (BREDA 1995). Ennodio, il celebre vescovo di Pavia, dà almeno una (evidentemente non l’unica) spiegazione di questo fenomeno: al tempo della guerra tra Teodorico ed Odoacre, l’acquartieramento delle truppe in città aveva causato una tale penuria di spazi abitativi, da rendere indispensabile suddividere grandi domus in angustissimi tuguri . (Ennodius, Vita Epiphani, p. 98, 15). Spiegazione che, quantunque non generalizzabile, potrebbe valere anche per Monte Barro, un grande castello dove è verosimile potessero temporaneamente rifugiarsi gruppi di civili o militari e per Brescia S. Giulia, se l’area, fiscale in età longobarda, lo fosse stata anche in età gota. Una interpretazione simile è stata proposta anche per alcune ville del territorio, quali Casteldebole (ORTALLI 1996), dove alcuni manufatti hanno suggerito la presenza di popolazioni alloctone, e la c.d. villa di Catullo a Sirmione (R OFFIA 1996; B OLLA 1996), dove sono state rinvenute tombe con elementi di corredo, “propri del costume dei legionari romani”, databili al IV-prima metà V sec., periodo in cui si colloca un utilizzo degradato della villa stessa. Altre spiegazioni paiono peraltro ugualmente plausibili per giustificare un fenomeno tanto generalizzato. Il frazionamento in taluni casi può essere stato determinato da divisioni a seguito di eredità o compravendita, in altri da concentrazione della proprietà, con la conseguente destinazione di alcune domus a residenza di dipendenti. LA 2 - edilizia rustica Accanto ai fenomeni di degrado, nel V-VI secolo si affermano in città edifici dalle caratteristiche assai sobrie, la cui origine va ricercata in ambito rurale o castrense (vedi Monte Barro ed i castelli sloveni: B ROGIOLO 1994 e C IGLENEC̆ KI 1988). Di solito a due piani, hanno murature costruite per lo più con materiale di spoglio, ma legato da buona malta, struttura portante coadiuvata da pilastri di legno indipendenti dai perimetrali, schema planimetrico elementare con pochi grandi ambienti. Si affacciano alle strade, occupano porzioni di isolati e sono circondati da spazi aperti: portici e cortili lastricati. L’edificio di via Alberto Mario a Brescia (B ROGIOLO 1988) sorgeva nell’angolo di un isolato romano, affacciandosi su due strade. Aveva pianta rettangolare ed era articolato internamente in due soli vani. Sul lato interno vi era un portico, aperto su un ampio cortile lastricato. Gian Pietro Brogiolo Anche a Verona, in via Dante, gli edifici a schiera, che occupavano in parte la carreggiata di una strada romana, furono costruiti, probabilmente in età gota (HUDSON 1989), con materiali di recupero legati con terra e pochissima malta; rimasero in uso fino al XII secolo, pur con successive sopraelevazioni del piano di calpestio e rifacimenti strutturali. Nell’isolato di fronte, l’area interna, almeno fino all’VIII secolo, è invece abbandonata e ruderi di ‘muri romani sporgevano da cumuli di macerie coperte di vegetazione’ (ivi, p. 344). Edifici simili vennero edificati anche su parte del lastricato del Foro, indizio che la proprietà pubblica non veniva rispettata. Il collasso dell’organizzazione urbana a Verona è provocato da un grave incendio, probabilmente quello del 590 ricordato da Paolo Diacono, che distrusse almeno una parte della città. I crolli degli edifici lasciati in sito e la formazione di nuovi livelli d’uso su riporti causano un “brusco e notevole rialzo dei livelli di occupazione” (ivi, p. 399). A Trento, nello scavo di palazzo Tabarelli (C A V A D A , C I U R L E T T I 1986), nell’ambito di una domus di età romano-imperiale, già degradata nel corso del V secolo, si continuò ad utilizzare un unico vano lungo la strada. Ma la struttura di questo ambiente era costituita, secondo l’interpretazione proposta dagli scavatori, da un’intelaiatura di grossi pali verticali, rinzeppati con pietre alla base, che sorreggevano il tetto, mentre le pareti erano probabilmente formate da tavole in legno che riusavano, come zoccolo di appoggio, le murature della fase precedente, completate, ove cadute o mancanti, da muretti a secco. Anche in questo caso, i piani d’uso erano in semplici battuti su cui si impostavano i focolari. Sul retro dell’edifico, vi erano spazi aperti, per stalle o aree di servizio, mentre all’interno dell’isolato, le murature della domus furono integralmente demolite per creare spazi aperti o annessi rustici. A Parma B.go s. Brigida, viene ipoteticamente datato all’età gota un edificio rettangolare di m 12,50 x 7,60, costruito con materiale di spoglio e suddiviso in due navate da pilastri con base litica quadrata (CATARSI DALL’AGLIO 1994). 3 - continuità, ad un decoroso livello, dell’edilizia urbana tradizionale. A Milano, nell’area dell’attuale piazza Duomo (PERRING 1991), all’inizio del V secolo, viene riorganizzato un complesso edilizio ormai vecchio di due secoli: nuovi ambienti, provvisti di impianto centrale di riscaldamento, si distribuiscono attorno ad un cortile, in un angolo del quale viene scavato un pozzo (forse in sostituzione dell’acquedotto che non serviva più questo settore urbano). In età teodoriciana, vengono rifatti alcuni pavimenti in cocciopesto e in opus sectile e si costruisce un portico lungo la strada, il cui basolato è allestito 79 con lastre di reimpiego. Siamo dunque in un periodo in cui si manifesta ancora una certa vitalità economica privata, cui fa riscontro la cura delle autorità pubbliche per le infrastrutture della città. I sintomi di un incipiente degrado si avvertono attorno alla metà del secolo: va in disuso l’ipocausto, si accumulano depositi di rifiuti sui pavimenti domestici. Qualche decennio più tardi (agli inizi dell’età longobarda), l’edificio ormai fatiscente viene radicalmente demolito per far spazio a case in legno. Le fasi finali di questa sequenza sono emblematiche, come vedremo, di molte vicende edilizie urbane. In via Tommaso Grossi, nei pressi di piazza Duomo (PERRING 1991), tra V e VI secolo, un portico, edificato lungo una strada, è delimitato da due muri paralleli in mattoni sesquipedali, ma con pavimenti in terra e tramezzi lignei. Anche a Bergamo, in piazza Rosate (FORTUNATI ZUCCALA 1990a) un edificio abitativo tardoromano, di cui si sono individuate tre murature, continua ad essere, almeno parzialmente, abitato in età altomedioevale, pur con partizioni interne in muratura. 4 - edilizia aulica L’aspetto più alto dell’edilizia di questo periodo, che coesiste con i fenomeni di degrado e di semplificazione dei modelli edilizi, è contrassegnato da residenze auliche che si collocano nel solco delle ricche domus dell’età precedente. Si tratta di edifici con ricco apparato decorativo, talora provvisti di aule absidate di rappresentanza. Attestati nel IV-V secolo in Lombardia in ambito prevalentemente rurale, a Palazzo Pignano (MASSARI e al. 1985), Desenzano (R OSSI198889b, S CAGLIARINI CORLAITA 1990b) e in altri siti più recentemente indagati (S CAGLIARINI CORLAITA 1990a), hanno ora una presenza anche urbana a Monza (JORIO 1990b,c; 1991). Un’edilizia analoga, ma datata ipoteticamente all’epoca gota (ORTALLI 1991; M A I O L I 1994), si ritrova nel ravennate, anche qui sia in campagna che in città: a Mendola, Faenza via Dogana, Imola S. Francesco. Di particolare interesse l’edificio con aule absidate venuto alla luce a Monza, a fianco della basilica di s. Giovanni, costruita, come racconta Paolo Diacono, dalla regina longobarda Teodolinda unitamente ad un palazzo, su una preesistente residenza reale fatta erigere dal re goto Teodorico. La sconsiderata distruzione del deposito archeologico non ci permette tuttavia di datare questa struttura e quindi di attribuirla alla residenza tardoantica di un personaggio altolocato o, forse più verosimilmente, al palazzo di Teodorico o a quello di Teodolinda. In quest’ultimo caso, l’implicazione storica nel quadro di rivalutazione della concezione tardoantica di regalità operata da Teodolinda ed Agilulfo sarebbe di rilevante interesse. 80 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN Questo modello edilizio, che per qualità è da collegare alle residenze palaziali pubbliche, è espressione di quel sentimento di “urbanità” di cui è testimonianza ininterrotta nei padri della chiesa da Ambrogio ad Agostino, nella politica di renovatio del “decoro” urbano, intrapresa da Teodorico con il suo programma di ricostruzione di infrastrutture ed edifici pubblici nelle principali città del regno e nel tentativo operato da Agilulfo e Teodolinda di legittimare il regno longobardo con l’adesione ai modelli classici (o bizantini?) di vita urbana. 5 - edilizia palaziale La sopravvivenza, come struttura e come sede del potere, di alcuni palazzi tardoantichi nell’Altomedioevo è documentata soprattutto dalle fonti scritte. Nel IX secolo il cronista ravennate Agnello poteva ancora ammirare, nei palazzi di Ravenna e Pavia il mosaico con l’immagine del re Teodorico sedentem super equum ( AG N E L L U S , 333-34). Il palazzo di Verona, unitamente ad altri monumenti pubblici romani, è raffigurato in una rappresentazione della città, la cosiddetta iconografia del vescovo Raterio, variamente datata tra VIII e X secolo. Quello palatino a Roma venne mantenuto in efficienza dall’amministrazione bizantina (WARD PERKINS 1984, p.167). Dell’architettura conosciamo invece ben poco: solo di quello di Ravenna, fatto costruire da Onorio e ampliato poi da Valentiniano e da Teodorico, i vecchi scavi dell’inizio del secolo hanno fornito una pianta, ma è difficile distinguere le opere commissionate dal re goto, rispetto a quelle pertinenti al palazzo imperiale dell’inizio del V secolo (ORTALLI 1991). Anche del palazzo imperiale di Milano non abbiamo che frammentarie informazioni (C ERESA MORI e al. 1991; LUSUARDI SIENA 1990): al V-VI sec. si datano l’abbandono e l’obliterazione di alcuni mosaici pavimentali e progressivi interventi di asportazione delle strutture. Almeno alcuni ambienti del palazzo erano stati quindi precocemente abbandonati. Qualche dato in più abbiamo per il palazzo imperiale di Roma, che sorgeva sul Palatino (AUGENTI 1994). Danneggiato da saccheggi (operati da Alarico nel 410 e dai Vandali nel 455) e terremoti (del 443 e tra fine V ed inizio VI), fu restaurato da Teodorico e fu poi la residenza di Narsete e del duca bizantino. Nel 629 vi fu incoronato l’imperatore Eraclio. Tra 705 e 752 vi spostò la propria corte il Papa e ancora vi si stabilì, alla fine del X secolo, Ottone III. Questa continuità d’uso riguardò peraltro solo alcuni settori del vasto complesso palaziale. Molti ambienti vennero progressivamente interrati a partire dal V secolo. In altri si insediarono numerosi luoghi di culto e monasteri. I dati archeologici relativi ai due palazzi impe- riali di Milano e Roma sembrano dunque convergere nell’indicare una continuità di utilizzo (ed evidentemente di manutenzione) di alcuni ambienti a scapito di altri, particolarmente di quelli periferici, che vengono abbandonati o destinati ad altre funzioni. A Brescia, se è corretta l’interpretazione da me proposta (BROGIOLO 1993) sulla base di una rilettura degli scavi eseguiti in piazza Vittoria negli anni ‘30, il palazzo, tardoromano o di età gota, avrebbe avuto una pianta a U alla quale viene aggiunto, nell’alto medioevo, un colonnato. Le tre ali erano larghe, al netto dei muri, m 5,75. Il lato ovest, il solo di cui possiamo ricostruire la lunghezza, misurava all’esterno m 53,40; gli altri non erano inferiori a m 42; al centro dell’ala ovest, sporgeva verso il cortile, per quattro metri ca., un corpo rettangolare di m 13x4 ca. L’importanza di questo edificio risulta dal fatto che le mura della città furono allargate per proteggerlo, secondo una strategia attestata, anche altrove, dalle fonti archeologiche e storiche soprattutto di età gota. L’edificio fu poi utilizzato in età longobarda come sede della curia ducis. Per quanto ne sappiamo, i palazzi urbani tardo antichi non paiono discostarsi, per la pianta organizzata attorno a cortili, da quelli presenti nel territorio, quali quelli di Palazzolo e Galeata, attribuiti entrambi a Teodorico. Il complesso di Palazzolo è stato solo parzialmente scavato e la pianta è stata completata attraverso sondaggi. Secondo l’interpretazione proposta (B E R M O N D M O N T A N A R I 1972, M A I O L I 1 9 8 8 b , ORTALLI 1991), attorno ad un ampio cortile di 27 m ca. di lato, si sarebbero distribuiti quattro corpi, il principale dei quali, in corrispondenza dell’ingresso, era porticato. L’articolazione interna, pur non compiutamente definita, lascia intuire una scansione in ampi vani. All’esterno, vi era un piccolo impianto termale, sul quale successivamente venne innalzata una cappella. Ancor più lacunosa è la definizione planimetrica dell’edificio di Galeata, venuto alla luce nel 1942 (MAIOLI 1988a, con bibl. precedente e ORTALLI 1991). Sono stati parzialmente indagati due lati, mentre degli altri nulla sappiamo, in quanto distrutti da una frana. Sul lato principale, probabilmente di rappresentanza, gli ambienti, uno dei quali provvisto di un’abside rettangolare esterna, si articolano simmetricamente a partire da un atrio rettangolare, ritenuto ‘sala di udienza e ricevimento’ (LUSUARDI SIENA 1984, p. 537). Nella tarda antichità, in ambito urbano coesistono dunque tre differenti livelli di edilizia: a)- il primo livello vede l’adattamento degradato e frazionato delle domus, di cui occorrerà attentamente focalizzare gli ambiti cronologici ed indagare le cause. L’inserimento, provvisorio o stabile, in città Gian Pietro Brogiolo come nei castelli o in alcune proprietà rurali, di gruppi di militari, di alloctoni o di rifugiati, fenomeno che ha peraltro una serie di complesse implicazioni (basti pensare al problema di come le nuove popolazioni barbariche dominanti si siano inserite nelle città e nei territori), se è in grado di spiegare particolari situazioni, difficilmente può essere invocato per giustificare cambiamenti che paiono generalizzati. Analogamente, la concentrazione della proprietà, per cui alcune domus urbane, non utilizzate direttamente dal dominus, potrebbero essere state assegnate a dipendenti, liberi e servi, non giustifica mutamenti così radicali. Così come le suddivisioni della proprietà, per effetto ereditario, che potrebbero aver contribuito a frantumare parcelle catastali originariamente estese, non sono correlabili con l’impiego di una tecnologia rudimentale. b)-il secondo livello, rappresentato dall’edilizia rustica, indizia, in primo luogo, un fenomeno di parcellizzazione proprietaria (occupa infatti porzioni limitate di precedenti domus); ma sottintende anche la presenza in città di un ceto medio che, avendo interamente rinunciato ad ogni orpello decorativo, ha modelli di vita più rudi ed essenziali, del tutto consentanei rispetto a quelli espressi nelle abitazioni dei castra e dei più modesti possedimenti di campagna. Rimane la domanda, che solo ricerche più raffinate potrebbero soddisfare, a quali attività fossero dedite i cittadini che abitavano questi edifici: libera attività artigianale o commerciale o lavori dipendenti dal pubblico o dai magnati? c )-a tramandare un modello classico di vita urbana rimane ormai soltanto quel ristretto ceto sociale che può permettersi, nei possedimenti rurali e in città, residenze auliche ricche di apparati decorativi musivi e a fresco. Grandi proprietari e/o funzionari di alto rango? In altri termini, personaggi che traevano dalle proprie attività produttive il surplus da destinare a questi edifici o che attingevano alle ricche prebende ottenute in virtù di un privilegiato rapporto con il potere? La differente cronologia proposta per l’area lombarda (IVin V secolo, periodo in cui è capitale Milano), rispetto a quella ravennate (V-metà VI, capitale Ravenna) sembrerebbe confortare la seconda ipotesi. Questi tre distinti modelli sono peraltro indizio di una segmentazione ancora articolata della società, in cui è tangibilmente presente un ceto medio produttivo, al quale saranno anche da ascriversi quelle imprese edili in grado di realizzare sia le case di tipo “rustico” che quelle “auliche”, sia l’ancor frequente edilizia pubblica, religiosa e civile. Nell’insieme, l’edilizia, pur fungendo ancora da volano economico, sembra aver ridotto la sua portata economica rispetto ai primi secoli dell’Impero, sia per il minor numero di edifici di pregio sia per il generalizzato reimpiego dei materiali da costru- 81 zione, che, alla lunga, metteranno fuori mercato una serie di attività produttive collegate al ciclo dell’edilizia ( dalle cave di pietra e marmo, alle fornaci per laterizi, all’artigianato specializzato in apparati decorativi), coinvolgendo altresì in una congiuntura negativa l’economia e una parte consistente della società. La continuità di processi produttivi complessi appare riservata ad un’edilizia, privata e pubblica, collegata agli investimenti dell’amministrazione regia e dei personaggi che attorno ad esse ruotavano, i soli in grado di mantenere stili di vita ispirati ai modelli classici, dei quali vi è una diffusa tetstimonianza nelle fonti da Cassiodoro a Venanzio Fortunato. Per gran parte della società, esclusa dalla nicchia di economia protetta nella quale sopravvivevano le élites tardoromane, non fu probabilmente un cambio di mentalità, ma l’esclusione dai sempre più ristretti circuiti del denaro e delle tecnologie specializzate a determinare condizioni di vita così lontane dal modello dell’urbanesimo antico. B - LA PRIMAETÀLONGOBARDA (EX VI-VII SECOLO) Questo periodo è contrassegnato, sul piano urbanistico, da ulteriori profonde trasformazioni: ruralizzazione di alcune aree urbane; abbandono dei piani d’uso di età romana solidamente pavimentati; disuso, nella maggior parte delle città, del sistema idrico e fognario; perdita di funzione di molti degli edifici che imprimevano un’inconfondibile caratterizzazione al paesaggio della città antica, quali luoghi di spettacolo e templi; inserimento in alcuni quartieri dei nuovi gruppi di popolazione alloctona. I nuovi tipi edilizi sono assai precari e la loro origine va indagata, regione per regione, secondo tre possibili quadri interpretativi: a) il riemergere, anche in ambito urbano, di modelli tradizionali, confinati in età romana nelle aree marginali, ma mai abbandonati, quali edifici in terra, a blokhouse, con travi orizzontali appoggiate sul terreno. Edifici che, come mostrano le ricerche etnografiche, sono sopravvissuti, ad esempio nelle regioni alpine o nell’Appennino abruzzese, fino all’età contemporanea. Cosa significa la loro apparizione in area urbana nell’Altomedioevo? Immigrazione di persone o semplicemente di know how? b) l’affermarsi, attraverso l’inserimento delle popolazioni germaniche, di tipi edilizi che non hanno riscontro, in precedenza, nel nostro territorio, come le capanne seminterrate di S. Giulia a Brescia e di Cosa (C ELUZZA, F ENTRESS 1994), o le case in legno del Foro di Luni (WARD PERKINS 1981), per le quali sono stati generalmente richiamati confronti con il Nord Europa (BROGIOLO 1987a). c) l’affermazione, in una condizione economica di sussistenza, di tipi edilizi misti, in cui predomi- 82 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN na il recupero dei materiali e delle strutture, riorganizzati in nuove, seppur precarie, forme abitative, come è ben testimoniato sia dal campione di S. Giulia che di altri siti (BROGIOLO 1993). 6 - edilizia mista di riutilizzo tiva almeno in alcuni quartieri della città, della quale si mantengono l’impianto urbanistico ed i perimetrali degli edifici, come nel caso di via Dante a Verona, sopra accennato. Ma testimonia anche un profondo mutamento nella qualità edilizia. b) riuso dell’edilizia pubblica Con la definizione di “edilizia mista” intendo quella che adotta, nel medesimo edificio, materiali e soluzioni costruttive diverse ed improvvisate (B R O G I O L O 1994b). È tipica delle prime fasi dell’Altomedioevo, quando si poneva il problema di riadattare alle nuove esigenze abitative, e soprattutto alle scarse risorse disponibili, il patrimonio edilizio preesistente ed è da mettere in relazione con un ulteriore e generalizzato impoverimento della vita urbana, percepibile sia nell’edilizia privata dove prosegue il progressivo frazionamento delle unità edilizie private, sia in quella pubblica, dove si verifica un mutamento di funzionalità della maggior parte dei luoghi di spettacolo e di culto pagani. a) il riuso dell’edilizia privata Continua il frazionamento di domus in case terranee per lo più ad un solo vano, con un pavimento in semplice battuto, sul quale viene acceso il focolare, modello abitativo che abbiamo visto caratterizzare la fase precedente. Il campione più significativo è costituito da una decina di edifici della prima età longobarda (ex VIin VII), scavati nell’isolato di S. Giulia a Brescia (BROGIOLO 1991). Hanno dimensioni oscillanti da mq 39 a mq 67 ca. Riutilizzano per alcune pareti le murature romane, conservate parzialmente in alzato, mentre altre sono formate o da ramaglia rivestita d’argilla, fissata a pali verticali poggianti su basi in pietra, o da muratura, ma con legante di argilla. Il colmo del tetto, rivestito per lo più da materiale organico, era sostenuto da pali poggianti su basi in pietra o inseriti nelle murature. In numerose altre città sono state scavate strutture simili, genericamente datate, tuttavia, tra tarda antichità e alto medioevo. A Bergamo, nell’area a nord della biblioteca A. Mai, è stata documentata la continuità funzionale, ancora nel X secolo, dei perimetrali di un edifico romano, pur con livelli pavimentali in semplice battuto, posti a quote di poco superiori rispetto a quelle romane (P OGGIANI K ELLER 1990, p. 161). Situazioni simili sono segnalate ad Aosta insula 35 (MOLLO MEZZEMA 1982, fig. 42 e CANTINO WATAGHIN 1994) e platea forense (MOLLO MEZZEMA1988, p. 93 e CANTINO WATAGHIN 1994) e ad Alba (CANTINO WATAGHIN 1994 ). Numerosi anche gli esempi in Abruzzo: a Truentum, Pescara Bagno Borbonico, Teramo, corso de’ Michetti (STAFFA 1994). Questo modello edilizio è probabilmente il più diffuso. Da un lato è indizio di continuità insedia- La conservazione di edifici pubblici romani in numerose città italiane è dovuta al loro utilizzo improprio nel corso dell’altomedioevo. Templi pagani ed altri edifici pubblici vengono trasformati in chiese. Di particolare rilievo è il riuso di edifici pubblici a scopi abitativi in età longobarda, quando i nuovi arrivati, oltre che a disporsi in posizione strategica presso le porte, vanno ad occupare le zone monumentali (CAGIANO DE AZEVEDO 1974, pp. 312-24): il Capitolium ed il teatro a Brescia, il teatro a Verona, l’anfiteatro a Lucca, il circo a Milano, il capitolium a Bergamo, il teatro a Fiesole, mostrando una ‘percezione limitata della città, il patrimonio fiscale appunto, inteso come sede etnica peculiare e separata dal resto della città’ (LA ROCCA 1989, p. 1005). Non tutti questi edifici vengono trasformati in case di abitazione; alcuni mantengono una destinazione pubblica, ad esempio come carceri sotterranee o come sede della zecca (a Verona, Pavia, Milano). Alcuni scavi urbani hanno indagato compiutamente le trasformazioni di aree pubbliche nel corso dell’alto medioevo. Tra i più significativi quello della crypta Balbi a Roma: nell’area dove insistevano i ruderi dell’antico teatro e della sua cripta, dopo prolungate fasi di degrado e di utilizzo come discarica, viene costruito nel IX secolo un complesso che le fonti più tarde indicano come Castellum aureum, “residenza protetta in possesso di alcuni esponenti delle famiglie nobili romane del tempo” (MANACORDA e al. 1994, p. 640). Di particolare interesse anche l’evoluzione dell’area monumentale di Brescia, dove recentissimi scavi (B ROGIOLO 1996) hanno documentato i processi di trasformazione di cinque strutture peculiari della città romana, collocate tutte in una posizione centrale: un luogo di spettacolo (il Teatro), un luogo di culto (il Capitolium), un impianto termale pubblico, il Foro con le tabernae del lato occidentale, la Basilica. Quattro subirono una progressiva spoliazione tra V e VI secolo e vennero poi occupate dall’insediamento della corte regia; la Basilica, pur partecipando in qualche misura al degrado e pur perdendo successivamente la sua immagine esteriore, nascosta da nuovi volumi addossati alla facciata meridionale, riuscì invece a sopravvivere in alzato sino ai nostri giorni. 7 - Edilizia in legno Il campione più rappresentativo è ancora una volta quello lombardo, costituito da una trentina Gian Pietro Brogiolo di edifici, anche se per almeno la metà di questi non è determinabile con certezza la pianta: Brescia, casa Pallaveri, fase longobarda (ROSSI 198889c; GUGLIELMETTI, ROSSI 1991), Brescia, via Trieste, fine V-VI secolo (R OSSI 1991b), Milano, corso Europa 16, in età altomedievale (C E R E S A MO R I 1986), Milano, Palazzo Reale (JORIO 1990a), Calvatone, in fasi di V-VI (SENA CHIESA 1991), Monza, in età altomedievale (JORIO 1990c, 1991). Incerta è anche la tipologia dei due o tre edifici in legno rinvenuti a Milano, in piazza Duomo (PERRING 1991), in una fase della prima età longobarda. Una base in pietra, un solco di m 6 x 0,60 x una profondità di 0,15, interpretato come impronta di trave orizzontale; fosse per rifiuti domestici; tre buche per palo ‘pertinenti a un tramezzo tra i pavimenti di due stanze’ sono infatti caratteristiche insufficienti per definirne la forma. D’altra parte, anche le abitazioni per le quali sono documentate, se non la pianta completa, almeno le caratteristiche costruttive, rappresentano un campione ancor troppo limitato, perché se ne possa proporre una tipologia con aree di origine e di diffusione. Per alcuni vi sono indubbiamente somiglianze con edifici assai più antichi, addirittura dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro, ma non abbiamo per ora l’attestazione di una continuità di tali modelli nei primi secoli dell’Impero. Ricompaiono in ambito rurale nella tarda antichità (il migliore esempio lo si trova in un insediamento della Carnia, Ibligo Invillino: B IERBRAUER 1987, pp. 312-327) e sono poi attestati per tutto il Medioevo e, in aree marginali, fino ad età moderna. Per altri (capanne seminterrate) sono stati proposti, a partire dal Bognetti (1954), confronti con le abitazioni tipiche delle popolazioni germaniche. a) capanne con pali infissi nel terreno Ridotte dimensioni (rispettivamente m 3.80 x 3 e 2,5 x 2,5), struttura portante costituita da pali verticali, piano interno seminterrato ( da 0.40 a 0.15 la prima, 0,80 la seconda), probabile pavimentazione lignea, pareti di ramaglia rivestita da argilla, cronologia tra fine VI e metà VII, sono le caratteristiche delle due capanne venute alla luce nel 1986 nel cortile di sud-ovest di S. Giulia (BROGIOLO 1991, 1993). Il confronto più calzante è con strutture scavate oltralpe; quello più significativo è con le capanne della Transilvania abitate dai Longobardi e dai Gepidi prima della loro immigrazione in Italia (BONA 1976, p. 30). Pali portanti verticali, infissi nel terreno, pareti probabilmente lignee appoggiate su muretti a secco sono le peculiarità di una terza capanna, posta lungo la strada di un isolato adiacente a quello di S. Giulia. È stata costruita su una massicciata di pietre, direttamente sui crolli delle murature romane. Una staccionata lignea, anco- 83 rata a pali verticali, lungo il bordo della strada, chiudeva il sedimen (BROGIOLO 1993). Strutture con pali portanti infissi, ma senza una pianta completa sono state documentate a Mantova, in adiacenza al Battistero paleocristiano, in una fase con ceramica longobarda (BROGIOLO 1987b) e in via Tazzoli 19, in una fase tardoanticaaltomedievale indeterminata (ATTENE F RANCHINI e al. 1986). Quest’ultima struttura, parzialmente conservata, pur essendo di incerta interpretazione (un grande silos o una capanna seminterrata?), è interessante in quanto si è conservata parte dell’argilla che rivestiva la ramaglia fissata a travetti verticali e addossata ad un drenaggio realizzato controterra, costituito da pietre e laterizi in matrice limosabbiosa. Capanne seminterrate sono state scavate anche a Cosa, trasformata nel VI in un insediamento fortificato bizantino, denominato Ansedonia; una, nei pressi del Foro misurava m 4,5 x 4 ed aveva probabilmente uno zoccolo in pietra. Un’altra di m 4,5 x 10 “conservava tracce di strutture in legno” (CELUZZA, FENTRESS 1995, p. 602). Ad Asti (CROSETTO 1993b; C ANTINO WATAGHIN 1994; C ROSETTO 1995), città ubicata in posizione strategica sulla strada da Pavia al regno dei Franchi (re Pertarito vi fa tappa, durante la sua fuga verso il paese dei Franchi (H.L.,V,2); Grimoaldo sconfigge i Franchi, non lontano dalle mura della città (H.L.,V,5); fu sede di uno dei ducati più importanti del regno longobardo affidato a Gundualdo, fratello della regina Teodolinda (H.L., IV, 40), l’insediamento altomedievale è concentrato presso le porte, ai lati della strada principale che l’attraversa in direzione est-ovest. Il palazzo ducale è presso la porta orientale. Recenti scavi hanno posto in luce, al di sopra delle strutture romane precocemente abbandonate e spoliate per tutto l’alto medioevo, edifici in legno con buche di palo. Solo dall’XI secolo vi è una ripresa edilizia con case in muratura, che riusano materiali più antichi di spoglio. Altre case di legno sono segnalate a Pescara, nell’area del Bagno Borbonico e in piazza Unione (STAFFA 1994). La prima forse delimitata da tavole di legno fissate a montanti verticali; la seconda con struttura portante a pali e pareti a graticcio. b) case con alzato ligneo su zoccolo in muratura Si tratta di un tipo edilizio che si incontra spesso nella letteratura archeologica, più sotto la forma di ipotesi che di certezza. È infatti generalmente difficile stabilire se le murature, pur di tenue spessore, legate con terra o con argilla giungessero fino all’imposta del tetto o se invece costituissero dei basamenti su cui alloggiare travi orizzontali, ai quali era poi ancorato un alzato ligneo. Si è ipotizzata una struttura di tal fatta anche in alcune case a tecnica mista (supra). A Castelseprio sono state messe in luce, lungo 84 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN una strada con pavimentazione in ciottoli e frammenti di laterizi, case terranee con murature legate da malta povera e argilla e un edificio con pali portanti angolari appoggiati su basi in pietra e pareti probabilmente lignee su zoccoli di muratura (D ABROWSKA e al. 1978-79, pp. 75-79; cfr. anche CAGIANO DE AZEVEDO 1973, 1974). Ad Aosta, nella zona del Foro, un edificio seminterrato con pareti lignee su muretti a secco (VI-X sec.) occupa la sede stradale ed ha orientamento divergente rispetto alle strutture romane (MOLLO MEZZEMA 1988; C ANTINO WATAGHIN 1994, p. 90). Anche a Torino, presso la Porta Palatina, sono stati scavati due edifici a pianta rettangolare con probabile alzato ligneo su muretti a secco e pali interni a sostegno del tetto; il pavimento è in un caso in battuto, in un altro in legno (FILIPPI, PEJRANI, SUBRIZIO 1993; CANTINO WATAGHIN 1994, p. 90). Struttura più complessa hanno le due case di VI secolo avanzato scavate nell’area del Foro di Luni, ormai divenuto periferico rispetto al nuovo centro posto presso la cattedrale. I muretti perimetrali, costruiti con materiale di recupero legato con argilla, sono affiancati, all’esterno, da pali infissi nel terreno con funzione di sostegno laterale del tetto, mentre il colmo era appoggiato su pali disposti lungo l’asse. L’interno è poi suddiviso in due distinti ambienti, con successivi pavimenti di argilla: uno, caratterizzato dalla presenza di un focolare, aveva funzione abitativa; l’altro era probabilmente destinato a magazziono e ricovero per animali (WARD PERKINS 1981, CAGNANA 1994). Non va dimenticato peraltro che sopravvivevano ancora, in questa fase e per gran parte dell’Altomedioevo, numerosissimi luoghi di culto paleocristiani e molti palazzi pubblici (W A R D P E R K I N S 1984), la cui manutenzione richiedeva maestranze specializzate. La difficoltà di intraprendere tali attività di restauro traspare peraltro da una lettera di Gregorio Magno, costretto a chiedere al duca di Benevento le travi necessarie per riparare il tetto della basilica di S. Pietro. Ed anche a Roma, dove la documentazione delle attività edilizie promosse dal Papa non ha soluzioni di continuità, scarse sono in questo periodo le attestazioni di interventi di restauro (DELOGU 1988). CONCLUSIONI L’incidenza economica di questa edilizia specializzata di tradizione romana, giudicata in termini quantitativi, non pare pertanto avere avuto un particolare rilievo tra fine VI e metà del VII secolo. La quasi totalità dell’edilizia abitativa richiedeva infatti conoscenze tecnologiche elementari, tutte attivabili nell’ambito familiare: materiali lapidei e laterizi di spoglio, argilla in sostituzione della malta, legno e paglia anziché tegole o pareti di muratura, piani d’uso costituiti da semplici battuti. L’attrezzatura necessaria per recuperare tali materiali era perciò ridotta ad un’ascia e ad una vanga; quella per metterla in opera ad una mazza e ad una cazzuola. La tecnologia del legno, che non sempre potrà essere considerata inferiore a quella in muratura (MANNONI 1989), indica tuttavia (BROGIOLO 1994) una limitazione delle diverse specializzazioni artigianali, necessarie per la costruzione di un edificio tecnologicamente più complesso. Il quadro che emerge da questi dati è certo suscettibile di ulteriori precisazioni, mano a mano che i risultati degli scavi archeologici verranno pubblicati. È soprattutto da confermare l’esclusiva attestazione, in area longobarda, di edilizia tecnologicamente povera. La linea di tendenza emersa da quindici anni di scavi stratigrafici non potrà essere ribaltata, anche se va mitigata da quanto ci dicono le fonti scritte, in particolare per il VII secolo, i capp. 144 e 145 dell’editto di Rotari, dedicati ai magistri commacini. Capomastri che operavano o con imprese proprie (cum collegantes suos: cap. 144) o con manodopera servile fornita dalla committenza (ad opera dictandum aut solatium diur num prestandum inter servus suos: cap. 145). Questi edifici dovevano peraltro essere assai rari e riservati ad una committenza ristretta, se finora l’archeologia non ne ha messo in luce neppure uno databile al VII secolo. La lacuna archeologica trova riscontro nel silenzio pressoché totale delle fonti, dalla fine del VI sino alla metà del VII secolo, circa la costruzione di nuovi edifici pubblici o di culto, sia per l’area longobarda che per quella bizantina (WARD P ERKINS 1984; DELOGU 1988, fig. 1). La segmentazione in tre livelli dell’edilizia dell’età gota, che, pur con tutti i problemi di interpretazione cui si è accennato, si può far corrispondere a differenti condizioni sociali, sembra dunque ulteriormente ridursi, nella prima età longobarda, a due soltanto. Uno di relativa buona qualità, noto dalle fonti scritte come opera romanense e documentato da numerosi edifici, per lo più religiosi, a partire dal secolo successivo, può avvalersi ancora dell’esperienza di maestranze, all’interno delle quali sopravvivono alcune specializzazioni. In questa attività edilizia, riservata ad una committenza elitaria, pubblica (regia e ducale) ed ecclesiastica (monasteri ed episcopi), giungono a compimento processi già avvertibili nella tarda antichità ed in particolare per l’età gota. Controllata da chi detiene il potere, non dipende probabilmente più da surplus di ricchezza accumulata e riversata in città attraverso attività economiche private. Al contrario la capillare diffusione dell’edilizia povera in età altomedievale non ha trovato per ora un’esauriente spiegazione. L’interpretazione in Gian Pietro Brogiolo chiave ideologica, come adesione spontanea ai nuovi modelli abitativi (LA ROCCA HUDSON 1986; C A R V E R 1993), non riesce a conciliare evidenze contradittorie. Da un lato, appare chiaro, dalla continuità nell’utilizzo dei simboli e delle sedi del potere, che nell’ideologia dei ceti dominanti, non è mai venuta meno l’ambizione di vivere secondo uno stile di vita proprio dell’urbanesimo classico. Certo per questa affermazione ci dobbiamo basare su quanto dicono le fonti scritte e manca un’esauriente verifica archeologica che potrebbe mitigare questa conclusione. Dall’altro, nell’esplosione di edilizia povera, sembra confermarsi una netta divaricazione tra classi subalterne e classe dominante, i cui modelli architettonici non costituivano più, come generalmente avviene in società complesse, un modello da imitare. L’involuzione verso produzioni scarsamente specializzate, osservabile, nell’Italia settentrionale, non solo nell’edilizia ma anche nelle ceramiche, va probabilmente messa in relazione con processi di semplificazione e radicalizzazione della società. Tra i motivi che possono averla determinata, il venir meno di quella classe sociale composita e vitale, formata in primo luogo da proprietari terrieri inurbati, ma anche da artigiani e commercianti che costituivano la ricchezza sociale ed economica delle città in età romana; la frammentazione dei territori delle città con l’emergere dei castelli con propria giurisdizione che spostano investimenti dalla città ai centri minori; la diffusione nel territorio di gruppi longobardi più o meno militarizzati, con un modello di vita assai lontano da quello dell’urbanesimo classico che investono il loro denaro più nei ricchi corredi funerari che nelle residenze di qualità; il traferirsi dei modelli di vita classica dal mondo reale a quello dell’immaginario. La conseguenza di questa crisi fu la perdita di quei saperi tecnologici che garantivano la capilla- 85 re diffusione delle tecnologie edilizie di qualità. E la scomparsa di quei ceti artigianali legati al ciclo edilizio complesso. L’urbanesimo altomedievale, in ripresa dalla fine del VII e soprattuto nell’VIII secolo, ha caratteristiche diverse rispetto a quello antico. Le nuove élites culturali ed economiche sono in grado di convogliare in città il surplus delle produzioni delle loro proprietà rurali, innescando processi di scambio (si veda l’allusione nel Versus di Milano alla ricchezza di prodotti alimentari disponibili sulla piazza milanese) e la formazione di nuovi “ceti medi” di funzionari, artigiani e commercianti. Questi non sembrano tuttavia ricercare, in città come nel territorio, un’edilizia di media qualità, quale quella sopravvissuta fino al VI secolo. Perché un basso reddito non consentiva loro di accedere alle maestranze specializzate? O per una scelta ideologica, in quanto si sentivano ormai estranei ai modelli culturali della classicità che pur permanevano ancora assai vivi nei ceti dominanti, laici ed ecclesiastici, dell’VIII secolo? La parallela scomparsa delle ceramiche di pregio, indicando un medesimo mutamento di gusti e di mentalità, potrebbe dar credito a quest’ultima ipotesi. Ma va segnalato anche il fatto che il surplus prodotto direttamente o drenato dalle élites viene largamente destinato alle costruzioni pubbliche di qualità: ai palazzi e ai luoghi di culto, dei quali l’archeologia, anche recentemente, ha messo in luce testimonianze importanti in molte regioni italiane (dalla cappella palatina di Arechi II a Salerno, al monastero di S. Vincenzo al Volturno, a quello di S. Salvatore a Brescia). Più che una libera adesione ad un’ideologia, potrebbe trattarsi di un ferreo controllo delle produzioni da parte delle élites. La spiegazione socioeconomica sarebbe in questo caso prevalente su quella ideologica. Gian Pietro Brogiolo 87 BIBLIOGRAFIA AA.VV. 1990, Milano capitale dell’impero romano (286-402 d.C.), Milano. AGNELLUS=Agnellus. Liber pontificalis ecclesiae ravennatis, a cura di O. HOLDER HEGGER, MGH, Scriptores rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannover, 1878. E.A. ARSLAN, D. CAPORUSSO 1991, I rinvenimenti archeologi ci degli scavi MM3 nel contesto storico di Milano, in CAPORUSSO1991, pp. 351-358. S. ATTENE FRANCHINI, G.P. BROGIOLO, G.P. RODIGHIERO 1986, Mantova. Via E. Tazzoli 19. Saggi di scavo presso la cinta muraria, pp. 136-138. A. AUGENTI1994, Il Palatino nell’alto Medioevo, in FRANCOVICH-NOYÉ 1994, pp. 659-691. G.P. BROGIOLO (a cura di) 1996b, La fine delle ville romane: tra sformazioni nelle campagne tra tarda antichità e alto medioevo, Mantova. G.P. BROGIOLO, S. GELICHI 1996 (a cura di), Le ceramiche altomedievali (VI-X secolo) in Italia settentrionale: produzioni e commerci, Atti del 6° seminario sull’Italia centrosettentrionale tra Tarda Antichità e Altomedioevo, (Monte Barro, 21-22 aprile 1995), Mantova. M. CAGIANO DE AZEVEDO 1973, La casa longobarda: proble mi e quesiti, “R.G.S.A.”, 1973, n. 119, pp. 11-14. M. CAGIANO DE AZEVEDO 1974, Esistono una architettura e un’urbanistica longobarde?, in La civiltà dei Longo bardi in Europa, (Atti del convegno internazionale, Roma-Cividale 1971), Roma, pp. 289-329. G. BERMOND MONTANARI 1972, S. Maria di Palazzolo (Ravenna), “Arheoloski Vestnik”, XXIII, pp.212-217. A. CAGNANA1994, Archeologia della produzione fra tardo-anti co e altomedioevo: le tecniche murarie e l’organizzazio ne dei cantieri, in BROGIOLO 1994a, pp. 39-52. V. BIERBRAUER 1987, Invillino-Ibligo in Friaul I. Die römische siedlung und das spätantik-frümittelalterliche castrum, München. G. CANTINO WATAGHIN 1994, L’edilizia abitativa tardoantica e altomedievale nell’Italia nord-occidentale. Status quaestionis, in BROGIOLO 1994a, pp. 89-102. G.P. BOGNETTI 1954, Milano longobarda, in AA.VV., Storia di Milano, Milano, II, pp. 57-segg. M. CATARSI DALL’AGLIO 1994, Edilizia fra tardoantico e alto medioevo. L’esempio dell’Emilia occidentale, in BROGIOLO 1994a, pp. 149-156. M. BOLLA 1996, Le necropoli delle ville romane di Desenzano e Sirmione, in BROGIOLO 1996b, pp. 51-70. I. BONA 1976, The dawn of the dark ages. The Gepids and Lom bards in the Carpathian basin, Londra. A. BREDA 1995, relazione al convegno “La fine delle ville romane”, Gardone Riviera 1995. G.P. BROGIOLO 1987a, A proposito dell’organizzazione urbana nell’altomedioevo, “Arch. Med.”, XIV, pp. 27-46. G.P. BROGIOLO 1987b, Mantova, Seminario diocesano , “NSAL”, pp. 128-131. G.P. BROGIOLO 1988, Gli scavi di via Alberto Mario, in G. PANAZZA, G.P. BROGIOLO, Ricerche su Brescia altomedievale, Brescia, I. G.P. BROGIOLO 1989, Brescia: Building transformations in a Lombard city, in RANDSBORG 1989, pp. 156-165. G.P. BROGIOLO 1991, Trasformazioni urbanistiche nella Bre scia longobarda. Dalle capanne in legno al monastero regio di San Salvatore,G.C. in MENIS ( a cura di), Ita lia longobarda, Venezia, pp. 101-128. G.P. BROGIOLO 1993, Brescia altomedievale. Urbanistica ed edlizia dal IV al IX secolo, Mantova. G.P. BROGIOLO 1994a (a cura di), Edilizia abitativa altomedie vale in Italia centrosettentrionale, Atti del 4° seminario sull’Italia centrosettentrionale tra Tarda Antichità e Altomedioevo, (Monte Barro , 2-4 settembre 1993), Mantova. G.P. BROGIOLO 1994b, L’edilizia residenziale tra V e VIII seco lo: una introduzione, in BROGIOLO 1994a, pp. 7-13. G.P. BROGIOLO 1994c, Società ed economia dei castelli tardoantichi: un modello archeologico, Atti seminario di Regensburg 19-20 ott. 1993, “Arheoloski Vestnik”, 45, pp. 187-192. G.P. BROGIOLO 1996a, Considerazioni sulle sequenze altome dievali nella zona monumentale della città romana, in ROSSI 1996a, pp. 257-263. D. CAPORUSSO 1991 (a cura di), Scavi MM3. Ricerche di archeo logia urbana a Milano durante la costruzione della linea 3 della Metropolitana 1982-1990, Milano 1991. M.O.H. CARVER 1993, Arguments in stones. Archaeological Research and the European Town in the First Millen nium, Oxford. E. CAVADA, G. CIURLETTI 1986, Il teritorio trentino nel primo Medioevo. Gli uomini e la cultura materiale alla luce delle nuove acquisizioni archeologiche, Congr. La regione Trentino-Alto Adige nel Medioevo, Atti Accademia roveretana degli agiati, 235 (1985), s. VI, vol. 25, f. A., pp. 71-106. M.G. CELUZZA, L. FENTRESS 1994, La Toscana centro-meri dionale: i casi di Cosa-Ansedonia e Roselle, in FRANCOVICH-NOYÉ 1994, pp. 601-613. A. CERESA MORI 1986, Milano. Corso Europa 16. Sondaggio nell’area delle terme di Massimiano, “NSAL”, pp. 148-149. A. CERESA MORI, C. PAGANI, N. WHITE 1991, Milano. Via Gorani 4. Sondaggi, “NSAL”, pp. 117-120. G. CIAMPOLTRINI 1994, Città “frammentate” e città fortezza. Storie urbane della Toscana centro-settentrionale fra Teodosio e Carlo Magno, in FRANCOVICH-NOYÉ 1994, pp. 615-633. S. GIGLENEC̆KI 1987, Höhenbefestigungen aus der zeit vom 3. bis 6. jh. im Ostalpenraum, “Academia scientiarum et artium slovenica, classis I: historica et sociologica”, 31/ inst. archaeologicum 15, Lubiana. A. CROSETTO 1993, Indagini archeologiche nel medioevo asti giano. 1: il cimitero di S. Secondo, “Quad.A.Piem.”, 11, pp. 145-168. A. CROSETTO 1995, relazione presentata al convegno “Scavi medievali in Italia. 1994-95”, Cassino 1995. M. DABROWSKA, L. LECIEJEWICZ, E. TABACZYNSKA, S. TABACZYNSKI S. 1978-79, Castelseprio. Scavi dia gnostici 1962-63, “Sibrium”, XIV, pp. 1-137. 88 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN P. DELOGU1988, The rebirth of Rome in the 8th and 9th centu ries, in R. HODGES, B. HOBLEY, The rebirth of towns in the West. AD 700-1050, (Research Report 68), Londra, pp.32-42. F. FILIPPI, L. PEJRANI, M. SUBRIZIO 1993, Torino, via Basili ca angolo via Conte Verde. Indagine archeologica, “Quad.A.Piem.”, 11, pp. 291-293. M. FORTUNATI ZUCCALA 1990a, Bergamo. Piazza Rosate e piazzetta Terzi. Aree pluristratificate, “NSAL”, pp. 142-43. M. FORTUNATI ZUCCALA 1990b, Bergamo. Via Solata 8. Area pluristratificata con domus romana, “NSAL”, pp. 148150. R. FRANCOVICH, G. NOYÉ 1994, La storia dell’alto medioevo italiano alla luce dell’archeologia , Atti convegno internaz., Siena 2-6 dicembre 1992, Firenze. S. GELICHI 1994, La città in Emilia-Romagna tra tardo-antico ed alto-medioevo, in FRANCOVICH-NOYÉ 1994, pp. 567-600. A. GUGLIELMETTI, F. ROSSI 1991, Brescia. Via Musei, Casa Pallaveri. Lavori di ristrutturazione progetto F.I.O. “Museo della città”, pp. 89-90. P. HUDSON 1989, Contributi archeologici alla storia dell’inse diamento urbano veneto, in A. CASTAGNETTI E G.M. VARANINI (a cura di), Il Veneto nel Medioevo. Dalla ‘Venetia’ alla marca veronese, Verona,1989, I, pp. 329-348. S. JORIO 1990a, Milano. Palazzo Reale. Scavo nel cortile princi pale: lotto intermedio, “NSAL”, pp. 193-195. S. JORIO 1990b, Monza (Mi). Via Lambro e piazzetta Motta. Saggi di scavo, “NSAL”, pp. 106-108. S. JORIO 1990c, Monza (MI). Scavo nell’area del nuovo centro parrocchiale, “NSAL”, pp. 105. S. JORIO 1991, Monza (MI). Via Lambro e piazzetta Motta. Scavo per l’ampliamento del Museo del Duomo, “NSAL”, pp. 55-58. C. LA ROCCA HUDSON 1986, Dark ages a Verona: edilizia pri vata, aree aperte e strutture pubbliche in una città dell’Italia settentrionale, “Arch. Med.”, XIII (1986). C. LA ROCCA 1989, Trasformazioni della città altomedievale in “Langobardia”, “Studi storici”, n. 4, pp. 993-1011. S. LUSUARDI SIENA 1984, Sulle tracce della presenza gota in Italia: il contributo delle fonti archeologiche, in G. PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), Magistra bar baritas. I Barbari in Italia, Milano, pp. 509-558. S. LUSUARDI SIENA 1990, Il palazzo imperiale, in AA.VV. 1990, p. 99. M.G. MAIOLI 1988, Galeata, il palazzo di Teodorico e Ravenna; il palazzo teodoriciano di Palazzolo, in L. PRATI (a cura di), Flumen aquaeductus. Nuove scoperte archeo logiche dagli scavi per l’acquedotto della Romagna, Bologna, pp. 56-58 e 90-93. G. MASSARI, E. ROFFIA, M. BOLLA, D. CAPORUSSO 1985, La villa tardoromana di Palazzo Pignano , in G. PONTIROLI (a cura di), Cremona romana, Atti congr. storico-archeologico per il 2200° anno di fondazione di Cremona (Cremona 1982),” Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di Cremona”, XXXV, pp. 185-259. R. MOLLO MEZZEMA 1988, La stratificazione archeologica di Augusta Praetoria , in Archeologia stratigrafica dell’Italia settentrionale, Como, pp. 74-100. J. ORTALLI 1991, L’edilizia abitativa, in AA.VV., Storia di Ravenna. II dall’età bizantina all’età ottoniana, pp. 167-192. J. ORTALLI 1996, La fine delle ville romane: esperienze locali e problemi regionali, in BROGIOLO 1996b pp. 9-20 P.D., H.L.=Pauli Diaconi, Historia Langobardorum, MGH, Scrip tores rerum langobardicarum et italicarum saec. VIIX, a cura di G. Waitz, Hannover, 1878. D. PERRING 1991, Lo scavo di piazza Duomo: età romana e alto medievale, in CAPORUSSO 1991, pp. 105-161. R. POGGIANI KELLER 1990, Area a nord della Biblioteca Civi ca A. Mai, in AA.VV. 1990, p. 161. K. RANDSBORG (a cura di) 1989, The Birth of Europe. Archaelo gical and social development in the first millennium A.D., Analecta instituti Danici Supplementum XVI, Roma. E. ROFFIA 1996, Considerazioni sulle fasi più tarde dell’ “Grotte di Catullo” a Sirmione, in BROGIOLO 1996b, pp. 43-49. F. ROSSI 1987a, Nuvolento (Brescia). Insediamento rustico di età romana, “NSAL”, pp. 51-54. F. ROSSI 1987b, Pontevico (Brescia), Località Madonna di Ripa d’Oglio. Sondaggio, “NSAL”, pp. 55-58. F. ROSSI 1988-89a, Brescia Vicolo settentrionale 15, Rinveni mento di ‘domus’ romana, “NSAL”, pp. 255-257. F. ROSSI 1988-89b, Desenzano (BS). Villa romana. Nuovi son daggi, “NSAL”, pp. 93-95. F. ROSSI 1988-89c, Brescia Via Musei. Casa Pallaveri, “NSAL”, pp. 249-252. F. ROSSI 1991, Brescia. Centro storico. Indagine archeologica effettuata nel corso dei lavori Sip, “NSAL”, pp. 78-84. F. ROSSI 1991b, Brescia, via Trieste (area ex Hotel Gallo). Son daggio, “NSAL”, pp. 96-97. F. ROSSI 1996a (a cura di), Carta archeologica della Lombardia. V Brescia. La città, Voll. I-II, Modena. F. ROSSI 1996b, I casi di Pontevico, Nuvolento e Breno, in BROGIOLO 1996b pp. 35-41. D. SCAGLIARINI CORLAITA 1990a, Le grandi ville di età tardoantica, in AA.VV. 1990, pp. 257-58. D. SCAGLIARINI CORLAITA 1990b, La villa di Desenzano, in AA.VV. 1990, pp. 260-62. M.G. MAIOLI 1994, Ravenna e la Romagna in epoca gota, in AA.VV., I Goti, Milano, pp. 232-251. G. SENA CHIESA 1991, Calvatone (CR). Località Costa di S. Andrea. Vicus di età romana: area di proprietà pro vinciale, “NSAL”, pp. 45-48. D. MANACORDA, F. MARAZZI, E. ZANNINI 1994, Sul paesag gio urbano di Roma nell’Alto Medioevo, in FRANCOVICH, NOYÉ 1994, pp. 635-657. A. STAFFA 1994, Forme di abitato altomedievale in Abruzzo. Un approccio etnoarcheologico, in BROGIOLO 1994a, pp. 67-88. T. MANNONI 1989, General Remarks on the Changes in Techni ques Observables in the Material Culture of the first Millennium A.D. in North-West Italy , in RANDSBORG 1989, pp. 152-155. B. WARD PERKINS 1981, Two Byzantines Houses at Luni, “P.B.S.Rome”, XLIX, pp. 91-98. B. WARD PERKINS 1984, From classical Antiquity to the Midd le Ages. Urban public building in northern and central Italy, AD 300-850, Oxford.