antonio uckmar victor uckmar cesare glendi andrea
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21-09-2006 8:56 Pagina 1 Contiene I.R. Contiene I.P. ISSN 0012-3447 LUGLIO - AGOSTO € 49,00 A.V. UCKMAR - DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA - Vol. LXXVII - N. 4 COP DPT4-2006 PUBBLICAZIONE BIMESTRALE Vol. LXXVII - N. 4 FONDATORE ANTONIO UCKMAR DIRETTORE VICTOR UCKMAR UNIVERSITÀ DI GENOVA DIRETTORE RESPONSABILE CESARE GLENDI UNIVERSITÀ DI PARMA COMITATO DI DIREZIONE ANDREA AMATUCCI MASSIMO BASILAVECCHIA PIERA FILIPPI UNIVERSITÀ FEDERICO II DI NAPOLI UNIVERSITÀ DI TERAMO UNIVERSITÀ DI BOLOGNA FRANCO GALLO UNIVERSITÀ LUISS DI ANTONIO LOVISOLO ROMA UNIVERSITÀ DI GIANNI MARONGIU UNIVERSITÀ DI CORRADO MAGNANI GENOVA UNIVERSITÀ DI GENOVA DARIO STEVANATO GENOVA UNIVERSITÀ DI TRIESTE CEDAM CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI ATTENZIONE! IN CASO DI MANCATO RECAPITO, RINVIARE ALL’UFFICIO DI BOLOGNA C.M.P. PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE, CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA TARIFFA DOVUTA 2006 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna UCKMAR TAX DIGEST È il sito di Diritto e Pratica Tributaria, presente in Internet dal 1995, all’indirizzo della rete web www.uckmar.com Oltre alle anticipazioni sul contenuto dei numeri della Rivista, sono disponibili commenti d’autore su temi di attualità, il calendario dei convegni in ambito nazionale ed internazionale, una rubrica con le nuove pubblicazioni degne di nota. Agli abbonati di Diritto e Pratica Tributaria è gratuitamente riservato l’accesso alle tre banche dati di fiscalità internazionale, di giurisprudenza e di dottrina i cui contenuti sono tratti da documenti risultanti al 1990 di Diritto e Pratica Tributaria, recentemente potenziate da un nuovo motore di ricerca. Sul sito è presente inoltre un servizio di risposte ai quesiti, di particolare utilità per la soluzione delle problematiche operative che il professionista deve quotidianamente affrontare. Gli abbonati interessati sono invitati a compilare il sottostante coupon, e inviarlo alla redazione (per posta via Bacigalupo, 4/15 - 16122 Genova, per fax al n. 010/812656 o per e-mail [email protected]) Cognome e nome Ragione sociale Indirizzo via tel. fax e-mail Settore di attività città c.a.p. UNA INTERA BIBLIOTECA AL SERVIZIO DEGLI ABBONATI Ai sig.ri Abbonati sono fornite, dietro rimborso delle spese (€ 0,15 per pagina più spese postali), xero-copie degli scritti indicati nel « Bollettino bibliografico » e delle motivazioni delle decisioni delle quali è riportata la massima nel « Massimario di giurisprudenza ». La richiesta deve essere indirizzata alla direzione della Rivista, via Bacigalupo, 4/15 - 16122 Genova (tel. 010-8318871 m. linee - fax 010-81.26.56). 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MITTENTE SCRIVERE POSSIBILMENTE IN STAMPATELLO Nome Via ..................................................................................................................... ......................................................................................................................... Cap .............................. città .................................... Prov. .................................. Per cortesia, in caso di richiesta di fattura indicare la PARTITA IVA ............................................................................................................................... ✂ SOMMARIO PARTE PRIMA Circolari e risoluzioni ministeriali (a cura degli avv. S. Armella e F. Balzani) Dottrina BIONDO P., La nuova giurisdizione delle commissioni tributarie . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 745 GIORGETTI M.C., Profili dell’espropriazione forzata tributaria . » 777 MARCHESELLI A., Contraddittorio e parità delle armi per un «giusto processo» tributario . » 695 PROCOPIO M., Le riserve sinistri delle imprese di assicurazione: funzione sociale e regime civilistico e tributario . . . . . . . . ACCERTAMENTO Accertamento - Studi di settore evoluti - Ambito di applicazione - Correttivi non automatici Asseverazione dei dati - Indici di coerenza - (Circolare 23 del 22 giugno 2006) . . . . . . . Pag. 829 AGEVOLAZIONI » 671 Agevolazioni - Mutui concessi dall’Inail - Imposta sostitutiva - Errata applicazione - Somme corrisposte indebitamente - Rimborso - Modalità (Risoluzione 85 del 12 luglio 2006) . . . . » 829 Dazi doganali - Tenaglia per suggelli - Smarrimento - Segnalazione (Circolare 21 del 6 giugno 2006). . . . . . . . . . . » 829 Dazi doganali - Timbro personalizzato - Furto - Segnalazione (Circolare 22 del 6 giugno 2006) . . . . . . . . . . . . . » 829 Rassegna di legislazione (a cura dell’avv. C. Minetti) DAZI DOGANALI (G.U. 1° giugno 2006 - 31 luglio 2006) . . . . . . . . . . . . . » 809 Novità legislative (a cura del prof. F. Tundo, avv. L.G. Mottura e dott. M. Serra) . . . . . . . . . . . . . » 819 Dazi doganali - Timbro personalizzato - Smarrimento - Segnalazione (Circolare 23 del 6 giugno 2006). . . . . . . . . . . Pag. 829 Dazi doganali - Prodotti alcolici Contrassegni di Stato - Errata applicazione - Segnalazione (Circolare 24 del 7 giugno 2006) . . . . . . . . . . . . . Dazi doganali - Pinza metallica suggellatrice - Furto - Segnalazione (Circolare 25 del 8 giugno 2006). . . . . . . . . . . Dazi doganali - Timbro personalizzato - Smarrimento - Segnalazione (Circolare 26 del 22 giugno 2006) . . . . . . . . . Dazi doganali - Documento amministrativo di accompagnamento - Smarrimento - Segnalazione (Circolare 27 del 27 giugno 2006) . . . . . . . . . » » » » 830 IRAP 830 Irap - Ricerca e sviluppo - Personale addetto - Costi - Deduzione - Interpello (Risoluzione 82 del 16 giugno 2006) . . . . . » 831 Irap - Base imponibile - Deduzione per incrementi occupazionali - Determinazione - Risposte ai quesiti (Circolare 26 del 12 luglio 2006) . . . . . . . . » 831 Persone fisiche - Reddito di lavoro - Dipendenti pubblici - Buoni pasto - Ritenuta - Applicazione - Chiarimenti (Circolare 24 del 24 maggio 2006) . . . » 831 Persone fisiche - Reddito di lavoro - Commercialista - Acquisto - Banca dati su supporto informatico - Spese - Deduzione - Interpello (Risoluzione 72 del 25 maggio 2006). . . . . . . . . » 831 Persone fisiche - Contratti di lavoro autonomo - Sportivi non residenti - Compensi - Ritenuta d’acconto - Interpello (Risoluzione 79 del 16 giugno 2006) . . . . . . . . . . . . . » 831 Persone fisiche - Istituti di previdenza - Pensioni integrative Erogazione - Ritenuta - Base imponibile - Riduzione all’87,5 per cento - Applicabilità - Chiarimenti (Circolare 25 del 26 giugno 2006) . . . . . . . . . » 831 830 830 IMPOSTE DIRETTE Imposte dirette - Reddito d’impresa - Attività di allevamento - Proventi - Determinazione (Circolare 19 del 13 giugno 2006) . . . . . . . . . . . . . Imposte dirette - Onlus - Enti di diritto straniero - Riconoscimento - Possibilità - Condizioni (Circolare 24 del 26 giugno 2006) . . . . . . . . . . . . . Imposte dirette - Royalties - Brevetti informatici - Licenze di utilizzo - Società intermediaria straniera - Ritenuta (Risoluzione 86 del 12 luglio 2006) . . IMPOSTE E TASSE VARIE Imposte e tasse varie - Personal » » » computer - Cessione ai dipendenti - Vendita a catena - Applicazione dell’Iva - Onlus Erogazioni liberali - Chiarimenti (Circolare 20 del 13 giugno 2006). . . . . . . . . . . Pag. 830 830 830 830 PERSONE FISICHE (Imposta sul reddito delle) Persone fisiche - Dipendenti Inail - Pensione integrativa - Ritenuta - Base imponibile - Determinazione - Interpello (Risoluzione 90 del 12 luglio 2006) . . Pag. 831 Persone fisiche - Agenti di commercio - Provvigioni attive e passive - Esercizio di competenza (Risoluzione 91 del 12 luglio 2006). . . . . . . . . . . » 831 PERSONE GIURIDICHE (Imposta sul reddito delle) Persone giuridiche - Beni d’impresa - Rivalutazione - Ambito d’applicazione - Modalità - Effetti - Imposta sostitutiva - Chiarimenti (Circolare 18 del 13 giugno 2006) . . . . . . . . . . . » 832 Persone giuridiche - Operazioni di dividend washing - Norma antielusiva - Decorrenza - Modalità di applicazione - Chiarimenti (Circolare 21 del 14 giugno 2006). . . . . . . . . . . » 832 RISCOSSIONE Riscossione - Veicoli sequestrati o confiscati - Acquisto da parte dei custodi - Prezzo - Versamento - Istituzione codice tributo (Risoluzione 74 del 25 maggio 2006). . . . . . . . . Pag. 832 Riscossione - Terreni edificabili partecipazioni - Rivalutazione Imposta sostitutiva - Versamento - Istituzione codice tributo (Risoluzione 75 del 25 maggio 2006). . . . . . . . . » 832 Riscossione - Agevolazioni - Crediti d’imposta - Utilizzazione indebita - Recupero - Versamento - Istituzione codice tributo (Risoluzione 76 del 13 giugno 2006) . . . . . . . . . » 833 Riscossione - Debitori irreperibili - Esecuzione forzata - Vendita immobiliare - Professionista delegato - Versamento dell’Iva - Istituzione codice tributo (Risoluzione 84 del 19 giugno 2006) . . . . . . . . . . . . . » 833 » 833 Valore aggiunto - Aliquota - Prodotti alimentari - Provolone ricoperto con panatura (Risoluzione 73 del 25 maggio 2006) . . . . . . . . . . . . . » 833 Valore aggiunto - Aliquota- Bevande - Birra senza glutine - Interpello (Risoluzione 77 del 16 giugno 2006) . . . . . . . . . » 833 SPETTACOLI Spettacoli - Biglietti - Prevendita Servizi aggiuntivi - Corrispettivo - Certificazione - Chiarimenti (Risoluzione 88 del 12 luglio 2006). . . . . . . . . . REGISTRO Registro - Imbarcazioni - Comodato - Enunciazione dell’atto Verbale di nomina dell’armatore - Interpello (Risoluzione 71 del 25 maggio 2006) . . . . . » 832 VALORE AGGIUNTO Registro - Tutela di minori e interdetti - Inventario dei beni - Verbale - Trattamento tributario Chiarimenti (Risoluzione 78 del 16 giugno 2006) . . . . . Registro - Ente regionali di sviluppo agricolo - Terreni - Cessione a coltivatori diretti - Base imponibile - Chiarimenti (Risoluzione 80 del 16 giugno 2006) . . » » 832 832 Valore aggiunto - Stabile organizzazione - Prestazioni rese alla casa madre - Riaddebito costi Non imponibilità - Sentenza della Corte di Giustizia - Provvedimenti conseguenti (Risoluzione 81 del 16 giugno 2006) . . . . Pag. 833 Valore aggiunto - Onlus - Trasporto di malati - Esenzione - Condizioni - Interpello (Risoluzione 83 del 16 giugno 2006) . . » 833 Valore aggiunto - Fondi di investimento immobiliare - Apporti Ambito di applicazione (Circolare 22 del 19 giugno 2006) . » 834 Valore aggiunto - Esenzioni - Prestazioni sanitarie - Analisi cliniche - Effettuate da società di servizi - Interpello (Risoluzione 87 del 12 luglio 2006) . . » 834 Valore aggiunto - Esenzioni e aliquota agevolata - Cooperativa sociale - Attività di assistenza ad anziani e minori - Convenzione con enti locali - Corrispettivi - Interpello (Risoluzione 89 del 12 luglio 2006) . . » 834 Pareri del comitato per l’intepello ed altre pronunce amministrative in materia di elusione (a cura del prof. D. Stevanato) Scissione parziale non proporzionale - Attuazione di spin off immobiliare - Operazione non elusiva - Configurabilità - Condizioni - Individuazione (parere del 16 maggio 2006, n. 17) . . . . . . Scissione totale - Assegnazione di porzioni di immobile utilizzate dai soci - Operazione elusiva Configurabilità - Sussistenza (parere del 16 maggio 2006, n. 18, con commento di D. STE- » 835 VANATO, La scissione come strumento di mera divisione patrimoniale finalizzata ad una «attività di godimento»). . . . Pag. 835 Scissione parziale non proporzionale - Omessa indicazione degli elementi necessari per la valutazione - Richiesta di parere Inammissibilità - Sussistenza (parere del 16 maggio 2006, n. 19) . . . . . . . . . . . . . . . » 836 Parere del Comitato - Richiesta di revisione in assenza di fatti nuovi - Inammissibilità - Sussistenza (parere del 16 maggio 2006, n. 20) . . . . . . . . . . . . . » 836 Richiesta al Comitato - Incombenti istruttori - Necessità - Sussistenza (parere del 16 maggio 2006, n. 21) . . . . . . . . . . » 836 Richiesta di interpello dopo l’inizio di attività di controllo - Inammissibilità - Sussistenza (parere del 25 luglio 2006, n. 22) . . . » 836 Documenti ALVI G., Bush, Prodi e le tasse . BEGHIN M., Sui distretti una tassazione «anomala» . . . . . . DE MITA E., Lo stile legislativo dimentica i princìpi. . . . . . . GAFFURI G., Ottimismo fiscale sui patti di famiglia . . . . . . LAPADULA B., Le vie del risanamento . . . . . . . . . . . . . MONTEFIORI S., I ricchi francesi fuggono in Belgio: troppe tasse, così paghiamo meno . . . PANEBIANCO A., Due consigli per il fisco. . . . . . . . . . . PINARDI M., Governo e immobili, cambiamo registro . . . . . RANCHETTI F., E se al posto di Visco mettessimo il Cardinal Martini?. . . . . . . . . . . . VISCO. V., Indirizzo di saluto all’Amministrazione finanziaria » 841 » 849 » 855 » 851 » 837 » 847 » 839 » 843 » 845 » 854 Bollettino bibliografico . . . . . Pag. 857 Libri ricevuti . . . . . . . . . . » 869 Dissertazioni di laurea . . . . . » 872 Rassegne di giurisprudenza CAPELLO F., La giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di aiuti di Stato (19562006) . . . . . . . . . . . . . Pag. 803 Giurisprudenza QUESTIONI GENERALI PARTE SECONDA Note a sentenza CERIONI F., Soggetti passivi dell’accisa sul gas metano e legittimazione a ricorrere al giudice tributario . . . . . . . . . COMELLI A., Sulla non condivisibile tesi secondo cui l’accertamento tributario si identifica sempre in un procedimento amministrativo (speciale) . . DE MITA E., Tasse non dovute da rimborsare. . . . . . . . . LULY G., La risarcibilità del danno da parte dell’amministrazione finanziaria . . . . . MENTI F., Il riutilizzo per fini commerciali dei documenti, dati e informazioni catastali e ipotecari e il pagamento delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali catastali . . . . . . . Art. 2043, c.c. - Azione aquiliana nei confronti dell’Amministrazione finanziaria - Ammissibilità - Sussistenza (Giud. pace Patti, 24 marzo 2005, n. 157) . . . . . » 749 L. 1990, n. 241 - Norme generali sull’attività amministrativa Applicabilità al procedimento amministrativo tributario - Sussistenza (Cass., sez. trib., 23 gennaio 2006, n. 1236). . . . » 731 Art. 1, 367° comma ss., l. 2004, n. 311 - Documenti, dati e informazioni catastali e ipotecari Riutilizzo a fini commerciali Divieto - Ambito di applicazione - Individuazione (App. Bologna, ord. 7 aprile 2005) . . » 755 » 777 » 779 PERSONE GIURIDICHE (Imposta sul reddito delle) » 779 » 731 » 777 Art. 39, l. 2000, n. 342 - Fondi pubblici agevolati - Imposta indebitamente assolta - Rimborso Esclusione - Contrasto con art. 3 Cost. - Sussistenza (Corte cost., 26 luglio 2005, n. 320) . . FABBRICAZIONE (Imposte di) » 749 » 755 Art. 26, 4° comma, d.lgs. 1995, n. 504 - Accisa sul gas metano - Indebita corresponsione - Richiesta di rimborso - Soggetto legittimato - Individuazione (Comm. trib. prov. Ravenna, sez. III, 19 aprile 2005, n. 13) . . . . . . CONTENZIOSO Art. 19, d.lgs. 1992, n. 546 - Accisa sul gas metano indebitamente corrisposta - Azione di rimborso proposta dal consumatore finale - Giurisdizione tributaria - Esclusione (Comm. trib. prov. Ravenna, sez. III, 19 aprile 2005, n. 13) . . . . . . Pag. 779 Massimario di giurisprudenza (coordinato dal dott. F. Graziano) QUESTIONI GENERALI . . . . COMUNITÀ EUROPEA . . . . PERSONE FISICHE (Imposta sul reddito delle) . . . . . . . . . » » 931 941 » 947 REGISTRO . . . . . . . . . . . Pag. 952 SUCCESSIONI (Imposta sulle). » 953 VALORE AGGIUNTO . . . . . » 954 DAZI DOGANALI . . . . . . . » 958 FABBRICAZIONE (Imposta di) » 958 TRIBUTI LOCALI. . . . . . . . » 959 INVIM . . . . . . . . . . . . . . » 959 PUBBLICITÀ . . . . . . . . . . » 960 TASSA OCCUPAZIONE SPAZI PUBBLICI . . . . . . . . . . » 960 TASSA RIFIUTI SOLIDI URBANI . . . . . . . . . . . . . . . » 961 ICI . . . . . . . . . . . . . . . . » 962 IRAP . . . . . . . . . . . . . . . » 963 CONTENZIOSO . . . . . . . . » 964 RISCOSSIONE . . . . . . . . . » 975 SANZIONI . . . . . . . . . . . » 979 INDICE CRONOLOGICO DI CIRCOLARI E RISOLUZIONI MINISTERIALI 2006 Maggio 24, 25, 25, 25, 25, 25, n. n. n. n. n. n. 24 71 72 73 74 75 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. » » » » » 831 832 831 833 832 832 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » » » » » » » » » » 829 829 829 830 830 832 830 830 833 832 833 832 Giugno 6, n. 21. . 6, n. 22. . 6, n. 23. . 7, n. 24. . 8, n. 25. . 13, n. 18 . 13, n. 19 . 13, n. 20 . 13, n. 76 . 14, n. 21 . 16, n. 77 . 16, n. 78 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16, 16, 16, 16, 16, 19, 19, 22, 22, 26, 26, 27, n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. 79 . 80 . 81 . 82 . 83 . 22 . 84 . 23 . 26 . 24 . 25 . 27 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. » » » » » » » » » » » 831 832 833 831 833 834 833 829 830 830 831 830 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » » » » » » 831 829 830 834 833 834 831 831 Luglio 12, 12, 12, 12, 12, 12, 12, 12, n. n. n. n. n. n. n. n. 26 . 85 . 86 . 87 . 88 . 89 . 90 . 91 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . INDICE CRONOLOGICO DEI PARERI DEL COMITATO PER L’INTERPELLO ED ALTRE PRONUNCE AMMINISTRATIVE IN MATERIA DI ELUSIONE 16 16 16 16 16 25 maggio 2006, n. 17 maggio 2006, n. 18 maggio 2006, n. 19 maggio 2006, n. 20 maggio 2006, n. 21 luglio 2006, n. 22 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. » » » » » 835 835 836 836 836 836 INDICE CRONOLOGICO DELLE SENTENZE (Il numero tra parentesi si riferisce al massimario) 2004 Settembre 17, Cass., sez. I civ., n. 18739 (486) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 974 Dicembre 23, Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, n. 103 (435-436) . . . . . . . . . . . 958-959 2005 Febbraio 4, Cass., sez. trib., n. 2302 (466470) . . . . . . . . . . . . . . 11, Cass., sez. trib., n. 2815 (439) . . . . . . . . . . . . . 11, Cass., sez. trib., n. 2829 (467471-472) . . . . . . . . . . . 23, Comm. trib. reg. Genova, sez. IX, n. 7 (461) . . . . . . . . . Marzo 968-970 » 960 969-970 » 967 5, Comm. trib. reg. Firenze, sez. V, n. 55 (450) . . . . . . . . . . Pag. 963 16, Comm. trib. prov. Treviso, sez. I, n. 12 (378) . . . . . . . . . » 938 23, Cass., sez. trib., n. 6313 (443) . . . . . . . . . . . . . » 961 24, Giud. pace Patti, n. 157 . . . » 749 Aprile Ottobre 7, App. Bologna, ord. . . . . . . Pag. 755 13, Cass., sez. trib., n. 7708 (473477-478) . . . . . . . . . . . 970-972 14, Comm. trib. prov. Bologna, sez. XVIII, ord. n. 41 (468) . . . . » 969 19, Comm. trib. prov. Ravenna, sez. III, n. 13 . . . . . . . . . » 779 27, Comm. trib. reg. Campania, sez. IX, n. 118 (373) . . . . . » 936 Maggio 30, Cass., sez. trib., n. 11449 (483) . . . . . . . . . . . . . » 973 Giugno 3, Comm. trib. prov. Palermo, sez. III, n. 122 (441) . . . . . . . » 960 Luglio 12, Cass., sez. trib., n. 14669 (462) . . . . . . . . . . . . . 26, Corte cost., n. 320. . . . . . 28, Comm. trib., II grado Trento, sez. II, n. 42 (485) . . . . . . 29, Cass., sez. trib. (366) . . . . 29, Cass., sez. trib., n. 16032 e n. 16033 (453) . . . . . . . . . 12, Cass., sez. III pen., n. 1402 (499) . . . . . . . . . . . . . Pag. 979 14, Cass., sez. trib., n. 19947 (358359) . . . . . . . . . . . . . . » 931 Novembre 7, Cass., sez. trib., n. 21585 (416) . . . . . . . . . . . . . 11, Comm. trib. prov. Salerno, n. 216 (469) . . . . . . . . . . . 15, Comm. trib. reg. Umbria, sez. VI, n. 98 (482) . . . . . . . . 17, Comm. trib. prov. Treviso, sez. V, n. 146 (434) . . . . . . . . 18, Comm. trib. reg. Liguria, sez. IX, n. 49 (380) . . . . . . . . 21, Cass., sez. trib., n. 24514 (369) . . . . . . . . . . . . . » 952 » 969 » 973 » 958 » 939 » 935 Dicembre » » 967 777 » » 974 934 » 965 2, Comm. trib. prov. Chieti, sez. III, n. 206 (424-433) . . . . . 16, Comm. trib. prov. Macerata, sez. III, n. 134 (360-361) . . 23, Comm. trib. reg. Firenze, n. 213 (402) . . . . . . . . . . . 31, Comm. trib. prov. Pisa, sez. IV, n. 244 (444) . . . . . . . . . 954-958 » 932 » 948 » 962 2006 Gennaio 10, Comm. trib. reg. Lazio, sez. XX, n. 180 (440) . . . . . . . Pag. 960 10, Corte Giust. Cee, sez. II, n. C222/04 (390) . . . . . . . . . » 942 16, Comm. trib. prov. Bologna, sez. XII, n. 437 (488) . . . . Pag. 975 20, Comm. trib. prov. Varese, sez. III, n. 220 (446) . . . . . . . » 962 20, Cass., sez. trib., n. 1131 (367) . . . . . . . . . . . . . » 934 23, Cass., sez. trib., n. 1233 (437454) . . . . . . . . . . . . . . 23, Cass., sez. trib., n. 1236. . . 23, Cass., sez. trib., n. 1241 (406) . . . . . . . . . . . . . 24, Comm. trib. prov. Alessandria, sez. V, n.3 (449) . . . . . . . 24, Cass., sez. trib., n. 4239 (381) . . . . . . . . . . . . . 25, Cass., sez. trib., n. 1430 (400) . . . . . . . . . . . . . 26, Comm. trib. reg. Milano, n. 182 (426) . . . . . . . . . . . 26, Cass., sez. trib., n. 1134 (459) . . . . . . . . . . . . . 959-965 » 731 » 949 » 963 » 939 » 947 » 955 » 966 (418) . . . . . . . . . . . . . Pag. 952 17, Cass., sez. trib., n. 3525 (375) . . . . . . . . . . . . . » 937 20, Cass., sez. trib., n. 3610 (422) . . . . . . . . . . . . . » 954 21, Corte Giust. Cee, sez. grande, n. C-255/02 (392-396). . . . 943-945 21, Corte Giust. Cee, sez. grande, n. C-223/03 (391) . . . . . . » 943 22, Comm. trib. reg. Lazio, sez. VIII, n. 180 (448) . . . . . . » 963 24, Cass., sez. trib., n. 4235 (432) . . . . . . . . . . . . . » 957 24, Cass., sez. trib., n. 4239 (381) . . . . . . . . . . . . . » 939 28, Cons. Stato, sez. V, n. 858 (442) . . . . . . . . . . . . . » 961 Febbraio 1, Cass., sez. trib., n. 2217 (429) . . . . . . . . . . . . . 3, Cons. Stato, sez. IV, n. 418 (492) . . . . . . . . . . . . . 3, Cass., sez. trib., n. 2387 (417) . . . . . . . . . . . . . 7, Comm. trib. prov. Genova, sez. I, n. 20 (489) . . . . . . . . . 8, Cass., sez. trib., n. 2798 (490) . . . . . . . . . . . . . 10, Comm. trib. prov. Cosenza, sez. IX, n. 257 (385) . . . . . 10, Cass., sez. trib., n. 2934 (407) . . . . . . . . . . . . . 10, Cass., sez. trib., n. 2939 (427) . . . . . . . . . . . . . 10, Cass., sez. trib., n. 2948 (476) . . . . . . . . . . . . . 10, Cass., sez. trib., n. 2994 (431) . . . . . . . . . . . . . 13, Cass., sez. trib., n. 3111 (370) . . . . . . . . . . . . . 15, Comm. trib. reg. Bologna, n. 6 (404) . . . . . . . . . . . . . 16, Comm. trib. prov. Bari, sez. XIII, n. 315 (447) . . . . . . 17, Comm. trib. prov. Massa, sez. I, n. 4 (438). . . . . . . . . . 17, Comm. trib. reg. Napoli, n. 21 (403) . . . . . . . . . . . . . 17, Cass., sez. trib., ord. n. 3504 Marzo » 956 » 977 » 952 » 976 » 976 » 940 » 949 » 955 » 971 » 957 » 935 » 948 » 963 » 960 » 948 1, Comm. centr., sez. VII, n. 1573 (481) . . . . . . . . . . . . . » 973 1, Cass., sez. trib., n. 4581 (411) . . . . . . . . . . . . . » 950 2, Comm. trib. reg. Puglia, sez. I, n. 9 (445) . . . . . . . . . . . » 962 8, Cass., sez. trib., n. 4935 (487) . . . . . . . . . . . . . » 975 8, Cass., sez. trib., n. 4954 (463) . . . . . . . . . . . . . » 968 9, Corte Giust. Cee, sez. VI, n. C114/05 (394) . . . . . . . . . » 944 10, Cass., sez. trib., n. 5366 (455) . . . . . . . . . . . . . » 965 20, Cass., sez. trib., n. 6196 (405) . . . . . . . . . . . . . » 949 21, Comm. trib. prov. Reggio Emilia, sez. I, n. 41 (365-386387). . . . . . . . . . . . . . 934-941 21, Cass., sez. un., n. 6224 (456) . . . . . . . . . . . . . » 965 22, Comm. trib. reg. Bologna, sez. V, n. 26 (377). . . . . . . . . » 938 22, Cass., sez. un., n. 6265 (460) . . . . . . . . . . . . . » 966 22, Cass., sez. trib., n. 6370 (382) . . . . . . . . . . . . . » 939 22, Cass., sez. trib., n. 6393 (430451-464) . . . . . . . . . . ». 956-964, 968 23, Comm. trib. reg. Roma, n. 24 (414) . . . . . . . . . . . . . Pag. 951 24, Cass., sez. trib., n. 6642 (498) . . . . . . . . . . . . . » 979 24, Cass., sez. trib., n. 6650 (412) . . . . . . . . . . . . . » 951 24, Cass., sez. trib., n. 6660 (479) . . . . . . . . . . . . . » 972 24, Cass., sez. trib., n. 6664 (480) . . . . . . . . . . . . . » 973 27, Comm. trib. prov. Savona, sez. V, n. 285 (379) . . . . . . . . » 938 29, Comm. trib. prov. Napoli, sez. XXIII, n. 526 (363) . . . . . » 933 29, Cass., sez. trib., n. 7292 (409465) . . . . . . . . . . . . . . 950-968 29, Cass., sez. trib., n. 7294 (425) . . . . . . . . . . . . . » 955 30, Corte Giust. Cee, sez. I, n. C184/04 (395-397-398) . . . ». 944-945, 946 30, Corte Giust. Cee, sez. III, n. C451/03 (388-389) . . . . . . 941-942 31, Comm. trib. reg. Milano, n. 36 (408) . . . . . . . . . . . . . » 950 Aprile 3, Cass., sez. trib., n. 7789 (383) . . . . . . . . . . . . . 3, Cass., sez. trib., n. 7797 (384) . . . . . . . . . . . . . 4, Cass., sez., un., n. 7804 (457) . . . . . . . . . . . . . 6, Corte Giust. Cee, sez. I, n. C245/04 (393-399) . . . . . . 7, Cass., sez. trib., n. 8253 (362368-371) . . . . . . . . . . . 7, Cass., sez. trib., n. 8272 (374) . . . . . . . . . . . . . 10, Cass., sez. trib., n. 8344 (410) . . . . . . . . . . . . . Pag. 950 10, Cass., sez. trib., n. 8366 (401) . . . . . . . . . . . . . » 947 12, Cass., sez. trib., n. 8577 (413) . . . . . . . . . . . . . » 951 12, Cass., sez. trib., n. 8597 (376) . . . . . . . . . . . . . » 938 13, Cass., sez., un., n. 8635 (458) . . . . . . . . . . . . . » 966 14, Cass., sez. trib., n. 8865 (423) . . . . . . . . . . . . . » 954 19, Cass., sez. trib., n. 9127 (475) . . . . . . . . . . . . . » 971 19, Cass., sez. trib., n. 9130 (419) . . . . . . . . . . . . . » 953 19, Cass., sez. trib., n. 9131 (420) . . . . . . . . . . . . . » 953 19, Cass., sez. trib., n. 9143 (421) . . . . . . . . . . . . . » 953 21, Cass., sez. trib., n. 9452 (484) . . . . . . . . . . . . . » 974 24, Giud. pace Caserta (493-494495-496-497). . . . . . . . . 977-978, 979 26, Comm. trib. reg. Pescara, n. 141 (415) . . . . . . . . . . . » 952 28, Cass., sez. trib., n. 10012 (491) . . . . . . . . . . . . . » 977 » 940 Maggio » 940 » 966 5, Cass., sez. trib., n. 10353 (428) . . . . . . . . . . . . . 7, Comm. trib. reg. Palermo, sez. VII, n. 78 (364). . . . . . . . 8, Cass., sez. trib., n. 10526 (372) . . . . . . . . . . . . . 10, T.a.r. Toscana, sez. I, n. 2084 (452) . . . . . . . . . . . . . 10, Cass., sez. trib., n. 10761 (474) . . . . . . . . . . . . . 943-946 932-935 » 937 » 956 » 933 » 936 » 964 » 971 LA NUOVA GIURISDIZIONE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Sintesi: La configurazione come organi amministrativi o giurisdizionali delle Commissioni tributarie ha rappresentato, storicamente, uno dei profili maggiormente controversi e dibattuti, in ordine, soprattutto, al difficile rapporto con i precetti costituzionali previsti dall’art. 102 e dalla VI disposizione transitoria. Nella giurisprudenza costituzionale le Commissioni furono dapprima qualificate come organi giurisdizionali e, in un secondo momento – dopo il 1969 – come organi amministrativi, ma la definitiva consacrazione, da parte del giudice delle leggi, come organi giurisdizionali si ebbe solo nel 1974. Dopo aver brevemente ricostruito l’evoluzione delle Commissioni tributarie, si affronta la problematica interpretativa sollevata dalla recente novella. La riforma introdotta con l’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, si espone a consistenti dubbi di carattere costituzionale per violazione dell’art. 102 della legge fondamentale e della VI disposizione transitoria. SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Le Commissioni tributarie: evoluzione storica dalle esperienze preunitarie alla creazione di una giurisdizione speciale amministrativa. – 3. La giurisdizione del giudice tributario dopo la riforma del 1992 e i correttivi apportati dall’art. 12, 2° comma, l. 28 dicembre 2001, n. 448. – 4. Le modifiche apportate dall’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203. – 5. La vicenda interpretativa dell’art. 102 e della VI disposizione transitoria della Costituzione. – 6. La nozione di tributo nella scienza delle finanze. – 7. I nuovi prelievi previsti dall’art. 2, 2° comma, del d.lgs. n. 546 del 1992: il canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani, c.d. tariffa d’igiene ambientale. – 8. Segue: il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche. – 9. Segue: il canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni. – 10. Conclusioni. 1. – Introduzione L’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, ha apportato alcune rilevanti modifiche al processo tributario. Le modifiche introdotte concernono sia la configurazione degli organi che la disciplina del rito processuale. Per quanto concerne quest’ultimo profilo, la riforma in commento ha modificato gli artt. 2 (giurisdizione), 7 (poteri delle Commissioni tributarie), 12 (assistenza tecnica), 22 (costituzione in giudizio del ricorrente) e 53 (forma dell’appello) del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. In questo contributo, affronterò, senza pretesa di completezza, dopo aver dato conto dell’evoluzione normativa, contenuto ed effetti della modifica dell’oggetto della giurisdizione tributaria come delineato dall’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203. L’oggetto del processo tributario rappresenta storicamente uno dei profili maggiormente contro- 746 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA versi e dibattuti in ordine, soprattutto, al rapporto con la cognizione del giudice ordinario (1). In realtà, il legislatore non sembra avere consapevolezza della delicatezza di tali questioni. Ne da dimostrazione il fatto che la riforma si espone a critiche sia di ordine sistematico che costituzionale. La cognizione delle Commissioni tributarie era stata, recentemente, riformata ed ampliata con l’art. 12, 2° comma, l. 28 dicembre 2001, n. 448, con cui era stato novellato l’art. 2 dal d.lgs. n. 546 del 1992; con tale intervento, si è esteso la giurisdizione ai tributi d’ogni genere e specie, trasformando le Commissioni tributarie in giudici «generali» del contenzioso tributario (2). A solo tre anni dalla riforma, il legislatore, però, vi ha rimesso mani con l’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248. Com’è noto, la giurisdizione, intesa come manifestazione della sovranità, appartiene in modo esclusivo allo Stato (3); tale attività è stata definita da un autorevole studioso del diritto processuale civile come attività coessenziale all’ordinamento giuridico (4). La giurisdizione tributaria rientra, oggi, tra le giurisdizioni speciali amministrative (5). La reale configurazione delle Commissioni come organi amministrativi o giurisdizionali ha occupato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sino agli anni ’70. Storicamente, infatti, la natura del giudice tributario ha rappresentato una delle problematiche di più difficile soluzione, non solo per le caratteristiche storiche del contenzioso tributario, ma, soprattutto, per la non facile armonizzazione con le previsioni contenute nella Carta Costituzionale in tema di giurisdizioni speciali. Quanto alla consacrazione definitiva della natura di giurisdizione speciale si è, però, dovuto attendere le pronunce della Corte costituzionale degli anni ’70 (6). Il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie è stato statuito esplicitamente, in sede legislativa, solo, dai d.lgs. nn. 546 e 547 del 1992. Solo con quest’ultima riforma si può parlare di processo tributario e non solo di contenzioso. L’art. 1, d.lgs. n. 545 del 1992 definisce espressamente, infatti, le Commissioni tributarie organi di giurisdizione in materia tributaria e l’art. 1 del d.lgs. n. 546 prevede –––––––––––– (1) Per un primo approfondimento sul tema v. Miccinesi, Il nuovo processo tributario, a cura di Baglione - Miccinesi - Menchini, Milano, 2004, 14 ss. (2) In tal senso Manzon, Legge finanziaria per il 2002: le Commissioni tributarie verso l’apoteosi. È vera gloria?, in Riv. dir. trib., 2002, I, 173. (3) In tal senso v. Chioveda, Principi di diritto processuale, Napoli, 1926, 1 ss. (4) In tal senso v. Satta, Giurisdizione (nozioni generali), in Enc. dir., Milano, XIX. (5) In tal senso in dottrina – già dopo il T.U. 24 agosto 1877, n. 4021 – v. Orlando, Contenzioso amministrativo, in Dig. it., VIII, 2, 1925, 883. (6) La prima pronuncia fu nel 1974 cfr. Corte. cost., 27 dicembre 1974, n. 287, retro, 1975, II, 34. Per un approfondimento sul tema v. Bafile, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale in materia d’imposta, in Riv. dir. fin., 1983, II, 276 ss. PARTE PRIMA 747 che la giurisdizione in materia tributaria è esercitata dalle commissioni tributarie provinciali e dalle commissioni regionali di cui all’art. 1, d.lgs. n. 545 del 1992. Prima di affrontare, in modo sistematico, la problematica di carattere interpretativo sollevata, in tema di giurisdizione, dalla recente riforma, vorrei, preliminarmente condurre alcune considerazioni di carattere generale in ordine alla ricostruzione storico-interpretativa della cognizione delle Commissioni tributarie. 2. – Le Commissioni tributarie: evoluzione storica dalle esperienze preunitarie alla creazione di una giurisdizione speciale amministrativa La giurisdizione delle Commissioni tributarie (7), sia pur con una cognizione limitata al tributo sulla ricchezza mobile, trova la sua prima esperienza nella metà del 1800 nel Regno lombardo-veneto. Le controversie relative alle imposte indirette rientravano, di contro, nella giurisdizione di tribunali misti composti da magistrati e da funzionari, inquadrati su tre gradi di giudizio: giudicature provinciali, giudizi superiori e giudizio supremo. Quanto alla giurisdizione, per il primo grado di giudizio, sui tributi del Regno piemontese, le controversie relative alle imposte dirette erano devolute all’intendenza di finanza e ai tribunali di prefettura e, per quanto concerne l’appello, la competenza era riservata alla Camera dei conti. La legge di riforma 30 ottobre 1859, n. 3708, ha istituito i Consigli di governo, in sostituzione dei Consigli di intendenza (competenti per la –––––––––––– (7) Per un primo orientamento bibliografico, soprattutto, in chiave storicoricostruttiva v. Berliri, Il processo tributario amministrativo, Reggio Emilia, 1940; Allorio, Diritto processuale tributario, V, Torino, 1969; Batistoni Ferrara, Le determinazioni della base imponibile nelle imposte indirette, Napoli, 1964; Batistoni Ferrara, Appunti sul processo tributario, Padova, 1985, 1 ss.; Batistoni Ferrara - Grippa Salvetti, Lezioni di diritto tributario, Parte generale, Torino, 1990, 167 ss.; Tesauro, Profili sistematici del processo tributario, Padova, 1980, 15 ss.; Magnani, Il processo tributario. Contributo alla teoria generale, Padova, 1965; Id., Commissioni tributarie, in Enc. giur., VII, Roma, 1988; Russo, Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione tributaria, Milano, 1969; Tesauro, Profili sistematici del processo tributario, Padova, 1980; Id., Processo tributario, in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino, 1994, 339 ss.; Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984; Tommasicchio, Manuale del contenzioso tributario, Padova, 1986; Berliri, Della giustizia tributaria, in Riv. dir. fin., 1943, 69 ss.; Marongiu, Alle radici dell’ordinamento tributario italiano, Padova, 1988, 150; v. Russo, Processo tributario, in Enc. dir., Milano, 1987, XXXVI, 834 ss.; Id., Contenzioso tributario, in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino, 1989, III, 473 ss.; Maffezzoni, La giurisdizione tributaria nell’ambito della giurisdizione amministrativa, in Boll. trib., 1982, 581 ss.; Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984. 748 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA gran parte delle controversie tributarie) assegnando a questi organi la cognizione in ordine alle imposte dirette, ai dazi comunali, e ai diritti di gabella, restituendo ai tribunali del circondatario (Tribunali ordinari) la giurisdizione delle altre imposte indirette. La legge di riforma dell’imposta di ricchezza mobile nei primi anni del Regno d’Italia – legge 14 luglio 1864, n. 1830 – si era ispirata, sostanzialmente, alla legislazione del Regno lombardo-veneto, istituendo le Commissioni Tributarie Comunali; quest’ultime dovevano determinare – ex art. 21 – le somme dei redditi e delle imposte dovute dai contribuenti del Comune o consorzio. Le Commissioni testé menzionate (8) avevano perciò, in primis, compiti di amministrazione attiva (9) (determinazione dei redditi e delle imposte): ad esse erano, infatti, affidate la funzione di organo accertatore. La Commissione di primo grado era, infatti, incaricata di tutte le operazioni occorrenti per appurare e determinare, in prima istanza, le somme dei redditi e dell’imposta (10). Alle suddette Commissioni spettava, inoltre, esaminare e rettificare, se dal caso, gli elenchi predisposti dall’agente delle imposte (11), vagliare le eventuali osservazioni dei contribuenti e deliberare il reddito imponibile. Veniva, poi, formata dalle stesse la tabella contro la quale sia l’agente che il contribuente potevano gravarsi dinanzi le Commissioni provinciali (12). Istituite le Commissioni tributarie permaneva la problematica relativa al rapporto tra il sindacato delle Commissioni tributarie e l’azione dinanzi al giudice ordinario. In tal senso, è nota la profonda rivoluzione ordinamentale operata con la l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E che nell’abolire il sistema fondato sugli organi del contenzioso amministrativo, disponeva la devolu–––––––––––– (8) Per un approfondimento sul tema v. Batistoni Ferrara, La determinazione della base imponibile nelle imposte indirette, cit., 15 ss.; Russo, Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione tributaria , cit., 174 ss. (9) Proprio siffatta funzione in quanto specificamente «accertativa» portava con se i germi di una differenziazione rispetto ad ogni altra funzione lato sensu amministrativa, introducendovi una componente «giustiziale» tanto più evidente nella revisione dell’operato delle Commissioni comunali affidata alle Commissioni provinciali in tal modo deputate al controllo di secondo grado. In tal senso v. Glendi, Verso l’unità della giurisdizione tributaria, in I settanta anni di Diritto e pratica tributaria, 2000, 611. (10) I deliberati delle Commissioni erano preceduti dalla formazione ad opera della Giunta municipale, di una lista dei contribuenti e degli esenti per indigenza – cfr. art. 21, l. n. 1830 del 1864 – seguiva ad opera dell’agente la raccolta delle schede dei contribuenti e, infine, l’invio da parte di quest’ultimo alle Commissioni della proposta di accertamento dei redditi non dichiarati, degli elenchi dei contribuenti e di un «parere» relativo alle «schede di dichiarazione». Per un approfondimento sul tema v. Tesauro, Profili sistematici del processo tributario, Padova, 1980, 17. (11) L’art. 23 della l. n. 1830 del 1864 non attribuiva all’agente poteri d’indagine che erano, di contro, riservati alle Commissioni. (12) In tal senso v. Tesauro, Profili sistematici del processo tributario, cit., 17. PARTE PRIMA 749 zione all’autorità giudiziale ordinaria delle controversie relative ai diritti soggettivi anche ove fosse presente la pubblica amministrazione o fossero stati emanati provvedimenti di tipo amministrativo. L’art. 6 (13), però, escludeva dalla giurisdizione ordinaria le questioni riguardanti l’estimo catastale e il riparto di quota relativa all’imposta fondiaria nonché tutte le altre imposte dirette finché non avesse avuto luogo la pubblicazione del ruolo. L’art. 12, inoltre, faceva salve le attribuzioni contenziose d’altri corpi o collegi derivanti da leggi speciali e diverse da quelle esercitate dai giudici ordinari del contenzioso amministrativo, tra i quali potevano ricondursi le Commissioni tributarie per l’imposta di ricchezza mobile. In questo modo, attraverso l’ampliamento della giurisdizione del giudice ordinario e la conservazione della competenza delle Commissioni tributarie come organi amministrativi, si ritenne di operare un efficace contemperamento dell’interesse del privato alla tutela dei propri diritti di libertà (14), di proprietà e di difesa giurisdizionale, anche nei confronti della pubblica amministrazione; riservando alla cognizione della stessa amministrazione controversie di cui lo Stato non si voleva spogliare soprattutto per ragioni politiche. Su tale scelta ha influito la storica complessità tecnica delle questioni devolute alle Commissioni tributarie, ma prevalente a tale intento è stata la volontà politica di impedire un sindacato troppo profondo, quale quello del giudice ordinario, in materia di cui l’Amministrazione pubblica era particolarmente gelosa (15). Come affermato in dottrina, l’evidente insufficienza della tutela giurisdizionale offerta dall’ordinamento comportò la creazione di rimedi amministrativi con i quali venne consentito ai contribuenti di discutere dell’esistenza e dell’ammontare del tributo, dell’ammontare della base imponibile ed anche, ovviamente, del pagamento dell’imposta (16). –––––––––––– (13) Il legislatore con l’art. 6 ha avuto il proposito di tracciare le linee di un altro sistema, il quale si potrebbe enunciare in questa formula: nessuna garanzia giurisdizionale prima della pubblicazione dei ruoli delle imposte dirette; garanzia dell’ordinaria giurisdizione civile dopo tale pubblicazione. In tal senso v. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1923, vol. I, 319. (14) L’attribuzione generalizzata delle controversie tra cittadini e Stato ai giudici ordinari corrispondeva perfettamente all’ideologia liberale, al principio di legalità ed al dogma tipicamente della separazione dei poteri essendo consequenziale a questa ideologia e a questi principi che ogni genere di rapporti, compresi quelli tra Stato e cittadini, dovesse essere sottoposto all’uniforme disciplina della legge sulla base di fatti accertati e a prescindere quanto gli effetti, dagli atti illegittimi della pubblica amministrazione. In tal senso v. Glendi, Verso l’unità della giurisdizione tributaria, in I settanta anni di Diritto e pratica tributaria, cit., 612. Per un approfondimento sul tema v. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, 803 ss. (15) Così Gaffuri, La giurisdizione e la competenza del giudice speciale tributario, in Il processo tributario (a cura di Curami), Torino, 1998, 6. (16) In tal senso v. Batistoni Ferrara, Appunti sul processo tributario, cit., 3. 750 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA Questo impianto aveva, inoltre, una sua logica intrinseca, coerente con il principio di divisione dei poteri non differenziando la tutela offerta in materia di imposte dalla tutela generalmente offerta ai diritti di proprietà e libertà (17). Un primo passo verso la creazione di una giurisdizione tributaria si ebbe con l’art. 13, l. 28 giugno 1866, n. 3021, a cui si deve la creazione della Commissione centrale a cui erano devoluti gli appelli proposti nei confronti delle Commissioni provinciali, per motivi concernenti l’applicazione della legge, oltre che per il conflitto tra più Comuni in ordine all’attribuzione dei redditi di un contribuente, infine, nell’ipotesi di iscrizione di un contribuente nei ruoli di più Comuni della medesima Provincia. In questa direzione deve essere segnalata la l. 28 maggio 1869 con cui si ammise – cfr. art. 12 – l’azione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria contro le decisioni della Commissione centrale con la sola esclusione delle questioni riguardanti la semplice estimazione dei redditi. Alla fine del 1800 ci si trovava, quindi, con un contenzioso tributario incentrato, a grandi linee, su due diversi sistemi di tutela. Il primo innanzi alle Commissioni tributarie, ordinato su tre gradi di giudizio; il secondo innanzi al giudice ordinario; ordinato, parimenti, su tre gradi di giudizio: Tribunale, Corte d’Appello e Corte di Cassazione. Orbene, questo era lo stato del contenzioso tributario destinato a permanere, sino alla riforma del 1972, con le modifiche apportate dal r.d.l. n. 1639 del 1936 e dal r.d.l. 8 luglio del 1937, n. 1516 (18). La riforma testé citata rappresenta un momento fondamentale nell’evoluzione delle Commissioni tributarie da organi amministrativi a giurisdizionali. Con la c.d. riforma cooperativa, si ebbe il riordino delle Commissioni in Commissioni distrettuali, Commissioni provinciali, Commissione centrale, con la possibilità di adire oltre la commissione tributaria anche l’autorità giudiziaria ordinaria (19). L’art. 23, del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, ha, inoltre, introdotto il –––––––––––– (17) I diritti soggettivi che vennero confidati al giudice ordinario erano quelli di proprietà e libertà, quegli stessi a cui aveva dato struttura il diritto romano e la filosofia del XVIII secolo aveva impostato su basi naturalistiche. Così, Benvenuti, Mito e realtà nell’ordinamento amministrativo italiano, in L’unificazione amministrativa ed i suoi protagonisti, Atti del convegno celebrativo del centenario delle leggi amministrative d’unificazione, Vicenza, 1969, 175. (18) La c.d. riforma corporativa venne ampliata la giurisdizione sia delle imposte dirette che indirette. Per quanto concerne le prime vennero aggiunte alla cognizione, sostanzialmente, limitata al solo tributo mobiliare, la maggioranza delle imposte con esclusione delle imposte sul reddito dominicale dei terreni, quelle sul reddito agrario e quello sul reddito dei fabbricati, quanto alle imposte indirette furono attribuite alle Commissioni le controversie sull’imposta di registro e di successione. (19) Per un approfondimento sul tema v. Colli Vignarelli, I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, Bari, 2002, 8 ss. PARTE PRIMA 751 principio di tassatività degli atti impugnabili in luogo della norma che consentiva di reclamare «contro l’operato dell’ufficio». Alle Commissioni furono, quindi, affidate le controversie in materia di imposte indirette, con una ulteriore complicazione sistematica in punto di coordinamento, con la previsione di regolamentazioni per le controversie di valutazione, da un lato, e per quelle di diritto, dall’altro; per di più si crearono delicate problematiche in tema di coordinamento tra ricorso in Commissione e azione (direttamente proposta) dinanzi al giudice ordinario (20), i cui gradi di giudizio potevano, nei fatti, variare tra tre a cinque (21). Appare chiaro, come la forzatura teorica e la disordinata sovrapposizione delle leggi succedutasi sino al 1948 avessero confezionato un groviglio pressoché inestricabile, una vera mostruosità giuridica (22). Tali interventi legislativi non avevano, comunque, sottratto al giudice ordinario le controversie che gli erano attribuite in via esclusiva con la legge del 1865. In questo disordinato contesto normativo, sommariamente ripercorso, si sono inserite le ben note disposizioni costituzionali in tema di giurisdizioni speciali. In primis il divieto d’istituzione di nuovi giudici speciali ex art. 102, 1° e 2° comma, Cost. In secundis, l’obbligo per il legislatore ordinario di procedere entro cinque anni alla revisione degli organi speciali di giurisdizione esistenti al momento dell’entrata in vigore della Costituzione, salvo le revisioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, e dei Tribunali militari. 3. – La giurisdizione del giudice tributario dopo la riforma del 1992 e i correttivi apportati dall’art. 12, 2° comma, l. 28 dicembre 2001, n. 448 Prima di analizzare gli interventi legislativi del 1992 e del 2001, un breve cenno deve essere condotto sulla riforma introdotta con la l.d. 8 ottobre 1971, n. 825 e attuata con il d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636 (23). –––––––––––– (20) In tal senso v. Tesauro, Profili sistematici del processo tributario, cit., 24. (21) Tale situazione era destinata ancora a peggiorare con l’entrata in vigore dell’art. 111 della Costituzione, giacché il ricorso venne ritenuto applicabile contro le decisioni della Commissione centrale. (22) In tal senso v. Batistoni Ferrara, Appunti sul processo tributario, cit., 6. (23) L’art. 1, 2° e 3° comma del d.p.r. n. 636 del 1972 disponeva: 2. Appartengono alla competenza delle commissioni tributarie le controversie in materia di: a) imposta sul reddito delle persone fisiche; b) imposta sul reddito delle persone giuridiche; c) imposta locale sui redditi; d) imposta sul valore aggiunto, salvo il disposto dell’art. 70 del d.p.r. 26 752 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA La novella in parola fu, nei fatti, «costretta» dal mutamento di indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale la quale qualificò come organi amministrativi le Commissioni tributarie. Una diversa qualificazione giuridica sarebbe stata esposta a seri dubbi d’incostituzionalità per violazione degli artt. 101 e 108 della legge fondamentale, giacché le Commissioni erano «all’epoca prive del requisito d’indipendenza indefettibile con riguardo a qualsiasi giudice anche speciale (24)». Il legislatore con il d.lgs. n. 636 del 1972 aveva previsto, poi, «per prestare in qualche modo ossequio alla tradizione storica relativa alla giurisdizione del magistrato ordinario in materia tributaria (25)», un ulteriore ricorso contro le decisioni della Commissione di secondo grado, da proporsi innanzi alla Corte di Appello in alternativa al ricorso in Commissione centrale, salvo, comunque, l’eventuale ricorso in Cassazione. La riforma del 1992 (26) è stata «vera riforma», (27) per quanto concerne la giurisdizione è stata ulteriormente ampliata la cognizione del giudice tributario con una tecnica pressoché speculare a quella del 1972, ovvero furono ampliate «casisticamente» i tributi di competenza –––––––––––– ottobre 1972, n. 633, nonché il disposto della nota al n. 1 della parte III della tabella A allegata al decreto stesso nei casi in cui l’imposta sia riscossa unitamente all’imposta sugli spettacoli; e) imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili; f) imposta di registro; g) imposta sulle successioni e donazioni; h) imposte ipotecarie; i) imposte sulle donazioni. 3. Appartengono, altresì, alla competenza delle suddette Commissioni le controversie promosse da singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, la estensione, il classamento dei terreni, e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione delle rendite catastali. (24) Così Russo, Manuale di diritto tributario, Il processo tributario, 2005, Milano, 3, secondo l’Autore si trattò di un chiaro avvertimento al legislatore ordinario di decidersi ad intervenire sull’assetto e sulla disciplina del contenzioso tributario. (25) Batistoni Ferrara, Appunti sul processo tributario, cit., 9. (26) Per un approfondimento in ordine alla disciplina introdotta dall’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, v. Batistoni Ferrara, La giurisdizione del giudice tributario, retro, 1997, I, 253 ss.; Giovannini, Riflessioni a margine dell’oggetto della domanda, nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 1998, I, 35 ss.; Redi, Oggetto della giurisdizione tributaria e riforma della finanza locale, in Boll. trib., 1998, 488 ss.; Del Federico, La giurisdizione delle commissioni tributaria in materia di tributi comunali, in Rass. trib., 1998, 61 ss.; Lovisetti, Le controversie in materie di contributi regionali, in Corr. trib., 1996, 2001 ss.; Glendi, La giurisdizione tributaria, in Corr. trib., 2001, 582 ss.; (27) L’espressione è di Glendi, Verso l’unità della giurisdizione tributaria, in I settanta anni di Diritto e pratica tributaria, cit., 623. PARTE PRIMA 753 del giudice tributario. Già prima dell’intervento legislativo in parola il legislatore aveva devoluto – nel 1992 – alla cognizione del giudice tributario ulteriori tributi, tra i quali l’imposta sul patrimonio netto delle imprese (28), l’imposta straordinaria sui depositi bancari (29) e l’imposta straordinaria immobiliare c.d. Isi (30) e imposta straordinaria sui beni di lusso (31). Con la riforma del 1992 si estese, inoltre, la giurisdizione del giudice tributario, sino ad allora limitata all’ilor ed all’invim, a tutti i tributi comunali e locali. Secondo l’interpretazione ministeriale (32) rientravano nella cognizione delle Commissioni tributarie l’Imposta comunale sugli immobili c.d. I.c.i., l’imposta comunale per l’esercizio d’imprese e di arti e professioni c.d. I.c.i.a.p., l’imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani c.d. Tarsu e il canone per i servizi relativi alla raccolta, la depurazione e lo scarico delle acque. L’ultimo passaggio verso una giurisdizione esclusiva in materia tributaria si è avuto nel 2001. L’art. 12, 2° comma, della l. 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge Finanziaria per il 2002) (33) ha, infatti, riformulando l’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, già aveva esteso tale giurisdizione a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie, ivi compresa la risoluzione in via incidentale di ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella giurisdizione del giudice tributario (a meno che si tratti di querela di falso o di materia di stato e capacità delle persone, che permangono competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria ordinaria), affermandosi anche per tale aspetto l’autonomia della giustizia tributaria rispetto alla giustizia civile. Giungeva, in questo modo, a compimento un trend normativo che aveva dimostrato un favor sia del legislatore che della Corte co–––––––––––– (28) D.l. 30 settembre 1992, n. 394, convertito dalla l. 26 novembre 1992, n. 461. (29) D.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con la l. 8 agosto 1992, n. 359. (30) D.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con la l. 8 agosto 1992, n. 359. (31) D.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito con la l. 14 novembre 1992, n. 438. (32) Circolare del Ministero delle finanze, n. 98/E del 1996. (33) Per un approfondimento in ordine alla riforma del 2001 v. Basilavecchia, Prime considerazioni sulla rinnovata giurisdizione delle commissioni tributarie, in Corr. trib., 2002, 4105 ss.; Russo, I nuovi confini della giurisdizione della commissione tributaria, in Rass. trib, 2002, 415 ss.; Turchi, Considerazioni in merito all’unificazione della giurisdizione in materia tributaria, in Riv. dir. trib., I, 505 ss.; Marongiu, La rinnovata giurisdizione delle Commissioni tributarie, cit., 118; Manzon, La legge finanziaria per il 2002: le commissioni tributarie verso l’apoteosi. È vera gloria?, in Riv. dir. trib., 2002, I, 172; Cipolla, Le nuove materie attribuite alla giurisdizione tributaria, in Rass. trib., 2003, 463; Fortuna, Gli attuali confini della giurisdizione tributaria, in Riv. dir. trib., 2003, I, 13 ss.; Cantillo, Aspetti problematici dell’istituzione della giurisdizione generale tributaria, in Rass. trib., 2002, 803 ss. 754 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA stituzionale verso l’allargamento e l’autonomia della giurisdizione tributaria (34). Come si è visto, nella lunga evoluzione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, la cognizione non aveva mai abbracciato tutti i tributi di ogni ordine e specie. Il legislatore ha, quindi, adottato anche in materia tributaria il criterio della materia in luogo della determinazione analitica che aveva caratterizzato anche le riforme del 1972 e 1992. Tale riforma dal punto di vista meramente sistematico e tralasciando, per ora, le problematiche d’ordine costituzionale, aveva in sé una sua logica. Riunire la cognizione d’ogni tributo – inteso nella sua nozione classica comprensivo delle imposte, delle tasse e dei tributi speciali – comporta, infatti, evidenti benefici in punto di coordinamento con le altre giurisdizioni previste dal nostro ordinamento; tali rapporti sono, infatti, particolarmente adatti ad essere esaminati da organi speciali con metodo più sommario e meno formale (35). Non può essere pretermesso, però, che la novella in parola comporta, quantomeno, alcune difficoltà interpretative sul concetto di controversia tributaria e, quindi, della nozione di tributo, sulla quale torneremo nel paragrafo n. 6. La riforma del 2001 ha, infine, di fatto, abrogato la disposizione contenuta nell’art. 9, 2° comma, c.p.c. con la quale si prevedeva la competenza esclusiva del tribunale per le materie d’imposta. Il processo tributario si presentava, quindi, come un sistema autonomo, articolato avanti ad un giudice speciale. Si andava, in questo modo, sia pur con problematiche costituzionali ancora, a mio avviso, non del tutto superate, a compimento l’evoluzione del processo tributario “in senso specialistico degli organi che ne sono stati investiti (36)». 4. – Le modifiche apportate dall’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203 Veniamo ora ad analizzare la riforma introdotta, non senza sorpresa, dall’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203 convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248; con cui si è novellato l’art. 2 (37) del d.lgs. n. 546 del 1992 (38). –––––––––––– (34) In tal senso v. Marongiu, La rinnovata giurisdizione delle Commissioni tributarie, cit., loc. cit., 118. (35) Così Allorio, Sulla riforma del procedimento d’imposizione e sulla disegnata riforma del processo tributario, in Problemi di diritto, III, Milano, 1957, 432. (36) Così Glendi, Rapporti tra nuova disciplina del processo tributario e codice di procedura civile, retro, 2000, I, 1758. (37) L’art. 2, in vigore dal 3 dicembre 2005, risulta così formulato: «1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, PARTE PRIMA 755 Secondo il nuovo testo normativo appartengono, altresì, alla giurisdizione tributaria, oltre alle controversie catastali, anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, il canone per lo scarico delle acque reflue, il canone per lo smaltimento dei rifiuti, nonché le controversie attinenti all’imposta o al canone sulla pubblicità e al diritto sulle pubbliche affissioni. La formulazione del nuovo art. 2 desta, però, più di una perplessità. Com’è stato affermato, in sede di primo commento, da un autorevole studioso (39), aggiungere ad un criterio definitorio di carattere ge–––––––––––– comunque irrogate da Uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica. 2. Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale. Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni. 3. Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio». (38) Tra i primi commenti v. Basilavecchia, Modifiche al processo tributario, in Corr. trib., 2006, 106; Glendi, Aspetti applicativi delle modifiche apportate al processo tributario, in Corr. trib., 2006, 420; Lovisetti; L’estensione della giurisdizione tributaria alle entrate locali, in Corr. trib., 2006, 189 ss.; Colli Vignarelli, Il processo tributario. Il legislatore interviene in modo poco meditato, in Fisco, 2006, 2855. (39) Aggiungere come si fa con l’ultima novella «comunque denominati» è inutile ed è contraddittorio affiancare alla definizione generale un’elencazione casistica, che, necessariamente incompleta non può che essere foriera di dubbi. In tal senso v. Basilavecchia, Modifiche al processo tributario, cit., loc. cit., 106. Contra Glendi, Aspetti applicativi delle modifiche apportate al processo tributario, cit., loc. cit., 420. Secondo l’Autore in ragione della generalità della giurisdizione tributaria, di fronte al necessario riscontro, nella varietà delle «prestazioni patrimoniali imposte» astrattamente riconducibili di essere ricondotte alla categorie di tributi, di quelle che debbono concretamente definirsi tali, non sembra possa ritenersi precluso, né pare inutile avere espressamente demandato, al legislatore processuale tributario di precisare e statuire, con effica- 756 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA nerale – tributo d’ogni genere e specie – la locuzione «comunque denominati» risulta essere contraddittoria; inoltre, affiancare alla definizione generale un’elencazione casistica potrebbe generare più di un dubbio interpretativo. Le parole «comunque nominati» non aggiungono, inoltre, alcun che all’interprete, infatti, la giurisprudenza e la dottrina avevano ormai pacificamente affermato che il nomen iuris non è sufficiente in sé per definire la natura tributaria di un prelievo (40). A mio avviso, vi è nella normativa novellata un’irragionevolezza di fondo che non può passare sotto silenzio. Mi spiego meglio. Com’è noto, il legislatore sostanziale ha riformato alcuni prelievi la cui natura tributaria non era controversa in entrate patrimoniali. Vi è stata negli anni ‘90, infatti, la tendenza, generalizzata, a sostituire alcune imposte e tasse con canoni o tariffe la cui normativa nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto avere carattere privatistico. Non è passato neanche un decennio e, il legislatore si è, poi, affrettato con la riforma oggetto del presente contributo a prevedere per gli stessi prelievi la competenza del giudice tributario. Parrebbe, quindi, derivare una competenza generale del giudice tributario per tutti i tributi, oltre una competenza generale ed esclusiva per le entrate di natura patrimoniale previste dal 2° comma, mi riferisco, soprattutto, alla Cosap la cui natura patrimoniale, come sarà di seguito esposto è difficilmente controvertibile. Autorevole dottrina (41), ha, però, rilevato che la nozione di tributo è «una nozione unitaria che deve essere complessivamente ricavata da ogni dato sostanziale e processuale» e in tale valutazione deve tenersi conto delle indicazioni «espressamente» fatte dal legislatore che ha assegnato alla giurisdizione tributaria le controversie concernenti determinate prestazioni imposte sulle quali vi potevano essere dubbi sulla giurisdizione tributaria. In questo modo, secondo la citata dottrina la «voluntas legislativa in tal modo inequivocabilmente espressa» imporrebbe di considerare tali prestazioni come tributi e da ciò ne discende la naturale giurisdizione del giudice tributario. Vorrei, però, motivatamente dissentire da tale interpretazione. –––––––––––– cia vincolante rispetto all’interprete, l’irrilevanza ai fini dell’inclusione di alcune di esse nella categoria dei tributi. (40) L’individuazione specifica di alcune prestazioni le cui controversie vengono fatte confluire nella giurisdizione delle Commissioni, pongono l’interprete di fronte alla seguente alternativa: o trattasi di una specificazione superflua (e come tutte le cose superflue pericolosa) posto che la formula tributi comunque denominati pone già al riparo dai dubbi se nella suddetta giurisdizione confluiscano le controversie relative a prestazioni variamente denominate e non definiti tributi, ma sostanzialmente tributarie. In tal senso v. Russo, La dilatazione della giurisprudenza tributaria, in Rass. trib., 2006, 592. (41) Glendi, Aspetti applicativi delle modifiche apportate al processo tributario, cit., loc. cit., 421. PARTE PRIMA 757 A mio avviso, infatti, i dati processuali non possono avere ripercussioni sui profili sostanziali, sicché se il prelievo si atteggia come prestazione patrimoniale la previsione di una competenza del giudice tributario non ne muta le caratteristiche sostanziali, giacché è la disciplina sostanziale il dato normativo su cui deve essere analizzato il prelievo e non viceversa. A tacer d’altro, inoltre, la tecnica normativa lascia davvero interdetti, non tanto per l’uso della decretazione d’urgenza a cui siamo, purtroppo, abituati; mi riferisco, infatti, alla volontà di incidere su fondamentali istituti tributari di carattere sostanziale attraverso la scorciatoia della novellazione del processo. A voler essere rigorosi ed obiettivi l’ampliamento della cognizione del giudice tributario ad entrate di natura patrimoniali potrebbe sollevare, altresì, seri dubbi di carattere costituzionale per violazione dell’art. 102 Cost. e della VI disposizione transitoria (42). Attraverso la semplice novellazione dell’art. 2 si è creduto di poter ridisegnare la cognizione del giudice tributario, creando, però, a mio avviso, un pericoloso vuoto normativo. Niente è stato statuito, infatti, in merito alle problematiche d’ordine applicativo – mi riferisco agli atti impugnabili ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, parimenti, niente statuendo sull’applicabilità dell’iva che secondo l’interpretazione che si evince dalla norma dovrebbe essere applicata (43). Inoltre, come si è detto, alcune delle prestazioni oggetto della cognizione del giudice tributario non possono essere ricomprese nella nozione di tributo avendo natura privatistica. Ne deriva, altresì, una difficoltà prettamente operativa per le Commissioni tributarie storicamente non abituate a trattare fattispecie di stampo privatistico. 5. – La vicenda interpretativa dell’art. 102 e della VI disposizione transitoria della Costituzione È qui opportuno dar conto della vicenda relativa all’interpretazione dell’art. 102 e della VI disposizione transitoria della legge fondamentale. Negli anni che hanno seguito l’entrata in vigore della Costituzione –––––––––––– (42) Per rilievi sostanzialmente analoghi v. Russo, La dilatazione della giurisprudenza tributaria, cit., loc. cit., 592, secondo l’Autore, l’estensione della giurisdizione alle nuove materie, a prescindere dalla natura tributaria, si esporrebbe a censura d’illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 102 della legge fondamentale. (43) Per un approfondimento in merito agli atti impugnabili relativi alla tariffa d’igiene ambientale v. Lovisetti, L’individuazione della natura giuridica di un’entrata e le conseguenze in origine alla giurisdizione, all’individuazione degli atti impugnabili e all’applicabilità dell’iva: il caso della tariffa rifiuti, retro, 2006, II, 835 ss. 758 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA il dibattito in ordine alla soppressione delle Commissioni era fondamentalmente diviso, da una parte, tra chi richiedeva la soppressione delle stesse con la relativa costituzione presso il giudice ordinario di sezioni specializzate facendo leva oltre sul dato letterale sui lavori preparatori alla Costituzione. Questa era fuor di dubbio la tesi maggiormente seguita dagli studiosi negli anni ’50 e primi anni ’60, i progetti di riforma elaborati in sede legislativa – nascevano dalla consapevolezza che la Costituzione imponesse la soppressione delle Commissioni tributarie con la naturale istituzionalizzazione di sezione specializzate presso la magistratura ordinaria (44). Dall’altra, tra chi sosteneva la permanenza delle giurisdizioni preesistenti e che, di converso, interpretava l’art. 102 della legge fondamentale con riferimento alla sola istituzionalizzazione di nuovi giudici speciali (45). Nella giurisprudenza costituzionale le Commissioni furono dapprima qualificate come organi giurisdizionali e, in un secondo momento – dopo il 1969 – come organi amministrativi (46). La qualifica come organi amministrativi delle Commissioni tributarie comportava, pertanto, che la sola forma di tutela giudiziaria rimaneva l’autorità ordinaria, rimanendo fuori da qualsivoglia tutela le questioni di estimazione semplice. L’indirizzo assunto dal giudice delle leggi in merito alla qualificazione giuridica delle Commissioni tributarie era destinato ancora a mutare nel 1974 (47). La Corte costituzionale riqualificò retroattivamente, infatti, come giurisdizionali le Commissioni tributarie. In questo modo, le Commissioni riformate nel 1992, potevano essere considerate non un nuovo giudice, ma il giudice preesistente riformato. Inoltre, venne giudicata non vincolante la previsione contenuta nella VI disposizione transitoria della Costituzione. Da ultimo, il giudice delle leggi ha statuito, riguardo all’art. 30 legge n. 413 del 1991 e i d.lgs. nn. 545 e 546 del 1992 (48), che la modifica mediante ampliamento della competenza delle Commissioni tributarie non vale a far ritenere nuovo il giudice tributario, in modo da ravvisare un diverso giudice speciale, in quanto è rimasto non snaturato né il sistema d’estrazione dei giudici, né la giurisdizione nell’ambito delle –––––––––––– (44) Mi riferisco ai progetti di riforma Azzariti e Trabucchi. (45) In tal senso v. Allorio, Sulla riforma del procedimento d’imposizione e sulla disegnata riforma del processo tributario, in Giur. it., 1954, IV, 145. (46) Cfr. Corte cost., 6 e 10 febbraio 1969, n. 6 e 10, in Giur. it., 1969, I, 1027. (47) Cfr. Corte cost., 27 dicembre 1974, n. 287, retro, 1975, II, 34; Corte cost., 3 agosto 1976, n. 215, retro, 1976, II, 589; Corte. cost., 27 dicembre 1994, n. 287, cit., loc. cit., 34. (48) Per un approfondimento delle tematiche legate ai profili d’incostituzionalità in ordine alla riforma del 1992 v. Moschetti, Profili costituzionali del nuovo processo tributario, in Riv. dir trib., 1994, I, 843. PARTE PRIMA 759 controversie tributarie, anche se riconfigurata mediante una soluzione unitaria ed aggiornata, con la previsione di imposte locali in aggiunta a quelle statali e con l’adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile. Quanto ai profili organizzativi delle Commissioni, il giudice delle leggi osserva che sono rimaste sostanzialmente immutate rispetto alla previsione della materia tributaria oggetto della giurisdizione speciale e continuatrici delle preesistenti regolate dal d.p.r. n. 636 del 1972. Pertanto, le attuali Commissioni tributarie non possono essere considerate, agli effetti del combinato disposto dell’art. 102 e della VI disposizione transitoria della Costituzione, nuovi giudici speciali, come tali vietati (49). La Corte costituzionale ha statuito, poi, che il principio del divieto d’istituzione di giudici speciali di cui all’art. 102, 2° comma Cost., non riguarda quelli preesistenti e non preclude che essi possono essere oggetto di revisioni continue in quanto non v’è alcun vincolo per il legislatore ordinario di mantenerli immutati nell’ordinamento e nel loro funzionamento. Conseguentemente le Commissioni tributarie revisionate dai d.lgs. 31 dicembre 1992, nn. 545 e 546 non risultano essere giudici speciali nuovi in quanto è stato sia migliorato, e non modificato, il sistema di estrazione dei giudici, sia ampliata la giurisdizione, sia perfezionato il procedimento giudiziale. La pronuncia che si è brevemente riassunta, non fornita di una motivazione particolarmente convincente considerata la delicatezza del tema in oggetto, si prestava, a mio avviso, a più di una critica, soprattutto per quanto concerne l’interpretazione della VI disposizione transitoria sulla quale si reggeva tutta la serie di revisioni operate dal nostro legislatore e sulla quale è stata giustificata anche la riforma del 2001 (50). Parte della dottrina aveva criticato, peraltro, l’interpretazione data dal giudice delle leggi all’art. 102 e alla VI disposizione transitoria della Costituzione, giacché, in questo modo, si prospetta una sorta di podestà di «revisione permanente come espressione di una previsione eternamente provvisoria (51)» che, secondo la –––––––––––– (49) Così Corte cost., ord. n. 144 del 1998, in Corr. trib., 1998, 1669 ss., con nota di Glendi. (50) In conformità con questa giurisprudenza si può ritenere che la riforma del 2001 insista anche essa nell’ambito nella materia della materia della giurisdizione speciale. Che poi, questa volta il legislatore sia intervenuto con un attribuzione generale, non altera il quadro, purché sia rispettato il limite della materia tributaria. In tal senso Tesauro, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, 31. (51) Cfr. Batistoni Ferrara, La giurisdizione del giudice tributario, 1997, retro, cit., 254. Per quanto concerne l’incostituzionalità della riforma del 2001, v. Manzon, Legge finanziaria per il 2002: le Commissioni tributarie verso l’apoteosi. È vera gloria, cit., loc. cit., 171 ss.; De Mita, Un colpo di mano ai limiti della Costituzione, in Il Sole 24 Ore, 29 dicembre 2001; Id., Principi di diritto tributario, Milano, 2002, 465. L’Autore afferma che l’unificazione della giurisdizione è andata oltre il segno, perché per i tributi che non sono imposte 760 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA citata dottrina, si pone in contrasto con il precetto costituzionale. Abbandonata definitivamente quella che era la strada tracciata dalla Carta costituzionale, ovvero devolvere le controversie tributarie a sezioni specializzate presso il giudice ordinario, con la riforma introdotta con l’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, il legislatore, come si è visto, ha previsto la competenza del giudice tributario di prelievi di carattere patrimoniale. La novella del 2005 presta il fianco a più di una critica di carattere costituzionale oltrepassando, a mio avviso, anche la «benevola» interpretazione dell’art. 102 Cost. e della VI disciplina transitoria contenuta nell’ordinanza n. 144 del 1998. Il giudice delle leggi aveva, infatti, ravvisato l’unico limite nella revisione delle Commissioni tributarie nella natura delle materie a loro attribuite. In effetti, non era nemmeno immaginabile, a rigor di logica, una cognizione del giudice tributario su materie che esulano dallo stesso ambito tributario. Orbene, il limite è stato passato senza neanche curarsi troppo delle possibili conseguenze. Non credo, in altri termini, che la cognizione del giudice tributario di prelievi di matrice privatistica possa andare esente da critiche costituzionali. Ne deriva pertanto, a mio avviso, l’incostituzionalità della recente novella almeno nella parte in cui prevede la cognizione di prelievi di carattere patrimoniale. Come ha affermato un’autorevole dottrina (52), ove si dilatasse la cognizione giudice tributario estendendo ulteriormente la giurisdizione delle Commissioni tributarie fino a comprendere le controversie in materia relative a prestazioni coattive non tributarie la norma medesima non si sottrarrebbe a consistenti dubbi di illegittimità costituzionale sotto il profilo della violazione dell’art. 102 Cost. Ritengo, pertanto, essenziale, dopo una breve premessa in ordine alla nozione di tributo, ricostruire attraverso un’analisi sistematica dei profili sostanziali dei singoli prelievi, la reale natura (tributaria o patrimoniale) dei prelievi oggetto della riforma in commento al fine di valutare quali delle entrate in oggetto possono essere configurate come tributi. –––––––––––– (soprattutto per le tasse), si è inventato un giudice speciale non consentito dalla Costituzione. Secondo tale interpretazione per evitare l’incostituzionalità dell’art. 12 della l. n. 448 del 2001 sarebbe necessaria una norma di interpretazione autentica la quale dovrebbe chiarire che I tributi di ogni genere e specie sono costituiti dalle sole imposte. Contra, Miccinesi, Il nuovo processo tributario, a cura di Miccinesi - Menchini, cit., 17; secondo l’Autore, gli artt. 102 e VI disposizione transitoria della Costituzione non vietano al legislatore nei limiti dati dalla materia che connota la specialità della giurisdizione ed i tratti funzionali. (52) In tal senso v. Russo, Manuale di diritto tributario, Il processo tributario, cit., 19. PARTE PRIMA 761 6. – La nozione di tributo nella scienza delle finanze I tributi (53) secondo la concezione, assai risalente, elaborata sul terreno della scienza delle finanze si distinguono in imposte (54), tributi speciali e tasse (55). La materia è, caratterizzata, però, da una marcata imprecisione lessicale giacché, anche a livello normativo, non è rara la tendenza ad utilizzare in senso non appropriato termini quali canoni, tariffe, diritti in luogo di imposte o tasse (56). Il termine tributo era presente nell’art. 30 dello Statuto Albertino mentre negli artt. 964, 1008, 1009, 1025, 1961, 2752, 2758, 2771 e 2772 del codice civile si fa riferimento alle sole imposte («tributi diretti ed indiretti»), peraltro con un’incertezza diffusa del concetto di tributo. Si guardi, per esempio, l’art. 2772, ultimo comma, in cui il legislatore parla di «imposte, tasse e tributi» come se quest’ultima espressione non fosse comprensiva delle altre due (57). Quanto alla qualificazione formale degli istituti, non sempre essa riflette l’evoluzione degli stessi, sicché, a prescindere dal nomen iuris, entrate originariamente concepite come commutative vengono gradualmente trasformate in entrate coattive ed acausali (58). Non è rara, parimenti, l’ipotesi in cui il prelievo si vede mutato nel corso degli anni il presupposto, e/o la base imponibile in modo tale che anche la natura giuridica venga a modificarsi (59). Non è questa la sede per approfondire tematiche legate soprattutto alla scienza delle finanze. Mi preme, però, cercare di evidenziare la linea non sempre di facile demarcazione tra i tributi e le entrate di stampo privatistico. Com’è noto, il tributo si caratterizza, rispetto alle altre forme d’imposizione, dalla natura del presupposto che è sempre un indice di–––––––––––– (53) Sul concetto di tributo v. Forte, Note sulla nozione di tributo sull’ordinamento finanziario italiano e sul significato dell’art. 23 Cost., in Riv. dir. sc. fin., 1956, I, 248 ss. (54) Sulla definizione di imposte, tra gli altri, v. Bafile, Imposta, in Enc. giur., Roma, 1987, vol. XVI, 5; Batistoni Ferrara - Grippa - Salvetti, Lezioni di diritto tributario, Torino, 1993, 3 e ss.; Potito, L’ordinamento tributario italiano, Milano, 1978, 13 e ss. (55) Sulla definizione di tassa, tra gli altri, v. Russo, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Milano, 2002, 16 ss.; Lupi, Diritto tributario, Parte generale, Milano, 2000, 43 ss.; Del Federico, Contributo allo studio della tassa, Milano, 1996; Id., Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000. (56) Per un approfondimento sul tema v. Viotto, Tributo, in Dig. disc. priv. sez. comm., cit., 229 ss. (57) Per un approfondimento sul tema v. Giannini, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1974, 54 ss. (58) In tal senso v. Del Federico, Contributo allo studio della tassa, Pescara, 1996, 53 e 54. (59) Per un approfondimento sul tema v. Sacchetto, Tassa, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 8 e 9. 762 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA retto o indiretto di ricchezza. Per contro, nell’ipotesi in cui non sussiste il collegamento tra debito dell’individuo, anche di natura coercitiva, e una circostanza rilevatrice della sua forza economica, al prelievo compiuto dall’ente pubblico non può riconoscersi la natura tributaria (60). In particolare, si collocano al di fuori del concetto di tributo alcune prestazioni, di fatto, coattive, come ad esempio alcune tariffe che siano connesse con la richiesta di taluni servizi pubblici, suscettibili di prestazione individuale, la cui misura è stabilita in ragione del costo sostenuto dall’ente pubblico per il servizio. Il tributo, inoltre, si attua in termini generali indipendentemente dalla volontà di chi lo subisce, la coattività, deve essere intesa come mancanza di scelta circa il mezzo per soddisfare certi bisogni (61). Le entrate privatistiche, infatti, si fondano sulla libera determinazione dei singoli ad obbligarsi; pertanto, la coattività può essere considerata come elemento di particolare pregio per la caratterizzazione di entrata tributaria di un certo prelievo. Quanto testé affermato può risultare sufficiente per quella tipologia di entrate che si possono considerare tout court coattive, ma non parimenti per quelle entrate la cui coattività appare meno certa, perché in qualche modo contemperata dalla presenza dell’elemento volontaristico che si esprime, ad esempio, nella richiesta di un servizio o di una prestazione (62). Il giudice delle leggi ammette la configurabilità d’imposizioni tributarie anche in fattispecie in cui non vi è una esplicita coattività dell’imposizione, trovandoci dinanzi a servizi richiesti dal privato. In questi casi, ciò che connota il carattere tributario dell’imposizione è il fatto che le regolamentazioni del rapporto ed il quantum debeatur della prestazione siano, di fatto, rimessi alle determinazioni autoritative dell’ente pubblico. Nel nostro ordinamento giuridico sono, inoltre, presenti prestazioni imposte dalla legge che non possono rientrare nella nozione. Si pensi, per esempio, agli obblighi di fare, imposti autoritariamente dalla legge a carico di alcuni soggetti, come ad esempio, era fino a poco tempo fa il servizio militare (63). L’estrema delicatezza del tema in oggetto dovrebbe, dunque, consigliare prudenza nell’interpretazione dei vocaboli utilizzati dal legislato–––––––––––– (60) Cfr. Gaffuri, Lezioni di diritto tributario - Parte generale, 1989, Padova, 6. (61) In tal senso V. Fedele, Prestazioni imposte, in Enc. giur., XXIV, 1991, Roma, 4 ss. (62) Così espressamente v. Viotto, Tributo, in Dig. disc. priv. sez. comm., cit., 238. (63) In base a queste impostazioni si dovrebbero, tuttavia, configurare come tributo alcune prestazioni imposte dalla legge come il servizio militare, o prestazioni non remunerate che i cittadini devono rendere nei confronti dello Stato, mentre appare chiaro come tali prestazioni non possono rientrare nella nozione. Per un approfondimento sul tema v. Giannini, Il rapporto giuridico d’imposta, Milano, 1937, 6. PARTE PRIMA 763 re, sicché le denominazioni legislative dovrebbero essere utilizzate come indici di cui tener conto al fine di risalire alla reale natura dei singoli tributi (64). 7. – I prelievi previsti dal novellato art. 2, 2° comma, del d.lgs. n. 546 del 1992: il canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani, c.d. tariffa d’igiene ambientale La tariffa d’igiene ambientale (65) c.d. Tia, introdotta nel 1997, dovrebbe sostituire per il futuro la Tarsu. La tassa per i rifiuti solidi urbani (66) fu introdotta con la l. 29 marzo 1903, n. 103, la quale preve–––––––––––– (64) Per rilievi analoghi v. Viotto, Tributo, in Dig. disc. priv. sez. comm., cit., 230. (65) Tra i contributi in tema di tariffa d’igiene ambientale, senza pretesa di completezza, v. Ferrajoli - Iorio, La nuova tariffa sui rifiuti, in Fisco, 1997, 4663; Uricchio, La trasformazione della tassa rifiuti in tariffa nel decreto “Ronchi”, in Boll. trib., 1997, 204; Iovinelli, La disciplina dei rifiuti delle attività economiche. L’alternativa tra tassa e tariffa, in Trib. loc. e reg., 1996, 218 e ss.; Lovisetti, La nuova tariffa sui rifiuti, in Fin. loc., 1998, 303; Testa, Rifiuti urbani; dalla tassa alla tariffa. Con quali risultati?, in Fisco, 2000, 6126; Serranò, Dalla tassa alla tariffa sullo smaltimento dei rifiuti, in Boll. trib., 2001, 1136; Poddighè, La giurisdizione tributaria e l’evoluzione della tassa sulla gestione dei rifiuti urbani, in Riv. dir. trib., 2003, 499 e ss.; La Rocca, Alcune brevi considerazioni sul regime di smaltimento dei rifiuti solidi urbani alla luce della nuova “tariffa rifiuti” chiamata a succedere alla TARSU, in Fisco, 2003, 6865 e ss. e da ultimo se si vuole Biondo, Natura e competenza della tariffa d’igiene ambientale, in Boll. trib., 2005, 1753 ss. (66) Tra i contributi in tema di Tarsu, senza pretesa di completezza, v. Tosi - Giovanardi, L’ordinamento tributario degli enti locali, in L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Atti del convegno, I settanta anni di diritto e pratica tributaria, 2000, 478 e ss.; Marongiu - Tundo, La riforma dei tributi comunali, 1999, 88; Del Federico, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Milano, 2000; Lorenzon, La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in Trattato di diritto comunitario, a cura di Amatucci, 1994, 536; Giovanardi, Tributi comunali, in Dig. disc. priv., Torino, 1999, 174; Uricchio, Tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino, 1998, 175 e ss.; Osculati, Sulla tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi, in Riv. dir. fin., 1997, 23 e ss.; Tremonti, Profili della tassa per la raccolta e il trasporto dei rifiuti solidi urbani interi, e del corrispettivo della raccolta dei rifiuti solidi urbani, in Riv. dir. fin., 1977, 590 e ss.; Righi, Locali tassabili e natura giuridica della tassa sui rifiuti solidi urbani, in Boll. trib., 1981, 236 e ss.; Righi, Il comune deve a se stesso la tassa per i rifiuti prodotti nei propri locali?, in Boll. trib., 1985, 1769 e ss.; Righi, Tassa sui rifiuti solidi urbani ed entità del servizio svolto, in Boll. trib., 1989, 408; Baggio, Riduzione, esclusione ed agevolazioni nel contesto della nuova tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, in Fin. loc., 1995, 203; Iovinelli, La disciplina dei rifiuti delle attività economiche. L’alternativa tra tassa e tariffa, in Trib. loc. e reg., cit., 368 e ss.; Testa, Rifiuti urbani; dalla tassa alla tariffa. Con 764 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA deva che l’accesso al servizio di nettezza urbana avvenisse tramite un contratto di natura privatistica tra il «privato» e l’azienda erogatrice del servizio. Il corrispettivo era, quindi, pacificamente qualificato come prezzo (67). La disciplina mutò radicalmente con il r.d. 27 dicembre 1923, n. 2962. Il legislatore, infatti, abbandonò la qualificazione privatistica, per orientarsi su una connotazione tributaria. La disciplina così novellata venne pressoché totalmente riportata nel testo unico della finanza locale approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, che resistette, almeno negli aspetti fondamentali, sino al 1993, quando fu abrogato con l’art. 80, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507. Con il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, il legislatore, ha previsto l’istituzione di una tariffa (68), considerandola più flessibile e confa–––––––––––– quali risultati?, cit., 6126 e ss.; Giovanardi, Tributi comunali, in Riv. dir. trib., 1997, 464; Lovecchio, La singolare metamorfosi della tassa rifiuti, in Boll. trib., 1999, 1114; Serranò, Brevi considerazioni in tema di TARSU, in Boll, trib., 1999, 1754 e ss.; Serranò, Dalla tassa alla tariffa sullo smaltimento dei rifiuti, in Boll. trib., cit., loc. cit., 1136 e ss.; Poddighè, La giurisdizione tributaria e l’evoluzione della tassa sulla gestione dei rifiuti urbani, in Riv. dir. trib., 2003, 499 e ss.; La Rocca, Alcune brevi considerazioni sul regime di smaltimento dei rifiuti solidi urbani alla luce della nuova “tariffa rifiuti” chiamata a succedere alla TARSU, cit., loc. cit., 6865 ss. (67) In tal senso v. Tremonti, Profili della tassa per la raccolta e il trasporto dei rifiuti solidi urbani interi, e del corrispettivo della raccolta dei rifiuti solidi urbani, in Riv. dir. fin., cit., loc. cit., 614. (68) L’art. 11, d.p.r. n. 158 del 1999, ha disciplinato il regime transitorio della tariffa d’igiene ambientale prevedendo peraltro la possibilità di anticipare l’entrata in vigore della tariffa, in regime sperimentale, ai sensi dell’art. 49, comma 1-bis e art. 16, d.lgs. n. 22 del 1997. La l. n. 488 del 1999 (Finanziaria per il 2000) ha previsto la soppressione della TARSU, secondo i tempi previsti dal regime transitorio previsto dal d.p.r. n. 158 del 1999. La l. n. 350 del 2003 (Finanziaria per il 2004) ha prorogato a cinque anni i termini di cui alla lettera a). Inoltre, l’art. 1, 523° comma, della l. n. 311 del 2004 (Finanziaria per il 2005) ha ulteriormente prorogato di un anno i termini alla lett. a) e b). Tale disciplina così novellata risulta oggi: A) sei anni per i Comuni che abbiano raggiunto nell’anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all’85 per cento; con conseguente applicazione della tariffa dal 1° gennaio 2006; B) sei anni per i Comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l’85 per cento; C) otto anni, dal 1° gennaio 2008, per i Comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiori al 55 per cento, nonché per i Comuni che abbiano un numero d’abitanti fino a 5000, prescindendo dalla copertura dei costi del 1999. Per un approfondimento sul tema v. Piccolo, Passaggio dalla Tarsu alla tariffa. Ancora un altro anno di proroga, in Fisco, 2005, 507 e ss. La l. n. 266 del 2005, Legge Finanziaria per il 2006, ha ancora prorogato i termini. L’art. 1, 134° comma, ha, infatti, previsto Nuova formulazione dell’articolo 11, 1° comma del d.p.r. n. 158 del 1999. Secondo la nuova formu- PARTE PRIMA 765 cente alla nuova disciplina della materia ambientale, in sostituzione della Tarsu a decorrere dal 1° gennaio 2000. La tariffa dovrebbe comportare la copertura, da parte dei Comuni, dei costi «per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche». La tariffa è quantificata dagli enti locali sulla base di un metodo normalizzato (69), ripartita in una quota fissa e una parte variabile commisurata alla quantità dei rifiuti conferiti. Essa, non diversamente dalla tassa, si applica nei confronti di chi occupi o conduca locali. La Tarsu e la Tia sono due tributi che individuano, sostanzialmente una medesima capacità contributiva, per la coincidenza strutturale delle due forme di prelievo oltre che una sostanziale identità dei soggetti e modalità di determinazione del tributo. Si ha, pertanto, una coincidenza strutturale delle due forme di prelievo che rappresenta, a mio avviso, il primo indizio della natura tributaria della tariffa d’igiene ambientale. Inoltre, si tratta di un’entrata coattiva e tale circostanza pur non essendo decisiva rappresenta un altro indizio della natura tributaria dell’entrata de qua. Nel caso del servizio in oggetto, il cittadino, infatti, non ha alcuna possibilità di scelta. Il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani gli è, in concreto, imposto per evidenti ragioni d’interesse pubblico. Tale obbligo costituisce un ulteriore indizio del carattere tributario del prelievo in parola. Trattandosi di prestazione coattiva (70), connessa alla detenzione di aree o edifici produttori di rifiuti, non è, inoltre, possibile legare l’applicazione della tariffa ad una spontanea richiesta del servizio (71). Essa è obbligatoria, di fatto, per entrambe le parti, in presenza delle condizioni previste dalla legge (72), cosicché il prelievo sarebbe dovuto, in ipotesi, anche se non vi fosse un effettivo utilizzo dell’immobile (73). –––––––––––– lazione «gli Enti locali sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa entro la fine della fase di transizione della durata massima così articolata: a) sette anni per i Comuni che abbiano raggiunto nell’anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all’85%; b) sette anni per i Comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e 1’85%. (69) D.p.r. n. 158 del 1999. (70) Cfr. D’Ayala Valva, Nuove tariffe e prestazioni imposte e giurisdizione tributaria, in Giur. mer., 2004, 1256 e ss. A parere dell’Autore «la coattività del prelievo, in relazione alla spesa per un servizio imposto, e la non divisibilità del relativo beneficio costituiscono un insormontabile impedimento al riconoscimento di mera natura d’entrata patrimoniale alle somme richieste ai singoli». (71) Cfr. Poddighè, La giurisdizione tributaria e l’evoluzione della tassa sulla gestione dei rifiuti urbani, cit., loc. cit., 513. (72) D.lgs. n. 22 del 1997, art. 21, 1° comma. (73) Per la natura tributaria della Tariffa d’igiene ambientale v. Chiarizia, La natura giuridica della tariffa Ronchi (Tia), con particolare riguardo alla Ta.Ri. istituita dal Comune di Roma in sostituzione della Tarsu, in Boll. trib., 766 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA La disciplina della Tariffa d’igiene ambientale, come è stato evidenziato da autorevole dottrina (74), contiene elementi che l’avvicinano, almeno nei tratti salienti a quella di un’imposta. In tal senso, pare decisivo l’art. 5, 1° comma, d.p.r. 27 aprile 1999, n. 158, che ha disciplinato il metodo per la determinazione della tariffa, a mente del quale: «la quota fissa da attribuire alla singola utenza domestica viene determinata secondo quanto specificato nel punto 4.1 dell’allegato 1 al presente decreto, in modo da privilegiare i nuclei familiari più numerosi e le minor dimensioni dei locali». Il diverso trattamento delle famiglie più numerose è un sintomo evidente del perseguimento di finalità che sono, nei fatti, solidaristiche, per il cui raggiungimento lo strumento tipicamente utilizzato è l’imposta (75). Da quanto sopra esposto la Tariffa d’igiene ambientale si atteggiava a mio avviso come prelievo di carattere tributario, pertanto la competenza della Commissione tributaria non appariva sollevare dubbi di carattere costituzionale (76). In realtà, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3274 del 15 febbraio 2006 avevano statuito la competenza del giudice ordinario in ordine alla tariffa d’igiene ambientale. Il giudice di legittimità non pareva avere molti dubbi sulla natura della tariffa in oggetto: «è pacifico in causa che la prestazione pecuniaria, a seguito delle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 22 del 1997 non abbia natura tributaria» e, pertanto, la naturale competenza è del giudice ordinario (77). Nell’ordinanza la Corte aveva escluso la giurisdizione del giudice tributario (78), sostenendo che la prestazione pecuniaria imposta –––––––––––– 2005, 490. «La tariffa Ronchi è dunque un prelievo coattivo, correlato ad un servizio pubblico, al di fuori di alcun rapporto contrattuale e correlazione sinallagmatica, con la conseguenza che non può riconoscersi in esso natura di corrispettivo». (74) Per un approfondimento sul tema v. Giovanardi, Tributi comunali, in Dig. disc. priv., cit., 150. (75) Cfr. Tosi - Giovanardi, L’ordinamento tributario degli enti locali, in L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Atti del convegno, I settanta anni di diritto e pratica tributaria, cit., 480. (76) La Tariffa d’igiene ambientale ha natura tributaria in quanto individua un’espressione di capacità impositiva. La natura tributaria della Tia è riconoscibile, poiché tale carattere giuridico si sostanzia quando l’obbligazione non deriva da volontà contrattuale, ma dalla legge. In tal senso v. Com. trib. prov. Venezia, 15 marzo 2004, in Boll. trib., 2005, 1753 ss. (77) Cass., sez. un., ord. 15 febbraio 2006, n. 3274, in Fisco, 2006, 4997 ss. (78) La natura di prestazione patrimoniale della Tia era stata affermata da Russo, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Milano, 2003, 23; secondo l’Autore «la diversa qualificazione della prestazione in esame sembra legittimare l’idea di una privatizzazione di essa, nel senso che si è concretamente realizzato uno slittamento concettuale della prestazione medesima verso una configurazione privatistico commutativa nella quale l’obbligazione viene ad essere collegata alla fruizione di un servizio reso dal Comune secondo uno schema necessariamente sinallagmatico. Il passaggio dall’uno all’altro tipo di PARTE PRIMA 767 dall’ente, «utente del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 49 del decreto Ronchi non abbia natura tributaria, in quanto non vi è dubbio che l’obbligo di pagamento del corrispettivo sorge da presupposti interamente preregolati dalla legge e da atti amministrativi generali, senza che siano riservati alla pubblica amministrazione spazi di discrezionalità circa la concreta individuazione dei soggetti obbligati, i presupposti oggettivi o il quantum del corrispettivo dovuto. Ne consegue che l’oggetto del giudizio non comprende in alcun modo un diretto sindacato sulla legittimità di provvedimenti», pertanto la naturale competenza è del giudice ordinario. La predetta ordinanza è stata depositata a metà febbraio, ma la questione era stata decisa in Camera di consiglio prima dell’entrata in vigore della riforma. Si può affermare, pertanto, che nella vigenza del «vecchio» art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 la competenza della tariffa d’igiene ambientale era affidata al giudice ordinario. Ne è prova la successiva sentenza n. 4895 (79) che esplicitamente riconosce la giurisdizione del giudice tributario, giacché l’art. 3-bis della l. n. 248 del 2005, ha ricondotto alle Commissioni tributarie le controversie relative ad alcuni prelievi «locali», tra cui quelle riferite alla tariffa rifiuti. La sentenza in parola, con una motivazione, peraltro non convincente, facendo applicazione dello ius superveniens, ha «assegnato» la giurisdizione al giudice tributario. Rimangono, però del tutto aperte le problematiche di carattere sistematico, in ordine, soprattutto, all’impugnazione di un determinato atto impositivo (80). Niente viene, infatti, all’uopo determinato dal legislatore. Ne discende un vuoto normativo la cui soluzione rimane assai problematica. In un recente contributo (81), avevo ritenuto impugnabile il ruolo, giacché la riscossione è effettuata, in virtù dell’art. 49, 15° comma, d.lgs. n. 22 del 1997, tramite ruolo secondo le disposizioni previste dal d.p.r. n. 602 del 1973 e successive modificazioni (82). –––––––––––– prestazioni, senza che sia mutato il presupposto da cui scaturisce il rapporto obbligatorio milita, comunque, a favore di ricondurre entrambe all’interno di una più ampia categoria, caratterizzata dall’esistenza di un nesso di corrispettività intercorrente tra servizio pubblico e quanto dovuto dal privato». (79) Cass., sez. un., 8 marzo 2006, n. 4895, in Fisco, 2006, 5336 ss. La si legga, altresì, in Boll. trib., 2006, 799 ss. (80) Per un primo orientamento in tema di atti impugnabili v. Muscarà, Atti impugnabili tra vecchio e nuovo contenzioso tributario e prospettive di riforma, in Rass. trib., 1994, 1506 ss.; Lupi, Gli atti impugnabili dopo l’accantonamento del nuovo contenzioso: dove eravamo rimasti, in Rass. trib., 1994, 1520 ss.; Batistoni Ferrara, Gli atti impugnabili nel processo tributario, retro, 1996, I, 1109 ss. (81) Cfr. Biondo, Natura e competenza della tariffa d’igiene ambientale, in Boll. trib., cit., loc. cit., 1754. (82) In ordine a taluni tributi, in specie a quelli comunali e provinciali non è previsto dai provvedimenti normativi che li disciplinano uno specifico atto di 768 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA Pur nella consapevolezza dell’interpretazione data dal giudice delle leggi (83) e dalla Corte di Cassazione (84) in ordine all’art. 16 del d.p.r. n. 636 del 1972 e all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 non sono del tutto convinto della possibilità di impugnare in Commissione tributaria una fattura commerciale. La ratio di tali interventi era, evidentemente, quella di non lasciare privo di una tutela giurisdizionale il contribuente, il quale potrebbe impugnare il ruolo giacché quest’ultimo, com’è noto, rientra tra gli atti autonomamente impugnabili ai sensi dell’art. 19, lett. d). La formulazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 ha cercato, infatti, di superare l’incertezza sull’impugnazione autonoma degli atti previsti dalla legge (85). L’art. 16, d.p.r n. 636 del 1972, era stato interpretato da una parte della dottrina nel senso di non reputare tassativa l’elencazione degli atti ivi contenuti. Il legislatore per porre fine all’incertezza interpretativa della norma sopra menzionata è intervenuto nel 1981 novellando il 1° comma, dell’art. 16. –––––––––––– accertamento, talché si rende tutto sommato opportuno ravvisare nell’iscrizione a ruolo dei tributi medesimi il primo atto espressivo della relativa pretesa impositiva, avverso il quale si rende in concreto esperibile la tutela giurisdizionale innanzi alle Commissioni tributarie. In tal senso v. Pezzoti, Il nuovo processo tributario, a cura di Baglione - Miccinesi - Menchini, cit., 234. (83) In questa occasione la Corte costituzionale rigettò la censura d’incostituzionalità dell’art. 16 nella parte in cui non prevedeva tra gli atti impugnabili il provvedimento di declaratoria di inammissibilità o di rigetto della domanda di condono. Il giudice delle leggi attraverso un’interpretazione estensiva della norma affermò, quindi, la possibilità di ricomprendere l’atto tra quelli impugnabili in forza di un’interpretazione estensiva, condotta in relazione a ciascuna singola categoria di atti normativamente determinata, avendo riguardo allo scopo che l’atto non previsto ha e degli effetti che produce. In tal senso v. Corte cost., 6 dicembre 1985, n. 313. A conclusioni analoghe è giunta, recentemente la stessa Corte di Cassazione. In tal senso v. Cass., sez. un., 29 marzo 1999, n. 185, in Fisco, 1999, 8078 ss. (84) Il provvedimento di revoca dell’accertamento con adesione del contribuente ai fini delle imposte sul reddito e dell’iva è inerente al rapporto tributario e alla corretta applicazione dell’imposta, con la conseguenza che l’impugnazione dello stesso, in considerazione dello scopo che ha e degli effetti che produce – quale atto necessariamente presupposto dell’avviso di accertamento – rientra nella giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie, dovendosi ritenere ricompreso, con interpretazione estensiva, nella nozione di avviso d’accertamento, atto impugnabile innanzi alle stesse. In tal senso v. Cass., sez. un., 26 marzo 1999, n. 185, in Banca dati giuridiche infoutet. (85) L’art. 16, 1° comma, d.p.r. n. 632 del 1972, prevedeva che «il termine per proporre ricorso in Commissione tributaria fosse di sessanta giorni a decorrere dalla notificazione dell’avviso d’accertamento, dell’ingiunzione, del ruolo, del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie». Al riguardo la dottrina maggioritaria riteneva che l’elencazione degli atti contenuti nell’articolo sopra menzionato non fosse tassativa, in tal senso v. Maffezzoni, Atti impugnabili e funzione del processo davanti alle Commissioni tributarie, in Boll. trib., 1976, 1569 e ss.; Russo, Il nuovo processo tributario, Milano, 1974, 579 e ss. PARTE PRIMA 769 L’art. 7, d.p.r. 3 novembre 1981, n. 739, ha, infatti, sostituito l’art. 16, introducendo, al 1° comma (86), il divieto d’impugnazione autonoma degli atti non indicati (87). La previsione normativa non è stata, però, univocamente interpretata dalla giurisprudenza che ha ammesso l’autonoma interpretazione, tra gli altri, del fermo amministrativo, l’atto di reiezione dell’atto di condono e l’elenco di sgravio, l’atto di diniego e revoca di agevolazioni ed esenzioni (88). La nuova impostazione, operata con la novella del 1981, avente il fine di limitare gli atti impugnabili in Commissione tributaria a quelli esplicitamente previsti dalla legge, è stata resa ancora più chiara nel d.lgs. n. 546 del 1992. Il legislatore, nella riforma che si commenta, non si è preoccupato, minimamente, di trovare una soluzione a tali problematiche, per esempio prevedere un accertamento della maggiore imposta notificato con un atto impositivo che preveda tutte le caratteristiche previste dalla legge a tutela del contribuente. Ci si è limitati, infatti, a prevedere la competenza del giudice tributario di una tariffa, il cui procedimento si conclude con atto prettamente privatistico, ovvero la fattura commerciale che, come esposto, parrebbe non rientrare tra gli atti impugnabili ex art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992 (89). La fattura (90), se si abbracciasse la tesi dell’autonoma im–––––––––––– (86) Il legislatore introdusse con il d.p.r. n. 739 del 1981 all’art. 16, 1° comma, una norma di chiusura che vietava, di fatto, una impugnazione autonoma degli atti diversi da quelli indicati; unitamente il legislatore ampliò l’elenco degli atti impugnabili aggiungendo agli atti precedentemente ricorribili in Commissione tributaria l’avviso di liquidazione e l’avviso di mora. (87) Nel senso di ritenere tassativo l’elencazione degli atti ricorribili in Commissione tributaria in virtù dell’art. 7, d.p.r. n. 739 del 1972, tra gli altri, v. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, 89; Glendi, L’oggetto del processo tributario, cit., 264 e ss. (88) Per quanto concerne la giurisprudenza riguardante il fermo amministrativo, tra le altre, v. Comm. centr., 10 giugno 1982, in Boll. trib., 1983, 437; per l’elenco di sgravio v. Cass., sez. un., 6 dicembre 1994, n. 10453, in Riv. giur. trib., 1996, 226, con nota Basilavecchia, Questioni in tema d’impugnazioni e d’atti impugnabili; Cass., sez un., 7 febbraio 2002, n. 177, in Corr. trib., 2002, 1895, con nota di Basilavecchia, La giurisdizione sul fermo amministrativo del rimborso Iva. (89) Per la tassatività degli atti impugnabili v. Comm. trib. prov. Bergamo, sez. I, 4 marzo 2003, n. 21, in Mass. Comm. trib. Lombardia, 2003, 4, 9, secondo i giudici di Bergamo l’avviso di pagamento relativo ai contributi dovuti ai Consorzi di bonifica ha natura di «richiesta bonaria», in quanto non reca l’intimazione di pagamento con avviso della possibilità di ricorrere a esecuzione forzata, non viene ritualmente notificato ma inviato a mezzo posta, e non contiene l’indicazione del termine per impugnare e della Commissione tributaria competente. Di conseguenza, tale atto non corrisponde a nessuno degli atti impugnabili indicati nella tassativa elencazione fornita dall’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Quindi, il ricorso avverso l’atto in questione è inammissibile. Contra, Cass., sez. un., 18 aprile 1994, n. 3684, in Foro it., 1994, I, 770 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA pugnazione della stessa, dovrebbe essere, in ogni modo, a pena di nullità motivata non con minor rigore di qualsiasi atto di accertamento, oltre ad essere notificata entro termini decadenziali. Dovrà, infatti, essere determinato l’esatto termine in cui il beneficiario del servizio ha ricevuto il suddetto atto, anche al fine di far decorrere il termine previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 per l’impugnazione innanzi alla Commissione tributaria (91). A ben vedere, l’impugnazione del ruolo mi sembra ancora la soluzione più convincente (92). –––––––––––– 3055, La nota compilata dal cancelliere e resa esecutiva dal capo dell’ufficio giudiziario ai sensi dell’art. 43 disp. att. c.p.c., per la riscossione delle somme iscritte a campione civile, ove le stesse siano rappresentate dall’imposta di registro produce gli effetti di un qualsiasi atto di accertamento, sono impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie. Per il carattere tassativo degli atti previsto dall’art. 19, in tema di Tariffa d’igiene ambientale, v. Comm. trib. prov. Lucca, sez. I, 19 maggio 2005, n. 23, inedita. Secondo la citata sentenza l’elencazione degli atti impugnabili è da ritenersi tassativa, pertanto la fattura non è un atto impugnabile ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto la predetta fattura non è ricompresa tra gli atti autonomamente impugnabili ai sensi dell’art. 19, 1° comma e gli atti diversi a quelli citati al primo comma non sono impugnabili autonomamente. In tema di contributo unificato per gli atti giudiziali v. Comm. trib. prov. Cagliari, sez. II, 1° luglio 2003, n. 431, in Boll. trib., 2004, 854, contributo unificato di iscrizione a ruolo per le spese di giustizia non appartiene alla giurisdizione delle Commissioni tributarie, bensì all’Autorità Giudiziaria Ordinaria, pur dopo l’ampliamento di quella giurisdizione specializzata disposto dalla Legge Finanziaria del 2001. Infatti, a parte la fase di esecuzione forzata e le controversie avanti diversa natura anche se collegate al rapporto tributario, il giudizio tributario continua a restare un giudizio impugnatorio (di merito e non di mero annullamento) che deve riguardare l’impugnazione di uno degli atti indicati nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. Del resto non potrebbero essere parti del giudizio tributario né il Ministero della giustizia, cui tale contributo è destinato, né l’Agenzia delle entrate, che non riveste alcun ruolo nella sua applicazione. Contra, Comm. trib. prov. Foggia, 15 aprile 2003, n. 100, con nota di Pellegrini, L’invito di pagamento emesso dal tribunale in caso di insufficiente versamento del contributo unificato è atto impugnabile, in Riv. dir. trib., 2004, II, 47 ss., la si legga anche retro, 2005, II, 94 ss., con nota di Cusato, La giurisdizione sulle controversie in tema di contributo unificato per atti giudiziali. (90) Per l’impugnazione della fattura commerciale v. Chiarizia, Le controversie in materia di tariffa d’igiene ambientale (TIA) rientrano nella giurisprudenza tributaria, cit., loc. cit., 802. Secondo l’Autore si dovrebbe ammettere la diretta impugnabilità delle fatture o delle bollette emesse al fine della riscossione della Tariffa Ronchi, in quanto atti diretti a determinare il credito tributario del contribuente-utente. (91) Per considerazioni analoghe v. Chiarizia, Le controversie in materia di tariffa d’igiene ambientale (TIA) rientrano nella giurisprudenza tributaria, cit., loc. cit., 802. (92) Nella vigenza della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani la PARTE PRIMA 771 Il ruolo è nato come atto recante la liquidazione dell’imposta dovuta dal contribuente. Negli anni ha, poi, assunto una pluralità di funzioni tra cui quella di accertare l’imponibile nei confronti del contribuente (mi riferisco agli artt. 36-bis e 36-ter del d.p.r. n. 600 del 1973). In questi casi, l’iscrizione al ruolo non è proceduta da altri atti impositivi avendo come precipua funzione quella di determinare l’imponibile (93). Il ruolo, infatti, ai sensi dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 c.d. statuto dei contribuenti, dovrà essere motivato secondo quanto prescritto dall’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni. Vi dovranno essere indicati, quindi, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Infine, come previsto dall’art. 7, 3° comma, dello statuto, se nella cartella si fa riferimento alla fattura, quest’ultima dovrà essere allegata dall’Ufficio finanziario. 8. – Segue: il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche Il canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche ha avuto una evoluzione legislativa a grandi linee speculare alla tariffa d’igiene ambientale. La disciplina della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (94) è stata prevista nel testo unico della finanza locale approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, ha resistito sino al 1993, quando fu abrogato con gli artt. 38 ss., d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507. La natura tributaria dell’entrata in parola non appariva dubbia né in dottrina né in giurisprudenza (95); la maggior parte degli studiosi era, infatti, orientata nel qualificarla come tassa (96). –––––––––––– cartella esattoriale che ne conteneva la richiesta di pagamento aveva natura particolare giacché costituiva il primo atto con il quale veniva portata a conoscenza del contribuente la pretesa impositiva dell’ente impositore. Ne derivava, pertanto, l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale avverso la cartella di pagamento, proposto per ragioni inerenti alla liquidazione del tributo. In tal senso v. Cass., 30 maggio 2002, n. 7951, in Mass. Giust. civ., 2002. (93) Il suddetto atto non è preceduto da alcun atto di accertamento ed assume pertanto rilevanza anche quale atto sostanziale di determinazione dell’imponibile, di liquidazione dell’imposta e di irrogazione della sanzione. In tal senso Russo, Manuale di diritto tributario, parte generale, cit., 353 ss. (94) Per un orientamento generale sul tema v. Salvini, Aree pubbliche (imposta di occupazione di), in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino, 1987, 223 ss.; Lovecchio, La nuova tassa per l’occupazione delle aree pubbliche, in Fin. loc., 1994, 763 ss. (95) La Tosap ha natura prettamente impositiva giacché non rappresenta un corrispettivo per la prestazione fornita, ma un contributo correlato all’utilità del contribuente richiedente ed assume pertanto i caratteri propri dell’obbligazione tributaria. In tal senso v. t.a.r. Toscana, sez I, 13 aprile 1990, in Comm. trib. centr., 1990, II, 1164; Cass., 30 ottobre 1984, n. 5547, in Rass. trib., 1986, I, 127. (96) Cfr. Di Pietro, Tributi comunali, in Enc .giur., XXXI, Roma, 1994, 8. 772 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA Con la riforma del 1997, il legislatore ha spostato il prelievo dall’area dell’imposizione a quella dei rapporti commutativi; la riforma in parola (97) non è stata solo un cambiamento di facciata giacché si è sostanzialmente inciso sulla struttura del prelievo. Il Cosap è stato introdotto nell’ordinamento della finanza locale dal d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, recante, fra l’altro, riordino della disciplina dei tributi locali, emanato in attuazione di delega conferita al governo dall’art. 3, 143° comma lett. e), n. 2, e 149° comma, lett. h), l. 23 dicembre 1996, n. 662, in particolare, per l’abolizione della tassa per l’occupazione degli spazi ed aree pubblici, di cui al capo II del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 ed all’art. 5, l. 16 maggio 1970, n. 281 c.d. Tosap e per la contestuale attribuzione alle Province ed ai Comuni della facoltà di prevedere, per l’occupazione, concessa o abusiva, di aree ricadenti nel demanio e nel patrimonio indisponibile di loro rispettiva pertinenza, il pagamento di un canone, commisurato alle esigenze del loro bilancio, al valore economico delle aree, all’entità del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico generalizzato degli spazi occupati ed all’aggravamento degli oneri di manutenzione di detti spazi. Dalle disposizioni in parola si evince che il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche non è il risultato di una mera revisione del preesistente tributo avendo sostituito del tutto la Tosap (98). Il d.lgs. n. 446 del 1997, dunque, da un lato, con l’art. 51, 2° comma, lett. a), ha abolito la Tosap, con decorrenza dall’1 gennaio 1999, e, dall’altro, con l’art. 63 ha stabilito che Province e Comuni, con appositi atti regolamentari potessero «prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio e patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati attrezzati», nonché di «aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge», ed, altresì, di «tratti di strade statali situate all’interno di centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti» dovesse essere assoggettata, ancorché abusiva, al pagamento di un canone di concessione determinato, sulla base di una tariffa prestabilita, «con riferimento alla durata dell’occupazione» e maggiorabile «di eventuali oneri di manutenzione derivanti» dall’occupazione stessa. Il quadro normativo delineato nella lettera precedente, peraltro, è stato novellato dall’art. 83, l. 23 dicembre 1998, n. 448, che con disposizione contenuta nell’art. 31, 14° comma, ha sancito l’abrogazione della lett. e) del 143° comma dell’art. 3, l. 23 dicembre 1996, n. 662 e della lett. a) del 2° comma dell’art. 51, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, –––––––––––– (97) Per un approfondimento sul tema v. Giovanardi, Tributi comunali, in Dig. disc. priv. sez. comm., cit., 183-184. (98) In senso analogo v. Del Federico, Il nuovo canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche. Tassa, corrispettivo o prezzo pubblico, in Riv. dir. trib., 1998, I, nota n. 12. PARTE PRIMA 773 ovvero le norme in ordine all’abrogazione della Tosap, ed ha mantenuto, quindi, in vita tale tributo. L’art. 3, 20° comma, novellando l’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, ha stabilito che «i comuni possono», adottando appositi regolamenti, «escludere l’applicazione nel proprio territorio della Tosap», e, in alternativa all’applicazione di tale tributo, «prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, degli spazi e delle aree» elencati nella norma sostituita debba essere assoggettata ad un canone di concessione determinato in base a tariffa. Dalla sommaria lettura, sistematica, delle norme in oggetto, ed in ragione della disciplina dettata dal d.lgs. n. 446 del 1997, il Cosap parrebbe avere natura privatistica, come, peraltro, si evince dalla Commissione Gallo. Quest’ultima qualificava il canone per l’occupazione degli spazi e delle aree pubbliche comunali e provinciali sul modello del canone demaniale valorizzandone la struttura di canone para-locativo in netta contrapposizione con l’eventuale connotazione tributaria. In tale contesto, la concessione contratto è assunta come fonte di obbligazioni corrispettive per entrambe le parti e non come presupposto per l’applicazione del prelievo (99). Le sezioni unite della Suprema Corte si sono, inoltre, recentemente, espresse per il carattere patrimoniale del prelievo in parola. Secondo il giudice di legittimità, infatti, dall’esame del complesso delle norme che disciplinano il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, si deve evincere che esso è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla Tosap, quale, cioè, corrispettivo di una concessione, reale o presunta, dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici; alla luce di tali elementi, va senz’altro esclusa la natura di tributo del nuovo Cosap, con la conseguenza della non-soggezione delle relative vertenze alla giurisdizione tributaria e della loro corretta inclusione nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario (100). –––––––––––– (99) Né tanto meno il canone ha come presupposto l’occupazione di spazi ed aree pubbliche intesa quale fatto; un’ipotesi del genere si verifica soltanto per la marginale e patologica occupazione abusiva. In tal senso v. Del Federico, Il nuovo canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche. Tassa, corrispettivo o prezzo pubblico?, cit., loc. cit., 202. (100) In tal senso v. Cass., sez. un., 19 agosto 2003, n. 12167, in Boll. trib., 2004, 1274, nota di Righi, pubblicata anche retro, 2004, II, 259. L’opposizione avverso la cartella esattoriale per il pagamento della tassa per l’occupazione di aree pubbliche (Tosap) appartiene alla giurisdizione delle Commissioni tributarie, ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. h), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione al capo II del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 ed all’art. 5 della l. 16 maggio 1970, n. 281, mentre rientra nella giurisdizione del giudice ordinario – a mente dell’art. 5 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni – la cognizione delle controversie relative al canone di concessione (Tosap), istituito dall’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, a partire dal 1° gennaio 1999. In tal senso v. Cass., 774 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA Quanto ai fini di cui al presente contributo, non può, a mio avviso, ritenersi dubbia la natura di prelievo patrimoniale non solo per le caratteristiche sostanziali della Tosap, ma, soprattutto, per l’interpretazione data dal giudice di legittimità. Le due pronunce delle sezioni unite, infatti, sembrano avere spazzato via, anche i residui dubbi, sulla reale natura del prelievo in oggetto. 9. – Segue: il canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni In questa sede non può che essere fatto un breve cenno agli altri prelievi la cui cognizione è stata assegnata, con il collegato alla finanziaria per il 2006, al giudice tributario. Quanto al canone per lo scarico delle acque reflue, introdotto dall’art. 14 della l. n. 36 del 1994, c.d. legge Galli (ha sostituito il canone di fognatura e depurazione ex lege n. 319 del 1976), la giurisprudenza di legittimità ha statuito che il prelievo in oggetto ha perso il carattere tributario a far data dal 4 ottobre 2000. Ad avviso del giudice di legittimità, infatti, il canone per il servizio di depurazione delle acque reflue integra un tributo comunale secondo la disciplina vigente anteriormente al 3 ottobre 2000, data di entrata in vigore dell’art. 24 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 258, il quale (abrogando l’art. 62, 5° e 6° comma del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152) ha eliminato per il futuro il transitorio differimento dell’inizio di efficacia dell’art. 31, 28° comma, l. 23 dicembre 1998, n. 448 che ha invece qualificato il corrispettivo di detto servizio quota di tariffa ai sensi degli artt. 13 e ss. l. 5 gennaio 1994, n. 36; ne consegue che la domanda avente ad oggetto la non debenza di detto canone con riferimento ad un periodo compreso nella previgente disciplina spetta alla giurisdizione delle Commissioni tributarie ex art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (101). –––––––––––– sez. un., 21 gennaio 2005, n. 1239, in Banca dati giuridiche Infoutet. Il giudice di pace è competente a conoscere del ricorso in opposizione avverso il provvedimento di un’Amministrazione provinciale relativa all’omessa denuncia ed al mancato pagamento del canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) nonché alla contestuale irrorazione di sanzione amministrativa pecuniaria per avere il ricorrente, proprietario di fondi sui quali insistono fabbricati, realizzato un accesso a raso della strada provinciale. In tal senso Giudice di pace Frosinone, 25 maggio 2004, in Banca dati giuridiche Infoutet. (101) In tal senso v. Cass., sez. un., 24 gennaio 2003, n.1087, in Mass. Giur. it., 111. Il canone o diritto per lo scarico e la depurazione delle acque reflue costituiva, fino al 3 ottobre 2000, un tributo comunale; ne consegue che la domanda avente ad oggetto detto canone spetta alla giurisdizione del giudice tributario ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (anche nel vigore del testo originario, prima dell’ampliamento delle attribuzioni delle Com- PARTE PRIMA 775 Il Canone per l’autorizzazione all’istallazione dei mezzi pubblicitari è stato introdotto nel 1997. Ai sensi dell’art. 62, d.lgs. n. 446 del 1997 i Comuni possono stabilire di escludere l’applicazione dell’imposta comunale sulla pubblicità istituendo in sostituzione un canone per l’autorizzazione all’installazione dei mezzi pubblicitari, c.d. C.i.m.p., strutturato in modo da assoggettare alla tariffa prevista le iniziative pubblicitarie che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente. L’imposta comunale sulla pubblicità (102) e il diritto sulle pubbliche affissioni sono disciplinati nel capo I del d.lgs. 15 dicembre 1993, n. 507 (103). Non è questa la sede per approfondire sistematicamente il prelievo in oggetto (104), qui mi limito ad osservare come il presupposto impositivo dal canone sia molto simile a quello della imposta comunale. La delicatezza della materia meriterebbe studi più approfonditi che sono peraltro resi più problematici dall’assenza di pronunce giurisprudenziali sul tema. Mi pare, però, che sia decisivo, nel senso di qualificare il suddetto prelievo come entrata di natura patrimoniale, la tipologia del servizio che può essere definita «a richiesta», ovvero l’utente non è obbligato a usufruire del suddetto servizio. 10. – Conclusioni La novellazione dell’art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, così come attuata dal legislatore è giunta, senz’altro, inaspettata. Non mi risulta, infatti, alcun dibattito in dottrina in ordine al bisogno di estendere la cognizione del giudice tributario a prelievi di natura privatistica. In realtà, tale ri–––––––––––– missioni tributarie introdotto dall’art. 12 della l. 28 dicembre 2001, n. 448) ancorché esso sia stato applicato in collegamento con il canone per l’erogazione dell’acqua potabile, le cui controversie sono di cognizione del giudice ordinario. In tal senso v. Cass., sez. un., 17 luglio 2003, n. 11188, retro, 2004, II, 258. (102) Per un approfondimento in tema di imposta di pubblicità tra gli altri, v. Patanè, L’imposta comunale sulla pubblicità. Considerazioni, in Boll. trib., 1977, 894; Righi, In tema di definizione di pubblicità assoggettabile all’omonimo tributo comunale, in Boll. trib., 1979, 676, Id., Pubblicità e pubbliche affissioni (imp. di), in Enc dir., XXXVII, Milano, 1988, 1956 ss.; Uricchio, La nuova disciplina dell’imposta di pubblicità, in Fin. loc., 1994, 364 ss. (103) Il presupposto dell’imposta di pubblicità è, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 507 del 1993, «la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile». Tale diffusione ai sensi dell’art. 5, 2° comma, deve essere effettuata nell’esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni e servizio di migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato. (104) Per un approfondimento sul tema v. Bonadonna, L’imposta comunale sulla pubblicità: l’ambito di applicazione e il presupposto impositivo, in Trib. loc. e reg., 2006, 373 ss.; Giovanardi, Tributi comunali, in Dig. disc. priv. sez. comm., cit., 184 ss. 776 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA forma si dimostra, oltre che poco meditata anche antistorica. Il favor legislativo e giurisprudenziale, infatti, tendente ad ampliare la giurisdizione delle Commissioni era finalizzato, soprattutto, al fine di creare un giudice tributario la cui cognizione era estesa a tutti i tributi. Questa era stata la ratio seguita dal legislatore del 2001 che, a prescindere dai motivati dubbi di carattere costituzionale, aveva in sé una sua logica intrinseca, ovvero razionalizzare il processo tributario, creando un giudice speciale per tutti i tributi. Orbene, nella novella in commento, come si è visto, si è aggiunto con tecnica che ricorda le riforme del 1972 e 1992, cioè casisticamente, prelievi la cui natura patrimoniale non è controversa, come, ad esempio, il canone per l’occupazione spazi ed aree pubbliche. Quanto al canone per lo scarico delle acque reflue, permangono, a mio avviso, alcuni dubbi sulla natura del prelievo dopo la novella del 1999. In conclusione, non può passare sotto silenzio l’irragionevolezza di una legislazione tributaria che negli ultimi anni si è affrettata, dapprima, a qualificare come tariffe o canoni, prelievi la cui natura non appariva dubbia, sottraendoli, di fatto, alla giurisdizione del giudice tributario. A distanza di pochi anni, il legislatore ha, invece, cancellato, con un colpo di spugna, la competenza del tribunale ordinario sui suddetti prelievi, senza incidere sulla disciplina sostanziale, per incardinarla innanzi al giudice tributario. L’ampliamento della cognizione del giudice tributario ad entrate di natura patrimoniali solleva, come si è detto, motivate perplessità di carattere costituzionale, per violazione dell’art. 102 Cost. e della VI disposizione transitoria della legge fondamentale. dott. PAOLO BIONDO Università di Pisa PARTE SECONDA 730 PARTE SECONDA 731 Sulla non condivisibile tesi secondo cui l’accertamento tributario si identifica sempre in un procedimento amministrativo (speciale) (*) I principi generali in tema di attività amministrativa, di cui alla l. n. 241 del 1990, si applicano, salva la specialità, anche con riferimento al procedimento amministrativo tributario. Sul piano normativo generale, il procedimento amministrativo, ed anche quello tributario, costituisce la forma della funzione, mentre il potere di adottare l’atto amministrativo finale scaturisce dall’esercizio terminale di un potere che è stato suddiviso in tre frazioni, in conformità alle norme sul procedimento, comprensive del potere di iniziativa e di quello istruttorio. Queste tre frazioni si ricompongono nell’atto amministrativo finale, nell’adozione del quale si deve tenere conto dei risultati parziali conseguiti nelle fasi precedenti. Cass., sez. trib. (pres. Papa, rel. Meloncelli), 23 gennaio 2006, n. 1236, Finanze c. B.F.&C. s.a.s. (Omissis). – Svolgimento del processo. – 1. – Il 6 novembre 2000 è notificato alla B.F.&C. s.a.s. un ricorso del Ministro delle finanze per la cassazione della sentenza d’appello descritta in epigrafe, che ha accolto, dopo averli riuniti, gli appelli della società contro le sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza n. 2106, 2107, 2108, 2109 e 2110/06/94, che avevano rigettato i ricorsi della società contro gli avvisi rettifica n. 6341 dell’iva 1979, n. 4259 dell’iva 1980, n. 4497 dell’iva 1981, n. 4498 dell’iva 1982, e contro gli avvisi di irrogazione di sanzioni n. 5108 relativo all’iva 1982 e n. 100235/85/9759 relativo all’iva 1983. 2. – I fatti di causa sono i seguenti: a) il 9 marzo 1985 la Guardia di finanza redige un processo verbale di constatazione a conclusione di una verifica fiscale nei confronti della B.F.&C. s.a.s., esercente il commercio all’ingrosso di rottami metallici; b) l’Ufficio iva di Vicenza adotta una serie di avvisi di rettifica e di irrogazione di sanzioni per gli anni d’imposta 1979-1983, che si basano sul comune presupposto che la società abbia acquistato rottami e materiale ferroso per importo superiore a quello delle fatture d’acquisto annotate nel registro iva e abbia, quindi, omesso di fatturare delle cessioni di materiale ferroso acquistato in nero per gli importi che risulterebbero dagli assegni emessi sui conti bancari del signor F.B. e del suo coniuge; c) i ricorsi della società sono rigettati dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza; d) gli appelli della società, previamente riuniti, sono, invece, ac- 732 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA colti dalla Commissione Tributaria Regionale con la sentenza ora impugnata per cassazione. 3. – La sentenza d’appello, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata: a) per il 1979 la rettifica della dichiarazione iva deriva dal processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, secondo il quale la società appellante avrebbe registrato 38 fatture risultate in modo inequivoco relative ad operazioni inesistenti, con indebita detrazione d’imposta per L. 45.942.783; l’avviso di rettifica è motivato per rinvio agli allegati 3 e 4 del verbale di constatazione, che sono elenchi di fatture e di bolle di consegna di tre ditte – una delle quali sarebbe inesistente – che sarebbero state emesse a fronte di operazioni inesistenti; tuttavia, le prove fornite dall’Amministrazione finanziaria non sono sufficienti a ritenere fondato l’accertamento tributario dell’emissione di fatture inesistenti, perché per una società – la Z. – si opera un rinvio generico ad una segnalazione della Guardia di finanza di Vicenza, cosicché la prova è mancante del tutto, mentre per un altro soggetto – il R. – si adducono fatti (possesso di automezzo di portata di soli 65 quintali, documenti attestanti trasporti anche di 200 quintali, forniture effettuate per L. 116.000.000 circa, contro pagamenti ricevuti in assegni per sole L. 6.000.000 circa, denuncia ai Carabinieri del furto ad opera di ignoti dell’autovettura contenente tutta la documentazione amministrativa contabile dell’azienda) che sono «solo indizi che non conferiscono alcuna certezza alla tesi dell’Ufficio»; b) per il 1980 non può costituire prova idonea dell’acquisto di merce in evasione dell’iva l’elenco degli assegni di cui all’allegato 7 al verbale di constatazione, che l’Ufficio pone a base dell’avviso di rettifica, affermando, ma non provando, che si tratti di imprenditori nel settore del commercio di materiali ferrosi; c) anche per gli anni 1981 e 1982 l’avviso di rettifica rinvia al verbale di constatazione, dal quale risulterebbero pagamenti con assegni bancari emessi a favore di ditte operanti nel settore di attività della B.F.&C. s.a.s. per oltre L. 880.000.000 a fronte di fatture di acquisto esibite per sole L. 327.000.000; anche tale assunto dell’Ufficio manca di ogni prova; d) ancora per il 1982 è stato adottato un avviso di irrogazione di sanzioni per omessa tenuta del registro di carico di stampati dei beni viaggianti, ma anche per tale rilievo l’Amministrazione finanziaria non ha offerto alcuna possibilità di controllo in sede processuale; e) per il 1983 è stata rilevata la registrazione di 350 bolle di accompagnamento sul registro della ditta individuale, già cessata, anziché in quello della società che era subentrata alla ditta individuale; nessuna prova è stata fornita al riguardo dall’Ufficio tributario; f) in conclusione, «l’azione dell’Ufficio che, senza compiere alcuna autonoma attività di controllo e/o di integrazione dell’operato della Guardia di finanza, si limiti a richiamare il verbale di constatazione, non fornisce alcuna prova “compiuta”, come erroneamente hanno ritenuto i PARTE SECONDA 733 primi Giudici, quando lo stesso non sia accompagnato da prove, documentate. Una prova, infatti, può ritenersi tale non quando essa consista nella sola verosimiglianza degli eventi ipotizzati dai verbalizzanti in base a fatti che essi solo hanno avuto possibilità di controllare, ma quando – al contrario – gli accertati elementi di fatto posti a fondamento dei rilievi contestati al contribuente vengano rigorosamente e dettagliatamente documentati e provati prima in sede di rettifica e poi – in caso di ricorso alle Commissioni tributarie del contribuente – in quella giudiziaria». 4. – Il ricorso per cassazione dell’Amministrazione finanziaria è sostenuto con tre motivi d’impugnazione e si conclude con la richiesta che la sentenza impugnata sia cassata e che sia adottata ogni conseguente statuizione. 5. – La società resiste con controricorso e presenta anche ricorso incidentale condizionato, notificati il 7 dicembre 2000, a conclusione dei quali si chiede che il ricorso sia rigettato, con vittoria di spese. 6. – L’Amministrazione finanziaria resiste al ricorso incidentale condizionato con controricorso, notificato il 22 gennaio 2001, a conclusione del quale chiede che il ricorso incidentale sia dichiarato inammissibile e, comunque, infondato. Motivi della decisione. – 7.1. – Con il primo motivo d’impugnazione l’Amministrazione finanziaria ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e omissione di pronuncia. 7.2. – La ricorrente afferma che tra gli atti impugnati dalla B.F.&C. s.a.s. sarebbe stata compresa anche la rettifica relativa al 1984, che, però, non risulta menzionata in nessuna delle cinque sentenze, di uguale contenuto, adottate dalla Commissione tributaria di 1° grado. Dell’omissione si sarebbe doluto cautelativamente l’Ufficio nel suo appello incidentale proposto contro la sentenza 13 giugno 1994, n. 2104, ma della rettifica per il 1984 non si fa menzione nemmeno nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale ora impugnata in sede di legittimità. 7.3. – Il motivo è inammissibile, perché attiene ad un periodo d’imposta, il 1984, che è del tutto estraneo a qualsiasi considerazione della sentenza d’appello impugnata in questa sede. Risulta, infatti, sia dall’epigrafe della sentenza di secondo grado, sia dalla narrazione che essa formula dei fatti di causa, sia, infine, dalla sua motivazione diligentemente articolata per anni d’imposta, che i soli periodi impositivi presi in considerazione sono quelli dell’iva 1979/1983. Né, in mancanza del rispetto del principio di autosufficienza degli atti d’impugnazione nel giudizio di legittimità, può bastare a rendere sufficiente il primo motivo di censura il fatto che entrambe le parti – la ricorrente principale nella pagina 1 del suo ricorso e la società resistente 734 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA nella pagina 1 del suo controricorso – concordino nell’affermare che, sulla base del processo verbale di constatazione del 1985, furono rettificate le dichiarazioni iva degli anni 1979/1984 e che tali avvisi furono impugnati dinanzi alla Commissione tributaria di 1° grado. Parimenti irrilevante è anche il riconoscimento espresso, operato dalla società a pagina 4 del controricorso, che sarebbe «indiscutibile» il rilievo dell’omesso esame della rettifica avanzato dall’Amministrazione finanziaria. È, infatti, palesemente priva di ogni fondamento la richiesta, sia pure condivisa dalle parti, che il giudice di legittimità si pronunci su una controversia – l’iva 1984 – che non è stata affatto oggetto della sentenza impugnata. 8. – L’inammissibilità del primo motivo d’impugnazione del ricorso principale comporta che è inutile esaminare il ricorso incidentale condizionato della società, con il quale, invocando l’applicazione nel processo tributario di un giudicato penale formatosi su fatti riguardanti solo il 1984, si lamenta l’omessa pronuncia della Commissione Tributaria Regionale sull’iva di quell’anno d’imposta. Il ricorso incidentale resta, perciò, assorbito. 9.1. – Con il secondo motivo d’impugnazione si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 51, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, come modificato dall’art. 4, d.p.r. 15 luglio 1982, n. 463, e degli artt. 2728 e 2700 c.c. 9.2. – La ricorrente sostiene, al riguardo, che sarebbe doppiamente erronea la ratio decidendi, adottata dal giudice d’appello, secondo la quale non sarebbe stato in alcun modo dimostrato, in maniera oggettivamente riscontrabile, che beneficiarie degli assegni emessi in (ritenuto) pagamento di metalli ferrosi acquistati «in nero» fossero state effettivamente, come asserito dalla Guardia di finanza e dall’Ufficio tributario, ditte operanti, come la B.F.&C. s.a.s., nel commercio dei rottami metallici. Infatti, in base all’art. 51, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, i prelevamenti annotati sui conti, se il contribuente non ne indica il beneficiario, sarebbero considerati relativi ad acquisti soggetti ad imposta, con la conseguenza che nessun onere probatorio graverebbe sull’Ufficio in ordine alla veste dei beneficiari degli assegni, spettando, invece, alla società contribuente di dimostrare l’estraneità dei prelievi bancari alla propria attività d’impresa. In secondo luogo, sarebbe erroneo il rilievo della Commissione Tributaria Regionale, secondo il quale la «fede» propria che assiste il processo verbale di constatazione non avrebbe potuto ritenersi estesa a coprire anche la qualità di operatori nel settore dei beneficiari degli assegni, perché tale circostanza non atterrebbe a fatti compiuti dall’Ufficio o avvenuti in sua presenza, ma piuttosto ad apprezzamenti e a giudizi dei pubblici ufficiali verbalizzanti. L’erroneità discenderebbe dalla differenza esistente tra il giudizio del pubblico ufficiale e la constatazione di un fatto o di una circostanza percepibile sensorialmente e direttamente riferibile senza necessità di alcuna previa analisi del dato percepito. PARTE SECONDA 735 10.1. – Con il terzo motivo d’impugnazione si lamenta la violazione dell’art. 54, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’art. 2729 c.c., oltre all’omessa motivazione su punti decisivi della controversia. 10.2. – La ricorrente sostiene, in proposito, che il giudice d’appello avrebbe, in definitiva, escluso ogni efficacia di prova, anche indiretta, all’elenco analitico degli assegni sull’unico rilievo che dell’asserita qualità di operatori nel settore attribuita, dai verbalizzanti, ai beneficiari degli assegni non fosse stata offerta alcuna possibilità di riscontro o verifica giudiziali. In tal modo risulterebbero pretermessi una serie di numerosi elementi indiziari sui quali la sentenza di secondo grado non avrebbe speso nemmeno una parola. 11.1. – Il secondo e il terzo motivo d’impugnazione sono così strettamente collegati che se ne rende necessario l’esame congiunto. Essi sono fondati nei limiti che risultano dalle considerazioni qui di seguito esposte. 11.2. – Si deve, anzitutto, ritenere fondata la denuncia di violazione di legge, prospettata con riguardo all’art. 51, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, nei confronti del principio cui si è ispirato il sindacato del giudice d’appello, qui riprodotto testualmente nel par. 3, lett. f), secondo cui l’avviso di accertamento dovrebbe essere autonomo dal processo verbale di constatazione, nel senso che l’Ufficio accertatore dovrebbe svolgere comunque, anche quando altri organi istruttori abbiano compiuto attività preparatoria della sua decisione, un’ulteriore, autonoma e integratrice, attività istruttoria. Il principio adottato dalla Commissione Tributaria Regionale contrasta sia con i principi generali dell’attività amministrativa stabiliti dalla l. 7 agosto 1990, n. 241, che si applicano, salva la specialità, anche per il procedimento amministrativo tributario, sia con le norme tributarie sull’iva. Sul piano normativo generale si deve tener presente che il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è la forma della funzione e che il potere di adottare l’atto amministrativo finale è solo l’esercizio terminale di un potere che è stato frazionato, in conformità alle norme, ispirate alla natura delle cose, sul procedimento e, quindi, sulla divisione del potere amministrativo anche nel potere d’iniziativa e, soprattutto, per quel che interessa la presente causa, nel potere istruttorio. Le tre frazioni del potere amministrativo, che sono ricavate non solo dalla natura del processo decisionale umano, ma anche dall’organizzazione amministrativa, si ricompongono nell’atto amministrativo finale, nell’adozione del quale si deve tener conto dei risultati parziali conseguiti nelle fasi precedenti. Questa struttura del procedimento amministrativo esclude che il titolare del potere di decisione debba reiterare l’esercizio dei poteri, d’iniziativa e, soprattutto, istruttorio, che hanno preparato la sua attività. Ciò contrasterebbe, oltre tutto, in maniera netta con i principi di economicità e di efficienza, che sono enunciati dall’art. 1, 1° comma, della l. 7 agosto 1990, n. 241, in attuazione del principio 736 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA costituzionale di buon andamento dell’Amministrazione pubblica ex art. 97, 1° comma, Cost. Sotto il profilo della garanzia dell’amministrato, poi, è la motivazione dell’atto amministrativo finale, eventualmente anche per relationem, ad assicurare come, quale e quanta parte dell’attività preparatoria sia recepita nella decisione (art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241). Le regole generali sono, poi, specificate dalla legislazione tributaria e, in particolare, per quello che qui interessa, dalla normativa sull’iva. Infatti, sul piano della normativa generale per i tributi, vigono, quanto all’istruttoria, l’art. 12, l. 27 luglio 2000, n. 212, e quanto alla motivazione del provvedimento amministrativo d’imposizione tributaria, le norme analoghe, ma più garantistiche, fissate dall’art. 7 della stessa legge. In materia di iva, infine, la fase istruttoria del procedimento di accertamento dell’iva è minuziosamente regolata dagli artt. 51 e 52, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, nel senso, tra l’altro, per i profili di rilevanza per la presente causa, che gli Uffici dell’imposta sul valore aggiunto si avvalgono delle prestazioni cognitive di altri organi, di altre amministrazioni dello Stato e della Guardia di finanza. In conclusione, è errata l’affermazione del giudice d’appello, secondo la quale «l’azione dell’Ufficio, che senza compiere alcuna attività di controllo e/o integratrice dell’operato della Guardia di finanza, si limiti a richiamare il verbale di constatazione non fornisce alcuna prova “compiuta” ... quando lo stesso non sia accompagnato da prove documentate», perché essa contrasta con il principio di diritto, desumibile dalle norme generali amministrative, dalle norme tributarie generali e dalle norme tributarie speciali d’imposta che si sono poc’anzi passate in rassegna, secondo il quale l’atto amministrativo finale d’imposizione tributaria, il quale sia il risultato dell’esercizio di un potere amministrativo frazionato anche in poteri istruttori attribuiti, in proprio o per delega, ad altri Uffici amministrativi, è legittimamente adottato quando, munendosi di un’adeguata motivazione, faccia propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali. 11.3. – Con i due motivi d’impugnazione si solleva, poi, la questione dell’onere di provare i fatti contestati e della connessa validità della motivazione adottata dalla sentenza impugnata. Per quel che riguarda l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa tributaria, le lagnanze del Ministero delle finanze non sono del tutto fondate. Infatti, si deve tener conto, al riguardo, che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ferma l’utilizzabilità, ex art. 52, 2° comma, n. 2 e n. 7, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, delle risultanze contabili di tutti quei conti correnti bancari, di cui il contribuente abbia la concreta ed effettiva disponibilità, indipendentemente dalla loro formale intestazione (Corte di Cassazione: 1° marzo 2002, n. 2980; 24 febbraio 2001, n. 2738; 2 marzo 1999, n. 1728), l’Ufficio deve provare che i movimenti sul conto corrente bancario della società o personale dei soci sono realmente riferibili ad operazioni societarie (Corte di Cassazione 14 novembre 2003, n. 17243). Diversa questione, il cui esame è richiesto con il terzo motivo PARTE SECONDA 737 d’impugnazione, è, invece, se sia valida la motivazione con la quale la sentenza d’appello ha giustificato il giudizio secondo il quale l’Ufficio non avrebbe fornito alcuna prova o una prova insufficiente dei fatti costitutivi della sua pretesa tributaria. Sul punto la censura del Ministero delle finanze è da ritenersi fondata, perché la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente. Invero, se, da un lato, si deve affermare che l’onere di provare l’inerenza dei movimenti bancari alle operazioni societarie grava sull’Ufficio, d’altro lato, l’accertamento, da parte del giudice tributario di merito, delle prove fornite e la loro valutazione devono essere sorretti, in sentenza, da una motivazione immune da vizi e, in particolare, da una motivazione sufficiente. Al riguardo, la verifica della sufficienza della motivazione può essere effettuata utilizzando quel metodo di analisi strutturale della motivazione, che, consentendo di disarticolare la dichiarazione motivazionale in due subdichiarazioni aventi, rispettivamente, un contenuto di specie statico e un contenuto di specie dinamico, mette in evidenza l’eventuale difetto della motivazione della sentenza impugnata e facilita il compito del giudice cui sia rinviata la causa per il riesame (vedansi le sentenze di questa Corte: 18 aprile 2003, n. 6233; 11 giugno 2003, n. 9301; 1° luglio 2003, n. 10364; 1° luglio 2003, n. 10373; 17 dicembre 2003, n. 19362; 17 dicembre 2003, n. 19367; 22 gennaio 2004, n. 1037; 29 marzo 2004, n. 6244; 2 aprile 2004, n. 6539; 28 luglio 2004, n. 14219; 26 agosto 2004, n. 17024; 29 settembre 2004, n. 19481; 14 ottobre 2004, n. 20263; 6 dicembre 2004, n. 22867; 5 gennaio 2005, n. 130; 29 settembre 2005, n. 19085). Si deve accertare, dunque, se, in relazione ad un determinato oggetto, la sentenza sia fornita, oltre che del contenuto di specie statico, cioè del giudizio come risultato dell’attività dell’acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto, di un adeguato contenuto di specie dinamico, cioè della narrazione del passaggio del giudice dalla condizione iniziale di ignoranza alla condizione finale di conoscenza espressa nel giudizio. Con riguardo al capo della sentenza relativo all’anno d’imposta 1979, la Commissione Tributaria Regionale afferma, tra l’altro, che «dello Z. nulla si prova in ordine alla asserita emissione di fatture inesistenti, facendosi rinvio genericamente ad una segnalazione della Guardia di finanza di Vicenza e, quanto al R., l’asserzione di emissione di fatture a fronte di operazioni inesistenti, dovrebbe ricavarsi dal possesso di un automezzo della portata di soli 65 quintali, da documenti attestanti trasporti anche di 200 quintali, da forniture effettuate per 116 milioni circa, infine dalla circostanza che il medesimo avrebbe denunciato ai Carabinieri il furto ad opera di ignoti della propria autovettura, contenente la documentazione amministrativa contabile della sua azienda. Se queste sono le prove della indebita detrazione non può questa Commissione non affermare che mentre le stesse mancano del tutto con riferimento allo Z., a carico del R. vi sono solo indizi che non conferiscono alcuna certezza alla tesi dell’Ufficio». Le affabulazioni testé riprodotte contengono il giudizio di inesistenza o di insufficienza delle prove. Tale giudizio costituisce, però, soltanto il punto di approdo del processo co- 738 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA gnitivo attraverso il quale il giudice d’appello, muovendo dalla sua iniziale ignoranza dei fatti di prova e della loro qualità, è passato alla situazione finale di conoscenza. Le affabulazioni impiegate, infatti, nulla dicono sul percorso logico seguito per la formazione del giudizio, negativo, di equiparazione dell’apparenza di prova alla mancanza di prova, per quel che riguarda lo Z., e, per la formazione del giudizio, altrettanto negativo, di insufficienza probatoria dei numerosi fatti, riguardanti il R., che pure sono diligentemente elencati, ma che non sono stati presi in considerazione fino al punto da illustrare le ragioni per le quali quelle date quantità di merci trasportate e documentate e quella specifica denuncia di furto debbano ritenersi inidonee a provare la tesi dell’Ufficio. In sintesi, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è solo il contenuto statico della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio. In breve, se la motivazione è sufficiente solo se è munita sia di contenuto di specie dinamico sia di contenuto di specie statico, quella formulata dalla Commissione Tributaria Regionale nella sentenza in questa sede impugnata è, con riguardo al 1979, insufficiente per mancanza del contenuto di specie dinamico. Analoghe osservazioni valgono per il capo della sentenza relativo al 1980, per il quale si afferma come «non possa costituire idonea prova di acquisto di merce in evasione iva l’elenco degli assegni di cui all’all. 7 al verbale di constatazione, che l’Ufficio pone a base dell’avviso di rettifica, affermando – ma non provando – trattarsi di imprenditori nel settore del commercio di materiali ferrosi». Anche a questo proposito, infatti, non è sufficiente che il giudice enunci un giudizio diverso da quello dell’Ufficio tributario in ordine a determinati fatti, ma è necessario che egli si impegni ad illustrare le tappe del suo processo cognitivo, in modo che chiunque possa apprezzare la logicità del passaggio dalla sua iniziale ignoranza dei fatti alla condizione finale di conoscenza della specie del giudizio negativo rispetto a quello formulato dall’Ufficio. Per gli altri capi della sentenza, che sono relativi al 1981/1982, al 1982 e al 1983 e per i quali si è riferito, rispettivamente, al par. 3, lett. c), d) ed e), il giudice d’appello elenca una serie di fatti, addotti dall’Ufficio come idonei a provare la sua pretesa, per la cui valutazione rinvia, poi, alla stessa motivazione che è stata utilizzata per gli anni 1979 e 1980 e che è, perciò, corrispondentemente insufficiente. Il secondo e il terzo motivo d’impugnazione sono, perciò, fondati limitatamente alla denuncia del vizio di motivazione della sentenza d’appello sotto il profilo dell’insufficienza, dal momento che essa è stata formulata omettendo di fornirla, oltre che del contenuto di specie statico, del contenuto di specie dinamico. 12. – Le considerazioni precedentemente esposte conducono a dichiarare inammissibile il primo motivo del ricorso principale, con con- PARTE SECONDA 739 seguente assorbimento del ricorso incidentale, ad accogliere per quanto di ragione i restanti motivi del ricorso principale, a cassare la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e a rinviare la causa, anche per le spese processuali ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto. P.Q.M. – La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato. Accoglie per quanto di ragione il secondo e il terzo motivo di ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto che deciderà anche per le spese del presente grado di giudizio. (Omissis). ————————————————————————————— (*) È tuttora diffusa e radicata, sia nella letteratura tributaristica, sia nella giurisprudenza della Suprema Corte, la convinzione della necessaria identificazione dell’accertamento tributario in un procedimento amministrativo, salva la specialità della materia tributaria (1). La sentenza in rassegna si colloca nel solco tracciato, spesso in modo acritico, dall’orientamento giurisprudenziale in questione ed aggiunge, in modo molto lucido, ma non per questo condivisibile, un significativo quid pluris che vale la pena di essere sottolineato, anche in un’ottica più generale (2). Più precisamente, la Corte accoglie, per quanto di ragione, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, che sono strettamente collegati e congiuntamente esaminati e cassa la sentenza impugnata con riferimento a due diverse questioni prospettate e, per quanto qui interessa, in relazione alla denunciata violazione di legge, con particolare riguardo all’art. 51 del d.p.r. n. 633 del 1972. A tal proposito, la sentenza che qui si commenta afferma la difformità della pronuncia del giudice dell’appello rispetto (da un lato, alle pertinenti norme in materia di iva e, dall’altro lato) ai principi generali dell’attività amministrativa, contenuti nella l. n. 241 del 1990, i quali «si applicano, salva la specialità, anche per il procedimento amministrativo tributario». Affermata tout court, ma in modo immotivato, la sussistenza del procedimento amministrativo tributario, peraltro negata da una parte significativa della –––––––––––– (1) Cfr. A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 247 e 248, secondo cui «la nozione di procedimento viene accolta in accezioni diverse, prevalentemente formali e talora imprecise», che mettono «in evidenza la molteplicità degli schemi di applicazione del tributo, la prevalenza in essi degli aspetti ed interessi pubblicistici, la tendenziale variabilità della sequenza procedimentale, anche in relazione allo stesso tributo». Secondo l’Autore, nella dottrina più recente il procedimento ed i relativi atti e fasi appartengono alla fase dinamica dell’accertamento, mentre alla fase statica appartengono l’atto di accertamento ed i relativi effetti e viene approfondita l’efficacia preclusiva dell’atto di accertamento, nonché la sua attitudine a definire i rapporti tra fisco e contribuente. (2) Con riferimento al procedimento tributario nell’ordinamento tedesco, v. D. Birk, Lineamenti del procedimento tributario nella Repubblica Federale Tedesca, in Riv. dir. trib., 1995, I, 1003 ss. Cfr. anche W. Schick, Il procedimento nel diritto tributario, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, Annuario, Padova, 2001, 929 ss. 740 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA letteratura tributaristica (3), l’arresto in esame sottolinea «che il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è la forma della funzione e che il potere di adottare l’atto amministrativo finale è solo l’esercizio terminale di un potere che è stato frazionato, in conformità alle norme, ispirate alla natura delle cose, sul procedimento e, quindi, sulla divisione del potere amministrativo anche nel potere di iniziativa e, soprattutto, per quel che interessa la presente causa, nel potere istruttorio. Le tre frazioni del potere amministrativo, che sono ricavate non solo dalla natura del processo decisionale umano, ma anche dall’organizzazione amministrativa, si ricompongono nell’atto amministrativo finale, nell’adozione del quale si deve tenere conto dei risultati parziali conseguiti nelle fasi precedenti». D’altro canto, seguendo ancora l’iter logico – giuridico della sentenza in rassegna, il procedimento amministrativo tributario è sottoposto ai principi di economicità e di efficienza, in virtù dell’art. 1, 1° comma della l. n. 241 del 1990, in attuazione del principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97, 1° comma Cost. Quanto alle garanzie a favore dell’amministrato, la motivazione dell’atto amministrativo finale, eventualmente anche per relationem, assicura «come, quale e quanta parte dell’attività preparatoria sia recepita nella decisone», alla luce del disposto dell’art. 3 della sopra richiamata l. n. 241. L’attività istruttoria può essere demandata anche ad altri uffici amministrativi (nella specie, si fa riferimento all’attività di controllo espletata dalla Guardia di finanza nei confronti di una società di persone, esercente il commercio all’ingrosso di rottami metallici). In questa ipotesi, l’atto amministrativo finale è legittimamente adottato quando la motivazione sia adeguata e faccia propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali, pur in assenza di una autonoma valutazione dell’operato della Guardia di finanza, bensì recependo acriticamente (e richiamando) nell’atto stesso il processo verbale di constatazione da quest’ultima redatta a conclusione della verifica fiscale. Alla luce delle precedenti statuizioni, la Suprema Corte afferma in relazione all’iva (ma nulla vieta di estendere le stesse considerazioni, mutatis mutandis, alla disciplina delle imposte sui redditi, per effetto della nota simmetria in parte qua), che il procedimento amministrativo, in cui si estrinseca l’accertamento in materia tributaria, presenta la seguente struttura, secondo un ordine logico: –––––––––––– (3) Cfr. S. La Rosa, Il giusto procedimento tributario, in Giur. imp., 2004, V, 763 e 764, secondo cui «nel nostro ordinamento, infatti, la materia tributaria è rimasta praticamente estranea al movimento riformatore che sfociò nella legge generale sul procedimento amministrativo del 7 agosto 1990, n. 241». Questo Autore, dopo avere lucidamente individuato il problema, ha tentato di fornire una prima risposta ad esso mediante una preliminare considerazione di carattere generale: «nella nostra cultura giuridica, la nozione del procedimento normalmente si accompagna a quella della funzione amministrativa discrezionale, e del contemperamento di interessi pubblici e privati. E poiché tali caratteristiche raramente ricorrono nella nostra materia, anche la nozione del procedimento amministrativo finisce con l’essere ritenuta in questo campo utilizzabile in una accezione atecnica, e perciò anche giuridicamente irrilevante e concettualmente libera». Quale corollario, secondo l’Autore, si finisce per lasciare spazio al convincimento secondo cui il potere pubblico, in materia tributaria, ha come suo unico referente l’esigenza di attuazione della legge tributaria sostanziale e rimane libero da regole e vincoli di tipo procedimentale. Queste pregevoli considerazioni del La Rosa pongono in evidenza uno degli aspetti fondamentali che caratterizzano l’ambiguità di fondo che accompagna, in una prospettiva di ampio respiro, la problematica che ne occupa, vale a dire la qualificazione in modo atecnico e, pertanto, impreciso, dell’accertamento in termini di procedimento amministrativo. PARTE SECONDA 741 a) esso costituisce la forma della funzione (presumibilmente, di quella impositiva); b) è suddiviso in tre fasi o «frazioni», vale a dire quella che corrisponde all’iniziativa, quella istruttoria e quella decisoria, ricavabili dalla natura del processo decisionale umano e dall’organizzazione amministrativa; c) è soggetto ai principi di economicità, di efficienza e di buon andamento della pubblica amministrazione; d) si conclude con un atto amministrativo finale, il quale deve necessariamente essere motivato, eventualmente per relationem e in questo atto si ricompongono tutte e tre le frazioni di potere amministrativo che scandiscono il procedimento che ne occupa. Ciò implica necessariamente che, nell’adozione dell’atto finale, si debba tenere conto dei risultati parziali conseguiti nelle fasi precedenti e che il procedimento costituisce, per così dire, la imprescindibile sintesi di queste ultime; e) l’atto amministrativo finale può essere adeguatamente motivato anche in assenza di un’autonoma valutazione rispetto al processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza (nei confronti del contribuente verificato), allorché recepisca, senza un ulteriore vaglio critico, le risultanze di quest’ultimo. Nonostante i limiti imposti dalla necessaria brevità della presente nota, è opportuno sottolineare, con particolare riferimento alle tesi ut supra indicate sub a) e sub b), che tutta questa impostazione si fonda, quale postulato di partenza, sulla affermata, ma non dimostrata, identità tra l’accertamento tributario ed il concetto di procedimento amministrativo, la quale, al contrario, non è assoluta e non si verifica sempre e comunque, né in relazione all’iva, né in relazione alle imposte sui redditi. Questo rigido inquadramento appare una forzatura del dato normativo e coglie solo in parte l’essenza del fenomeno dell’accertamento tributario (4). Il dato normativo si caratterizza, al riguardo, per essere non poco ambiguo (5) ma l’impiego di una determinata locuzione da parte del legislatore (anche qualora esso sia reiterato) non vincola affatto l’interprete impegnato in una prospettiva ricostruttiva di ampio respiro, in quanto l’elemento interpretativo fondato esclusivamente sulla littera legis non può considerasi sempre univoco e sufficiente nella prospettiva di una ricostruzione dell’istituto che ne occupa in chiave sistematica (6). A titolo meramente esemplificativo, l’art. 13, 2° comma della l. n. 241 del 1990 (7), esclude l’applicazione del capo III di tale legge ai «procedimenti tributari», per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano, mentre il disposto dell’art. 24, 1° comma, lett. b) della medesima leg–––––––––––– (4) In senso sintonico, v. A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 318, il quale afferma il carattere non procedimentale dell’attività di accertamento. Più precisamente, l’Autore inquadra l’intera vicenda della realizzazione del concorso alle spese pubbliche in termini di attività, che è unitariamente rilevante in ragione dell’unitaria funzione e nel cui ambito possono emergere sequenze di atti tra loro collegati, ma non identificabili con uno schema procedimentale rigido. (5) Per S. La Rosa, Il giusto procedimento tributario, cit., loc. cit., 763, in relazione ai procedimenti tributari, «le norme di settore raramente riescono ad orientare univocamente l’interprete. E negli stessi orientamenti dottrinali, giurisprudenziali ed amministrativi, è ancora non poco controversa la stessa configurabilità di veri procedimenti amministrativi tributari». (6) Difatti, la formulazione letterale della norma potrebbe essere imprecisa, ovvero atecnica e questo fenomeno è particolarmente frequente in materia tributaria. (7) Come modificato dall’art. 22 della l. 13 febbraio 2001, n. 45. 742 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA ge, esclude i «procedimenti tributari» dall’applicazione delle disposizioni sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e, anche questa volta, «restano ferme le particolari norme che li regolano». Sotto altro profilo, la rubrica dell’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, contenente disposizioni generali sulle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, si riferisce al «procedimento di irrogazione delle sanzioni» e, con riferimento alla disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, l’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000 stabilisce che «il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione». Sono molteplici le ragioni che giustificano un utilizzo molto circoscritto del concetto di procedimento amministrativo in relazione all’essenza giuridica dell’accertamento tributario, ai fini sia dell’iva e sia delle imposte sui redditi (8). In primis, la presentazione della dichiarazione tributaria non costituisce un atto d’impulso di parte ai fini dell’attivazione del procedimento, in quanto l’ente impositore, a ben vedere, non ha l’obbligo di provvedere in relazione a tale dichiarazione e non necessariamente la deve rettificare, nell’ipotesi in cui essa corrisponda ai parametri normativi che disciplinano lo specifico tributo (9). Alla stessa conclusione, tuttavia, occorre pervenire qualora si ritenga che l’iniziativa venga assunta dall’ente impositore, laddove, anche in questa fattispecie, l’esame ed il controllo della dichiarazione potrebbero non avvenire o, comunque, potrebbero non dare luogo ad alcuna rettifica della base imponibile dichiarata dal soggetto passivo, in caso di riscontro con esito positivo. Si consideri anche l’invio di un questionario, da parte dell’ente impositore, al soggetto passivo, ai fini delle imposte sui redditi, relativo a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei suoi confronti, con l’invito a restituirlo compilato e firmato, ai sensi dell’art. 32, 1° comma, n. 4) del d.p.r. n. 600 del 1973 (10). Una volta restituito il questionario medesimo, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate non è obbligato a notificare al contribuente un atto di accertamento: se le informazioni, i dati e le notizie fornite dal contribuente sono ritenute sufficienti ed attendibili, non gli sarà notificato alcun atto impositivo per il periodo d’imposta interessato dal questionario. Ma non si realizza un procedimento amministrativo speciale nemmeno qualora i militari della Guardia di finanza redigano un processo –––––––––––– (8) Per E. Capaccioli, L’accertamento tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1966, I, 11, la sequenza di atti in cui si estrinseca l’accertamento tributario è a composizione variabile e questo tratto peculiare non consente di identificare un unico atto di accertamento tributario e di studiare il fenomeno con riguardo a questo. È assente, pertanto, la struttura fissa propria del procedimento di formazione degli atti amministrativi, ove «una serie di atti preparatori sfocia necessariamente in un unico atto finale, pena la inesistenza della fattispecie e quindi la mancanza di qualsiasi effetto» o, meglio, dell’effetto tipico della stessa fattispecie. (9) Si pensi alla presentazione, da parte di una persona fisica, di una dichiarazione annuale ai fini dell’irpef, la quale viene successivamente rettificata dall’ente impositore: la presentazione di siffatta dichiarazione non costituisce un atto d’impulso di un procedimento amministrativo, nel senso che la rettifica della dichiarazione presentata dalla persona fisica e l’adozione (e la notificazione) di un atto di accertamento in rettifica sono meramente eventuali e non obbligatori per tutte le dichiarazioni presentate dalle persone fisiche. (10) Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, vi è una norma speculare contenuta nell’art. 51, 2° comma, n. 3) del d.p.r. n. 633 del 1972, relativa a destinatari dei questionari che siano esercenti imprese, arti o professioni e, in tal caso, i dati e le notizie di carattere specifico che possono essere richieste attraverso i questionari si possono riferire non solo al singolo contribuente destinatario, ma anche ai suoi clienti e fornitori. PARTE SECONDA 743 verbale di constatazione al termine di una verifica tributaria presso i locali in cui un’impresa svolge la propria attività, il quale viene inviato al competente ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate per gli opportuni provvedimenti del caso. Questo ufficio non ha l’obbligo di notificare un atto di accertamento al contribuente verificato sulla base del processo verbale redatto dai militari della Guardia di finanza, laddove l’adozione e la notifica dell’atto accertativo possono essere non necessari qualora l’ufficio in questione non condivida nessuno dei rilievi contenuti nel processo verbale. Quindi, non ha luogo un procedimento amministrativo con atto d’impulso da parte di un ufficio pubblico nei confronti dell’autorità decidente: nell’esempio prospettato, difatti, l’autorità decidente, pur non essendo titolare di poteri discrezionali, non ha il dovere di concludere il (presunto) procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso. In assenza dell’obbligo di concludere la sequenza procedimentale mediante l’adozione di un provvedimento espresso, previsto dall’art. 2, 1° comma della l. n. 241 del 1990, non è condivisibile l’assunto secondo cui l’accertamento tributario si identifica sempre e quale regola generale, in un procedimento amministrativo. Il controllo della dichiarazione, ovvero dell’operato del contribuente, non si conclude sempre, in materia tributaria, con un provvedimento espresso: quest’ultimo viene confezionato solamente nell’ipotesi in cui l’ente impositore ritenga che il contribuente non abbia adempiuto correttamente, in tutto o in parte, agli obblighi di dichiarazione, liquidazione e versamento del tributo, secondo quanto impone la relativa disciplina e notifica un atto impositivo in grado di incidere autoritativamente sulla sfera giuridica del destinatario dell’atto medesimo. Non si nega affatto che alcune importanti disposizioni contenute nella l. n. 241 del 1990, come novellata nel 2005, trovino applicazione ai fini dell’accertamento tributario, ad esempio, in materia di motivazione del provvedimento, in virtù dell’art. 7, 1° comma dello Statuto di diritti del contribuente. Si vuole negare, piuttosto, che nell’accertamento tributario, nel suo dinamico svolgimento, sussista sempre, quale regola generale, la scansione in fasi che caratterizza, con valenza non solo descrittiva, il procedimento amministrativo. A ben vedere, manca un atto d’impulso, di parte o d’ufficio, al quale consegua l’obbligo di provvedere e di concludere la sequenza mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Dall’istruttoria eventualmente posta in essere dall’ente impositore (ovvero, dalla Guardia di finanza) potrebbe non scaturire alcun provvedimento finale, conclusivo di una sequenza di atti di cui esso costituirebbe l’ultima espressione del potere amministrativo, in concreto esercitato. Sotto altro profilo, il rapporto tra il soggetto passivo d’imposta e l’ente impositore, nel suo dinamico (e spesso dialettico) svolgimento, si configura in modo differente rispetto alla partecipazione del privato al procedimento amministrativo, essendo la ratio di quest’ultima radicalmente diversa, se confrontata con la partecipazione del contribuente all’accertamento in materia tributaria. In relazione al procedimento amministrativo, la partecipazione dei privati forma l’oggetto di una specifica disciplina avente l’obiettivo principale di perseguire gli interessi pubblici col minor sacrificio degli interessi dei privati che partecipano al procedimento medesimo o che, comunque, sono destinatari del provvedimento finale. Questo profilo così essenziale al fine di delineare le ragioni giuridiche che hanno facilitato l’adozione della legge generale sul procedimento amministrativo in Italia (sia pure con un significativo ritardo rispetto ad altri Stati come la Germania e la Spagna) (11) resta del tutto estraneo all’ac–––––––––––– (11) Cfr. R. Caranta, Procedimento amministrativo in diritto comparato, in Dig. disc. pubbl., XI, Torino, 1996, 604 ss. 744 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA certamento tributario, in virtù dell’art. 13, 2° comma della l. n. 241 del 1990, il quale esclude l’applicazione delle norme sulla partecipazione dei privati agli accertamenti (qui ambiguamente definiti come «procedimenti») tributari, per i quali restano ferme le disposizioni previste per lo specifico settore. D’altro canto, le regole del procedimento amministrativo sono applicabili in presenza di una sequenza di atti o di operazioni, secondo la tipica scansione in fasi, poste in essere dall’amministrazione nella prospettiva di adottare (obbligatoriamente) un provvedimento finale espresso (oltre che motivato), contemperando, nel migliore dei modi possibili, in concreto, interessi pubblici ed interessi privati (12), ma pur sempre a fronte di un potere discrezionale dell’organo decidente. Con riferimento all’accertamento tributario, viceversa, si può affermare che, da un lato, sussiste una predeterminazione normativa dell’attività dell’amministrazione (13), che deve essere espletata nel rispetto dei canoni costituzionali di cui agli artt. 3, 53 e 97 Cost. e, dall’altro lato, tale attività è, per sua natura, vincolata e priva di discrezionalità (14): questa assenza di discrezionalità mal si concilia con i principi generali in materia di procedimento amministrativo, che tale discrezionalità, viceversa, presuppongono. Non possono essere condivise le tesi che ravvisano nell’accertamento tributario un procedimento amministrativo anche con riferimento alla cosiddetta –––––––––––– (12) Nel senso che nell’ultimo decennio del ventesimo secolo si è spostata l’attenzione dal singolo procedimento e dal singolo provvedimento all’insieme dei procedimenti e dei provvedimenti «riguardanti medesimi attività o risultati» (di cui, letteralmente, all’art. 14, 3° comma della l. n. 241 del 1990), vale a dire «alla complessiva attività amministrativa necessaria per chiudere una operazione, concludere un intervento, raggiungere un risultato concreto», v. F.G. Scoca, Attività amministrativa, in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002, 84. L’Autore, in questa prospettiva, introduce una nuova nozione, denominata «operazione amministrativa», la quale indica «l’insieme delle attività necessarie per conseguire un determinato risultato concreto». (13) Sulla quale, con riferimento al diritto amministrativo, v. F.G. Scoca, Attività amministrativa, cit., loc. cit., 88, testo e nota 60, ove l’Autore afferma che trattasi di un vero e proprio principio e non di una semplice osservazione di ciò che di fatto accade, senza alcuna forza precettiva. Più precisamente, trattasi di un principio che si contrappone a quello di legalità nella sua concezione autentica e che trova il proprio fondamento nel principio di imparzialità, laddove «quest’ultimo comporta che l’adozione di misure concrete sia necessariamente preceduta dalla formulazione di criteri generali ed astratti». (14) In questo senso, F. D’Ayala Valva, L’attivazione delle «procedure» di autotutela tributaria, in Riv. dir. trib., 2004, I, 163, sottolinea come la funzione espletata dall’amministrazione finanziaria è del tutto vincolata e priva di potere discrezionale; essa consiste nella gestione dei rapporti tributari, la cui fonte e disciplina sono rinvenibili solamente nella norma impositiva e nei principi costituzionali a questa sottesi; S. La Rosa, Il giusto procedimento tributario, cit., loc. cit., 771, secondo cui non sussiste una vera discrezionalità amministrativa nell’accertamento tributario e questo profilo preclude la sostenibilità della tesi della natura negoziale dell’accertamento con adesione. Contra, A. Fantozzi, Il diritto tributario, cit., 253 e 254, il quale ritiene che sussiste una vera e propria discrezionalità amministrativa, «almeno là dove l’attività di controllo non si traduca immediatamente in atti incidenti sulla determinazione della base imponibile». In altre parole, l’Autore ritiene che vi siano margini progressivamente crescenti di apprezzamento nell’attività di controllo e di riscossione. A titolo esemplificativo, l’Autore sottolinea le ipotesi di scelta se procedere ad un accertamento analitico o induttivo, se ricorrere o meno alle indagini bancarie, agli studi di settore ed al redditometro. Tuttavia, non si tratta, sempre per questo autorevole studioso, di discrezionalità in senso proprio, in quanto vi sarebbero casi di vera e propria discrezionalità amministrativa «in relazione alla sospensione e alla dilazione della riscossione nonché all’attribuzione del domicilio fiscale». PARTE SECONDA 745 teoria del procedimento d’imposizione, tanto nella sua originaria formulazione, quanto nelle sue successive e più recenti elaborazioni. Sotto il primo profilo, è inaccettabile quanto sostenuto da uno studioso (15), secondo cui sussistono, in materia tributaria, due situazioni giuridiche soggettive: il potere d’impero dell’ente pubblico e l’obbligo giuridico del soggetto passivo ed il procedimento d’imposizione avrebbe la funzione di collegare, armonizzare e unificare queste due situazioni, aventi un contenuto non corrispondente. Difatti, la posizione del contribuente rispetto all’ente impositore non è riconducibile esclusivamente ad un obbligo o, per meglio dire, ad una serie di obblighi tra loro collegati e connessi (16), ma si sostanzia, anche nella sua eventuale proiezione processuale, in una posizione giuridica di interesse legittimo rispetto all’esercizio del potere amministrativo, secondo i parametri (e nei limiti) previsti dalle singole leggi d’imposta. D’altra parte, non può nemmeno sostenersi che la posizione giuridica di cui è titolare l’ente impositore sia riconducibile ad un mero potere d’impero, in quanto il vigente dato normativo, dal quale occorre partire, non consente di sopravvalutare l’autoritatività della posizione giuridica dell’ente impositore, che, nel corso degli ultimi anni, è stata non poco circoscritta (anche se non annullata), specialmente in seguito all’entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente. L’attività dell’ente impositore, lungi dall’essere caratterizzata da un potere d’imperio, consiste, piuttosto ed in via di prima approssimazione, nel perseguimento, in concreto, della funzione impositiva attraverso l’espletamento dell’attività amministrativa (che può essere suddivisa in segmenti di attività), nei limiti previsti dalle singole leggi impositive (17) e dal più volte menzionato Statuto. Ma non può essere pienamente condivisa nemmeno l’impostazione seguita dai sostenitori della teoria del procedimento d’imposizione, nelle sue successive formulazioni (18). L’assunto secondo il quale il meccanismo dell’imposizione opera sempre attraverso schemi procedimentali, non è dimostrato ed è, inoltre, indimostrabile: se l’attività amministrativa si attua principalmente attraverso procedimenti amministrativi, non ne discende, quale corollario, una immanente equivalenza tra l’attività amministrativa ed il procedimento, inteso come strumento di attuazione, in concreto, dell’attività medesima. In altre parole, in presenza di un’attività posta in essere dagli enti pubblici che esercitano, secondo un principio di stretta legalità, la funzione impositiva, non sempre e non necessariamente vengono posti in essere, in concreto, procedimenti amministrativi, dovendosi, piuttosto, verificare, caso per caso, quando l’attività è procedimentalizzata. Nella materia tributaria, il rapporto tra i segmenti di attività amministrativa di accertamento e l’atto (o gli atti) non confluisce sempre in uno sche–––––––––––– (15) Cfr. F. Maffezzoni, Il procedimento di imposizione nell’imposta generale sull’entrata, Napoli, 1965, 58, 59 e 74 ss.; Id., Profili di una teoria giuridica generale dell’imposta, Milano, 1969, 57 ss. (16) Questa ricostruzione è fortemente limitativa, in quanto il soggetto passivo d’imposta è titolare non solamente di una serie di obblighi, ad esempio quello di presentare dichiarazioni, redigere e conservare registri, documenti e scritture contabili, ma anche di una serie di poteri, che il Maffezzoni non sembra aver adeguatamente considerato ed esplorato. (17) Ne consegue che l’accertamento tributario non si estrinseca solamente in una attività di precostituzione di prove relative al legittimo esercizio del potere d’impero, come ritenuto, in modo del tutto restrittivo e non condivisibile, dal Maffezzoni. (18) Cfr. A.F. Basciu, Imposizione (procedimento di), in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1989, 1 ss. V. anche G.A. Micheli, Considerazioni sul procedimento tributario d’accertamento nelle nuove leggi di imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1974, I, 620 ss.; Id., Corso di diritto tributario, Torino, 1979, 163 ss. 746 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA ma procedimentalizzato, laddove questo inquadramento (aprioristico e rigido) dovrebbe, al contrario, essere verificato di volta in volta, onde evitare ingiustificate forzature sul piano ricostruttivo. Questa parte della dottrina tributaristica, i cui meriti sul piano evolutivo della teoria dell’accertamento sono innegabili, non può essere condivisa quando afferma che dal diritto positivo si ricaverebbe la strumentalità degli atti intermedi in uno svolgimento prefissato, essendo l’atto successivo della sequenza doveroso in seguito al compimento dell’atto precedente. Viceversa, nell’accertamento tributario questa presunta doverosità non sembra trovare ingresso, in quanto dall’esercizio dei poteri istruttori da parte dell’ente impositore non sempre scaturisce l’adozione e la notificazione di un atto impositivo al contribuente verificato e, dunque, la doverosità dell’atto successivo (e finale) della sequenza, in linea di principio, non sussiste (19), così come non sussiste l’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, di cui all’art. 2, 1° comma della l. n. 241 del 1990. Ne consegue che non si realizza sempre un nesso di conseguenza – necessità tra gli atti che formerebbero il procedimento d’imposizione, laddove questo nesso non costituisce una regola valida in via generale nella disciplina dell’accertamento tributario, la quale non è sempre caratterizzata da una sequenza di atti finalizzata a dare concreta attuazione della responsabilità dei vari soggetti passivi. Può esservi un atto singolo ma può mancare anche questo, ad esempio se l’attività di accertamento è priva di rilevanza esterna e la dichiarazione presentata dal soggetto passivo non viene rettificata dall’ente impositore. In questa ipotesi, non solo manca la sequenza di atti, ma è assente anche un singolo atto, qualora si ritenga (come è fondatamente sostenibile) che la dichiarazione tributaria del contribuente, in quanto tale, non appartiene alla sfera dell’attività amministrativa di accertamento. Pertanto, non è proficuo, sul piano sistematico, esaminare l’accertamento in termini di sequenza di atti, là dove questa sequenza è meramente eventuale e, nel singolo caso concreto, può esservi ma anche non esservi, pur in presenza di un’attività di riscontro dell’operato del contribuente, che può avere rilevanza meramente interna all’ente. Non sussiste il rapporto di strumentalità e di consequenzialità tra gli atti (ed i relativi effetti giuridici) che formerebbero la sequenza e, anche sotto questo concorrente profilo, viene da domandarsi che senso abbia continuare ad utilizzare il concetto di procedimento in siffatto assetto normativo, che, nella sua elasticità ed adattabilità, mal sopporta un rigido inquadramento nella suddetta categoria del diritto amministrativo (e della teoria generale del diritto) (20). Queste considerazioni, peraltro, sono in piena sintonia con quanto sostenuto dalla dottrina amministrativistica, anche più recente, in materia di procedimento amministrativo, la quale ha sostenuto quanto segue: a) il procedimento si configura come «un modo di esercizio del potere, che contempera autorità del soggetto pubblico e libertà del privato, assicurando al primo la supremazia del potere e al secondo la garanzia delle forme di e–––––––––––– (19) La (confezione e la) notificazione dell’avviso di accertamento presuppone che l’ente impositore abbia adottato uno o più poteri istruttori che la legge prevede a suo favore, ai fini del controllo dell’operato del contribuente e di terzi, sotto il profilo della corretta individuazione della capacità di concorrere alle spese pubbliche in ragione della concreta capacità contributiva, ma l’esercizio di questi poteri non presuppone necessariamente la notificazione dell’avviso di accertamento, ad esempio perché quanto dichiarato dal contribuente corrisponde ai parametri normativi e non vi è stata alcuna forma di evasione d’imposta. (20) Si veda H. Schima, Compiti e limiti di una teoria generale dei procedimenti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1953, 757 ss. PARTE SECONDA 747 spressione di questa supremazia» (21). Tutto questo non implica che il procedimento costituisce l’unico ed imprescindibile modo di esercizio del potere, ben potendo esservi altri modi in cui il potere amministrativo si esplica, pur avendo la dottrina amministrativistica focalizzato la propria attenzione, ormai da alcuni decenni, principalmente sull’attività procedimentalizzata; b) «ogni funzione pubblica si esprime necessariamente mediante procedimenti» (22), mentre «l’atto è la manifestazione del risultato di quella funzione» (23). Ma questa impostazione ammette la sussistenza di un procedimento in presenza di tutta una serie di atti, aventi diversa natura e funzione, collegati e coordinati in vista del raggiungimento di un interesse pubblico specifico: se questa serie di atti manca, in concreto, ad esempio perché vi è un solo atto (e, a volte, non c’è nemmeno quello), non può escludersi che la funzione impositiva possa esplicarsi in modo diverso dal procedimento, il quale non costituirebbe più l’unica manifestazione della funzione, vale a dire il procedimento non sarebbe l’unico fenomeno che si produce ad ogni esplicazione di una funzione (24) (nella specie, impositiva). Anche senza svalutare il concetto di funzione in un’ottica più ampia, almeno nella materia tributaria il procedimento non sarebbe l’unica manifestazione del risultato della funzione amministrativa, dovendosi ammettere che la sua esternazione possa realizzarsi secondo schemi non procedimentalizzati (25); c) secondo un altro studioso, «il procedimento consiste in una sequenza di atti aventi diversa natura e funzione, ma preordinati, nonostante la loro eterogeneità e la loro relativa autonomia, all’emanazione di un provvedimento conclusivo» (26): nell’accertamento tributario, questa preordinazione non sussiste sempre, in quanto l’istruttoria mira a far emergere gli eventuali inadempimenti (e la eventuale evasione di imposta) da parte del contribuente, i quali devono essere individuati e provati dall’ente impositore. Ma nulla vieta che i suddetti controlli e verifiche diano un esito negativo, nel concreto e allora sembra difficile poter sostenere che l’accertamento tributario è sempre preordinato all’adozione di un provvedimento finale, essendo tale preordinazione meramente ipotetica. L’estrinsecazione del potere amministrativo non è legata solamente all’adozione dell’atto finale di accertamento, in quanto, sotto il profilo teleologico, la funzione dell’attività di accertamento è eterogenea (27) e, co–––––––––––– (21) Così si esprime M. Nigro, L’azione dei pubblici poteri. Lineamenti generali, in Manuale di diritto pubblico, a cura di G. Amato e A. Barbera, Bologna, 1986, 727, ora in Scritti giuridici, Milano, 1996, tomo III, 1621. (22) La locuzione è di L. Galateria, M. Stipo, Manuale di diritto amministrativo. Principi generali, Torino, 1998, 460. (23) Questa citazione è tratta da F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 128. (24) Contrariamente a quanto sostenuto, in via più generale, da F. Benvenuti, op. loc. cit., 128. (25) Questo assunto sembra valere anche oltre i confini della materia tributaria: si consideri, infatti, il disposto dell’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 1 della l. n. 15 del 2005, secondo cui, quando la pubblica amministrazione adotta atti di natura non autoritativa, essa agisce secondo le norme del diritto privato, salvo che la legge non disponga diversamente. Quale corollario, anche nel diritto amministrativo la funzione non sembra più esplicarsi e manifestarsi solamente attraverso il procedimento, essendosi aperta la strada per l’applicazione di disposizioni privatistiche, anziché pubblicistiche, almeno con riferimento all’adozione di atti di natura non autoritativa. (26) Cfr. P. Virga, Diritto amministrativo, II, Milano, 2001, 47. (27) Oltre al recupero dell’imposta evasa, si pensi all’irrogazione delle sanzioni in fun- 748 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA munque, rispettosa dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa; d) nella teorica più recente, in materia di procedimento amministrativo, questo si configura sempre più, da un lato, come luogo di ponderazione e di sintesi degli interessi pubblici e di quelli privati, coinvolti nell’agere amministrativo (28) e, dall’altro lato, come «mezzo di realizzazione dei principi costituzionali di efficienza, imparzialità e buon andamento fissati dall’art. 97 Cost.» (29). Nell’accertamento tributario, il primo di questi due profili rimane del tutto in ombra, laddove il soggetto passivo subisce l’esercizio dei poteri istruttori, aventi matrice autoritativa, dell’ente impositore ed è titolare dell’interesse, giuridicamente protetto, affinché l’ente medesimo eserciti i suddetti poteri secondo i parametri (e nei limiti) previsti dalla legge, trattandosi di un controllo, generalmente realizzabile soltanto a posteriori, sul corretto esercizio del potere, anche nella sua proiezione processuale, qualora il contribuente sottoponga al vaglio del giudice tributario l’atto impositivo (autonomamente impugnabile) notificatogli. Quale corollario, la ratio che sta alla base e giustifica il procedimento, come ha evidenziato la più moderna letteratura amministrativistica, successiva all’entrata in vigore della l. n. 241 del 1990, non si concilia affatto con la natura dell’accertamento tributario, la cui logica appare ancorata a regole molto diverse da quelle che caratterizzano il procedimento (30). Conclusivamente, si può affermare, in senso contrario rispetto a quanto sostenuto nella sentenza in rassegna, che il concetto di procedimento amministrativo non solo non si sovrappone, nella materia tributaria, a quello di accertamento, ma, anzi, sono molto circoscritte le ipotesi nelle quali l’accertamento si estrinseca in un procedimento amministrativo, a meno che non si utilizzi quest’ultimo concetto in senso atecnico e, quindi, puramente descrittivo e perciò poco rigoroso, di mera sequenza di atti e di operazioni. Ma tale accezione è largamente insoddisfacente e dev’essere rifiutata in quanto poco scientifica e inadatta ad un inquadramento ad ampio respiro dell’accertamento tributario. L’opposto orientamento (ormai consolidato) della Suprema Corte, in ordine alla teoria procedimentale dell’accertamento tributario, dovrebbe essere modificato, nel senso sopra precisato, al fine di tenere conto non soltanto del vigente dato normativo, ma anche della (più recente) dottrina amministrativistica in materia di procedimento. prof. ALBERTO COMELLI Associato di diritto tributario presso l’Università di Parma –––––––––––– zione repressiva degli illeciti commessi dal soggetto passivo ed all’aspetto intimidatorio in relazione a futuri e potenziali illeciti della stessa (o di altra) natura. (28) Cfr. F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2005, 1459 ed anche M. Savino, Le riforme amministrative in Italia, in Riv. trim. dir. pubbl., 2005, 448 e 449. (29) Così si esprime F. Tedeschini, Procedimento amministrativo, in Enc. dir., Agg., III, Milano, 1999, 874. (30) Si veda A. Sandulli, Il procedimento, in Diritto amministrativo generale, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, tomo II, Milano, 2003, 1036 ss. PARTE SECONDA 749 La risarcibilità del danno da parte dell’Amministrazione finanziaria (*) Anche la pubblica Amministrazione è tenuta all’osservanza dell’art. 2043 c.c. e, conseguentemente, deve risarcire al contribuente il danno da questo subito in seguito all’attività erronea dell’Amministrazione finanziaria richiedente somme non dovute (purché riconosca l’errore e annulli il procedimento). Giud. pace Patti, 24 marzo 2005, n. 157. (Omissis). – Conclusioni delle parti. – Per la ricorrente: 1) Ritenere e dichiarare la propria competenza a conoscere della causa, trattandosi di «pagamento somma per risarcimento danni» e ciò alla luce della sentenza n. 500 del 1999 della Corte di Cassazione, che ha sancito la risarcibilità al cittadino anche per la «lesione di un interesse legittimo», oltre che del già consolidato orientamento per i diritti soggettivi. Ed ancora se l’Amministrazione finanziaria vessa il cittadino con richieste ingiustificate, il contribuente può chiedere il risarcimento dei danni ex sentenza n. 1191 del 2003 della Corte di Cassazione e Giudice di pace di Mestre del 18 settembre 2000; 2) Ritenere e dichiarare che la responsabilità civile per comportamento illecito del dipendente si estende alla pubblica Amministrazione di appartenenza in virtù dell’art. 28 della Costituzione «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici». In conseguenza, ritenere e dichiarare che anche la pubblica Amministrazione, alla stregua degli individui, deve attenersi, nell’esplicazione della sua attività istituzionale, al principio del neminem laedere e che, nel caso in specie, non ha rispettato le specifiche norme e le comuni regole di prudenza e diligenza «poste a tutela dei terzi» ex art. 2043 c.c. «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»; 3) Condannare l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate di Patti, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di parte ricorrente, della somma di € 1.033,00 o in quell’altra maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche secondo valutazione equitativa, a titolo di risarcimento danni; 4) Con vittoria di spese e compensi difensivi. Per la resistente Agenzia delle entrate - Ufficio di Patti: 750 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA 1) In via pregiudiziale, ritenere e dichiarare inammissibile la domanda spiegata con l’atto introduttivo del giudizio per difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria, appartenendosi la cognizione della stessa al Giudice tributario; 2) In via subordinata, rigettare, siccome inammissibile ed infondata, la domanda risarcitoria formulata dall’attrice; 3) Condannare controparte al pagamento di competenze ed onorari di causa. Svolgimento del processo. – Con atto di citazione notificato in data 18 ottobre 2004, la Sig.ra M.M. conveniva in giudizio l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate di Patti, in persona del legale rappresentante pro tempore, e lo invitava a comparire innanzi al Giudice di pace di Patti per l’udienza del 2 dicembre 2004. Premetteva l’attrice che, in data 15 maggio 2003, il Ministero delle finanze - Agenzia delle entrate di Patti, aveva notificato alla stessa, tramite servizio postale, l’avviso di accertamento numero ... per l’anno 1996, con richiesta di imposte, soprattasse ed interessi, per un totale di € 259,26. Essendosi la stessa rivolta al proprio commercialista per le consulenze del caso in data 8 gennaio 2004, apprendeva che nessun pagamento era dovuto ed inoltrava, perciò, ricorso. In data 21 aprile 2004 l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate di Patti, a seguito di verifiche sollecitate dal commercialista dell’attrice, accorgendosi che nulla era dovuto da parte dell’odierna attrice, emetteva provvedimento di annullamento. A seguito di tutto ciò la Sig.ra M.M. agiva, dinanzi a codesto Ufficio, per il risarcimento del danno. All’udienza del 15 dicembre 2004 si costituiva l’Agenzia delle entrate - Ufficio di Patti, depositando apposita comparsa ed insistendo in particolare, nell’eccezione del difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria. All’udienza del 16 febbraio 2005, presenti i procuratori delle parti e precisate le conclusioni, il giudice poneva la causa in decisione. Motivi della decisione. – Preliminarmente va rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla Agenzia delle entrate di Patti, in quanto il presente giudizio non può essere definito quale «controversia avente ad oggetto tributi», ma trattasi di richiesta di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., per la quale è competente a decidere questo Giudice, trattandosi di liquidazione dei danni, la cui richiesta è stata contenuta entro la competenza del Giudice di pace. PARTE SECONDA 751 Nel merito, la domanda dell’attrice è fondata e va, quindi, accolta. Buon diritto ha la Sig.ra M.M. di vedersi risarcito il danno causato dalla pubblica Amministrazione. Infatti, anche sulla pubblica Amministrazione grava l’obbligo di rispettare il principio fondamentale del neminem laedere, previsto dall’art. 2043 c.c. Il comportamento tenuto dalla convenuta non può che ravvisare violazione del suddetto principio; infatti, nonostante le diffide, mai l’Agenzia delle entrate di Patti ha provveduto a verificare quanto dall’attrice lamentato, e cioè che essa non era tenuta al pagamento delle somme richieste con l’avviso di accertamento notificato. Solo a seguito di ulteriori sollecitazioni da parte del commercialista dell’attrice, l’Agenzia delle entrate di Patti ha ammesso l’errore commesso, provvedendo all’annullamento delle somme richieste. È ovvio che, nel caso in specie, il comportamento tenuto dalla pubblica Amministrazione, violando le più comuni regole di prudenza e di diligenza, ha causato un danno economico alla sig.ra M.M., che non può che essere risarcito e che comprende, tra l’altro, le spese sostenute dalla stessa per il commercialista e per le varie trasferte verso l’Ufficio della pubblica Amministrazione, nonché le spese accessorie e consequenziali sostenute per conferire con la pubblica Amministrazione. «Se l’Amministrazione finanziaria vessa il cittadino con richieste ingiustificate, il contribuente può chiedere il risarcimento dei danni. La Sezione III civile della Corte di Cassazione ha stabilito che hanno diritto a chiedere il risarcimento dei danni subiti i contribuenti che sono stati oggetto di ingiuste pretese da parte del Fisco. Infatti, ha sottolineato la Suprema Corte, fermi i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, che la Costituzione espressamente prevede, la pubblica Amministrazione deve anche risarcire i danni ingiusti che ha provocato con il suo comportamento, sia esso doloso o colposo» (Cass., sez. III civ., n. 1191 del 2003). Sussiste, quindi, la colpa in capo all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate di Patti, autore dell’atto amministrativo illegittimo, a causa della sua condotta, dovuta ad errore evitabile se si fosse usata la normale diligenza; infatti, se si fosse adottata la dovuta attenzione, l’errore in cui è incorsa la pubblica Amministrazione sarebbe stato evitato. Per quanto sopra detto, l’Agenzia delle entrate di Patti, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, va condannata al risarcimento dei danni subiti dall’attrice, che vanno quantificati nella somma di € 547,47 per esborso quale pagamento competenze al proprio commercialista, così come si evince dalla fattura versata in atti, oltre ad € 200,00 che si liquidano in via equitativa, in relazione agli ulte- 752 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA riori esborsi per spese accessorie e consequenziali sostenute per conferire con la pubblica Amministrazione. Alle somme così come liquidate vanno aggiunti gli interessi legali dalla data della domanda fino all’effettivo soddisfo. Avendo illegittimamente dato causa al giudizio l’Agenzia delle entrate di Patti, questa va condannata, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese processuali in favore dell’attrice, che si liquidano nella complessiva somma di € 800,00, di cui € 90,00 per spese, € 360,00 per competenze ed € 350,00 per onorari, oltre spese generali, iva e cpa come per legge. – (Omissis). ————————————————————————————— (*) La sentenza in rassegna va ad inserirsi nel recente filone dell’assoggettabilità della pubblica Amministrazione in generale e dell’Amministrazione finanziaria in particolare, al principio sancito dall’art. 2043 c.c., secondo cui il danno ingiusto cagionato da un fatto illecito deve essere risarcito da chi lo ha provocato. Per poter nella fattispecie concreta arrivare ad un simile risultato, occorre seguire un percorso logico-giuridico tutt’altro che semplice e scontato per la necessità che comunque l’amministrazione Finanziaria riconosca il proprio errore nei confronti del contribuente. Il primo punto è costituito dallo stabilire se la competenza a decidere della controversia sia del giudice adito e in tale caso la risposta è senza dubbio affermativa in quanto, sia territorialmente che per valore e per materia, il giudice di pace si può pronunciare, poiché la domanda della parte attrice verte solo sulla richiesta di risarcimento danni e non riguarda la materia tributaria. Il secondo punto, trattabile parallelamente al terzo, consiste nell’accertare la responsabilità del funzionario o del dirigente dell’amministrazione interessata per la propria condotta lesiva nei confronti del cittadino il che non presenta difficoltà, in quanto è la stessa pubblica Amministrazione a riconoscere l’errore e ad interrompere l’attività lesiva per il cittadino. Il terzo punto, strettamente connesso al secondo, si fonda sull’ascrivibilità della responsabilità per la condotta lesiva del funzionario o del dirigente alla pubblica Amministrazione e anche qui si tratta di un passaggio logico facile, in quanto è l’art. 28 della nostra Costituzione, peraltro citato nella sentenza annotata assieme all’art. 2043 c.c., a prevedere l’estendibilità all’amministrazione d’appartenenza della responsabilità civile del dipendente. Il quarto punto è costituito dal diritto per il cittadino-contribuente ad ottenere il risarcimento dei danni subiti (spese dirette ed indirette finalizzate a dimostrare all’amministrazione l’assoluta infondatezza della propria pretesa) per il comportamento negligente dell’amministrazione PARTE SECONDA 753 stessa, diritto esplicitamente riconosciuto dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza 22 luglio 1999, n. 500 (in Foro it., 1997, I, 2487). Come logica conseguenza discende il conclusivo quinto punto, costituito dalla punibilità dell’amministrazione per la condotta negligentemente lesiva del proprio funzionario o dirigente e anche qui viene in soccorso al cittadino-contribuente danneggiato la Corte di Cassazione con la sentenza della sez. III del 27 gennaio 2003, n.1191 (in Mass. Foro it., 2003, n. 312, 1926). Alla luce di quanto sinteticamente è stato sopra esposto bisogna osservare come, affinché il cittadino-contribuente riesca ad ottenere un qualche risarcimento per la condotta lesiva dell’amministrazione, oltre che l’errore dell’amministrazione e una sentenza a lui favorevole del giudice civile, occorra, quale fase intermedia, che l’amministrazione «collabori» riconoscendo esplicitamente il proprio errore. Infatti, dopo l’inizio da parte dell’amministrazione di una qualche procedura infondata nei confronti del contribuente e l’attività del contribuente stesso, o di chi per lui (consulente fiscale, commercialista, avvocato), finalizzata ad ottenerne l’annullamento, è assolutamente indispensabile che l’amministrazione si renda conto dell’errore commesso e provveda a porre nel nulla quanto fatto. Altrimenti, se l’amministrazione non riconoscesse l’errore e portasse avanti la procedura iniziata, al contribuente non resterebbe altro rimedio che ricorrere al giudice tributario. Paradossalmente l’amministrazione che riconoscesse tempestivamente il proprio errore, pur dovendo risarcire per il danno subito il contribuente, risparmierebbe al contribuente (e a se stessa) le spese del processo tributario, processo che, oltre che essere costoso, è pur sempre lungo e dall’esito comunque incerto per entrambe le parti. Tuttavia si potrebbe ipotizzare, per l’amministrazione che volesse provare a risparmiarsi anche il pagamento dei danni arrecati al contribuente per l’allarme e i disagi da questo subiti a seguito di pretese infondate, una qualche precauzione «informale» (per esempio una lettera o anche un’ancor più semplice cartolina) per mezzo della quale l’amministrazione preavvisi il contribuente che sarebbe prossimo l’inizio di una procedura nei sui confronti, invitandolo nel contempo, se avesse delle osservazioni da fare o documenti da esibire allo scopo di meglio chiarire la propria posizione, di aderire a questo invito informale prima dell’inizio del procedimento di contestazione formale. Qualora il contribuente, a seguito di questo invito informale, riuscisse a dimostrare all’amministrazione l’infondatezza delle sue pretese, all’amministrazione non resterebbe altro che non incominciare il procedimento lesivo verso il contribuente; cioè, in assenza di ogni riconoscimento dell’infondatezza della propria pretesa iniziale, essa potrebbe limitarsi a un con tegno d’inerzia assoluta, non dovendo neppure annullare un procedimento ancora non iniziato, rendendo così problematica una richiesta di danni di fronte al giudice civile proprio per il mancato avverarsi dei punti secondo e terzo prima illustrati, ovvero riconoscimento dell’errore del dirigente o funzionario con conseguente ascrivibilità all’amministrazione d’appartenenza. Infatti l’amministrazione non dovrebbe così, né riconoscere alcun errore, né annullare alcunché e, mancando tale riconoscimento, il giudice civile non potrebbe pronunciarsi per il risarcimento del danno ingiusto proprio perché si 754 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA sarebbe in mancanza della prova dell’ingiustizia del danno stesso, in quanto sarebbe insufficiente la sua inerzia per qualificare la sua pretesa, comunicata informalmente al contribuente, come infondata e come tale lesiva verso il contribuente. dott. GIORGIO LULY PARTE SECONDA 755 Il riutilizzo per fini commerciali dei documenti, dati e informazioni catastali e ipotecari e il pagamento delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali catastali (*) L’Agenzia del territorio non si pone in rapporto di concorrenza rispetto ad altri soggetti che elaborano i dati che essa offre, limitandosi a fornire il solo dato grezzo e astenendosi da qualsiasi attività di rielaborazione dello stesso per perseguire scopi similari a quelli propri dei soggetti privati. Il maggior onere per la commercializzazione dei dati catastali e ipotecari, connesso alla sottoscrizione della convenzione e al pagamento dei tributi, non determina concrete difficoltà operative per il soggetto che riutilizza i predetti dati, perché l’onere si riversa a cascata sull’utilizzatore senza incidere in modo decisivo sulla redditività. App. Bologna, ord. 7 aprile 2005, C. s.p.a. c. Finanze. (Omissis). – La C. s.p.a. fornisce alla propria clientela, in un mercato improntato a libera concorrenza, informazioni economiche e finanziarie sulla consistenza patrimoniale di persone fisiche e giuridiche anche attraverso l’accesso a strutture pubbliche, tra le quali vanno annoverate le Conservatorie dei registri immobiliari ed il Catasto terreni, facenti capo alla Agenzia del territorio ed alle sue articolazioni locali, i cui dati vengono analizzati e rielaborati – anche attraverso la consultazione manuale degli archivi o il confronto tra archivi diversi e tra loro non integrati – con l’ausilio di persone e strutture professionalmente qualificate per la necessità di assoluta precisione dei dati forniti. Non v’è quindi sovrapposizione tra il servizio pubblico fornito dalla Agenzia, che si limita a conferire pubblicità legale a dati che vengono poi rielaborati, e l’attività della C., che si occupa di quest’ultima operazione, corrispondendo ai pubblici uffici quanto previsto dalla tariffa vigente. I 367° e 374° commi della l. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria) hanno previsto in via generale il divieto di «riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali ed ipotecari, che risultino acquisiti, anche per via telematica in via diretta o mediata, dagli archivi o da pubblici registri immobiliari tenuti dagli uffici dell’Agenzia del territorio» (367° comma), individuando detta «riutilizzazione» nella cessione o fornitura a terzi anche se rielaborati dai soggetti che li hanno acquisiti (368° comma) e consentendola solamente nel caso di «specifiche convenzioni stipulate con l’Agenzia del territorio, che disciplinino, a fronte del preventivo pagamento dei tributi dovuti anche ai sensi del 370° comma, modalità e termini della raccolta, della conservazione, della elaborazione dei dati, nonché il controllo del limite di riutilizzo consentito» (371° comma). La normativa dispone per la riutilizzazione il pagamento dei «tributi speciali catastali» e delle «tasse ipotecarie» nella stessa misura prevista per la loro acquisizione ed una 756 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA sanzione amministrativa in caso di violazione. Il 369° comma consente l’acquisizione dei dati al di fuori della convenzione nella ipotesi in cui essi sono forniti «al solo soggetto per conto del quale, su preventivo e specifico incarico, risultante da atto scritto, l’acquisizione stessa, previo pagamento dei tributi dovuti, è stata effettuata». In accompagnamento all’introduzione di tale normativa il Parlamento, nella seduta del 28 dicembre 2004, ha approvato un «ordine del giorno» che impegna il Governo «a dare direttive affinché si tenga conto nella predisposizione delle convenzioni di cui al 374° comma del disegno di legge finanziaria, dei principi previsti dalla Direttiva 2003/98/CE in materia di utilizzo delle informazioni e del settore pubblico», nel presupposto che l’attività di raccolta e rielaborazione dei dati fosse legittima fino alla stipula delle nuove convenzioni. C. aveva quindi inviato una intimazione-diffida con la quale richiedeva alla Agenzia la conferma della legittimità della attività sino alla stipula e l’adozione per la convenzione di condizioni conformi alla Direttiva 2003/98/CE, previa consultazione degli organismi rappresentativi delle società operanti nel settore. Nulla veniva risposto e il 10 febbraio 2005 veniva pubblicata per via telematica la circolare n. 2 del 2005, a firma del direttore della Agenzia, che recava in allegato un testo di convenzione che faceva proprio il divieto di riutilizzo e lo rafforzava, prevedendo la cancellazione dei dati al termine del rapporto o in caso di revoca della convenzione. Sulla base di tale esposizione in fatto, C. ha proposto in data 24 febbraio 2005 ricorso a questa Corte di Appello ai sensi del combinato disposto degli artt. 700 c.p.c. e 33 l. n. 287 del 1980 affinché venga ordinato alla Agenzia del territorio di consentire la prosecuzione della attività, quanto meno sino alla definizione del regime convenzionale e sia adottato ogni altro provvedimento opportuno, con pubblicazione dell’emanando provvedimento su alcuni quotidiani e condanna alla rifusione delle spese di lite. Sul fumus la ricorrente rileva che l’accesso ai registri immobiliari è consentito a chiunque ne faccia richiesta e l’informazione acquisita entra nel patrimonio come un qualsivoglia bene mobile del soggetto, senza che in alcun modo interferisca sulla tutela della «fede pubblica», non attribuendosi alla rielaborazione operata dalle imprese del settore alcun valore di certificazione. L’Agenzia va qualificata quale imprenditore in posizione dominante e le limitazioni imposte alla circolazione delle informazioni per tale via acquisite integrano un abuso di tale posizione, perseguibile ai sensi della legislazione antitrust, perché ostacola lo svolgimento di attività concorrenziale nella commercializzazione a valle dei dati, attribuendo un monopolio alla agenzia con la previsione di una convenzione, non regolata in nessun modo rispetto ai criteri ed alle modalità di rilascio. Tale riserva esclusiva, come anche l’estensione del divieto di riutilizzazione delle informazioni già acquisite, è in conflitto, sempre secondo C., con il Trattato CE e con la legge antitrust, che impediscono allo Stato di riservare ad una impresa pubblica o ad alcune imprese private PARTE SECONDA 757 discrezionalmente prescelte tramite convenzione, l’esercizio di attività imprenditoriale «che non interferisce con la missione di pubblico interesse ed a valle della stessa» (p. 16 del ricorso). C. sottolinea in particolare che la Direttiva 2003/98/CE impegna gli Stati membri, quale principio ispiratore della disciplina in materia, ad incoraggiare gli enti pubblici «a rendere disponibili per il riutilizzo tutti i documenti in loro possesso» consentendo ai richiedenti «lo sfruttamento del loro intero potenziale economico» senza limitare «in maniera inutile la possibilità di riutilizzo» e la concorrenza. La normativa in tema si pone in contrasto con quella comunitaria, deve quindi essere disapplicata ed è comunque incostituzionale. Quanto poi al periculum la ricorrente rileva che esso è in re ipsa in materia concorrenziale, incidendo la situazione illegittima sull’avviamento dell’impresa per il timore dei clienti di partecipare ad una attività vietata, cosicché, nel tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria, esso sarebbe irreversibilmente pregiudicato. La stessa ricorrente ha poi depositato note integrative con le quali ha rilevato che la convenzione in concreto proposta dalla Agenzia consolida il regime anticoncorrenziale che si intende instaurare, perché prevede la cancellazione dei dati al termine del rapporto, impegna la singola impresa ad un «uso corretto» delle informazioni con formula tanto generica da consentire un amplissimo sindacato sulle attività svolte, estende divieti ed obblighi contributivi anche a quanto inserito «in un contesto informativo e documentale più ampio» con ciò stesso venendosi a negare la possibilità di realizzazione di nuovi prodotti informativi. L’azione di monopolizzazione sarebbe poi completata con l’entrata in vigore di una nuova tabella delle tasse ipotecarie che evidenzia l’intenzione di offrire direttamente alla clientela i servizi diversi dalla certificazione. In data 19 marzo 2005 l’Avvocatura dello Stato ha prodotto note difensive, con le quali si è opposta alla concessione del provvedimento ed ha chiesto il rigetto del ricorso. All’udienza odierna sono comparsi il legale rappresentante della C. ed il direttore della Agenzia del territorio ed al termine della discussione il giudicante si è riservato di deliberare. La prima questione che deve essere affrontata è quella relativa al periculum in mora che, come si è poco sopra accennato, la C. ritiene in re ipsa per la perdita di avviamento dell’impresa e, più in generale, per i principi sovente ribaditi dalla giurisprudenza di merito in materia di concorrenza sleale (cfr. pagg. 21 e s. del ricorso, con nota 10). In proposito va rilevato, innanzi tutto, che l’Agenzia del territorio, anche a volerla considerare una impresa, non si pone in rapporto di concorrenza rispetto alle società che, come la C., elaborano i dati che essa offre, poiché, da un lato, fornisce, per usare le parole stesse della società ricorrente, il solo «dato grezzo», che le società poi utilizzano per dare ai propri clienti il più completo prodotto richiesto, ma anche perché, ad oggi, l’Agenzia non pone in essere alcuna attività di rielaborazione dei dati in suo possesso e non persegue scopi similari a 758 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA quelli propri dei soggetti privati; gli stessi «servizi telematici a valore aggiunto» cui si riferisce il d.l. n. 7 del 2005 non solo non risultano ad oggi attuati (né è dato sapere quando ciò si verificherà in concreto), ma forniranno «una ricerca continua per via telematica» che le società dovranno poi rielaborare, per soddisfare la propria clientela, che comunque, a quanto consta, non entrerà in contatto con l’Agenzia se non tramite le società stesse che potranno stipulare apposita convenzione (diversa da quella in esame). Quanto detto esclude che possa sostenersi che le disposizioni della legge n. 311 del 2004 favoriscano un soggetto che si pone in posizione concorrenziale rispetto alla odierna ricorrente, cosicché il richiamo all’illecito per concorrenza sleale già per tale verso non si attaglia in modo pontuale al caso in esame. Va anche immediatamente aggiunto che ad oggi neppure si è manifestato un comportamento della stessa Agenzia idoneo ad incidere sulla libera concorrenza tra la società ricorrente e le altre che operano nel medesimo campo, poiché nessuna norma regolamentare idonea a favorire particolari soggetti privati rispetto ad altri o a limitare di fatto solo ad alcuni il libero accesso agli archivi risulta essere stata emanata ed anzi nessuna convenzione è stata conclusa, malgrado alcune imprese, non appartenenti alla medesima organizzazione rappresentativa cui ha aderito la C., lo abbiano richiesto ed anzi l’Agenzia (che ha sottolineato la natura «sperimentale» dell’atto già emesso; cfr. la premessa della circolare n. 3 del 23 febbraio 2005) sta studiando una nuova circolare per meglio chiarire gli aspetti connessi all’ingresso della nuova normativa. In sostanza, per tale profilo, nessun rischio di sviamento di clientela può ad oggi configurarsi, proprio perché nessun soggetto è abilitato a fornire i rapporti informativi, che formano oggetto del contendere, e non sono state poste né dalla legge, né dalla circolare emanata dalla Agenzia norme idonee a rendere difficoltoso l’accesso alla convenzione (che del resto andrebbero contro lo stesso interesse ad evitare «l’elusione fiscale» o, comunque, al maggior gettito che si intende conseguire) o a renderlo possibile solamente ad alcune imprese (il versamento iniziale è di soli € 1000, come anche i successivi). Non è neppure pensabile che i clienti finali economicamente più forti (quali ad esempio le banche) siano in grado in tempi brevi di realizzare autonomamente sistemi utili di informazione, non potendo usufruire del complesso di elaborazioni che solamente le società del tipo della C., da tempo presenti sul mercato, sono state in grado di realizzare con gli anni. Del resto la ricorrente neppure indica quali siano le ragioni che rendono irreparabile il danno, impedendole, oggi, di sottoscrivere la convenzione e di far valere poi le ragioni che, secondo la sua prospettazione, rendono contraria ai Trattati CE e alla Direttiva 2003/98/CE la stessa legge istitutiva, così da ottenerne la caducazione attraverso la via ordinaria con il conseguente obbligo restitutorio per tutte le somme percepite in eccedenza rispetto a quanto dovuto per la semplice acquisizione del dato (obbligo restitutorio di agevole accertamento e sicura riscossione per es- PARTE SECONDA 759 sere a carico dello Stato). Lo stesso maggior onere per la commercializzazione, in una situazione di parità concorrenziale ed in un mercato che non consente al cliente finale di conseguire diversamente il prodotto, non determina concrete difficoltà operative, perché si riversa a cascata sull’utilizzatore senza incidere di per sé solo in modo decisivo sulla redditività, che è determinata dal valore aggiunto dalla rielaborazione dei dati. Certamente l’impossibilità di «commercializzare» tali dati preclude alla C. una parte della attività e occorre quindi a questo punto verificare se il pericolo possa essere rappresentato da difficoltà economiche che mettano a repentaglio la stessa sopravvivenza dell’impresa nel tempo occorrente per consentirle la piena valutazione della opportunità di sottoscrivere la convenzione. Sul tema C. non ha offerto alcuna prova documentale (come ad esempio una analisi dei dati contabili di questi primi mesi del 2005) ed è anzi smentita dai riepiloghi prodotti in copia dalla resistente, dai quali emerge un incremento assai consistente del numero di operazioni compiute dalla C. in questo inizio d’anno, rispetto a quelle eseguite negli stessi mesi del 2004 (gli importi sono in qualche misura condizionati dall’aumento della imposizione, ma questo non vale per il numero di operazioni). Si tratta di attività pacificamente commissionate alla società dai suoi clienti, che evidentemente hanno mantenuto il loro rapporto fiduciario, ed è relativa non tanto ad un aggiornamento delle elaborazioni informatiche già in possesso della C. in vista di un futuro sblocco della situazione, quanto all’esercizio di quella attività di fornitura di dati ed informazioni a chi ha conferito l’incarico, ancor oggi del tutto legittima (369° comma), che è anch’essa fonte di reddito per la società. Certamente si tratta di un dato parziale (relativo alle sole operazioni «sister»), ma che non è contraddetto da alcuna risultanza e che – in difetto di ogni prova circa le conseguenze negative sull’andamento della gestione sociale che l’impossibilità di lecita «riutilizzazione commerciale dei documenti» ha prodotto – impedisce di affermare anche per tale profilo che il diritto per il quale si intende procedere per via ordinaria sia attualmente minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile. Come è evidente si tratta di una situazione assai delicata ed ancora in divenire – come dimostrato dall’ordine del giorno approvato dal Parlamento, dalla cautela con cui sta procedendo la stessa Agenzia del territorio attraverso successive circolari, dalla mancanza ad oggi di controlli sulla riutilizzazione (demandati alla Guardia di Finanza, ma non richiesti dalla amministrazione) –, cosicché non è possibile escludere in via assoluta che con l’andar del tempo la situazione della C. si evolva in modo tale da far emergere quel pericolo che oggi si è escluso, ma ciò che in questa sede unicamente rileva – a prescindere da ogni accertamento inerente al fumus boni iuris – è la attuale insussistenza di uno dei presupposti indispensabili per la concessione dell’invocato provvedimento. Quando alle spese della presente fase, l’assoluta novità delle questioni prospettate induce a dichiararle interamente compensate. 760 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA P.Q.M. – Rigetta il ricorso proposto dalla C. avverso l’Agenzia del territorio con ricorso proposto il 24 febbraio 2005 e dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite. (Omissis). ————————————————————————————— (*) SOMMARIO: 1. La questione del divieto di riutilizzare per fini commerciali i dati e le informazioni ipotecari e catastali. – 2. La pubblicità immobiliare e la relativa finalità. – 3. Il servizio di pubblicità immobiliare e la possibilità di acquisire dati e informazioni ipotecari e catastali. – 4. L’organizzazione e la gestione da parte dello Stato del servizio di pubblicità immobiliare in posizione di monopolio. – 5. Il divieto di riutilizzo per fini commerciali di dati e delle informazioni catastali e ipotecari e la direttiva n. 2003/98/CE sul riutilizzo dei documenti in possesso degli enti pubblici. 1. – La questione del divieto di riutilizzare per fini commerciali i dati e le informazioni ipotecari e catastali 1. – L’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna, che si commenta, mette in evidenza i tratti di una questione che è stata resa complessa dall’intervento del legislatore che con la l. 30 dicembre 2004, n. 311, ha vietato all’art. 1, 367° comma e ss., il riutilizzo ai fini commerciali dei documenti, dati e informazioni catastali e ipotecari. L’intervento del giudice ordinario segue il ricorso presentato ai sensi degli artt. 700 c.p.c. e 33 della l. n. 287 del 1990, in relazione al danno che deriva all’attività della ricorrente società dal divieto imposto dalla predetta legge nel periodo che intercorre tra la sua entrata in vigore e la definizione del regime convenzionale previsto dalla legge stessa. La società ricorrente espone, infatti, sul punto dell’esistenza del fumus, che l’accesso ai registri immobiliari e l’acquisizione delle relative informazioni sono consentiti a chiunque ne faccia richiesta e la loro rielaborazione non riveste alcun valore di certificazione e non interferisce, quindi, sulla tutela della «fede pubblica». Dal lato poi del periculum, il divieto avrebbe effetti negativi sull’avviamento dell’impresa, atteso che sui clienti prevarrebbe il timore di partecipare a una attività vietata, con la conseguenza che per il tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria, l’avviamento verrebbe inevitabilmente pregiudicato. La questione del divieto di riutilizzo dei dati si caratterizza per essere vista dalla società ricorrente essenzialmente in chiave di ostacolo allo svolgimento dell’attività di commercializzazione dei dati acquisiti presso l’Agenzia del territorio. La circostanza, infatti, che il riutilizzo sarebbe ammesso solo se la società ricorrente sottoscriva apposita convenzione con l’Agenzia, evidenzia che a questa viene riconosciuta di fatto una posizione di monopolio nella gestione e utilizzazione dei dati. Secondo la società ricorrente nel divieto di riutilizzo dei dati catastali si potrebbe ravvisare un evidente contrasto con la Direttiva n. 2003/98/CE del 17 novembre 2003, che nei considerando precisa al punto 9 che «gli enti pubblici dovrebbero essere incoraggiati a rendere disponibili per il loro riutilizzo tutti i documenti in loro possesso», e ciò nella prospettiva di consentire alle imprese europee di sfruttarne il potenziale e contribuire alla crescita economica e alla creazioni di posti di lavoro (punto 5). La Corte rigettando il ricorso ammette che il divieto di riutilizzo dei dati catastali imposto dalla l. n. 311 del 2004 crea una situazione assai delicata per le PARTE SECONDA 761 imprese che «commercializzano» tali dati, e, per di più, ancora in divenire, anche se non si può affermare con certezza che allo stato esista quel pericolo che metta a repentaglio la sopravvivenza dell’impresa nel tempo occorrente per valutare l’opportunità di sottoscrivere la convenzione, presupposto essenziale per la concessione del provvedimento di continuare la prosecuzione dell’attività. Occorre rilevare che la questione posta avanti la Corte d’Appello per essere stata vista in chiave di tutela del diritto a svolgere un’attività economica che ha per oggetto l’elaborazione e l’utilizzo per fini commerciali dei dati e delle informazioni acquisiti a seguito della consultazione dei registri immobiliari tenuti dagli uffici dell’Agenzia del territorio, ha finito per mettere in secondo piano la finalità che il legislatore ha inteso raggiungere con l’introduzione del divieto. Ciò ha influito non poco sull’inquadramento della questione, al punto che per la società ricorrente l’Agenzia del territorio deve essere qualificata un imprenditore che viene a trovarsi, per effetto del divieto imposto dalla l. n. 311 del 2004, in una posizione dominante perseguibile ai sensi della legislazione antitrust. In realtà, per cogliere i lineamenti della questione occorre avere riguardo all’aspetto fiscale che caratterizza l’introduzione del divieto e che né la ricorrente società, né la Corte d’Appello hanno preso in considerazione. Non a caso, infatti, per l’art. 1, 367° comma, il divieto della riutilizzazione commerciale dei documenti, dati, informazioni catastali e ipotecari è finalizzato a contrastare fenomeni di elusione fiscale e di tutela della fede pubblica. Di qui la palese connotazione fiscale della questione essendo collegata, secondo la previsione della legge, al mancato conseguimento di entrate tributarie dovuto alla utilizzazione di dati, informazioni, notizie che dovrebbero essere acquisiti consultando i registri tenuti dagli uffici dell’Agenzia del territorio dietro pagamento di particolari diritti, ma che, di fatto, vengono messi a disposizione di terzi, che li utilizzano, da soggetti diversi dalla predetta Agenzia. Più che alla posizione dell’Agenzia del territorio e alla sua idoneità a incidere sulla situazione di libera concorrenza, limitando l’utilizzo dei dati e delle informazioni catastali e ipotecari, diventa importante prendere in esame la relazione che singole disposizioni di legge prevedono tra i dati di cui dispone l’Agenzia del territorio in ragione della propria attività istituzionale e il loro accesso da parte di soggetti terzi. 2. – La pubblicità immobiliare e la relativa finalità Per poter inquadrare correttamente la questione oggetto del divieto imposto dalla l. n. 311 del 2004, conviene precisare che essa si collega essenzialmente alla pubblicità degli atti immobiliari che si attua attraverso la tenuta da parte degli uffici dell’Agenzia del territorio di appositi registri nei quali vengono trascritte o annotate le note relative ad atti per i quali si chiede la pubblicità. È importante rilevare come la pubblicità si realizzi al termine di una sequenza di atti che sono in parte del privato e in parte del conservatore dei registri immobiliari. Più esattamente, la procedura prende avvio con la presentazione del soggetto che chiede la formalità della trascrizione o iscrizione di una nota che riproduce in forma riassuntiva l’atto che si intende rendere pubblico e si conclude con la registrazione nel registro generale d’ordine, una volta che la nota è stata accettata. Così, dopo la registrazione, la nota, assieme al titolo che riproduce in sintesi, viene archiviata dall’ufficio e messa a disposizione del pubblico. L’attività del conservatore che porta all’accettazione della nota e a eseguire le formalità della trascrizione ecc. si articola essenzialmente nel controllare che siano state rispettate le prescrizioni dettate dalla legge e, in particolare, che 762 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA le trascrizioni riguardino gli atti elencati all’art. 2643 c.c. e che le note contengano tutti gli elementi indicati all’art. 2659 e 2660 c.c. e, per le iscrizioni, quelli specificati all’art. 2839 c.c. (1). Nel vigore della l. 25 giugno 1943, n. 540, il controllo del conservatore comprendeva anche la verifica dell’avvenuta esecuzione del versamento da parte del richiedente le formalità della trascrizione o dell’iscrizione della relativa imposta che era stata liquidata dal conservatore stesso a seguito della richiesta della predetta formalità. Solo con il versamento del tributo, il dovere del conservatore di eseguire le formalità poteva considerarsi attuale; senza tale versamento, il procedimento iniziato con la presentazione della richiesta di trascrizione ecc. doveva intendersi interrotto (2). Diverse dalla pubblicità immobiliare che segue alle formalità di trascrizione, iscrizione, annotazione, sono le operazioni collegate alla conservazione del catasto. Se, come viene sottolineato, la finalità del catasto è più propriamente fiscale (3), ad esso, però, non si può negare delle finalità accessorie del tutto analoghe a quelle della pubblicità immobiliare (4). La circostanza, infatti, che quando intervengono atti civili, giudiziari, amministrativi che comportano il trasferimento di diritti censiti nel catasto terreni o in quello dei fabbricati, i soggetti tenuti alla registrazione dei predetti atti debbano richiedere la voltura catastale esibendo il titolo (artt. 3, 14, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 650) (5), reca, come conseguenza, che i registri catastali realizzano di fatto una funzione pubblicitaria (6), risultando dagli stessi lo stato del possesso e dei possessori di ciascun bene immobile (7). Di qui l’importanza che vengono ad assumere le risultanze –––––––––––– (1) Bonis, Registri immobiliari, in Nuoviss. dig. it., Torino, 1968, 33, che precisa come il controllo del conservatore non possa investire il contenuto dell’atto, né se le parti abbiano piena capacità giuridica, né se sia stato rispettato il principio della continuità. Diverso, invece, è il controllo il materia di cancellazioni. In questo caso, il conservatore è tenuto a indagare anche sul contenuto dell’atto, sulla legittimazione delle parti e sui poteri delle persone, che eventualmente le rappresentino. Sui compiti del conservatore, cfr. anche Chianale, Pubblicità immobiliare, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1997, 138. (2) Cfr. Fedele, Le imposte ipotecarie, Milano, 1968, 34, che sottolinea anche come il versamento del tributo si configuri come un comportamento non dovuto, nel senso che non costituisce adempimento di un obbligo. (3) Cfr. R. Napolitano, Volture catastali, in Nuoviss. dig. it., Torino, 1975, 1049, che precisa come attraverso il catasto vengano accertate le proprietà immobiliari per determinarne la rendita (media ordinaria) imponibile. (4) Pugliatti, La trascrizione, Milano, 1957, 275. (5) Cfr. R. Napolitano, Volture catastali, cit., 1052, che precisa come le volture siano lo strumento per promuovere le variazioni connesse a fatti o atti giuridici traslativi o dichiarativi della proprietà o di altro diritto reale, a titolo oneroso o gratuito, tra vivi o per causa di morte. La voltura, comportando la variazione di diritti reali, non potrà essere eseguita se non sulla base di atti pubblici, di atti giudiziari, di scritture private autenticate e, per le successioni, sulla base della copia e dell’estratto dei relativi documenti. (6) Osserva Pugliatti, La trascrizione, cit., 277, che i registri catastali pur non essendo preordinati a fini pubblicitari, tuttavia, adempiono, entro certi limiti, a funzioni diverse da quelle collegate al loro fine istituzionale. In particolare assolvono: – a funzioni probatorie, apprezzabili in linea di fatto e nel caso concreto; – a funzioni ausiliarie rispetto all’attuazione della pubblicità patrimoniale; – a funzioni attinenti alla c.d. pubblicità di fatto, specie in ordine alle ricerche relative alla provenienza e all’attuale appartenenza dei beni immobili; – a funzioni pubblicitarie vere e proprie in ambito particolare. (7) Cfr. Rumboldt, Catasto, in Nuoviss. dig. it., Torino, 1981, 15, che sottolinea come le disposizioni sulla conservazione del catasto consentano che questo rappresenti lo stato dei possessi e dei possessori non solo all’epoca della sua attivazione ma in tutti i momenti successivi. PARTE SECONDA 763 catastali in merito alle ricerche sulla provenienza e sull’attuale appartenenza dei beni immobili (8). Sul punto dell’imposta ipotecaria connessa all’esecuzione delle formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione, annotazione da eseguire nei registri immobiliari, e dell’imposta catastale per l’esecuzione delle volture, che prima della riforma introdotta dal d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 635, erano disciplinate da due leggi distinte (imposta ipotecaria, l. 5 giugno 1943, n. 50; diritti catastali, l. 17 agosto 1941, n. 1043), occorre precisare che ora sono liquidate e riscosse dall’ufficio delle entrate al momento della registrazione degli atti che comportano il trasferimento di diritti reali immobiliari di godimento e alla trascrizione dei certificati di successione (9). Solo per l’imposta ipotecaria, continuano a essere competenti gli uffici del territorio per le formalità diverse da quelle della trascrizione ecc. richiamate (art. 12, secondo periodo, t.u. n. 347 che ha sostituito il decreto n. 635 del 1972). In rapida sintesi, sono liquidate e riscosse dall’ufficio delle entrate l’imposta ipotecaria e quella catastale a prescindere che sussista o meno la richiesta al conservatore di eseguire le formalità della pubblicità (trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione) (10) o la richiesta all’ufficio del territorio di eseguire la voltura catastale. Continua, invece, a essere liquidata e riscossa dagli uffici dei registri immobiliari, all’atto della richiesta della formalità, l’imposta ipotecaria nei casi in cui questa rientra nella competenza dei predetti uffici. Conviene rimarcare che le formalità relative alla pubblicità collegata all’accettazione da parte del conservatore delle note e delle domande presentate non si concretizzano solo nella loro registrazione nel registro generale d’ordine, ma debbono essere classificate in modo da consentire una loro rapida ricerca. Più in dettaglio, la classificazione delle note e delle domande avviene su base personale, nel senso che vengono riportate in appositi registri divisi in partite intestate alle singole persone; queste, a loro volta, vengono classificate secondo un sistema di indici che fanno riferimento a tavole e rubriche. Tutto questo è in funzione di rendere possibile a terzi di conoscere la situazione giuridica relativa ai diritti reali immobiliari di qualsiasi soggetto e in ogni momento (11). Una situazione analoga si verifica con la presentazione agli uffici del territorio delle volture catastali. Sulla base delle volture, infatti, gli uffici provvedono all’aggiornamento del registro delle partite e della matricola dei possessori (12), che riportano: il primo, il complesso dei beni posseduti da una o più –––––––––––– (8) Osserva Corrado, La pubblicità nel diritto privato, Torino, 1947, 101, che l’affidamento dei privati nei libri fondiari pur non offrendo una completa garanzia giuridica dà una qualche giustificazione; e ciò a ragione delle gravi conseguenze che ci ricollegano al dante causa dalla mancata esecuzione della voltura a carico del nuovo titolare in termini di obbligo nel pagamento dell’imposta. Questo fatto induce ad aggiornare le risultanze catastali, con la conseguenza che da esse i può trarre la prova per presunzione della titolarità dei diritti reali in chi da esse risulta obbligato da imposta, finché non sia possibile alla controparte dimostrare che la realtà giuridica è diversa. (9) Cfr. Petrucci, Catasto, in Nuoviss. dig. it., Torino, 1080, App., 1096, che precisa come l’unificazione in un unico testo normativo dell’imposta ipotecaria e di quella catastale si giustifica con il rilievo che i diritti catastali sono strettamente connessi con le formalità di trascrizione e della iscrizione che costituiscono il presupposto dell’imposte ipotecaria. (10) Cfr. Bonis, Ipoteche (imposta sulle), in Nuoviss. dig. it., Torino 1983, App., 438, che osserva come l’imposta ipotecaria finisca per costituire una vera e propria addizionale dell’imposta di registro. (11) Bonis, Registri immobiliari, in Nuoviss. dig. it., Torino, 1968, 30. (12) R. Napolitano, Volture catastali, cit, 1052. 764 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA persone insieme; il secondo, le ditte censuarie in ordine alfabetico (13). Di qui la conclusione che il complesso di documenti e registrazioni che precede, garantisce la conoscenza effettiva dei diritti reali immobiliari e anche la realizzabilità di un interesse pratico di fruire di un servizio pubblico (14). 3. – Il servizio di pubblicità immobiliare e la possibilità di acquisire dati e informazioni ipotecari e catastali In relazione all’esecuzione da parte del conservatore delle formalità inerenti alla pubblicità immobiliare e quelle collegate alle volture da parte dell’Agenzia del territorio, esiste il diritto di chiunque di ispezionare i registri immobiliari e di ottenere, su richiesta, copia delle trascrizioni, iscrizioni e annotazioni, estratti e certificati catastali. Dispone l’art. 2673 c.c. che il conservatore deve permettere a chiunque di ispezionare nei modi e nelle ore fissati i suoi registri e, se richiesto, rilasciare copia delle trascrizioni, iscrizioni e annotazioni. L’art. 20 della l. 27 febbraio 1985, n. 52, stabilisce poi che per ogni ispezione ipotecaria il richiedente deve presentare apposita richiesta all’ufficio del territorio (ex conservatoria) con l’indicazione delle generalità delle persone fisiche o la denominazione oppure la ragione sociale e la sede delle persone giuridiche, delle società, anche semplici e delle associazioni non riconosciute (1° e 2° comma). L’ufficio rilascia al richiedente l’elenco delle formalità riguardanti il nominativo oggetto della richiesta, con indicazione anche delle annotazioni eventualmente eseguite (3° comma). Per ottenere il rilascio di ogni stato o certificato, generale o speciale delle trascrizioni, iscrizioni o rinnovazioni, come per ottenere copia delle medesime formalità, delle note originali e dei titoli depositati nelle conservatorie, occorre ancora che il richiedente presenti apposita domanda al conservatore (art. 21, 1° comma). Altra domanda occorre presentare agli uffici dell’Agenzia del territorio che curano la tenuta del catasto per ottenere il rilascio di estratti, copie, certificati di dati e informazioni che figurano nelle mappe e negli atti del catasto (15). È importante rilevare che il diritto di eseguire ispezioni ipotecarie o quello di ottenere il rilascio di certificazioni e di copie, oppure quello di consultare gli atti e gli elaborati catastali e di ottenere certificati, copie ed estratti delle risultanze degli atti e degli elaborati conservati presso gli uffici, vengono esercitati in una situazione in cui il servizio ipotecario e quello catastale sono dei servizi organizzati e gestiti dall’Amministrazione finanziaria e da questa anche forniti. L’art. 19 del t.u. n. 347 del 1990, quando dispone che per fruire del servizio ipotecario sono dovute le tasse elencate nella tabella, e il d.l. n. 533 del 1954, quando prevede che per fruire del servizio catastale occorre versare i tributi speciali catastali specificati nella tabella allegata, fissano le condizioni per ottenere l’erogazione dei relativi servizi da parte dell’A.F. Pertanto, chi intende avvalersi dei servizi ipotecari e catastali, ed eseguire, quindi, ispezioni, ricerche, o –––––––––––– (13) Sul contenuto del registro delle partite della matricola dei possessori, cfr. Rumboldt, Catasto, cit., 15. (14) Pugliatti, La trascrizione, cit., 415, contrappone alla conoscibilità legale la conoscenza effettiva che consiste nella possibilità di rimuovere una ignoranza intorno a dati relativi alla realtà giuridica. La conoscibilità legale designa l’aspetto esterno della pubblicità attuata che è strettamente correlato all’aspetto interno e, cioè, al diritto del soggetto di conseguire la conoscenza effettiva attraverso la concessione al soggetto dello strumento giuridico del diritto soggettivo e correlativo obbligo del funzionario. (15) Cfr. Rumoldt, Catasto (diritto attuale), in Enc. dir., Milano, 1960, 506. PARTE SECONDA 765 ottenere certificazioni, copie, estratti, relativi a dati o informazioni ipotecarie o catastali, dovrà corrispondere una tassa o un tributo speciale nelle misure indicate nelle predette tabelle, che verranno versati all’ufficio del territorio al quale la richiesta viene presentata (16). La disponibilità del dato, dell’informazione o di certificati oppure di atti, estratti che il soggetto acquisisce a seguito di ispezioni o di richiesta, consente la conoscenza effettiva della situazione immobiliare riferita a un certo soggetto e relativa a un bene in un quadro di dati, informazioni e documenti che lo Stato organizza e gestisce per finalità di pubblicità immobiliare (17). La circostanza che per conseguire la predetta conoscenza sia prevista la presentazione di apposita richiesta all’ufficio del territorio, non ha l’effetto di limitare l’accesso all’informazione contenuta nei registri, quanto piuttosto di regolare l’accesso in aderenza a quanto stabilito dall’art. 2673, 2° comma, c.c., secondo cui il conservatore deve permettere le ispezioni dei suoi registri «nei modi e nelle ore fissati dalla legge». Così, il pagamento della tassa o del tributo speciale si collega al servizio che l’ufficio eroga rilasciando una certificazione o la copia delle note depositate, oppure consentendo la visura diretta o l’ispezione dei registri, delle note e dei titoli archiviati (18). Caratteristica della pubblicità immobiliare, come di qualsiasi altro tipo di pubblicità, è di non avere un destinatario determinato, ma di indirizzarsi a chiunque potrebbe avere un interesse a conoscere le situazioni dei diritti reali immobiliari, e ciò a prescindere dalle finalità della conoscenza. Esula, pertanto, dal sistema di pubblicità immobiliare sia la figura del soggetto che intende procurarsi la conoscenza del fatto o della situazione riportati nei registri, sia il tipo di interesse che muove il soggetto ad acquisire la conoscenza. Non a caso, l’art. 2673 c.c. specifica che la richiesta al conservatore di rilasciare copia delle trascrizioni ecc. o di ispezionare i registri tenuti può provenire da chiunque; e gli artt. 20 e 21 della l. n. 52 del 1985 puntualizzano che a presentare la richiesta alla conservatoria o al conservatore per eseguire ispezioni ipotecarie o per avere il rilascio di certificati ecc. sia il richiedente, senza altra specificazione che valga a individuarne la figura. Di più, né l’art. 2673 c.c., né gli artt. 20 e 21 citati collegano al «chiunque» o al «richiedente» l’esistenza di un interesse che –––––––––––– (16) La circolare min. 6 dicembre 2005, n. 12/T dell’Agenzia del territorio comprende i tributi speciali catastali nella categoria delle tasse, e ciò per il fatto che sono dovuti per un’attività o una prestazione rese dallo Stato. Anche per Micheli, Corso di diritto tributario, Torino, 1978, 28, i tributi speciali o i c.d. diritti speciali che spettavano agli impiegati delle amministrazione centrali e periferiche delle imposte e delle tasse, e ora allo Stato, in relazione al compimento di date attività amministrative proprie di ciascun ufficio, si configurano come tasse. Per un esame della normativa che ha previsto e disciplinato l’applicazione dei tributi speciali che, prima dell’entrata in vigore della l. 15 novembre 1973, n. 748, andavano a favore del personale dell’A.F., Scipioni, Tributi speciali per i servizi resi al pubblico dal personale dell’Amministrazione finanziaria, in Nuoviss. dig. it., Torino, 1987, App., 904. (17) Cfr. Corrado, Pubblicità degli atti giuridici, in Nuoviss. dig. it., Torino, 1967, 520, che sottolinea come nel nostro ordinamento, e in genere negli ordinamento moderni, sia lo Stato ad assumere la competenza esclusiva di realizzare un sistema di pubblicità delle vicende dei rapporto giuridici e delle altre situazioni interessanti la generalità a tutela della buona fede e dell’affidamento. (18) Cfr. Zingali, Tassa, in Nuoviss. dig. it., Torino, 1971, 1084, include la tassa anche per la semplice visione del registro ipotecario nel gruppo delle tasse per certificazioni governative. 766 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA valga a legittimare o, al limite, giustificare la richiesta (19). Ciò implica anche che la conoscenza dei dati e delle informazioni riportate nei registri immobiliari può avvenire per qualsiasi finalità, essendo l’interesse alla conoscenza estraneo alla previsione normativa che consente l’accesso e la disponibilità dei dati della pubblicità immobiliare. A questo quadro normativo occorre fare riferimento per cogliere i tratti della disciplina sul divieto di utilizzare per fini commerciali i documenti, dati, informazioni catastali e ipotecarie acquisisti a seguito di richiesta per il rilascio di certificati ecc. o di ispezioni ipotecarie, introdotto dall’art. 1, l. n. 311 del 2004, e che costituisce il nucleo effettivo della questione portata avanti la Corte d’Appello di Bologna. La società ricorrente, a seguito del divieto di cui all’art. 1, 367° e 374° comma della l. n. 311, non poteva più utilizzare i documenti, i dati le informazioni che la medesima aveva acquisito nella sua qualità di richiedente dagli uffici dell’Agenzia del territorio per esercitare la propria attività che consisteva nel fornire ad altri soggetti i medesimi dati, previa loro elaborazione o anche puramente e semplicemente, dietro pagamento di un corrispettivo. Per vietare la predetta attività, le disposizioni della legge citata introducono la nozione di riutilizzazione commerciale del documento, dato, informazione acquisiti presso gli uffici dell’Agenzia del territorio a sensi degli artt. 20 e 21 della l. n. 52 del 1985 o a seguito di consultazioni fatte o di certificati rilasciati di cui alla tabella allegata al d.l. n. 533 del 1954. Non è inutile notare che per il tramite della predetta nozione, le disposizioni di legge n. 311 implicitamente integrano le disposizioni dell’art. 2673 c.c. e degli artt. 20, 21, citati sul diritto di chiunque di avere conoscenza dei dati, documenti relativi al patrimonio immobiliare. Al richiedente, infatti, le predette norme di legge non si limiteranno più a consentire l’acquisizione dei documenti, dati e informazioni, senza riguardo allo scopo dell’acquisizione, atteso che viene operata, almeno implicitamente, una distinzione tra gli scopi che presiedono alla utilizzazione. Si assiste, in definitiva, al riconoscimento, a livello normativo, dell’interesse del richiedente ad acquisire documenti, dati e informazioni catastali e ipotecari (20). Non è difficile constatare che se l’acquisizione dei dati ecc. non è finalizzata alla semplice conoscenza degli stessi, ma a conseguire un fine ulteriore, e precisamente a essere impiegata in un’attività di tipo commerciale che ha per oggetto la commercializzazione dei dati stessi, il diritto del richiedente ad avere l’acquisizione dei dati da parte degli uffici dell’Agenzia del territorio non viene negato: viene vietata, invece, la loro commercializzazione e, quindi, l’esercizio dell’attività, che è fatto destinato a investire il diritto di libertà di iniziativa economica (21). –––––––––––– (19) Cfr. Cass., 24 febbraio 1968, n. 633, in Riv. leg. fisc., 1968, che precisa come il cittadino possa ispezionare i registri immobiliari senza bisogno di allegare uno specifico suo interesse. (20) Il 369° comma, dell’art. 1., l. n. 311, afferma che non si è in presenza di riutilizzazione commerciale quando i documenti, i dati, le informazioni vengono acquisiti su preventivo e specifico incarico, risultante da atto scritto del soggetto che ha commissionato l’acquisizione presso gli uffici dell’Agenzia del territorio o per via telematica, e previo pagamento dei tributi dovuti. La predetta previsione, se letta in chiave positiva, introduce, però, la presunzione dell’interesse all’utilizzazione commerciale di tutti i dati le informazioni che vengono richiesti agli uffici del territorio da parte di chi non risulta essere l’utilizzatore finale del dato ecc. (21) Sul contenuto della libertà di iniziativa economica e sui suoi limiti, cfr. Galgano, La libertà di iniziativa economica privata nel sistema delle libertà costituzionale, in Tratt. dir. comm. e dir. pubb. econ., Padova, 1977, I, 511 e ss.; Ottaviano, La regolazione del mercato, ivi, III, 1979, 444 e ss. PARTE SECONDA 767 La giustificazione di questo divieto non è legata al tipo di attività che viene svolta, ma a ragioni prevalentemente tributarie. Precisa il 367° comma dell’art. 1, che alla base del divieto vi è la finalità «di contrasto di fenomeni di elusione fiscale e di tutela della fede pubblica». Mentre la questione della tutela della fede pubblica riveste un’importanza del tutto marginale, atteso che è destinata a scomparire qualora intervenga la sottoscrizione da parte del soggetto che svolge l’attività di commercializzazione dei dati e delle informazioni ipotecari e catastali di convenzione che obbliga il sottoscrittore al pagamento dei tributi (22), determinante all’introduzione del divieto è la finalità di evitare che si realizzino fenomeni di elusione fiscale. In sintesi, con la riutilizzazione commerciale dei predetti dati si realizzerebbe, secondo la disposizione di legge, un fenomeno di elusione tributaria, atteso che attraverso la cessione a terzi delle informazioni ipotecarie e catastali verrebbe indirettamente precluso all’A.F. il diritto di percepire le tasse e i tributi speciali per ispezioni, consultazioni, ricerche, certificazioni previste dalle tabelle allegate al t.u. n. 347 del 1990 e al d.l. n. 533 del 1954. Un dubbio che sorge spontaneo è quello di stabilire se il fatto che talune informazioni o dati ricavati dalle ispezioni, ricerche, certificazioni catastali e ipotecarie siano disponibili presso soggetti diversi dagli uffici dell’Agenzia del territorio, che da questi li hanno in precedenza acquisiti pagando le tasse e i tributi previste, possa, in effetti, determinare un fenomeno di elusione fiscale (23). La circostanza che un soggetto acquisisca nelle forme e alle condizioni previste dagli artt. 20 e 21 della l. n. 52 del 1985 e dall’art. 19 del t.u. n. 347 del 1990, i documenti, i dati e le informazioni ipotecarie catastali e ne faccia oggetto di attività commerciale, nel senso che li mette a disposizione di altri soggetti, magari dopo una loro elaborazione, percependo un corrispettivo che può essere di ammontare corrispondente, superiore o inferiore a quello della tassa o del tributo speciale fissati nelle tabelle allegate al t.u. n. 347 o al d.l. 533 citati, designa una situazione che è diversa da quella che si realizza quando si vuole eludere l’imposta. Il soggetto richiedente acquisisce, infatti, dagli uffici dell’Agenzia del territorio i dati ecc. con lo scopo di cederli a terzi in un contesto di esercizio di attività d’impresa. In questo operare del richiedente non c’è nessun intento di sottrarsi, neppure in parte al pagamento della tassa o del tributo speciale dovuti all’ufficio fiscale (24), né c’è l’intento di fungere da tramite affinché coloro a cui i dati verranno ceduti si sottraggano al medesimo obbligo. La finalità del richiedente, invece, è quella di svolgere un’attività d’im–––––––––––– (22) Cfr. circolare min., 20 aprile 2005, n. 5/T, in cui al punto 3.2. Tutela della fede pubblica, viene precisato che l’introduzione di un divieto generalizzato di riutilizzazione commerciale dei dati dovrebbe contribuire a ricondurre il fenomeno connesso alle esigenze di fede pubblica entro limiti in grado di assicurare un equilibrato contemperamento degli interessi complessivamente coinvolti, «salva l’ipotesi di riutilizzazione in regime convenzionale». (23) La circolare min. 20 aprile 2005, n. 5/T, ravvisa negli atti di cessione dei dati e delle informazioni ipotecari e catastali acquisiti in via sistematica presso gli uffici e per via telematica dei «veri e propri comportamenti elusivi rispetto alle norme che prevedono il pagamento dei tributi per l’acquisizione dei dati ipotecari e catastali», senza spiegare, però, come si articoli il comportamento del soggetto che acquisisce il dato o l’informazione in vista di eludere il tributo, atteso che questo viene pagato all’ufficio all’atto dell’acquisizione del dato o dell’informazione. Secondo la circolare è elusione del tributo l’uso che il soggetto fa del dato che ha acquisito e che è disponibile per legge a chiunque ne faccia richiesta. (24) Cfr. Fiorentino, L’elusione tributaria, Napoli, 1996, 29, che sottolinea come usualmente si faccia riferimento all’atto elusivo per definire quel comportamento del soggetto passivo de tributo, formalmente conforme a quanto previsto dalla norma tributaria, ma sostanzialmente indirizzato a evitare l’applicazione di una disposizione più gravosa. 768 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA presa che consenta di conseguire un risultato in termini di reddito. Diventa così difficile ravvisare, in questo contesto, l’esistenza dei tratti del fenomeno di elusione fiscale, neppure indirettamente, essendo chiaro che la finalità dell’acquisizione dei dati catastali e ipotecari non è quella di utilizzarli per consentire o facilitare che terzi eludano il pagamento della tassa stabilita per acquisire dall’A.F. i dati stessi, ma per conseguire un reddito dall’attività d’impresa (25). Il fatto che l’esercizio della predetta attività comporti l’acquisizione dei dati catastali e ipotecari e la loro cessione a terzi che ne facciano richiesta dietro corrispettivo e si possa così creare un parallelo con la tassa o il tributo speciale che il terzo corrisponde all’Agenzia del territorio per avere da questa gli stessi dati, è questione che attiene al tipo di attività economica che viene esercitata, e non all’esistenza di una combinazione di operazioni poste in essere con il fine esclusivo di eludere il pagamento della tassa o tributo speciale per ispezionare, ricercare, ottenere certificazioni dei dati, informazioni catastali e ipotecarie (26). La decisione del terzo di avvalersi dei dati ecc. acquisiti presso gli uffici dell’Agenzia del territorio nel rispetto delle norme, anche fiscali sull’acquisizione, da parte dell’esercente attività d’impresa e da questo offerti e messi a disposizione del terzo, non crea alcuna situazione che sia qualificabile come elusiva del pagamento della tassa o del tributo (27). È il terzo che liberamente valuta, in relazione al servizio ipotecario e catastale garantito dagli uffici dell’Agenzia del territorio e quello, in parte analogo, offerto dall’esercente attività d’impresa se avvalersi dell’uno o dell’altro. La previsione che sono comunque dovuti per ciascun atto di riutilizzazione commerciale i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie nella misura prevista per l’acquisizione dei documenti, dati, informazioni direttamente dagli uffici dell’Agenzia del territorio (370° comma), pone una questione di compatibilità e di coerenza della previsione stessa con lo schema legale di definizione della fattispecie assunta a presupposto della tassa o del tributo speciale. Pur essendo chiaro che l’utilizzazione nel contesto di esercizio d’impresa del dato, dell’informazione catastali e ipotecari non determina elusione dal pagamento dei tributi speciali catastali e delle tasse ipotecarie, né da parte di colui che acquisisce il dato ecc., né da parte di colui che lo riutilizza, rappresentando l’acquisizione e il riutilizzo operazioni essenziali all’esercizio dell’impresa, la previsione di imporre l’obbligo di corrispondere i tributi speciali e le tasse è chiaro indice che, a livello normativo, l’esistenza e l’operatività dell’impresa sono fatti non opponibili all’A.F. Viene, in definitiva, negata la realtà dell’impresa e dell’in–––––––––––– (25) Cfr. Jarach, Il fatto imponibile, Padova, 1981, 137, che sottolinea come il motivo di eludere l’imposizione non possa essere provato se non tramite il fatto oggettivo della mancanza di una finalità economica che giustifichi le forme giuridiche prescelte. Al fine di stabilire se, in relazione a un determinato negozio posto in essere dalle parti, esista l’intento di eludere l’imposta, assume rilevanza, secondo l’A., l’intentio facti, non già l’intentio iuris, sia che questa abbia per motivazione una ragione fiscale quale può essere quella di eludere l’imposta, sia che venga motivata da altre ragioni. (26) Precisa Cipollina, Elusione fiscale, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1990, 221, che eludere una norma tributaria significa aggirarla, perfezionando fattispecie civilistiche – consistenti nelle scelte di tipi contrattuali o di architetture negoziali complesse – al solo (o principale) scopo di ridurre o eliminare i relativo onere fiscale. (27) Cfr. Lovisolo, Evasione ed elusione tributaria, in Enc. giur., Roma, 1989, n. 3.1, secondo il quale nell’elusione è il contribuente che opera in modo che il presupposto di fatto del tributo non si verifichi; e ciò può avvenire: rinunciando a svolgere l’attività assoggettabile al tributo o sostituendo l’attività con un’altra fiscalmente meno onerosa oppure con altra meno gravosa ma equivalente sul piano economico. PARTE SECONDA 769 teresse al suo esercizio sul presupposto che essa sia strumento appositamente previsto e utilizzato per evitare di corrispondere all’Agenzia del territorio i tributi speciali e le tasse (28). L’obbligo di pagare i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie senza che a monte vi sia la richiesta all’ufficio del territorio di svolgere una attività o di erogare un servizio, introduce la domanda se l’obbligo possa realmente sussistere e la norma che lo prevede razionale. È indubbio che la norma di legge imponendo al soggetto che utilizza per fini commerciali i dati, le informazioni catastali e ipotecari di pagare i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie come se quei dati fossero acquisiti consultando i registri degli uffici del territorio, opera un prelievo fiscale senza che in corrispondenza vi sia la situazione di fatto che lo giustifica. Si assiste, in definitiva, all’esecuzione di un prelievo fiscale che risulta carente di base causale, nel senso che viene a mancare la corrispondenza del prelievo alla ratio della norma che lo prevede e ne disciplina l’applicazione (29). Anche se nella previsione del 370° comma, l. n. 311, di ritenere comunque dovuti i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie, si ravvisa una forte connotazione sanzionatoria, questa non modifica il tipo della pretesa che rimane quella di un tributo dovuto in relazione all’esistenza di un presupposto (30), che, nel caso, invece, manca. Di qui, l’evidente irrazionalità della previsione che impone di pagare comunque il tributo, sussistendo una palese contraddizione con la normativa del settore nel quale si inserisce (31), che collega il pagamento del tributo alla consultazione dei registri immobiliari o al rilascio di certificazioni. 4. – L’organizzazione e la gestione da parte dello Stato del servizio di pubblicità immobiliare in posizione di monopolio Nell’ordinanza della Corte d’Appello viene affrontata anche la questione se l’Agenzia del territorio svolga attività d’impresa e si ponga, quindi, in concorrenza con la società ricorrente e se le disposizioni della l. n. 311 del 2004 favoriscano la posizione concorrenziale dell’Agenzia a danno della ricorrente. Pur precisando la Corte che a oggi non si è manifestato un comportamento dell’Agenzia idoneo a incidere sulla libera concorrenza tra la società ricorrente e gli altri soggetti che operano nel medesimo campo di attività, la stessa ha ridotto tutta la questione dell’acquisizione dei dati e informazioni catastali e ipo–––––––––––– (28) Cfr. Tabellini, Elusione fiscale, in Enc. dir., Milano, 1999, Agg. III, 567, che parla di inefficacia relativa dell’atto di autonomia privata, rivelandosi lo strumento apprestato per salvaguardare dagli effetti dell’atto di autonomia che si assumono pregiudizievoli, in quanto elusivi, delle aspettative finanziarie dell’erario. (29) Cfr. La Rosa, Contributo allo studio delle tasse di concessione governativa, in Temi trib., 1964, 61, che precisa anche come l’individuazione della causa dei prelievi fiscali non sia rilevante ai fini dell’applicazione delle norme, ma per la loro estensione analogica e, soprattutto, per la valutazione della loro legittimità costituzionale nei confronti dei limiti dell’eguaglianza giuridica (art. 3) e dalla capacità contributiva (art. 53). Osserva Romanelli Grimaldi, Metodologia del diritto finanziario, in Rass. dir. pubbl., 1960, 22 e 30, che la causa dell’obbligazione tributaria è rappresentata dal presupposto stabilito dalla legge in relazione al quale sorge. (30) Cfr. Micheli, Corso di diritto tributario, cit., 27, secondo il quale nello schema normativo della tassa ad assumere rilievo è la riferibilità di un atto dell’ente pubblico a un dato soggetto che, di regola, ne ha fatto domanda. (31) Sulla irrazionalità della norma per contraddizione con la normativa del settore nel quale è collocabile, cfr. Morrone, Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001, 48. 770 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA tecari a un problema di verifica se il comportamento dell’Agenzia sia o meno idoneo a incidere sulla libera concorrenza, sottraendosi così dall’affrontare i termini reali della questione. Occorre sottolineare che nel nostro sistema il servizio della pubblicità immobiliare è previsto e disciplinato dalle norme di legge ed è organizzato e gestito dallo Stato, che garantisce così la conoscibilità legale (32) dei fatti che riguardano i diritti reali immobiliari (33). Viene anche precisato che la qualifica di «legale» non vada attribuita alla conoscibilità, come effetto della segnalazione, ma al sistema di segnalazione come previsto e disciplinato dalle norme. Così, nel nostro ordinamento, la conoscibilità legale è da mettere in relazione al servizio pubblico di segnalazione, quale emerge dal complesso delle competenze, oneri, obblighi, garanzie e sanzioni che ne definiscono l’organizzazione e garantiscono il funzionamento (34). Ne discende che il servizio pubblico essendo organizzato e gestito dallo Stato è anche da questo offerto, nel senso che garantisce la possibilità di accedere ai dati, alle informazioni, ai documenti, a chiunque da una posizione che è di monopolio. Si tratta di posizione che, se preclude ad altro soggetto di organizzare e gestire il medesimo servizio, esplica riflessi anche sulle modalità della sua erogazione. È sufficiente, del resto constatare come l’art. 19 del t.u. n. 347 del 1990, subordini l’esecuzione delle operazioni inerenti al servizio ipotecario, ed elencate nella tabella allegata al t.u. n 347 del 1990, all’obbligo di versare le tasse ipotecarie, e quelle inerenti ai servizi catastali, elencate nella tabella allegata al d.l. 31 luglio 1954, n. 533, al pagamento dei tributi speciali catastali. La duplice circostanza che il servizio della pubblicità degli atti relativi ai diritti reali sugli immobili sia organizzato e gestito dallo Stato e il suo accesso sia subordinato al pagamento di una tassa o di un tributo speciale, evidenzia l’esistenza di una gestione monopolistica del servizio stesso. È facile, del resto, rilevare che chi intende acquisire la conoscenza della situazione patrimoniale immobiliare di una certa persona o la situazione giuridica di un certo immobile non ha altra possibilità se non quella di consultare i registri immobiliari tenuti dagli uffici dell’Agenzia del territorio e di avvalersi, quindi, del servizio pubblico di pubblicità immobiliare dietro pagamento di una tassa o del tributo speciale (35). Il fatto che il richiedente per avere accesso al servizio non abbia altra alternativa che non sia quella di pagare la tassa o il tributo speciale, lo pone nell’alternativa di avere o non avere la conoscenza dei dati, delle informazioni ipotecari e catastali che offre il servizio di pubblicità immobiliare gestito dallo Stato. Si spiega, infatti, che elemento determinante ai fini della distinzione tra prezzo pubblico e tassa è rappresentato dal fatto che il primo indica la contro–––––––––––– (32) Spiega Pugliatti, La trascrizione, cit., 415, che la conoscibilità legale è sostenuta dall’obbligo del pubblico ufficiale a consentire e del diritto subbiettivo pubblico del privato a prendere conoscenza di quanto risulta dal pubblico registro. L’obbligo e il diritto formano il contenuto di un rapporto giuridico, o più esattamente di una serie indefinita di rapporti giuridici, con un soggetto passivo certo e determinato e soggetti attivi indeterminati. (33) Precisa Corrado, Pubblicità degli atti giuridici, cit., 526, che il nostro ordinamento giuridico prevede la pubblicità dei fatti e non dei rapporti, intendendo per fatto ogni evento o situazione che sia previsto come elemento condizionante di un mutamento giuridico. (34) Corrado, Pubblicità degli atti giuridici, cit., 528. (35) Cfr. Berliri, Principi di diritto tributario, Milano, 1952, I, 376, che sottolinea come il rapporto tra monopolista e utente, in questi casi, si atteggi a rapporto di tassa, vale a dire come rapporto nel quale il pagamento da parte del contribuente costituisce una condizione per ottenere l’esplicazione a suo favore di una certa attività da parte dell’ente pubblico, senza peraltro costituire la causa di tale prestazione. PARTE SECONDA 771 prestazione di un servizio che il soggetto chiede allo Stato in luogo di un altro ente o soggetto che potrebbe ugualmente erogarlo; mentre la seconda attesta che il soggetto non ha la possibilità di scegliere tra lo Stato e altro ente per soddisfare il proprio interesse, con la conseguenza che il richiedente viene posto di fronte a una scelta che può definirsi obbligata (36). Bisogna chiedersi se la posizione monopolistica dell’Agenzia del territorio possa avere una latitudine tale da vietare l’esercizio di attività economiche private che utilizzino per fini commerciali i documenti, i dati e le informazioni acquisiti presso gli uffici della predetta Agenzia a seguito di ricerche, ispezioni, consultazioni o certificazioni rilasciate. È chiaro che l’attività svolta dal privato non è l’attività che svolge l’Agenzia. A differenza di quest’ultima, che ha finalità giuridiche, quella svolta dal privato è retta da finalità esclusivamente economiche. Ma a volere anche considerare l’attività del privato come una forma di pubblicità volontaria, che realizza una cosiddetta pubblicità di fatto (37), questa non potrà comunque competere con quella svolta dall’Agenzia del territorio, poiché non risulta essere integrata, come viene chiarito per evidenziare la differenza con la pubblicità volontaria, da segnalazioni compiute da privati, nel senso di atti aventi natura analoga alle pubbliche segnalazioni (38). Pertanto, il divieto del privato di esercitare un’attività economica che ha per oggetto l’utilizzo per fini commerciali dei dati catastali e ipotecari, deve essere valutato, quanto alla sua legittimità, in relazione all’art. 41, 2° comma, della Costituzione, secondo il quale i divieti allo svolgimento di attività economiche sono legittimi qualora siano giustificati dal fine di tutelare la sicurezza, dignità e libertà umana o per fini di utilità sociale. S’impone così la domanda se la competenza esclusiva riconosciuta dalla legge all’Agenzia del territorio di realizzare il sistema di pubblicità dei diritti reali immobiliari concretizzi uno dei presupposti che legittimano la limitazione dell’attività privata nell’utilizzo per finalità commerciali i dati ipotecati e catastali acquisiti dalla predetta Agenzia. In particolare, se l’esigenza di tutelare la buona fede e l’affidamento dei terzi su cui poggia il sistema pubblico della predetta pubblicità, come di altre pubblicità affidate dalla legge allo Stato, concretizzi quella utilità sociale che legittima il divieto da parte del privato di svolgere attività economica che abbia per oggetto i dati ipotecari e catastali. Se l’utilità sociale, si spiega, deve essere intesa come sintesi dei valori extraeconomici garantiti espressamente dalla Costituzione rispetto ai quali la tutela della libertà di iniziativa economica assume una posizione secondaria (39), non si –––––––––––– (36) Zingali, Tassa, in Nuoviss. dig. it., cit., 1081, che sottolinea anche come alla obbligatorietà della scelta e, quindi, della domanda corrisponda il monopolio assoluto per essere accoppiato ad un bisogno privato che presenta i caratteri della inderogabilità. (37) Cfr. Pugliatti, La trascrizione, cit., 277 e 315, secondo cui la pubblicità vera e propria sia quella di diritto, la quale, però, lascia un margine, una specie di zona grigia, nella quale può svilupparsi un’attività diffusiva o ricognitiva di dati inerenti a fatti, atti od eventi giuridicamente rilevanti di carattere specifico e di contorni indefiniti. Questa attività può dar luogo a una pubblicità di fatto che, per lo più, viene realizzata dall’attività privata. (38) Corrado, Pubblicità degli atti giuridici, cit., 520. (39) Libertini, La regolazione amministrativa del mercato, in Tratt. dir. comm., Padova, 1979, III, 476, nota n. 16. Per Cavaleri, Iniziativa economica privata e costituzione «vivente», Padova, 1978, 38 e 39, il concetto di utilità sociale si ricostruisce prima di tutto individuando un «nucleo minimo» consistente in quel complesso di valori che in base a una graduazione ben chiara nella Costituzione sicuramente e indefettibilmente sono destinati a prevalere sull’esercizio di iniziative economiche con essi contrastanti. A questo nucleo minimo di valori se ne possono aggiungere altri che spetta al legislatore individuare avendo riguardo, però, a interessi che risultano qualificati dal loro riferimento a qualche direttiva costituzionale. 772 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA può dire che l’attività di utilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali comprometta il regime di tutela della buona fede e affidamento garantito dalla gestione e organizzazione da parte dello Stato del servizio pubblico di pubblicità immobiliare, ed entrare così in conflitto con i valori costituzionali. È sufficiente constatare che l’attività del privato volta alla utilizzazione per finalità commerciali dei dati e delle informazioni ipotecarie e catastali non costituisce un surrogato della pubblicità immobiliare organizzata dallo Stato, anche se non si può negare che la predetta attività, avendo per oggetto i documenti, i dati, le informazioni messi a disposizione del servizio pubblico, può concorrere con quella del predetto servizio. A fissare, però, la differenza tra le due categorie di dati sono le garanzie, in tema di tutela della buona fede e dell’affidamento dei terzi, connesse alla organizzazione pubblica o privata della pubblicità e l’efficacia probatoria che l’ordinamento riconosce ai dati, alle informazioni a seconda che provengano dal servizio pubblico o dall’attività di catalogazione dei privati. La previsione poi che per consentire l’attività di riutilizzazione commerciale dei dati ecc. il soggetto interessato debba stipulare specifiche convenzioni con l’Agenzia del territorio che disciplinino modalità e termini della raccolta, conservazione, elaborazione dei dati, nonché il controllo sul riutilizzo consentito dei dati stessi (art. 1, 371° comma), rende in concreto ancora più visibile la limitazione dell’iniziativa economica del privato e, nel medesimo tempo, la finalità di proteggere la posizione monopolistica dello Stato in ordine alla gestione del servizio pubblico della pubblicità immobiliare. Né si può dire che l’imposizione di limiti allo svolgimento dell’iniziativa economica privata possa ritenersi in ogni caso legittima facendo perno sul fatto che verrebbero così conseguiti fini di utilità sociale. Se, come viene precisato, il fine di utilità sociale condiziona il potere del legislatore così che il predetto fine deve sempre presiedere sia le limitazioni imposte all’iniziativa economica dal 2° comma dell’art. 41, sia l’indirizzo, il coordinamento e i controlli consentiti dal 3° comma del medesimo articolo (40), ciò comporta che i provvedimenti in limitazione delle iniziative economiche e il loro svolgimento per essere validi debbono essere rispondenti a utilità o a fini sociali (41). La specificazione che il divieto e, comunque, la limitazione all’esercizio dell’attività economica che abbiano per oggetto l’utilizzazione per fini commerciali di dati, informazioni ipotecari e catastali sono imposti per il fine di contrasto di fenomeni di elusione fiscale e di tutela della fede pubblica (367° comma), evidenzia che il fine giustificativo delle disposizioni della legge è diverso da quello del conseguimento di utilità sociale. Del resto, quando il 370° comma precisa che «sono comunque dovuti i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie» per ciascun atto di riutilizzazione commerciale, e il successivo 371° comma quando vincola la stipula delle specifiche convenzioni al pagamento dei tributi dovuti anche ai sensi del 370° comma, assegnano al divieto una evidente connotazione fiscale. La ragione del divieto si può sintetizzare, allora, nell’obiettivo di evitare che dall’esercizio della predetta attività, lo Stato possa subire una perdita di gettito di entrate per tasse e tributi speciali dovuti da terzi al momento di acquisire dall’Agenzia del territorio dati e informazioni ipotecari e catastali. Non, quindi, al raggiungimento di utilità sociali è imposta la limitazione all’attività economica, ma alla tutela dell’interesse fiscale dello Stato. Diventa, così, difficile ravvisare nella tutela dell’interesse fiscale dello Stato la ragione giustificativa della limitazione dell’attività economica (42), specie –––––––––––– (40) Corte cost., 23 aprile 1965, n. 30, in www.giurcost.it. (41) Esposito, Gli artt. 3, 41 e 43 della Costituzione e le misure legislative e amministrative in materia economica, in Giur. cost., 1962, 51. (42) Osserva Fedele, Concorso alle pubbliche spese e «limiti» all’iniziativa economica, PARTE SECONDA 773 quando il predetto interesse non risulta essere collegato direttamente al raggiungimento di fini sociali a cui l’attività economica deve essere indirizzata e coordinata (43). Rimane ancora l’interrogativo se sia da ritenere legittima la posizione monopolistica dello Stato nell’avere la disponibilità dei dati e delle informazioni ipotecarie e catastali per conseguire un’entrata tributaria. La questione presenta tratti che la avvicinano a quella dei monopoli fiscali, in cui la finalità di esercizio di un’attività economica da parte dello Stato è quella di garantire una entrata tributaria. Bisogna distinguere, però, la posizione monopolistica dello Stato in relazione all’organizzazione e gestione del servizio pubblico di pubblicità immobiliare, dalla posizione, pure essa di impronta monopolistica, che vieta a terzi l’esercizio di un’attività economica da cui può derivare una riduzione del gettito dell’entrata tributaria. Mentre, nella prima ipotesi, risulta chiaro che la messa a disposizione del richiedente da parte dello Stato dei dati e delle informazioni riportate nei registri ipotecari e catastali non è effettuata per riscuote il corrispettivo rappresentato dalla tassa, nel senso che la causa della prestazione non è rappresentata dalla percezione del corrispettivo, ma per la realizzazione di un interesse pubblico; nella seconda ipotesi, invece, la ragione della posizione monopolistica è esclusivamente quella di evitare che vi sia perdita di corrispettivi, e, pertanto, tributaria (44). Del resto, la pretesa, espressa al 370° comma dell’art. 1, di ritenere comunque dovuti i tributi speciali catastali e le tasse ipotecari per ogni riutilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali, evidenzia solo impropriamente che la causa della pretesa sia rappresentata dall’accesso ai dati catastali e ipotecari riportati nei registri immobiliari tenuti dall’Agenzia del territorio, in realtà, la causa è economica e precisamente riscuotere il corrispettivo dei tributi speciali e della tassa senza che vi sia stato accesso dell’obbligato ai dati ipotecari e catastali messi a disposizione dal servizio pubblico immobiliare. La constatazione che la ragione del divieto di esercizio di attività economica di utilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali sia tributaria e, quindi, che la posizione monopolistica dell’Agenzia del territorio non sia finalizzata esclusivamente a conseguire un interesse pubblico, pone la questione se il fine tributario, di evitare che dall’esercizio dell’attività si verifichi una riduzione di gettito proveniente dalla riscossione dei tributi speciali catastali e dalla tasse ipotecarie, giustifichi il divieto e, in definitiva, la stessa posizione monopolistica dell’Agenzia. Viene sottolineato che la finalità fiscale non costituisce una ragione sufficiente per giustificare, a norma dell’art. 43 della Costituzione, il monopolio pubblico (45). Da solo, infatti, il fine di conseguire entrate tributarie non può realizzare quella situazione di preminente interesse generale, in relazione alla quale l’art. –––––––––––– in Studi & Informazioni, 1989, 4, 24, come la «funzione fiscale» di un determinato istituto qualificato tributo non possa mai identificarsi con uno dei fini di utilità sociale che giustificano l’imposizione dei limiti di cui all’art. 41 della Costituzione. (43) Cfr. Boria, L’interesse fiscale, Torino, 2002, 119, secondo il quale l’eventuale instaurazione di barriere giuridiche allo svolgimento di attività economiche può ritenersi legittimo laddove siano correlate con il fine di reperire le risorse tributarie coerenti con il progetto di sviluppo della società evocato in sede costituzionale. (44) Sulla distinzione tra rapporto monopolista ed utente che si atteggia a rapporto di tassa e rapporto che non si atteggia a rapporto di tassa, cfr. Berliri, Principi di diritto tributario, cit., 377. (45) Libertini, La regolazione amministrativa del mercato, cit., 489. 774 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA 43, della Costituzione giustifica l’avocazione alla mano pubblica di attività economiche che sono oggetto di riserva (46). Al massimo, il fine tributario potrà costituire un elemento complementare alla istituzione di un monopolio pubblico, non risultando compatibile con le condizioni indicate all’art. 43 della Costituzione, per considerare legittimo l’intervento dello Stato nell’economia, la sottrazione ai privati di attività economiche in vista di realizzare entrate tributarie (47). Non è difficile, a questo punto, concludere che la finalità di evitare che dall’esercizio dell’attività di commercializzazione dei dati ipotecari e catastali si abbia una riduzione del gettito dei tributi speciali catastali e delle tasse ipotecarie, non legittima né ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, che contiene lo «statuto costituzionale» dell’attività economica privata svolta in forma d’impresa (48), né ai sensi del successivo art. 43, che limita la libertà dell’iniziativa economica privata a quei settori di attività che non costituiscono oggetto di «riserva» (49), il divieto di esercizio dell’attività stessa. 5. – Il divieto di riutilizzo per fini commerciali di dati e delle informazioni catastali e ipotecari e la direttiva n. 2003/28/CE sul riutilizzo dei documenti in possesso degli enti pubblici La Corte d’Appello nella sua ordinanza sottolinea come la società ricorrente abbia fatto riferimento anche alla Direttiva n. 2003/98/CE sul riutilizzo dei documenti in possesso degli enti pubblici degli Stati membri, per affermare che l’art. 1, 371° comma, l. n. 311, ponendo come condizione per il riutilizzo la sottoscrizione di una convenzione, contrasta con la predetta direttiva. S’impone, allora, un breve cenno sul collegamento che la ricorrente ha inteso ravvisare tra la normativa sul riutilizzo di cui all’art. 1, 367° e 373° comma, l. n. 311, e quella dettata nella Direttiva n. 2003/98/CE, per concludere che i predetti commi debbono essere disapplicati per contrasto con la direttiva. Occorre subito rilevare che se per la direttiva e la l. n. 311, il riferimento è sempre il riutilizzo di documenti in possesso di enti pubblici, esiste, però, una notevole differenza tra la nozione di riutilizzo dettata dall’art. 2, punto 3 della direttiva e quella espressa dall’art. 1, 368° comma, l. n. 311. Mentre per l’art. 2 della direttiva si ha riutilizzo dei documenti quando il loro uso da parte di persone fisiche o giuridiche avviene per fini commerciali o non «diversi dallo scopo iniziale nell’ambito dei compiti di servizio pubblico per i quali i documenti sono stati prodotti», per il 367° comma il riutilizzo è solo quello commerciale, essendo connesso alla cessione o comunque alla fornitura a terzi dei documenti, dati e informazioni tenuti dagli uffici dell’Agenzia del territorio. L’elemento che fissa la differenza tra il riutilizzo della direttiva e quello –––––––––––– (46) Sulla necessità che l’attribuzione di una posizione di monopolio legale sia giustificata dall’esistenza di fini di utilità generale, cfr. Corte cost., 7 marzo 1964, n. 14, in www. giurcost.org. (47) Cfr. Libertini, La regolazione amministrativa del mercato, cit., 489. Precisa Di Majo, L’avocazione delle attività economiche alla gestione pubblica o sociale, in Tratt. dir. comm., Padova, 1977, I, 348, che l’art. 43 della Costituzione deve essere considerato come lo «statuto» di una peculiare forma di intervento dello Stato nell’economia, nell’ambito di quei presupposti che lo stesso articolo mira a definire. (48) Di Majo, L’avocazione delle attività economiche alla gestione pubblica o sociale, cit., 349. (49) Di Majo, L’avocazione delle attività economiche alla gestione pubblica o sociale, cit., 352. PARTE SECONDA 775 della l. n. 311, non è rappresentato, però, dal fatto che per la normativa interna il riutilizzo è solo commerciale, mentre quello previsto dalla normativa comunitaria è commerciale e non, ma dalla diversa ratio che giustifica la prima e la seconda riutilizzazione. Se, come si legge al punto 16 dei considerando, la finalità della direttiva di «rendere pubblici i documenti generalmente disponibili in possesso del settore pubblico … rappresenta uno strumento fondamentale per ampliare il diritto alla conoscenza, che è principio basilare della democrazia», la finalità, invece, delle disposizioni sul riutilizzo recate dalla l. n. 311 è di contrastare fenomeni di elusione fiscale e di tutela della fede pubblica (367° comma). Così, mentre la normativa comunitaria tende a eliminare le differenze che esistono fra le normative e la prassi degli Stati membri sul riutilizzo dei documenti del settore pubblico che finiscono per ostacolare «il buon funzionamento del mercato interno e l’adeguato sviluppo della società dell’informazione nella Comunità», la normativa interna introduce, invece, il divieto di riutilizzo dei documenti, dati e informazioni relativi alla pubblicità immobiliare disponibili presso gli uffici dell’Agenzia del territorio per finalità di tutela dell’interesse fiscale dello Stato. E anche nell’ipotesi in cui, con la sottoscrizione di specifiche convenzioni, il riutilizzo venga consentito, esso è subordinato alla condizione che vengano corrisposti i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie per ciascun atto di riutilizzo. L’interrogativo che la normativa della l. n. 311 del 2004 pone, a questo punto, è quello se sia in contrasto con la direttiva e, in particolare, se ostacoli la realizzazione dei suoi obiettivi principali quali «la creazione di condizioni propizie allo sviluppo di servizi su scala comunitaria», essenziali alla instaurazione di un mercato interno. Indubbiamente, il divieto di riutilizzo per fini commerciali dei dati catastali e ipotecari che il servizio pubblico di pubblicità immobiliare mette a disposizione di chiunque ne faccia richiesta, una volta che vengano corrisposti i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie, opera nella direzione contraria a quella indicata dalla direttiva che è quella di dare le più ampie possibilità di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico in vista di «consentire alle imprese europee di sfruttarne il potenziale e contribuire alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro». La circostanza che il fenomeno della riutilizzazione commerciale porta a successive e reiterate cessioni del dato in precedenza acquisito dall’Agenzia del territorio, consentendo così al cliente-terzo di acquisire il dato stesso, senza corrispondere i tributi per l’attività di consultazione e/o acquisizione (50), introduce la domanda se possa giustificare la restrizione al riutilizzo dei dati e, in definitiva, «allo sviluppo di servizi su scala comunitaria». Risulta essere giurisprudenza oramai consolidata della Corte di giustizia europea che la perdita di entrate tributarie non può mai costituire una giustificazione ad una restrizione all’esercizio di una libertà fondamentale (51). Così, la coerenza del sistema fiscale, a cui di norma si fa riferimento per giustificare una restrizione all’esercizio di una libertà fondamentale, pur avendo la funzione di tutelare l’integrità dei sistemi fiscali nazionali, non deve, si spiega, ostacolare l’integrazione di tali sistemi nel quadro del mercato interno (52). È importante rilevare ancora che la Direttiva n. 2003/98/CE sottolinea al considerando n. 9 che il riutilizzo delle informazioni «dovrebbe comprendere l’ulteriore uso di documenti», all’interno dell’organizzazione degli enti pubblici –––––––––––– (50) Cfr. circolare min. 20 aprile 2005, n. 5/T, punto 3.1. (51) Sentenze: C-35/98 del 6 giugno 2000, Verkooijen; C-464/96 del 16 luglio 1998, ICI; C-385/00 del 12 dicembre 2002, De Goot. (52) Causa C-446/03, conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro, punto 66. 776 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA «per attività che esulano dall’ambito dei compiti di servizio pubblico». E, in relazione all’esercizio di questa ulteriore attività, continua il considerando n. 9, che potrà essere richiesto «il pagamento di un corrispettivo in denaro esclusivamente su base commerciale e in concorrenza con altri sul mercato» per avere la fornitura di documenti che sono stati prodotti per finalità di pubblico servizio. Per la direttiva esiste, quindi, netta separazione tra il documento, quale strumento di rappresentazione di atti, fatti o informazioni in possesso dell’ente pubblico da destinare al servizio pubblico e il medesimo documento da destinare all’utilizzo per la finalità di sviluppare un mercato delle informazioni da estendere all’intera comunità. Infatti, solo in relazione al riutilizzo, la direttiva prevede che l’ente pubblico intervenga autorizzando l’utilizzo e fissando eventualmente il pagamento di un corrispettivo rapportato al costo complessivo di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione dei documenti, maggiorato di un congruo utile (cfr. considerando n 14); nulla, invece, precisa quando i documenti vengono utilizzati nell’ambito e per il fine dell’esercizio del pubblico servizio in relazione al quale l’ente pubblico raccoglie, produce, riproduce i documenti. Un ulteriore elemento di contrasto della disciplina dei commi da 367° a 373° dell’art. 1, l. n. 311, con quella dettata dalla direttiva, emerge qualora si prenda in esame il collegamento che secondo le due discipline intercorre tra i documenti in possesso dell’ente pubblico e l’esercizio del servizio pubblico. Per i commi citati, infatti, il riutilizzo viene inteso come una particolare modalità di esercizio del servizio pubblico che legittima l’ente pubblico a esigere i particolari tributi per l’accesso al servizio, anche se il riutilizzo avviene ad opera di terzi; per la direttiva, invece, il riutilizzo esula dall’ambito del servizio pubblico e l’intervento dell’ente pubblico, laddove si esplichi con il rilascio di licenze, deve avvenire con modalità tali che non possano essere «sfruttate per limitare la concorrenza» (art. 8, 1° par.). È importante osservare, a conclusione, che la Direttiva n. 2003/98/CE è stata attuata nel nostro ordinamento dal d.lgs. 24 gennaio 2006, n. 36, che all’art. 4, 1° comma, ha fatto salve «le disposizioni in materia di riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali ed ipotecarie, anche con riferimento all’art. 1, commi da 367° a 373°, della l. 30 dicembre 2004, n. 311» (lett. d). Il legislatore italiano, con la disposizione appena riportata, non ha inteso dunque comprendere nella disciplina sul riutilizzo dei documenti nella disponibilità delle pubbliche amministrazioni e degli organismi di diritto pubblico, il riutilizzo per finalità commerciali dei documenti, dati, informazioni catastali e ipotecari, con la conseguenza che il riutilizzo dei predetti dati ecc. potrà avvenire solo in applicazione delle disposizioni della l. n. 311 del 2004. Ciò implica anche che i riferimenti alla direttiva rimangono assorbiti dalle disposizioni del decreto n. 36 del 2006, e l’eventuale difformità di queste dalla normativa della direttiva dovranno essere valutate esclusivamente in ragione del rispetto della delega al Governo per eseguire il diritto comunitario (53). Ora, nel caso della Direttiva n. 2003/98/CE, la delega è stata data con la l. 18 aprile 2005, n. 62, che all’art. 1 si limita a stabilire che il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi «recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B», lasciando, così, al Governo piena autonomia sui criteri da seguire per procedere all’attuazione. dott. FABIO MENTI –––––––––––– (53) Cfr. Conforti, Sulle direttive della Comunità Economica Europea, in Giur. it., 1972, IV, 91. PARTE SECONDA 777 Tasse non dovute da rimborsare (*) L’art. 39 della l. 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), nella parte in cui dispone che «non si fa luogo a rimborso di imposte già pagate» è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost. Corte cost. (pres. Capotosti, rel. Marini), 26 luglio 2005, n. 320. La sentenza è pubblicata retro, 2005, II, 1211. ————————————————————————————— (*) Si consolida la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo la quale non è compatibile con il principio di ragionevolezza l’operato del legislatore che qualifichi da una parte un pagamento d’imposta come non dovuto e dall’altra lo sottragga all’azione di ripetizione dell’indebito (n. 416 del 2000; n. 421 del 1995). Questo indirizzo è stato confermato con la recente sentenza n. 320 del 2005, nella quale si afferma che il pagamento è una circostanza del tutto casuale e neutra rispetto alla ragione sottesa dalla disposizione legislativa impositrice. È stata così dichiarata incostituzionale la disposizione di legge che, dichiarando con interpretazione autentica l’applicabilità di una esenzione, disponeva che non si poteva far luogo a rimborso delle imposte già pagate. L’art. 39 della l. n. 342 del 2000 aveva riconosciuto applicabile ai fondi pubblici agevolati (quelli, cioè, che hanno lo scopo di concedere finanziamenti a un tasso agevolato) l’esenzione irpeg: aveva tuttavia negato ai fondi stessi «il diritto al rimborso della imposta sul reddito indebitamente assolta». La questione era stata sollevata da un giudice autorevole, la Corte di Cassazione, che con l’ordinanza del 9 aprile 2003 aveva ritenuto incostituzionale l’art. 39, l. n. 342 del 200 per la sua contraddittorietà, violando il principio di uguaglianza con una disciplina differenziata rispetto a situazioni sostanzialmente uguali, data la irrilevanza dell’intervenuto pagamento. La Corte costituzionale (n. 320 del 2005) ha dichiarato fondata la questione: la Consulta ha ravvisato la contraddittorietà e quindi l’irragionevolezza della disciplina impugnata, in quanto interpretativa, e dato lo scopo di limitare tale retroattività, escludendo la repetibilità dell’imposta già indebitamente pagata. Rifacendosi alla sua giurisprudenza già citata, la Corte costituzionale ha confermato che il pagamento non è elemento delimitativo della fattispecie di esenzione, ma solo un elemento ad essa estraneo e quindi casuale, non idoneo a interpretare e delimitare la norma di esenzione. La portata della sentenza è di grande valore sistematico, perché sono non poche le disposizioni di legge che, impedendo il rimborso di imposte comunque non dovute, sono incostituzionali per contraddittorietà e irragionevolezza. –––––––––––– (*) Per cortese autorizzazione pubblichiamo in nota l’articolo del prof. Enrico De Mita già apparso in Il Sole 24 Ore dell’11 settembre 2005. 778 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA L’irripetibilità dell’imposta pagata è una specie di diritto fiscale che si è consolidato come principio nella mentalità del nostro legislatore. La sentenza, inoltre, va segnalata per la sua linearità e per la sua limpidezza argomentativa ed è tale da poter incidere su questioni analoghe per il futuro. Non poteva trovare accoglimento la difesa dell’Avvocatura di Stato che aveva fatto leva sull’origine statale dei fondi presi in esame per concludere che la disposta imponibilità riguardasse somme comunque appartenenti allo Stato e, quindi, non contrasterebbe con il principio di ragionevolezza. Una tesi forzata che ha consentito alla Corte di rilevare che il pagamento di un’imposta non dovuta si risolve in una decurtazione dei fondi stessi e quindi in un pregiudizio delle finalità istituzionali in vista delle quali essi sono stati costituiti. L’Avvocatura avrebbe dovuto dimostrare il carattere non retroattivo della disposizione impugnata, ma tale tesi, pure prospettata, urtava contro lo svolgimento delle cose, sicché la Corte costituzionale, sul punto, ha potuto rilevare che «è appena il caso di osservare che sia il testo della norma sia lo scopo perseguito di risolvere incertezze interpretative sorte in passato sul trattamento tributario dei fondi di agevolazione non consentono di dubitare sul carattere interpretativo della norma, peraltro espressamente affermato sia dai lavori preparatori che dalla stessa Amministrazione finanziaria». In conclusione, però, c’è da chiedersi perché la valorosa Avvocatura di Stato ricorra ad argomenti così pretestuosi e infondati. ENRICO DE MITA PARTE SECONDA 779 Soggetti passivi dell’accisa sul gas metano e legittimazione a ricorrere al giudice tributario (*) Il d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 individua quale contribuente tenuto a versare l’imposta all’Erario il soggetto che vende direttamente il prodotto ai consumatori (art. 26, 4° comma, del d.lgs. citato). Contribuente di diritto è, pertanto, l’ente erogatore (società privata o Comune) il quale, solo, è legittimato a richiedere all’Erario, nei termini di legge, la restituzione dell’accisa indebitamente pagata. Il consumatore finale resta estraneo al rapporto obbligatorio d’imposta, pur essendo definitivamente «inciso» dall’onere tributario, per effetto del meccanismo di traslazione dell’imposta. Non rientrano tra le liti di rimborso previste dall’art. 19, lett. g) del d.lgs. n. 546 del 1992 quelle che si sostanziano nella richiesta di restituzione di tributi versati dal consumatore finale del gas all’Amministrazione finanziaria. Le somme chieste in restituzione dal consumatore finale del gas non sono configurabili come accise sul gas metano, bensì come parte integrante dei corrispettivi pagati all’ente erogatore in adempimento dei contratti di fornitura del gas stipulati con l’impresa distributrice. La richiesta di rimborso di tali somme non può perciò essere indirizzata all’Amministrazione finanziaria che è estranea al rapporto privatistico di fornitura. L’estraneità del consumatore finale del gas metano al rapporto tributario avente ad oggetto l’obbligo di pagamento dell’accisa sul metano fornito agli utenti comporta l’improponibilità del ricorso alle Commissioni tributarie. Comm. trib. prov. Ravenna, sez. III, 19 aprile 2005, n. 13. (Omissis). – Fatto e processo. – Con lettera raccomandata del 16 settembre 2002 la casa di cura V.M.C., del gruppo V.M., chiedeva al Comune di C. quale gestore del servizio di gasdotto il rimborso di tutti gli importi indebitamente corrisposti per non aver usufruito dell’aliquota agevolata dell’accisa sul gas metano nell’arco temporale dal 16 settembre 2000 ad oggi, così come espressamente previsto dall’art. 14 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, il godimento per il futuro di detta aliquota agevolata sull’accisa del gas metano, il pagamento, sulle somme indebitamente corrisposte a far tempo dal 16 settembre 2000, degli interessi moratori dalla data di corresponsione dell’importo al soddisfo. Tale richiesta veniva formulata in seguito alla circolare n. 48/D del 26 luglio 2002 dell’Agenzia delle Dogane che confermava che l’aliquota agevolata dell’accisa sul gas metano prevista per gli usi industriali potesse essere riconosciuta anche alle case di cura, qualora queste fossero qualificate come aziende industriali. L’ufficio tecnico di finanza di Ferrara, Agenzia delle Dogane, a cui 780 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA il Comune di C. aveva chiesto di esprimere un parere circa la suddetta richiesta, con lettera prot. 2303 del 24 gennaio 2003 indirizzata al Comune richiedente, e per conoscenza alla ricorrente, mentre forniva parere favorevole circa l’applicazione dell’aliquota agevolata, dietro presentazione di idonea documentazione, dalla data della domanda di beneficio e comunque successivamente alla circolare n. 48/D del 26 luglio 2002, affermava che la richiesta di rimborso per il periodo pregresso non poteva essere accolta. Il suddetto provvedimento n. 2303 del 24 gennaio 2003, trasmesso alla casa di cura, dal Comune di C., in allegato alla sua nota del 14 marzo 2003, dovrà, secondo la ricorrente, essere annullato, in parte qua, per i seguenti motivi. La motivazione del provvedimento risiederebbe, secondo la ricorrente, nella nota del Ministero delle finanze n. 2181 del 23 luglio 1998 che esclude dall’aliquota agevolata i consumi di gas metano nelle case di cura perché non esercitano attività industriale, attività ritenuta invece possibile, se esercitata a fini di lucro, dalla successiva circolare n. 48 del 26 luglio 2002. È evidente, secondo la ricorrente, l’erroneità della posizione fornita dall’ente resistente poiché fondata su una precisazione fornita del Ministero delle finanze nella nota n. 2118/98 che non ha tenuto conto che le case di cura degli possono essere definite imprese aventi natura di aziende industriali sulla base dell’art. 2195 c.c. Del resto tale possibilità è stata ammessa dallo stesso Ministero con la più volte citata circolare n. 48 del 26 luglio 2002, ma tale riconoscimento non vuol dire tuttavia che le case di cura comincino ad avere natura industriale dalla data della circolare suddetta, trattandosi, come è ovvio, di un atto meramente interno e senza valore di legge. La casa di cura V.M.C., iscritta nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2195 c.c., esercita attività industriale produttiva di servizi e, come tale, deve ritenersi azienda industriale e quindi beneficiaria dell’aliquota agevolata di cui all’art. 26, nota 1) del d.lgs. n. 504 del 1995; correttamente quindi ha chiesto, ai sensi dell’art. 14 dello stesso decreto il rimborso di quanto indebitamente versato e, in conclusione, chiede di annullare il citato parere n. 2303 del 24 gennaio 2003 emesso dalla Agenzia delle Dogane, Ufficio tecnico di finanza di Ferrara, comunicatole dal Comune di C. in allegato alla sua nota n. 2849 del 14 marzo 2003, nella parte in cui rigetta l’istanza di rimborso, sia degli importi corrisposti per non aver usufruito dell’aliquota agevolata dell’accisa sul gas metano dal 16 settembre 2000, alla data della domanda, sia dei relativi interessi moratori dalla data di corresponsione al soddisfo e, accertato il diritto rimborso, disporne di conseguenza. Per l’Agenzia delle Dogane, Ufficio tecnico di finanza di Ferrara, il ricorso, in via pregiudiziale, deve considerarsi improponibile: infatti l’art. 26 del d.lgs. n. 504 del 1995 individua quale contribuente, tenuto a versare l’imposta all’erario, il soggetto che vende direttamente il prodotto ai consumatori, nel caso di specie il Comune di C. il quale, solo, è legittimato a chiedere la restituzione dell’accisa indebitamente pagata. PARTE SECONDA 781 Nel merito, l’Agenzia ricorda che il d.m. 12 luglio 1977 prevedeva che: «per il quantitativo di gas metano fornito per uso non soggetto all’imposta …» (ora usi agevolati) «… la ditta deve trasmettere, in allegato alla prima dichiarazione, l’elenco degli utenti i cui consumi di gas metano non sono stati assoggettati a tassazione ...» (ora assoggettati ad aliquota agevolata) «… con uniti i certificati rilasciati dalla Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura comprovanti l’iscrizione di detti utenti fra le imprese industriali ed artigiane. In mancanza di tale certificazione il gas metano consumato dalle predette imprese viene assoggettato ad imposta». Pertanto non è in discussione la natura industriale delle case di cura, in quanto alla ricorrente non è stato negato tale riconoscimento, che al contrario le viene esplicitamente riconosciuto con la doverosa indicazione dell’iter previsto al fine di formalizzare presso il sostituto d’imposta (Comune di C.) la richiesta per ottenere beneficio fiscale, ma è l’assenza di un qualsiasi atto che evidenzi in modo certo l’intendimento del contribuente ad accedere al particolare regime agevolativo, dimostrando la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, che giustifica il diniego rimborso. Il ricorso va pertanto respinto. In una successiva memoria la casa di cura, a proposito della richiesta improponibilità del ricorso, precisa che nella lettera dell’Agenzia delle Dogane 2303 del 24 gennaio 2003 si leggeva, fra l’altro, «in applicazione dell’art. 7, 2° comma, della l. 27 luglio 2000, n. 212, si comunica che presso questo ufficio, in relazione alla questione in esame è possibile per le ditta: … ricorre entro 60 giorni dalla notifica presentando ricorso alla commissione tributaria di Ravenna …» ed è indubbio che per «ditta» si debba intendere la casa di cura: lo si evince chiaramente del corpo della suddetta lettera nonché delle affermazioni dell’ing. A., dell’Agenzia delle Dogane, responsabile del procedimento. Lascia pertanto non poco perplesso il fatto che nel costituirsi in giudizio, l’Agenzia eccepisca la carenza di legittimazione attiva; legittimazione che invece sussiste, specie dopo il novellato art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 che dispone che appartengono giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi per oggetto i tributi di ogni genere specie. Conclude con la richiesta di accoglimento del ricorso, previa, se ritenuto, integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di C. e della subentrante H. S.p.A. ognuno per quanto di spettanza, con conseguente rimborso della maggior accisa pagata pari a euro 117.948,53, oltre iva, o, in subordine, di altra somma ritenuta di giustizia, oltre interessi. Nell’udienza del 21 settembre 2004 questa Commissione disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di C. mediante la sua chiamata in causa entro il termine perentorio del 20 novembre 2004, a pena di decadenza. In data 25 novembre 2005 la ricorrente casa di cura citava il Comune di C. affinché si costituisse presso questa sezione della Commissione tributaria di Ravenna e reiterava le proprie richieste di annullamento del parere prot. 2303 nella parte in cui rigetta l’istanza di rimborso, nonché 782 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA la richiesta di condannare in solido l’Ufficio tecnico di finanza di Ferrara dell’Agenzia delle Dogane e del Comune di C. al pagamento delle spese del presente giudizio. In data 4 gennaio 2005 si costituiva il Comune di C., precisando quanto segue: – circa la notifica dell’atto di chiamata in causa, la parte ricorrente ha inviato l’atto mediante spedizione in busta chiusa con avviso di ricevimento, in contrasto con l’art. 16 del d.lgs. n. 546 del 1992, che richiama agli artt. 137 e ss. c.p.c. e che comunque prevede la possibilità di notifica mezzo servizio postale, ma con plico e senza busta; la procedura adottata non consente al giudice di verificare quale atto sia stato effettivamente comunicato: il vizio rilevato deve intendersi insanabile con conseguente decadenza di parte ricorrente; – sulla giurisdizione del giudice tributario, mentre è pacifica la competenza in tema di accise, qualche dubbio può sorgere quanto alla competenza territoriale considerato che l’Agenzia delle Dogane che emesso l’atto contestato ha sede presso la circoscrizione di Ferrara; – per quanto riguarda la legittimazione passiva, poiché l’atto impugnato è stato emesso dall’Ufficio tecnico di finanza di Ferrara, non si comprende la chiamata in causa del Comune di C. che chiede pertanto di essere estromesso dal contenzioso; – sul merito e sulle spese del presente giudizio, poiché la ricorrente non ha ottemperato alla richiesta di documentazione, non può ora lagnarsi del mancato rimborso: sua pertanto è la responsabilità anche per quanto riguarda le spese. Chiede pertanto, il Comune di C., in via pregiudiziale la (dichiarazione di) nullità della notifica dell’atto di chiamata in causa e la conseguente decadenza del ricorrente, in via subordinata (l’accertamento del) la mancanza della sua legittimazione passiva, nel merito il rigetto della domanda. Replica la ricorrente casa di cura alla comparsa del Comune di C. ritenendo l’eccezione di nullità della notifica perfettamente inutile se solo si tiene conto che lo stesso Comune ha depositato l’atto di chiamata in causa che è stato notificato, sul quale è apposto addirittura il mandato di rappresentanza il quale è il medesimo della copia depositata, completa di dichiarazione di conformità della ricorrente: l’eccezione deve essere pertanto disattesa. Circa la sua pretesa responsabilità per non aver presentato all’Agenzia delle Dogane la documentazione richiesta al fine di ottenere il contestato rimborso, la ricorrente presenta fotocopia della richiesta di rimborso di quanto già versato, ma non dovuto, per il periodo settembredicembre 2002, con gli allegati richiesti, indirizzata all’Ufficio tecnico di finanza di Ferrara e per conoscenza Comune di C. Non risponderebbe quindi a verità quanto asserito in merito dal Comune. Comunque, a seguito della citata richiesta, l’Agenzia delle Dogane, sempre secondo la ricorrente, invitava il Comune di C. a conguagliare l’imposta indebitamente versata in più in sede di rettifica di fatturazione precisando, altresì che, successivamente, in occasione della presentazio- PARTE SECONDA 783 ne (della dichiarazione) annuale di consumo, il Comune avrebbe dovuto provvedere alla sistemazione contabile mediante accredito di quanto rimborsato. Secondo tale comunicazione, conclude la casa di cura, l’Agenzia delle Dogane afferma quindi che è il Comune ad essere tenuto al rimborso. Il Comune, però, essendo stato alla gestione del gas trasferita ad H., chiedeva all’Ufficio tecnico di finanza di Ferrara di provvedere direttamente al conguaglio dell’imposta eccedente. Quanto al dubbio sollevato circa la competenza territoriale, la ricorrente si è attenuta a quanto esplicitamente enunciato nel parere impugnato che indicava, appunto, la Commissione di Ravenna competente a decidere sul ricorso presentato dalla «ditta». L’Agenzia delle Dogane, in una memoria integrativa, ribadisce proprio punto di vista e chiede: – in via preliminare di dichiarare l’improponibilità e/o l’inammissibilità del ricorso; – di dichiarare la nullità della notifica dell’atto di chiamata in causa; – di dichiarare il difetto della ricorrente all’esercizio dell’azione di rimborso nei confronti dell’Agenzia delle Dogane; – in subordine di rigettare tutte le avverse domande perché infondate in ogni caso di condannare alle spese la controparte. Diritto. – Il d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Disciplina delle accise), all’art. 26 (Disposizioni particolari per il gas metano), individua quale contribuente tenuto a versare l’imposta all’Erario il soggetto che vende direttamente il prodotto ai consumatori: contribuente di diritto è pertanto il Comune di C., il quale, solo, era legittimato a richiedere all’Erario, nei termini di legge, la restituzione dell’accisa indebitamente pagata. Il consumatore finale, nel caso di specie V.M.C., resta estraneo al rapporto obbligatorio d’imposta, pur essendo definitivamente «inciso», per effetto del meccanismo di traslazione dell’imposta, dall’onere tributario. Pertanto la richiesta della ricorrente non può inquadrarsi nell’ambito delle liti di rimborso previste dall’art. 19, lett. g) del d.lgs. n. 504 del 1995 che si sostanziano nella richiesta di restituzione di tributi versati dal contribuente all’Amministrazione finanziaria. Le somme richieste in ripetizione dalla ricorrente non si configurano come accise sul gas metano, bensì come parti integranti del corrispettivo pagato dall’ente erogatore in adempimento di contratti di fornitura del gas stipulati con l’impresa distributrice. La richiesta di rimborso non può perciò essere indirizzata all’Amministrazione finanziaria che è estranea al rapporto privatistico di fornitura. Tale estraneità del consumatore finale al rapporto tributario comporta l’improponibilità del ricorso alle Commissioni tributarie; l’utilizzatore finale potrà comunque far valere le sue ragioni dinanzi al giudice ordinario. In tal senso anche la Corte di Cassazione civile (sentenza n. 4277 del 23 giugno 1988, sez. I) che, intervenendo sull’applicazione del d.l. 7 febbraio 1977, n. 15 (Imposta di consumo sul gas metano per uso com- 784 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA bustione) ed in particolare sull’art. 10 che dispone che: «L’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori» afferma, fra l’altro, «ne consegue che, quando il consumatore fa valere nei confronti del fornitore – che ha compreso nel prezzo di vendita del prodotto anche l’imposta di consumo pagata allo Stato ex art. 10 cit. – l’azione di ripetizione della parte del prezzo corrispondente al suddetto tributo, ritenendo di essere esonerato dal relativo pagamento in forza della citata disposizione (in quanto cioè compreso fra le imprese artigiane o industriali) egli non esercita un’azione tributaria di rimborso, richiede, nel rapporto con l’altro contraente, la restituzione di una parte del prezzo indebitamente corrisposta perché, secondo la legge, non avrebbe potuto essere compresa nel prezzo medesimo». D’altra parte, la stessa casa di cura, per dimostrare il suo buon diritto al rimborso, ha allegata ricorso (la) documentazione attestante le avvenute richieste di ripetizione degli importi corrisposti per non aver usufruito dell’aliquota agevolata, effettuate da altre strutture ospedaliere del medesimo gruppo V.M. rivolte ai gestori del servizio gas e da questi soddisfatte. Pertanto la commissione dichiara, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 546 del 1992, il proprio difetto di giurisdizione, mentre ricorrono giusti motivi per compensare le spese. P.Q.M. – Dichiara il difetto di giurisdizione della scrivente Commissione tributaria per esser presente controversie di competenza del giudice ordinario. Compensa per intero le spese processuali. (Omissis). ————————————————————————————— (*) SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’individuazione «ope legis» dei soggetti passivi dell’accisa sul gas metano. – 3. La soggettività tributaria dei nuovi attori del mercato del gas. – 4. La soggettività tributaria «eventuale» dei titolari dei depositi fiscali in cui è detenuto il gas metano. – 5. I riflessi della soggettività passiva sul piano sostanziale sulla legittimazione a ricorrere al giudice tributario. – 6. L’esclusione della legittimazione ad agire in capo ai consumatori finali e le analogie con la disciplina dell’iva. – 7. La tutela del «contribuente di fatto» dinanzi al giudice ordinario. – 8. Considerazioni conclusive. 1. – Premessa (*) La sentenza che si annota, ha ad oggetto la richiesta di restituzione dell’accisa sul gas metano proposta da una clinica privata che non poteva qualificarsi come contribuente di diritto – pur sopportando, in via definitiva, il relativo onere tributario. Essa chiarisce quali siano i soggetti passivi dell’imposta in discorso, cui spetta in via esclusiva la legittimazione a ricorrere al giudice tributario. In tal modo la Commissione tributaria di Ravenna contribuisce a sgombrare il campo dall’equivoca tesi, assai diffusa tra gli operatori del setto–––––––––––– (*) Ringrazio l’Ing. Giuseppe Velleca, Direttore dell’Ufficio tecnico di finanza di Padova ed insuperabile esperto in materia di accise, per i preziosi consigli. PARTE SECONDA 785 re (1) ma non aderente al dato normativo di cui all’art. 26, del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, secondo cui i fornitori del gas opererebbero in qualità di «sostituti d’imposta» degli utenti finali, i quali sarebbero, in realtà, i veri soggetti passivi dell’accisa in discorso. 2. – L’individuazione «ope legis» dei soggetti passivi dell’accisa sul gas metano Non è il caso di affrontare ex novo il tema dell’imposizione indiretta sul gas metano, oggetto, peraltro, di un precedente intervento su questa rivista (2). È sufficiente ricordare che l’art. 26, 4° comma, del d.lgs. n. 504 del 1995 individua tassativamente quali siano i soggetti passivi dell’accisa sul gas metano, cui compete la determinazione dell’ammontare dell’imposta, la presentazione della dichiarazione annuale ed i versamenti periodici. In definitiva si tratta: a) di coloro che vendono direttamente il prodotto ai consumatori finali (3); b) dei consumatori che si avvalgono delle reti da gasdotti per il vettoriamento dei propri prodotti (4). Nella categoria di cui alla lett. a), vanno oggi inclusi anche i cosiddetti «clienti grossisti», individuati dall’art. 2, 1° comma, lett. b) del d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164. Sono «clienti grossisti» le persone fisiche o giuridiche che acquistano e vendono gas naturale e che non svolgono attività di trasporto o di distribuzione all’interno o all’esterno del sistema in cui sono stabiliti o operano. La soggettività passiva può essere riconosciuta, inoltre, ai titolari di raffinerie, di impianti petrolchimici e di produzione combinata di energia e calore. Per il gas metano confezionato in bombole o in qualsiasi altro tipo di contenitore di provenienza da Paesi terzi o da Paesi comunitari l’accisa va corrisposta, invece, per ciascuna operazione, dall’importatore o dall’acquirente (art. 26, 6° comma) (5). I soggetti passivi dell’accisa, o contribuenti di diritto, vanno dunque individuati in base alle disposizioni legislative che pongono a loro carico l’obbligazione tributaria, obbligazione che si ricollega alla realizzazione di determinati fatti e situazioni previsti dalla singola fattispecie impositiva (6). –––––––––––– (1) Come non sarà sfuggito al lettore più attento, anche il giudice si appropria, forse inconsciamente, di tale suggestiva ricostruzione in un passaggio della sentenza. (2) Sul punto sia consentito rinviare a F. Cerioni, L’accisa sul gas metano ed il contratto di servizio energia, retro, 2005, I, 705 e ss. (3) Si noti che tali soggetti sono i «contribuenti di diritto» (o soggetti obbligati) e non, come talora erroneamente (e tralatiziamente) si ripete, «sostituti d’imposta», non individuando la disposizione citata nel testo altri soggetti cui l’obbligazione tributaria sia riferita in via principale. (4) Il vettoriamento, come si desume dalla Delibera del 18 febbraio 1999, n. 13 dell’Autorità per l’energia ed il gas, «è il servizio di trasporto del gas metano da un punto di consegna ad un punto di riconsegna». (5) In argomento può consultarsi anche F. Cerioni, L’accisa sul gas metano, in F. Cerioni - P. Forte - T. Palacchino, Il diritto tributario comunitario, Milano, 2004, 833 e ss. Sulla disciplina anteriore al d.l. n. 331 del 1993, poi accolta nel d.lgs. n. 504 del 1995, si veda D. Regazzoni, Metano (imposta sul), in Noviss. Dig. it., App. IV, Torino, 1983, 1297 e ss. (6) Sul punto cfr. G. Falsitta, Manuale diritto tributario, Parte generale, Padova, 2003, 263; E. De Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2000, 21 e ss.; F. Tesauro, Istituzioni 786 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA I fatti cui si accennava, integranti il presupposto dell’accisa sul gas metano, sono dunque costituiti dalla fornitura del gas ai consumatori finali (7). I «contribuenti di diritto» vanno tenuti ben distinti dai cosiddetti «contribuenti di fatto», incisi dall’imposta in discorso e, cioè, dalle persone destinate a subire in via definitiva, l’onere finanziario oggetto dell’obbligazione tributaria posta carico dei primi, per effetto del noto fenomeno della traslazione dell’imposta (8). La distinzione è di grande rilevanza nel nostro settore perché permette di comprendere, com’è stato esattamente osservato da autorevole dottrina, che i contribuenti di fatto, cioè i consumatori finali del gas metano, «pur se toccati dai risvolti economici del fenomeno impositivo, restano totalmente estranei alla imputazione degli effetti della fattispecie imponibile e quindi al rapporto obbligatorio d’imposta; talché essi né sono tenuti ad effettuare la relativa prestazione, né possono essere compulsati dall’ente impositore creditore del tributo» (9). Insomma, ciò che conta ai fini dell’individuazione dei contribuenti di diritto, è l’incidenza giuridica del tributo sul patrimonio di una determinata persona, e non certo quella economica rilevante per la scienza delle finanze (10). Ne deriva che i consumatori finali del gas metano, sebbene normalmente destinati a sopportare l’onere tributario (11), vanno collocati al di fuori dell’area dei contribuenti di diritto (12) e, come tali, non instaurano con l’Ammini–––––––––––– di diritto tributario, Torino, 2000, 101. In argomento, si veda anche E. Potito, Soggetto passivo d’imposta, in Enc. dir., vol. XLII, Milano, 1990, 1226 e ss. (7) In tal senso si esprime l’art. 21 della direttiva 2003/96/CE del 27 ottobre 2003. Per approfondimenti sul punto sia consentito rimandare ancora a F. Cerioni, L’accisa sul gas metano ed il contratto di servizio energia, cit., 712 e ss. (8) In argomento si veda, per tutti, M. Allena, Gli effetti giuridici della traslazione delle imposte, Milano, 2005, 53 e ss. (9) In questi esatti termini P. Russo, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Milano, 2002, 159. L’autore precisa altresì che, di regola (cioè al di fuori dei casi in cui è legislativamente prevista la rivalsa obbligatoria da parte del soggetto passivo del tributo nei confronti del consumatore finale, come accade nell’iva e nell’imposta erariale di consumo sull’energia elettrica), il legislatore tributario si disinteressa completamente della vicenda traslativa, la quale dunque viene a dipendere dal libero gioco del mercato oppure dalla specifica disciplina negoziale concordata dalle parti del rapporto cui si ricollega il prelievo tributario. (10) In tal senso A. Hensel, Diritto tributario, Milano, 1956, 82 e ss. (11) Si noti che, per la maggior parte delle accise contemplate dal T.U. (di cui al d.lgs. n. 504 del 1995) la rivalsa è consentita dalla legge, ma non obbligatoria (art. 16, 3° comma). Un vero è proprio diritto di rivalsa ma non un obbligo è previsto, invece, per l’imposta erariale di consumo sull’energia elettrica (art. 56, 1° comma). (12) Sul punto si rimanda a quanto già rilevato da A.D. Giannini, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1965, 463; da A. Dus, Saggio sulle imposte di fabbricazione – Principi generali, Roma, 1965, 10 e specialmente da A. Berliri, Principi di diritto tributario, vol. II, tomo I, Milano, 1957, 129. Il chiaro autore, proprio con riferimento alle fattispecie impositive del tipo di quella di cui si discute, ha evidenziato che «è solo sul piano economico che potrà eventualmente dirsi che la legge colpisce il produttore invece del consumatore, giacché sul piano giuridico non v’è alcuna possibilità di sostenere che obbligato al pagamento dell’imposta sarebbe stato il consumatore anziché il produttore. Sul piano giuridico c’è solo una norma che ricollega ad un fatto, la produzione, l’obbligo a carico dell’autore di quel fatto (il produttore) di assolvere il tributo. L’osservazione è stata puntualmente ripresa anche da M. Allena, Gli effetti giuridici della traslazione, cit. 56, nt. 113. PARTE SECONDA 787 strazione finanziaria (o, più esattamente, con gli uffici tecnici di finanza e, ove istituiti, con gli uffici delle dogane (13)) alcuna relazione incidente sul piano dell’attuazione del prelievo fiscale (14). L’assunto è stato confermato dalla Cassazione, sez. I civ., nelle sentenze del 23 giugno 1988, n. 4277 e del 26 luglio 1995, n. 8185. In esse, la Corte, pronunciandosi riguardo all’imposta di consumo sul gas metano, istituita con l’art. 10 del d.l. 7 febbraio 1977, n. 15 (poi convertito in l. 7 aprile 1977, n. 102), ha precisato che i consumatori finali del gas metano che lo acquistano per destinarlo agli impieghi civili o industriali, non sono stati qualificati dal legislatore come soggetti passivi d’imposta (15). –––––––––––– (13) Secondo l’art. 7, 3° comma, del Regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle Dogane, deliberato dal Comitato direttivo il 5 dicembre 2000 (in S.O. alla Gazz. uff. n. 162 del 14 luglio 2001 ed in Fisconline, Banca dati tributaria, ETI, Wolters Kluwer Italia Professionale), «gli Uffici delle dogane strutturati nelle aree di gestione dei tributi, delle verifiche, dei controlli e delle attività antifrode, di gestione del contenzioso e di assistenza e informazione agli utenti, svolgono le attività riguardanti la circolazione delle merci e dei viaggiatori, l’applicazione delle disposizioni in materia di fiscalità interna connessa agli scambi internazionali, di accise sulla produzione e sui consumi e di tassazione ambientale ed energetica…». (14) Dall’accennata irrilevanza giuridica del fenomeno traslativo deriva che l’accisa di cui trattasi non può essere classificata tra le imposte sui consumi. Invero, com’é stato esattamente rilevato, sebbene nell’ambito dell’imposizione sugli scambi, si assista tradizionalmente all’inquadramento delle accise nella categoria delle imposte sui consumi, tale ricostruzione, dovute ai cultori della scienza delle finanze, «non può soddisfare il giurista, per il quale i fenomeni economici che portano gli operatori a conglobare i tributi indiretti nel prezzo finale di vendita debbono rimanere irrilevanti». Pertanto dovrebbero comprendersi tra i tributi sui consumi (o, più esattamente, sugli atti di consumo) solo quelli che finiscono per gravare sul consumatore finale a causa di meccanismi di rivalsa giuridicamente rilevanti, in quanto riconosciuti all’operatore dallo stesso legislatore. In questi termini G. Falsitta, Manuale diritto tributario, Parte generale, cit., 204. Sulla questione anche M. Trimeloni, «Abbuono» e «sgravio» nelle imposte di fabbricazione: una terminologia legislativa ambigua, retro, 1976, II, 1102 e ss., il quale, a pag. 1119, evidenzia che «le imposte di fabbricazione appartengono alla classe dei tributi che assumono, nell’area impositiva, unicamente i beni (rectius: la produzione dei beni) che sono destinati al consumo ... Non sono definibili imposte sui consumi poiché manca – ed il rilievo si presenta inevitabile, nella sua ovvietà – il soggetto consumatore, come soggetto giuridico che assuma una specifica posizione debitoria o una posizione rilevante in una delle fasi di svolgimento del tributo». (15) Nella prima delle sentenze richiamate (consultabile integralmente sul DVD Iurisdata), la Cassazione ha stabilito che: «Con riguardo all’imposta di consumo sul gas metano, prevista dall’art. 10 del d.l. 7 febbraio 1977, n. 15 (convertito in l. 7 aprile 1977, n. 102) per impieghi diversi da quelli delle imprese industriali ed artigiane, soggetto passivo è il fornitore del prodotto, non il consumatore, il quale subisce la traslazione del relativo onere a titolo di maggiorazione del prezzo di vendita. Pertanto, qualora il consumatore, allegando la propria qualità di imprenditore industriale od artigiano, agisca nei confronti del fornitore, per far valere l’illegittimità di detta maggiorazione del prezzo ed ottenere il rimborso del corrispondente ammontare, egli non esercita un’azione tributaria di rimborso fondata su un’esenzione soggettiva, ma richiede, nel rapporto con l’altro contraente, la restituzione di una parte del prezzo indebitamente corrisposta, senza che di conseguenza la circostanza che il gas metano sia destinato ad essere impiegato come combustibile in impresa artigiana od industriale rilevi come fatto costitutivo di un’esenzione tributaria soggettiva, incombendo al fornitore stesso l’onere, nel distinto rapporto con l’amministrazione finanziaria, di individuare i consumi assoggettati ad imposta 788 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA Con l’approvazione del T.U. accise e la chiara individuazione dei soggetti passivi dell’accisa sul gas metano contenuta nell’art. 26, la posizione della Cassazione è stata seguita senza oscillazioni dalla giurisprudenza di merito, sicché pare di poter affermare che essa costituisca ormai diritto vivente (16). Non si può continuare a sostenere, pertanto, che nel meccanismo applicativo dell’imposta in discorso sarebbe da ravvisare una forma di sostituzione tributaria in senso tecnico (17). 3. – La soggettività tributaria dei nuovi attori del mercato del gas La progressiva liberalizzazione del mercato del gas metano – avvenuta sulla scorta delle direttive comunitarie volte alla creazione di un mercato interno più –––––––––––– e di segnalare quelli che ne sono esclusi per non essere ricompresi nella fattispecie impositiva». Nella sentenza n. 8185 del 1995 (consultabile sul DVD Iurisdata), invece, per quanto qui interessa si legge: «Il 1° comma dell’art. 10 del d.l. 7 febbraio 1977, n. 15 convertito con modificazioni in l. 7 aprile 1977, n. 102 così recita: “Il gas metano usato come combustibile per impieghi diversi da quelli delle imprese industriali ed artigiane è assoggettato ad imposta di consumo ...”. In altri termini, da tale disposizione si trae che l’uso del gas metano come combustibile può essere assoggettato ad imposta solo quando se ne valgano soggetti diversi da un’impresa industriale (o artigianale) per finalità inerenti alle loro attività. In questo caso, dispone il 2° comma della stessa norma, l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori. Quindi, dal collegamento tra le due disposizioni si desume che soggetto passivo dell’imposta è sempre il fornitore del gas e mai l’utente, anche se, di norma, l’importo del tributo versato dal fornitore concorrerà a formare il corrispettivo del bene fornito o del servizio reso». (16) In effetti, il Tribunale di Milano nella sentenza del 13 marzo 2000 (in Boll. trib., 2000, 1261 ed in DVD Iurisdata), ha affermato che «In materia di imposta erariale di consumo sul gas metano, regolata dalla l. 7 aprile 1977, n. 102 e successive modificazioni, il soggetto passivo del tributo va individuato nel produttore – fornitore del combustibile (e non nel consumatore finale del prodotto); nell’ambito del duplice rapporto che si instaura per la somministrazione del metano (fra il fornitore e l’amministrazione finanziaria e fra il fornitore e l’utente finale), incombe, fra gli altri obblighi, al fornitore l’onere di individuare i consumi assoggettati ad imposta e di segnalare quelli che – in base alla normativa via via vigente in materia – ne sono esclusi per non essere ricompresi nella fattispecie impositiva. Ne consegue l’obbligo del fornitore di restituire al cliente del contratto di somministrazione gli importi del tributo erariale indebitamente calcolati e addebitatigli nel corso del contratto. Un’analoga statuizione si rinviene nella sentenza del tribunale di Bologna, 8 maggio 2001, n. 1327 (per quanto consta inedita), ove si legge che: «È pacifico che non solo in base all’attuale T.U. (d.lgs. n. 504 del 1995) ma altresì in base alla precedente normativa in esso confluita (in particolare art. 10 d.l. n. 15 del 1977 e artt. 3-4 d.m. 12 luglio 1977), nell’imposta di consumo sul gas metano l’unico soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto e non già l’utente finale, il quale subisce la traslazione del relativo onere a titolo di maggiorazione del prezzo di vendita e, quindi, nell’ambito di un fenomeno puramente economico (Cass., 29 settembre 1987, n. 7312) di natura esclusivamente contrattuale, con la conseguenza che l’azione di ripetizione del consumatore di gas metano non è un’azione tributaria di rimborso ma va qualificata come restituzione di un pagamento indebitamente eseguito ai sensi dell’art. 2033 c.c.». Sulla nozione di diritto vivente cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, 36. (17) In questi termini A. Martuscelli, Osservazioni sulla sostituzione tributaria nell’imposta di fabbricazione sugli oli minerali, in Riv. idrocarburi, 1970, 143. PARTE SECONDA 789 competitivo ed efficiente, basato su reti di distribuzione interconnesse (18) – ha portato il legislatore nazionale a disporre la separazione dell’attività di stoccaggio, trasporto e distribuzione del gas da quelle di importazione e vendita dello stesso idrocarburo (19). Ciò ha determinato l’affermarsi di nuove figure professionali operanti nel mercato del gas metano, diverse dal produttore e dal gestore del gasdotto. Invero, già il d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164, (20) nel sancire la liberalizzazione del mercato del gas (21), ha delineato i caratteri distintivi dei nuovi attori di questo mercato, definendo: a) «cliente finale»: il consumatore che acquista il gas per uso proprio; b) «cliente grossista»: la persona fisica o giuridica che acquista e vende il gas naturale e che non svolge attività di trasporto o distribuzione all’interno o all’esterno del sistema in cui è stabilita od opera; c) «cliente idoneo»: la persona fisica o giuridica che ha la capacità, per effetto del citato decreto, di stipulare contratti di fornitura, acquisto e vendita con qualsiasi produttore, importatore, distributore o grossista, sia in Italia che all’estero (22); d) «clienti»: i clienti grossisti o finali di gas naturale e le imprese di gas naturale che acquistano gas naturale. L’ampliamento del novero degli operatori del mercato del gas naturale non ha portato ad un’estensione illimitata della soggettività tributaria (23), bensì solo al riconoscimento della soggettività ai «clienti grossisti» che acquistano il gas dai –––––––––––– (18) Cfr. le direttive CE 98/30 del 22 giugno 1998 e 2003/55 del 26 giugno 2003 (quest’ultima in corso di attuazione in Italia, secondo i criteri predeterminati dalla delega normativa conferita al Governo dall’art. 16 della l. 18 aprile 2005, n. 62). In dottrina si vedano E. Corali, Il mercato del gas naturale in Italia, Milano, 2000, 90 e ss.; G. Caia - S. Colombari, Regolamentazione amministrativa e mercato interno del gas naturale, in Rass. giur. dell’energia elettrica, 2000, 330 e ss., e da ultimo M.E. Salerno, L’attuazione della prima direttiva sul gas naturale (98/30/CE) e le modifiche introdotte dalla nuova direttiva (2003/55/CE), in Monopolio e regolazione concorrenziale nella disciplina dell’energia, Milano, 2005, 182, e ss. (19) L’art. 21 del d.lgs. n. 164 del 2000 ha disposto che «a decorrere dal 1° gennaio 2002 l’attività di trasporto e dispacciamento del gas naturale è oggetto di separazione societaria da tutte le altre attività del settore del gas, ad eccezione dell’attività di stoccaggio, che è comunque oggetto di separazione contabile e gestionale dall’attività di trasporto e dispacciamento e di separazione societaria da tutte le altre attività del settore del gas. – 2. Entro lo stesso termine di cui al 1° comma l’attività di distribuzione di gas naturale è oggetto di separazione societaria da tutte le altre attività del settore del gas. – 3. Entro lo stesso termine di cui al 1° comma la vendita di gas naturale può essere effettuata unicamente da società che non svolgano alcuna altra attività nel settore del gas naturale, salvo l’importazione, l’esportazione, la coltivazione e l’attività di cliente grossista». (20) Decreto adottato a norma dell’art. 41 della l. 17 maggio 1999, n. 144 per l’attuazione della direttiva n. 98/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale. (21) L’art. 1 del d.lgs. n. 164 del 2000, infatti, dispone che «l’attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libere. – 2. Resta in vigore la disciplina vigente per le attività di coltivazione e di stoccaggio di gas naturale, salvo quanto disposto dal presente decreto». Tuttavia, a norma dell’art. 3, dello stesso decreto «l’attività di importazione di gas naturale prodotto in Paesi non appartenenti all’Unione Europea è soggetta ad autorizzazione del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato». (22) Si noti che, a decorrere dal 1° marzo 2003, tutti gli acquirenti di gas metano (definiti dal legislatore clienti finali) sono considerati clienti idonei (art. 22 del d.lgs. n. 164 del 2001). (23) In tema di soggettività passiva cfr. E. Potito, Soggetto passivo d’imposta, cit., 1226 e ss. 790 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA grandi distributori per rivenderlo ai clienti finali. A tal fine con l’art. 26, 1° comma, della l. 23 dicembre 2000, n. 388, il legislatore ha sostituito il 4° comma dell’art. 26 del d.lgs. n. 504 del 1995, che nella versione precedente era formulato in modo da escludere la soggettività passiva degli operatori del mercato diversi dai produttori e dai grandi distributori del metano (24). Il «grossista» per operare in Italia deve richiedere «un apposito codice di accisa» all’ufficio tecnico di finanza competente sul luogo in cui ha la propria residenza (se persona fisica), ovvero, ha stabilito la propria sede legale (se persona giuridica). Il grossista che ha sede in altro Stato dell’Unione Europea, può richiedere detto codice «a propria scelta» ad uno degli UTF competenti in relazione alle diverse province in cui intende immettere in consumo il gas metano. Una volta munitosi del codice di accisa potrà poi operare su tutto il territorio nazionale (25). Per il rilascio del codice il grossista dovrà allegare alla richiesta: a) l’elenco dei soggetti cui viene ceduto il gas metano senza che lo stesso venga immesso in consumo; b) un prospetto, suddiviso per province, contenente l’elenco dei clienti finali, con i necessari dati identificativi, da cui risulti inoltre il quantitativo di gas metano che si presume di immettere in consumo nel periodo iniziale dell’attività che precede la presentazione della dichiarazione annuale. Il prospetto dovrà indicare separatamente le quantità di gas assoggettate ad aliquota ordinaria e quelle ad imposta ridotta o del tutto esenti dall’accisa (26). Mancando la dichiarazione annuale, i dati forniti all’atto della richiesta del codice di accisa serviranno non solo per la determinazione della rata di acconto mensile ma anche per quantificare l’importo della cauzione dovuta (27). Una volta avviata l’attività, i grossisti saranno tenuti alla fatturazione del gas metano erogato agli acquirenti, nonché alla presentazione della dichiarazione tributaria annuale prevista dall’art. 26 del d.lgs. n. 504 del 1995 (28). 4. – La soggettività tributaria «eventuale» dei titolari dei depositi fiscali in cui è detenuto il gas metano A rigore non sono soggetti passivi dell’accisa sul metano i gestori dei depositi fiscali del gas che non vendano il gas ai consumatori finali, sebbene agli stessi siano imposti gli stessi obblighi formali previsti per i soggetti passivi veri e propri (licenza di esercizio, tenuta della contabilità e presentazione della dichiarazione annuale di consumo). A tale proposito pare utile ricordare che i depositi fiscali previsti dalla normativa sulle accise sono i luoghi, autorizzati dalle autorità competenti (in –––––––––––– (24) L’art. 26, 4° comma, in effetti, disponeva che l’accisa era «dovuta dai soggetti, esercenti impianti di estrazione, di produzione o di reti di metanodotti, che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori». (25) Detti soggetti, in base a quanto precisato dall’Agenzia delle Dogane con la nota prot. 2878/01 del 7 aprile 2001, sono quindi tenuti a richiedere al competente UTF il codice d’accisa. (26) Si veda sul punto la nota dell’Agenzia delle Dogane prot. 2878/01 del 7 aprile 2001. (27) Cfr. ancora la nota dell’Agenzia delle Dogane prot. 2878/01 del 7 aprile 2001. (28) Secondo quanto stabilito dall’art. 26, 8° comma-bis e precisato dall’Agenzia delle Dogane con la nota prot. 2878/01 del 7 aprile 2001, è obbligatorio presentare la dichiarazione annuale anche quando non sorge alcun debito d’imposta. PARTE SECONDA 791 Italia, l’autorità compente è l’Agenzia delle Dogane) nei quali sono detenuti i prodotti soggetti ad accisa in regime sospensivo. Il T.U. delle accise (art. 1, lett. e) definisce deposito fiscale l’impianto in cui possono essere fabbricate, trasformate, detenute, ricevute o spedite merci sottoposte ad accisa in regime di sospensione dei diritti dell’accisa alle condizioni stabilite dall’Amministrazione finanziaria. L’obbligo di detenere i prodotti in regime sospensivo in luoghi previamente identificati ed autorizzati dall’Amministrazione finanziaria serve ad assicurare una più adeguata tutela degli interessi erariali, che si esplica attraverso appositi controlli preventivi sull’esercente e sulla stessa attività (29). Nel settore di cui ci si occupa il legislatore (30) ha attribuito la qualifica di deposito fiscale: a) agli impianti utilizzati per le operazioni di liquefazione del gas naturale, o di scarico, stoccaggio e rigassificazione di gas naturale liquefatto; b) agli impianti adibiti allo stoccaggio di gas naturale di proprietà o gestito da un’impresa di gas naturale; in proposito va precisato che l’insieme di più concessioni di stoccaggio relative ad impianti ubicati nel territorio nazionale e facenti capo ad un solo titolare, possono costituire, anche ai fini fiscali, un unico deposito fiscale; c) ai terminali di trattamento ed ai terminali costieri con le rispettive pertinenze; d) alle reti nazionali di gasdotti ed alle reti di distribuzione locali, comprese le reti interconnesse; e) agli impianti di compressione del gas. Devono essere gestiti in regime di deposito fiscale, pertanto, anche gli «impianti di stoccaggio» come definiti dal d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164 (31), ad esclusione della parte di impianto utilizzato per le attività di coltivazione. Al contrario, non sono soggetti al regime di deposito fiscale i pozzi di coltivazione del gas naturale (32). La gestione di un deposito fiscale di gas metano impone al depositario di richiedere la licenza di esercizio al competente Ufficio tecnico di finanza, provvedendo al pagamento dei diritti di licenza previsti dall’art. 63, 2° comma, del d.lgs. n. 504 del 1995 (33), di documentare le movimentazioni del gas in appositi registri contabili (34) e di presentare la dichiarazione annuale anche qualo–––––––––––– (29) Si veda quanto previsto dal 9° «considerando» che precede le disposizioni della direttiva CEE n. 92/12 del 25 febbraio 1992. In argomento, se si vuole, può vedersi anche F. Cerioni, La disciplina delle accise in Italia, in F. Cerioni - P. Forte - T. Palacchino, Il diritto tributario comunitario, cit., 755. (30) Cfr. l’art. 26, 5° comma, del d.lgs. n. 504 del 1995. (31) La norma, analogamente al testo unico delle accise, parla di impianti utilizzati per lo stoccaggio di gas naturale, di proprietà o gestito da una impresa di gas naturale. (32) Sul punto si rimanda a quanto stabilito dalla circolare 28 luglio 2002, n. 48/D. (33) In tal senso, si vedano anche le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Pavia, sez. V, pronunciata in data 11 febbraio 2005, e della Commissione tributaria provinciale di Milano, sez. VII, pronunciata in data 26 maggio 2004, (entrambe inedite). Sulla natura del diritto di licenza si rinvia a S. Fiorenza, Fabbricazione (Imposte di), in Dig. Disc. priv., sez. comm., 309. (34) La circolare n. 335 del 30 dicembre 1992, al punto 5, impone al depositario di tenere un registro di carico e scarico delle materie prime e dei prodotti semilavorati; un registro di magazzino dei prodotti finiti nel quale deve essere indicato il riepilogo giornaliero e mensile delle introduzioni ed estrazioni, distintamente per posizione fiscale; un registro dei prodotti ricevuti o spediti in sospensione d’imposta. 792 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA ra, essendo effettuate solo cessioni di metano in regime sospensivo ad altro soggetto passivo, non vi sia alcun debito d’imposta (35). Ma, va ribadito, i depositari fiscali che non effettuino la «fornitura» (36) del gas metano ai consumatori finali non assumono «di regola» la qualità di soggetti passivi della relativa accisa. Peraltro, poiché per effetto delle innovazioni introdotte nel settore del gas metano dal d.lgs. n. 164 del 2000, chi effettua l’attività di stoccaggio, trasporto e distribuzione (37) non può più essere proprietario del gas stoccato o trasportato, né a fortiori può venderlo a terzi (38), non potrà neppure essere qualificato, tranne che nei casi eccezionali cui si accennerà in seguito, soggetto passivo dell’imposta di consumo sul gas metano. La Circolare n. 48/D del 26 luglio 2002 attribuisce ai titolari dei depositi fiscali di gas metano la «responsabilità fiscale» del prodotto detenuto, fin quando lo stesso resti custodito nel deposito e non venga consegnato ad altro deposito fiscale o al soggetto obbligato al pagamento delle accise. Nel caso di trasporto del gas la responsabilità dell’esercente il deposito fiscale termina solo con l’avvenuta conclusione dell’operazione di trasporto. Una superficiale lettura della circolare n. 48/D potrebbe far intendere che il depositario fiscale sia chiamato a svolgere la funzione di un vero e proprio «responsabile d’imposta» nel settore impositivo di cui ci si occupa. Tuttavia, il T.U. delle accise non include il titolare del deposito fiscale di gas metano tra i soggetti passivi della relativa imposta, né lo configura come un coobbligato dipendente. Un’obbligazione tributaria a suo carico può derivare, ai sensi dell’art. 2, solo dal fatto di aver creato le condizioni per (o, analogamente, non per non aver impedito) lo «svincolo irregolare» del metano dal regime sospensivo affidato alla sua custodia. Ne deriva che, come altrove già sostenuto, tale soggetto non può essere considerato rispetto all’obbligazione tributaria avente ad oggetto il pagamento dell’accisa un semplice «responsabile d’imposta», chiamato in via sussidiaria alla corresponsione dell’accisa pur essendo rimasto estraneo alla realizzazione della fattispecie impositiva (39), ma va considerato, ove si verifichino le particolari condizioni previste dall’art. 2 del T.U., obbligato ad ogni effetto al pagamento dell’accisa avendo posto in essere il relativo presupposto, e non essendo possibile individuare, alla stregua delle disposizioni normative di settore, altro soggetto tenuto in via principale al pagamento dell’imposta (40). –––––––––––– (35) Cfr. l’art. 26, 8° comma-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995. (36) La «fornitura», secondo l’art. 2, lett. o) del d.lgs. n. 164 del 2000, è: «la consegna o la vendita di gas naturale». (37) La «distribuzione», secondo l’art. 2, lett. n) del d.lgs. n. 164 del 2000, è: «il trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti». (38) Si veda, in tal senso quanto disposto dall’art. 21, 3° comma, del d.lgs. n. 164 del 2000, ove si prevede che «a decorrere dal 1° gennaio 2002 … la vendita di gas naturale può essere effettuata unicamente da società che non svolgano alcuna altra attività nel settore del gas naturale, salvo l’importazione, l’esportazione, la coltivazione e l’attività di cliente grossista». (39) Per approfondimenti sulla responsabilità d’imposta si vedano A. Parlato, Responsabilità d’imposta, in Enc. giur. Treccani, vol. XXVII, Roma, 1991; L. Castaldi, Solidarietà tributaria, in Enc. giur. Treccani, vol. XXIX, Roma, 1993 e A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 329 e ss.; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, op. cit., 271 e ss.; P. Russo, Manuale di diritto tributario, op. cit., 172 e ss.; F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Torino, 2003, 110 e ss. (40) In questi termini F. Cerioni, Obbligato principale e responsabile d’imposta secondo il testo unico delle accise, commento alla sentenza della CTP di Parma, sez. IV, 9 dicembre 2004, n. 30, in Riv. giur. trib., 2005, 767 e ss. e, in particolare, 772. PARTE SECONDA 793 In conclusione, pare di poter affermare che l’espressione «responsabilità dell’esercente il deposito fiscale», riportata dalla circolare n. 48/D, sia impiegata «impropriamente» per sottolineare la circostanza che il titolare del deposito fiscale può divenire «in via eventuale», alle condizioni previste dal d.lgs. n. 504 del 1995, soggetto passivo dell’accisa sul gas metano. 5. – I riflessi della soggettività passiva sul piano sostanziale sulla legittimazione a ricorrere al giudice tributario Se il concetto di parte processuale è stato tradizionalmente impiegato dal legislatore in modo non univoco ma polivalente (41), esso ha finito per assumere un significato meramente formale, designando semplicemente il soggetto che invoca l’intervento dell’autorità giurisdizionale affinché emani un determinato provvedimento giudiziale (attore) e quello nei cui confronti è richiesta la tutela giurisdizionale (convenuto) (42). Diversamente, può dirsi parte qualificata (o giusta parte) (43), legittimata ad agire nel processo tributario quella che invoca la tutela di una propria posizione giuridica soggettiva (che i diversi autori hanno qualificato, a seconda dei casi, come diritto soggettivo o interesse legittimo) nei confronti di uno degli atti autonomamente impugnabili emessi nei suoi confronti dall’ente impositore o dal Concessionario del servizio di riscossione (44). –––––––––––– (41) Così A. Proto Pisani, Parte (dir. proc. civ.), in Enc. dir., vol. XXXI, Milano, 1981, 920. (42) Così L. Castaldi, Delle parti e della loro rappresentanza e assistenza in giudizio, in AA.VV., Il nuovo processo tributario, Milano, 2004, 129 e ss. e analogamente, M. Dal Zilio, Commento all’articolo 10 del d.lgs. 546/92, in AA.VV., Commentario breve alle leggi sul processo tributario, a cura di Consolo e Glendi, Padova, 2005, 87 e ss. (43) Così E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, (ristampa aggiornata), Milano, 2002, 86. (44) In questi termini C. Glendi, Processo XII, Processo tributario, in Enc. giur. Trecc., Roma, Agg., 2004, 5 (ad vocem), Id., Giudicato, Diritto tributario, in Enc. giur. Trecc., Roma, Agg., 2003, 4 (ad vocem); Id., L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 209 e ss., il quale com’è noto, ritiene che la legittimazione ad agire si ricolleghi all’affermazione della lesione dell’interesse legittimo del ricorrente; P. Russo, Manuale di diritto tributario, Il processo tributario, Milano, 2005, 60 e ss., il quale all’opposto (si veda specificamente quanto sostenuto dallo stesso autore nel Manuale di diritto tributario, edizione 1994, 103 e nella voce Processo tributario, in Enc. dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, 770), qualifica la situazione soggettiva del contribuente bisognosa di tutela come diritto soggettivo; L. Castaldi, Delle parti e della loro rappresentanza e assistenza in giudizio, cit., 130 e ss.; F. Pistolesi, Le parti del processo tributario, in Riv. dir. fin., 2002, I, 62 e ss. al quale si deve il rilievo che: «la qualità di parte la si assume per il semplice fatto di proporre ricorso al Giudice speciale tributario (quanto al ricorrente) e di essere il destinatario della domanda e del provvedimento giurisdizionale, rispettivamente, contenuta e richiesto nel medesimo ricorso (avuto riguardo al resistente). Per converso, e stando all’ordine di idee maturato nel processo civile, la legittimazione ad agire spetta a colui che si afferma titolare della situazione giuridica soggettiva in ordine alla quale si invoca la tutela giurisdizionale, sempre che non ricorrano ipotesi di legittimazione straordinaria o di sostituzione processuale. Legittimato a resistere è, poi, il soggetto nei riguardi del quale la parte che ha dato avvio al processo afferma che può dispiegarsi la tutela richiesta e produrre i propri effetti il provvedimento giurisdizionale di cui è postulata l’emanazione (poiché costui corrisponde a chi, sempre secondo la prospettazione offerta dal ricorrente, è controparte di quest’ultimo nel rapporto sostanziale dedotto in causa)». Analogamente F. Napolitano, Le parti, in AA.VV., Il processo tributario (a cura di F. Tesauro), 794 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA Insomma, legittimato ad instaurare un processo tributario che sia idoneo ad addivenire ad una pronuncia sul merito è solo il soggetto che sia destinatario di uno degli atti impugnabili previsti dall’articolo 19 del decreto sul contenzioso, in quanto incluso dalla norma impositiva tra i soggetti passivi del tributo, ovvero, il contribuente cui venga negato, anche tacitamente, il rimborso di un tributo indebitamente versato (45). Orbene, poiché una domanda di rimborso dell’imposta indebitamente pagata può essere presentata solo dal contribuente che abbia versato una somma a titolo d’imposta all’ente impositore, non può essere richiesta all’Amministrazione finanziaria la restituzione dell’accisa incorporata nel prezzo del gas metano, pagata dal consumatore finale al fornitore del gas. Invero, l’art. 14 del d.lgs. n. 504 del 1995 ricollega il diritto al rimborso dell’accisa all’indebito pagamento dell’imposta medesima da parte del contribuente. Ne consegue che l’eventuale parere negativo espresso al riguardo dall’Amministrazione finanziaria, appositamente adita dal predetto consumatore, non costituisce, sotto il profilo giuridico, un atto di diniego della restituzione dell’accisa che si assume indebitamente pagata. Tale atto, pertanto, non sarà impugnabile dinanzi al giudice speciale tributario, ai sensi dell’art. 19, lett. g) del d.lgs. n. 546 del 1992, attraverso l’esercizio di un’azione di rimborso dell’imposta (46). Il punto, oggetto della controversia cui si riferisce la sentenza che si annota, è ben chiarito dalla Commissione tributaria di Ravenna, nella parte in cui detto giudice individua direttamente i soggetti passivi in coloro che vendono direttamente il prodotto ai consumatori (cfr. art. 26, 4° comma, del d.lgs. citato). –––––––––––– Torino, 1998, 181 e ss.; F. Batistoni Ferrara, Appunti sul processo tributario, Padova, 1995, 30, il quale, invece, precisa che: «se da un punto di vista formale la veste di attore non può che essere attribuita al contribuente, il quale, impugnando l’atto, investe il giudice la cognizione della lite, sul piano sostanziale occorre riconoscere che attore è, in realtà, l’ufficio». Ciò in quanto l’emanazione dell’atto sostanziale da parte dell’ufficio delimita i fatti costitutivi della pretesa fiscale e costituisce titolo e causa dell’azione. Negli stessi termini anche C. Bafile, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, 47 e F. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, Rimini 1991, 75, il quale ricorda che legittimato a promuovere il processo tributario di impugnazione è solo colui «a carico del quale l’atto istituisce effetti giuridici, e che è, quindi, titolare o asserito titolare del diritto d’impugnazione dell’atto di imposizione illegittimo». Quest’ultimo autore, peraltro, richiama espressamente sul punto E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 264 e ss. (45) Occorre precisare che non sempre il diritto alla restituzione si ricollega all’effettuazione da parte del soggetto passivo di un pagamento non dovuto, cioè privo, sin dall’origine o in virtù di un fatto sopravvenuto, di una causa giustificativa, ma può derivare anche dal verificarsi di fatti che operano indipendentemente rispetto alla causa giustificatrice del pagamento (che rimane valida), come avviene nelle ipotesi di restituzione previste dalla legislazione relativa all’imposta di registro, all’invim e all’imposta sulle successioni donazioni, nonché per i crediti di rimborso dell’iva derivanti da un’eccedenza dell’ammontare dell’imposta versata sugli acquisti di beni e servizi rispetto a quella riscossa sulle cessioni effettuate. Così G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2003, 514. (46) Per approfondimenti si rinvia a R. Schiavolin, Commento all’articolo 19, in AA.VV., Commentario breve alle leggi sul processo tributario, a cura di C. Consolo C. Glendi, cit., 198 e ss.; C. Glendi, Processo XII, Processo tributario, cit., 7 (ad vocem); P. Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, 23 e ss. e 104 e ss.; G. Tabet, Le azioni di rimborso, in AA.VV., Il processo tributario (a cura di F. Tesauro), cit., 405 e ss.; F. Batistoni Ferrara, Appunti sul processo tributario, cit., 56 e ss.; F. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, cit., 99 e ss. PARTE SECONDA 795 Contribuente di diritto è, pertanto, solo l’ente erogatore (società privata o Comune), il quale, solo, è legittimato a richiedere all’Erario, nei termini di legge, la restituzione dell’accisa indebitamente pagata. Il consumatore finale, pertanto, resta estraneo al rapporto obbligatorio d’imposta configurato dal d.lgs. n. 504 del 1995, pur essendo definitivamente «inciso» dall’onere tributario, per effetto del meccanismo di traslazione dell’imposta. Ne deriva che non rientrano tra le liti di rimborso previste dall’art. 19, lett. g) del d.lgs. n. 546 del 1992 quelle che si sostanziano nella richiesta di restituzione delle somme corrispondenti ai tributi versati dal consumatore finale del gas al proprio fornitore. In conclusione, secondo il giudice ravennate, l’estraneità del consumatore finale del gas metano al rapporto tributario avente ad oggetto l’obbligo di pagamento dell’accisa sul medesimo idrocarburo fornito agli utenti, comporta l’improponibilità del ricorso alle Commissioni tributarie. L’affermazione è coerente con la configurazione della giurisdizione tributaria quale giurisdizione speciale sulle liti instaurate tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti passivi individuati dalla singola legge impositiva, aventi ad oggetto l’impugnazione di un atto tipico previsto dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (47). 6. – L’esclusione della legittimazione ad agire in capo ai consumatori finali e le analogie con la disciplina dell’iva Dopo aver escluso che la richiesta di restituzione delle somme pagate dal consumatore finale all’ente erogatore (soggetto passivo) possa dar luogo ad un’azione di rimborso ai sensi dall’art. 19, lett. g) del d.lgs n. 546 del 1992, la Commissione tributaria provinciale di Ravenna ha precisato che le somme chieste in restituzione dal consumatore finale del gas non sono configurabili «come accise sul gas metano, bensì come parte integrante dei corrispettivi pagati all’ente erogatore in adempimento dei contratti di fornitura del gas stipulati con l’impresa distributrice. La richiesta di rimborso di tali somme non può perciò essere indirizzata all’Amministrazione finanziaria che è estranea al rapporto privatistico di fornitura». La giurisdizione tributaria, ormai divenuta generale (48) e comprensiva di –––––––––––– (47) In questi termini cfr. da ultimo Cass., sez. un., 22 ottobre 2003, n. 15808, in Fisco, 2003, 7091. (48) Sulle conseguenze dell’ampliamento della giurisdizione tributaria ad opera dell’art. 12, 2° comma, della l. 28 dicembre 2001, n. 448, si vedano gli interventi di P. Russo, I nuovi confini della giurisdizione tributaria, in Rass. trib., 2002, 415 e ss.; Id., Questioni preliminari ed incidentali di competenza delle Commissioni tributarie, in Riv. dir. trib., 2002, I, 1197 e ss.; A. Rossi, Estesa la giurisdizione delle commissioni tributarie, in Fisco, 2002, 1054 e ss.; Id., La nuova giurisdizione tributaria. Regime transitorio e problemi di coordinamento, in Fisco, 2002, 1391 e ss.; M. Cantillo, Aspetti problematici dell’istituzione della giurisdizione generale tributaria, in Rass. trib., 2002, 803 e ss.; M. Scuffi, L’unità della giurisdizione tributaria, in Fisco, 2002, 1, 2898 e ss.; Id., I poteri delle Commissioni tributarie al cospetto delle nuove materie litigiose, Fisco, 2002, 1, 4948 e ss.; E. Manzon, Legge finanziaria per il 2002: le Commissioni tributarie verso l’apoteosi. È vera gloria? in Riv. dir. trib., 2002, I, 171 e ss.; M. Blandini, Il processo tributario, Milano, 2002, 46 e ss.; G. Marongiu, La rinnovata giurisdizione delle Commissioni tributarie, in Rass. trib., 2003, 115 e ss.; E. Fortuna, Gli attuali confini della giurisdizione tributaria, in Riv. dir. trib., 2003, I, 11 e ss.; A. Turchi, Considerazioni in merito all’unificazione della giurisdizione in materia tributaria, in Riv. dir. 796 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati» (art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992) (49), è costretta ancora una volta a confrontarsi con i suoi limiti: «esterni» ed «interni» (50). Tra i primi rileva, per quanto qui interessa, la mancata configurazione delle somme di cui è chiesto il rimborso quali «tributi», tra i secondi la mancanza di un atto, qualificabile come «diniego espresso di restituzione di tributi», impugnabile ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. Tale situazione, più volte vagliata della Corte di legittimità con riferimento alle istanze di rimborso dell’Iva versata dai consumatori finali ai soggetti passivi (51), è alla base di numerose pronunce di diniego della giurisdizione tributaria (52). La Cassazione, invero, ha precisato che «nella disciplina dell’iva, soggetto passivo del tributo, e quindi legittimato a richiederne il rimborso, ove il pagamento non sia dovuto, è, ai sensi dell’art. 17 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, il cedente del bene o il prestatore del servizio, non già il cessionario o il committente, i quali ultimi, come semplici soggetti d’iva, cioè soggetti solo economicamente incisi e consumatori finali, rimangono estranei al rapporto con l’Amministrazione finanziaria» (53). Tale affermazione si basa sul rilievo che i rapporti tra i soggetti coinvolti nell’appliczione dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi degli artt. 17 e 18 del d.p.r. n. 633 del 1972 (quello tra l’Amministrazione finanziaria ed il cedente che ha ad oggetto il pagamento dell’imposta, quello tra cedente e cessionario che ha ad oggetto la rivalsa (54) e quello, eventuale, tra l’Amministrazione fi–––––––––––– trib., I, 2002, 505 e ss.; Id., I poteri delle parti nel processo tributario, Torino, 2003, 84 e ss.; G.M. Cipolla, Le nuove materie attribuite alla giurisdizione tributaria, in Rass. trib., 2003, 463 e ss.; A. Fantozzi, Nuove forme di tutela delle situazioni soggettive nelle esperienze processuali: la prospettiva tributaria, in Riv. dir. trib., 2004, I, 3 e ss. e, da ultimo, ampiamente, C. Glendi, Processo XII, Processo tributario, cit., 2 (ad vocem) e P. Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, cit., 18 e ss.; M. Giorgetti, Commento all’art. 2 del d.lgs. 546/92, in Commentario breve alle leggi sul processo tributario, a cura di Consolo e Glendi, cit., 10 ss. (49) L’espressione «comunque denominati» è stata aggiunta nel testo dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, dall’art. 3-bis, 1° comma, lett. a), del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (convertito in l. 2 dicembre 2005, n. 248), pubblicato in Gazz. uff. n. 230 del 3 ottobre 2005 ed in vigore dal 4 ottobre 2005. Sul punto si veda U. Perrucci, Evoluzione del processo tributario nel corso del 2005, in Boll. trib., 2005, 1864 e ss. (50) Su cui si vedano P. Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, cit., 19, C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, cit., 255 e ss.; L. Del Federico, La giurisdizione, in AA.VV., Il processo tributario (a cura di Tesauro), cit., 25 e ss. (51) In argomento, senza pretesa di esaustività, si rinvia a L. Carpentieri, L’imposta sul valore aggiunto, in A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 931 e ss.; A. Comelli, Iva comunitaria e iva nazionale, Padova, 2000, 461 e ss.; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Il sistema dei tributi in Italia, Padova, 2003, 495 e ss.; P. Filippi, Valore aggiunto (imposta sul), in Enc. dir., vol. XLVI, Milano, 1993, 135 e ss.; R. Lupi, Imposta sul valore aggiunto, in Enc. giur. Treccani, vol. XVI, Roma, 1989; M. Interdonato, I soggetti passivi, in AA.VV., L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 123 e ss. (52) Sul punto si veda quanto recentemente stabilito dalla Cass., sez. trib., 4 maggio 2005, n. 9191, in Fisconline, Banca dati tributaria, ETI, Wolters Kluwer Italia Professionale. (53) Così Cass., sez. trib., 19 febbraio 2004, n. 3306, Giust. civ. Mass., 2004, 314. (54) In particolare, la rivalsa è definita del giudice di legittimità come quel peculiare diritto del cedente verso il cessionario che sorge al momento dell’effettuazione dell’operazione assoggettabile all’iva, collateralmente al sorgere dell’obbligazione tributaria del cedente, ma autonomamente ed indipendentemente da essa. Tale diritto ha, quale oggetto, la pretesa al PARTE SECONDA 797 nanziaria ed il cessionario soggetto passivo iva avente ad oggetto la detrazione del tributo assolto in via di rivalsa), pur essendo collegati, sono autonomi e non interferiscono tra loro (55). Ne deriva che il rapporto tra il cedente ed il cessionario riguardante il diritto di rivalsa ha natura esclusivamente privatistica senza alcun profilo o riflesso tributario posto che non incide in alcun modo sul rapporto tra cedente e l’Amministrazione fiscale; e, in definitiva, che spetta all’autorità giudiziaria ordinaria la giurisdizione sull’azione con la quale il cessionario, assumendo di aver indebitamente versato a titolo di rivalsa Iva, una somma maggiore di quella dovuta chieda la condanna del cedente alla restituzione dell’indebito: ciò, quand’anche la controversia abbia ad oggetto l’identificazione della specifica aliquota iva riguardante il negozio intercorso tra le parti (56). Lo stesso ragionamento porta il giudice tributario ravennate ad affermare, nella sentenza che si commenta, la natura privatistica delle somme versate dal consumatore finale alla società erogatrice e ad escludere un rapporto diretto tra l’Amministrazione finanziaria ed il consumatore del gas metano, «contribuente di fatto» della relativa accisa. 7. – La tutela del «contribuente di fatto» dinanzi al giudice ordinario Resta dunque da affrontare il tema della tutela giurisdizionale dell’utente finale del gas metano che, avendo indebitamente pagato al fornitore quella parte del prezzo di vendita corrispondente all’accisa non dovuta, si veda negare dalla Commissione adita la legittimazione ad agire nel processo tributario e, in sostanza, opporre il difetto di giurisdizione del giudice. Sul punto, il giudice ravennate, seguendo l’impostazione della Suprema Corte, evidenzia che il diniego della giurisdizione tributaria, non priva del tutto l’utilizzatore finale della tutela giurisdizionale garantita dalla Costituzione, in quanto il cessionario del bene, inciso in via definitiva dalla traslazione del carico fiscale, può sempre far valere il suo diritto alla restituzione della somma indebitamente pagata nei confronti del cedente (soggetto passivo del tributo, iva o accisa) dinanzi al giudice ordinario. In questi casi, secondo il giudice di legittimità, l’autorità giudiziaria ordinaria avrebbe il potere di stabilire se la domanda possa essere proposta, oltre –––––––––––– pagamento da parte del cessionario, in aggiunta al corrispettivo contrattuale dell’operazione, di una somma di denaro da determinarsi non già in relazione al debito tributario del cedente, bensì autonomamente in misura pari all’importo dell’iva gravante sull’operazione secondo il regime vigente al momento della sua effettuazione. Pertanto, la rivalsa dà luogo ad un’obbligazione ex lege del cessionario verso il cedente che si aggiunge all’ammontare del corrispettivo che rimane soggetto al regime civilistico. In questi esatti termini Cass., sez. un. civ., 22 maggio 1998, n. 5140, in Riv. giur. edil., 1999, I, 141 ed in Urbanistica e appalti, 1998, 1081. Analogamente in dottrina, F. Florezano, Il diritto di rivalsa, in AA.VV., L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 284 e 285, ma diversamente A. Comelli, Iva comunitaria e iva nazionale, cit., 655 e ss. il quale sottolinea l’essenza tributaria dell’istituto, la quale finisce per prevalere sul profilo privatistico, risultando, altresì, di fondamentale importanza per l’individuazione dell’attitudine alla contribuzione del soggetto passivo realmente colpito dall’imposta sul valore aggiunto. (55) Cfr. Cass., sez. trib., 27 giugno 2001, in Corr. giur., 2001, 1314 e ss., con nota di Cicala. (56) In questi esatti termini, ancora Cass., sez. un. civ., 22 maggio 1998, n. 5140, cit. 798 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA che contro il soggetto passivo dell’imposta, anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (57). Dunque, nei casi come quello trattato dalla sentenza in commento, in cui il giudice neghi la propria giurisdizione, il contribuente, ove persista l’interesse ad agire e l’esercizio del diritto non sia prescritto, dovrebbe rassegnarsi ad adire il giudice ordinario, citando a comparire sia la società erogatrice del gas metano, sia l’Amministrazione finanziaria. Va precisato, tuttavia, che non ritenendosi ammissibile nel processo tributario la c.d. traslatio iudici prevista dall’art. 5, 5° comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 solo per la pronuncia d’incompetenza (58), la sentenza con quale la Commissione declina la propria giurisdizione si traduce in una vera e propria absolutio ab istantia, senza che «possa essere evitata la decadenza normativamente prevista per l’irrituale o tardiva proposizione del ricorso contro l’atto impugnato» (59). Pertanto, nella maggior parte dei casi, la successiva controversia instaurata –––––––––––– (57) In questi termini Cass., sez. un. civ., 14 maggio 2001, n. 208, in Giur. it., 2002, 645, in Rass. trib., 2002, 1067, retro, 2002, II, 503, con nota di Capitani De Vimercate, in Giur. imp., 2001, 1050, in Corr. giur., 2001, 1312 con nota di Cicala; ma analogamente Cass., sez. un. civ., 22 maggio 1998, n. 5140, cit. alla nota n. 54; Cass., sez. un. civ., 22 novembre 1995, n. 11313, in Giur. it., 1996, I, 1, 449; Cass., sez. un. civ., 21 febbraio 1992, n. 2138, in Corr. trib., 1992, 1093, in Riv. dir. trib., 1992, II, 652, nota di Nocerino, in Boll. Trib., 1992, 1209 ed in Comm. trib. centr., 1992, II, 719; Cass., sez. I, 13 marzo 1992, n. 3078, in Boll. trib., 1993, 169 e retro, 1993, II, 257 con nota di Messina; Cass., sez. un. civ., 14 dicembre1992, n. 13199, in Giust. civ. Mass., 1992, 1868; Cass., sez. un. civ., 13 dicembre 1991, n. 13446, in Comm. trib. centr., 1992, II, 574; Cass., sez. un. civ., 3 febbraio 1989, n. 657, in Rass. trib., 1989, II, 1229 (tutte anche in DVD Iurisdata). In particolare nella prima delle citate pronunce la Suprema Corte afferma che: «Rientra nella sfera della giurisdizione ordinaria, e non nell’ambito di quella delle commissioni tributarie, la controversia promossa dal cessionario di un bene – consumatore finale – intesa a realizzare il suo dedotto diritto a conseguire, dall’Amministrazione finanziaria, il rimborso della parte dell’iva. da lui pagata sull’accisa corrisposta per alcuni acquisti di gasolio. Più in particolare, il processo tributario, siccome modellato dal d.p.r. n. 636 del 1972 e (con contenuti sostanzialmente coincidenti) dal d.lgs. n. 546 del 1992, ha una configurazione particolare che lo differenzia sia da quello civile classico che da quello amministrativo ‘di annullamento’, posto che, non solo deve essere introdotto attraverso la impugnazione di specifici e delimitati atti ed in relazione a specifici rapporti d’imposta, ma rimane esso stesso delimitato dai confini del rapporto tributario, con la conseguenza ulteriore che la stessa giurisdizione delle commissioni tributarie non si esprime al di là degli stessi confini oggettivi e soggettivi del rapporto tributario, per cui il consumatore finale, siccome estraneo al rapporto d’imposta iva., non può adire le commissioni tributarie, ma è tenuto a rivolgersi, onde far valere le sue dedotte pretese, esclusivamente al giudice ordinario». Più precisamente, prosegue la Corte: «Il consumatore finale, soggetto passivo di fatto nel meccanismo di applicazione dell’iva ed estraneo al rapporto tributario, non difetta di legittimazione all’azione di rimborso, ma non è in grado di esperire tale rimedio con ricorso alle commissioni tributarie; per ottenere tutela giurisdizionale potrà rivolgersi, in quanto l’iva costituisce parte integrante del corrispettivo pagato, dinanzi al giudice ordinario». (58) Cioè il meccanismo della riassunzione del processo davanti al giudice dichiarato competente ex art. 5, 5° comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 e più in generale dall’art. 50 c.p.c. (59) In questi esatti termini C. Glendi, Processo XII, Processo tributario, op. cit., 4 (ad vocem) e, in termini analoghi, L. Del Federico, La giurisdizione, in AA.VV., Il processo tributario (a cura di F. Tesauro), Torino, 1998, 73 e ss.; G. Gioia, Commento all’articolo 3 del d.lgs. 546/92, in AA.VV., Commentario breve alle leggi sul processo tributario, a cura di C. Consolo e C. Glendi, cit., 34 e ss. PARTE SECONDA 799 dinanzi al giudice ordinario potrà avere ad oggetto solo il rapporto privatistico di fornitura per accertare la corretta determinazione da parte del cedente del gas del corrispettivo della fornitura, senza che sia ammissibile contestare la legittimità del diniego di rimborso emesso dall’Ufficio finanziario e non impugnato dal soggetto legittimato dinanzi al giudice tributario competente nel termine di 60 giorni (o novanta nei casi di diniego tacito) di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992. Ma, a ben guardare, l’affermazione del giudice di legittimità secondo cui nelle imposte indirette i cui effetti si ripercuotono sui consumatori finali (iva, accise, dazi all’importazione) sarebbero da ravvisare, in luogo di un rapporto processuale unico inscindibile (60), due rapporti distinti ed autonomi quali sono quello (tributario) tra l’Amministrazione finanziaria ed il fornitore del gas (soggetto passivo dell’accisa), e quello (privatistico) tra quest’ultimo e l’utente finale (contribuente di fatto) (61), ciascuno soggetto alle proprie ferree regole di giurisdizione, porta a negare in radice (e a prescindere dal decorso dei termini per l’impugnazione degli atti tributari), la configurabilità del simultaneus processus dinanzi al giudice ordinario. Invero, l’Ufficio dell’Agenzia che fosse chiamato nel processo civile, potrebbe agevolmente eccepire il difetto di giurisdizione dell’A.g.o. sul rapporto tributario stante la devoluzione di quel rapporto alla cognizione esclusiva del giudice tributario delineata dal combinato disposto degli artt. 2 e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (62). Ne deriva che, fino a quando la giurisprudenza non si spingerà a delineare tra i due rapporti sopra considerati di una situazione di litisconsorzio necessario, analogamente a quanto stabilito in tema di controversie tra sostituto e sostituito, in cui si ritiene necessaria la partecipazione dell’Amministrazione finanziaria (63), devono estendersi al caso in esame le conclusioni cui è giunta autorevole dottrina, secondo cui, mancando alcuna specifica norma in proposito, i contribuenti di fatto (dell’iva, ma lo stesso può dirsi per gli utenti finali del gas metano costretti a sopportare la relativa accisa), non hanno la possibilità di adire il giudice speciale tributario e le controversie tra questi ultimi ed i soggetti passivi restano di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria. Peraltro, «nei relativi giudizi la questione tributaria ha carattere meramente incidentale e non può trasformarsi in causa pregiudiziale né coinvolgere direttamente l’Amministrazione finanziaria» (64). Tutto ciò può certo comportare il rischio di giudicati contrastanti, ovvero impedire al soggetto passivo del tributo che sia condannato nel processo civile a restituire l’imposta indebitamente traslata sul consumatore finale di ottenerne il –––––––––––– (60) Sul punto si veda più approfonditamente B. Bellè, Il processo tributario con pluralità di parti, Torino, 2002, 89 e ss. (61) Così Cass., sez. un. civ., 14 maggio 2001, n. 208, cit.; Cass., sez. un. civ., 22 maggio 1998, n. 5140, cit.; Cass., sez. un. civ., 22 novembre 1995, n. 11313, cit. (62) Sulla nozione di «esclusività» si rimanda a F. Batistoni Ferrara - B. Bellè, Diritto tributario processuale, Padova, 2005, 32. Per le diverse letture del concetto di «esclusività» proposte dalla dottrina si veda L. Del Federico, La giurisdizione, in AA.VV., Il processo tributario (a cura di Tesauro), cit., 34 e ss. (63) Per approfondimenti si rinvia a L. Castaldi, Litisconsorzio e intervento, in AA.VV., Il nuovo processo tributario, Milano, 2004, 168 e ss.; L. Baccaglini, Commento all’articolo 14, in AA.VV., Commentario breve alle leggi sul processo tributario, a cura di C. Consolo e C. Glendi, cit., 122 e ss. (64) C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, cit., 778. 800 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA rimborso dall’Erario ove siano decorsi i termini di decadenza per presentare la relativa istanza all’ufficio competente e per impugnare l’eventuale diniego di rimborso. Ma questo rischio può essere posto senz’altro a carico dei soggetti passivi individuati dall’art. 26 del d.lgs. n. 504 del 1992, cui la legge impone di dotarsi di un’apposita organizzazione anche per provvedere al corretto e puntuale versamento dell’accisa (65). 8. – Considerazioni conclusive Affermando l’improponibilità del ricorso ad essa proposto, la Commissione tributaria di Ravenna ha statuito che: «Non rientrano tra le liti di rimborso previste dall’art. 19, lett. g) del d.lgs n. 546 del 1995 quelle che si sostanziano nella richiesta di restituzione di tributi versati dal consumatore finale del gas all’Amministrazione finanziaria». Ne deriva che non possono essere impugnati in sede tributaria né «i chiarimenti» né «i pareri» eventualmente rilasciati dagli uffici finanziari agli utenti finali del gas metano ed aventi ad oggetto la spettanza, o meno, delle agevolazioni previste nel settore, nonché la restituzione della parte di prezzo, corrispondente all’accisa, versata in eccesso al fornitore del gas. Quanto detto, vale, ovviamente, anche al di fuori dell’area del gas metano, per tutti gli atti di natura interlocutoria e non provvedimentale comunicati dagli uffici finanziari ai soggetti estranei al rapporto d’imposta, ancorché destinati a sopportare in via definitiva l’incidenza economica del tributo. Ciò posto, tali atti non dovranno recare la formula che ne indica l’impugnabilità in Commissione, in quanto essi, non rientrando nel novero di quelli «impositivi» di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 504 del 1995 (66), non sono soggetti all’obbligo previsto dall’art. 7, 2° comma, lett. b) della l. n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente). Non pare, invece, che rispetto a tali atti l’Amministrazione possa esimersi dall’obbligo di motivazione, la quale, anche per effetto di quanto disposto dall’art. 7, 2° comma, della l. n. 12 del 2000 (che esige la motivazione di tutti gli atti emessi dall’Amministrazione finanziaria, non limitandosi a sancirne l’obbligatorietà per i soli provvedimenti), costituisce un requisito sostanziale dell’atto amministrativo, garanzia di trasparenza dell’azione amministrativa e condicio sine qua non per il pieno esercizio del diritto di difesa del cittadino (67). –––––––––––– (65) In questi termini, sia pure con riferimento ai rapporti tra cedente i cessionario nell’iva, C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, cit., 778, le cui considerazioni sono perfettamente estensibili anche ai rapporti sostanziali e processuali tra i soggetti passivi dell’accisa sul gas metano ed i contribuenti di fatto su cui grava la stessa imposta (66) Per approfondimenti sugli atti emessi dall’Agenzia delle Dogane impugnabili nel processo tributario si rinvia a F. Cerioni, Gli atti dell’Agenzia delle dogane e la giurisdizione tributaria, in Rass. trib., 2004, 383 e ss. Per quanto, in particolare riguarda l’impugnabilità in Commissione del diniego di autotutela si vedano, da ultimo, E. De Mita, La cassazione inciampa nel rifiuto di autotutela, in Il Sole 24 Ore, del 1° novembre 2005, 23 e, per una diversa ricostruzione, F. Cerioni, Procedimenti di autotutela, dovere di riesame e tutela giurisdizionale in ambito tributario, commento alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, 10.8.2005, n. 16776, in Riv. giur. trib., 2005, 1005. (67) Sulla motivazione si veda, per tutti, M.S. Giannini, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. dir., vol. XXVII, Milano, 1977, 257 e ss. Si esprime in senso favorevole alla motivazione degli atti non provvedimentali E. Casetta, Manuale di diritto ammi- PARTE SECONDA 801 Diversamente, deve ritenersi che l’erronea indicazione della giurisdizione tributaria da parte dell’ufficio, traducendosi in mero vizio formale (in grado, tuttavia, di ridurre le garanzie defensionali del contribuente) (68), anche alla luce di una ormai consolidata giurisprudenza amministrativa, non pare possa determinare l’invalidità dell’atto (69), ma renderebbe scusabile l’erronea individuazione del giudice da parte del destinatario dello stesso e doverosa l’eventuale rimessione in termini del ricorrente, ove il giudice (ordinario) competente fosse adito tardivamente (70). In conclusione, analogamente a quanto da tempo affermato dalla giuri–––––––––––– nistrativo, Milano, 2005, 523. Analogamente R. Miceli, La motivazione degli atti tributari, in AA.VV., Statuto dei diritti del contribuente (a cura di A. Fantozzi e A. Fedele), Milano, 2005, 300 e ss.; A. Viotto, I poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2002, 289 e P. Selicato, L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, 262. Nonostante, si ritenga di dover condividere la tesi, basata sulla valorizzazione delle norme dello Statuto del contribuente favorevole all’obbligo di motivazione di tutti gli atti dell’amministrazione finanziaria, compresi quelli a contenuto non provvedimentale, non può non tenersi conto del fatto che la più recente giurisprudenza amministrativa, applicando il nuovo dell’art. 21-octies, 2° comma, della l. n. 241 del 1990 (novellata dalla l. n. 15 del 2005) e valorizzando il controllo della legittimità sostanziale del procedimento amministrativo, rispetto alla legittimità formale dell’atto, tenda a ritenere non annullabile l’atto amministrativo immotivato che però risulti coerente con le finalità del potere esercitato dalla P.A. ed il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso (cfr. t.a.r. Abruzzo, Pescara, 4 aprile 2005, n. 185; t.a.r. Abruzzo, Pescara, 13 giugno 2005, n. 394; t.a.r. Sardegna, sez. I, 15 luglio 2005, n. 1653, tutte in www.lexitalia.it). Peraltro, ribaltando un consolidato indirizzo giurisprudenziale i giudici amministrativi ammettono ormai che la motivazione del provvedimento impugnato possa essere integrata nel corso del giudizio amministrativo (cfr. t.a.r. Campania, Salerno, sez. I, 4 maggio 2005, n. 760; t.a.r. Abruzzo, Pescara, 13 giugno 2005, n. 394, in www.lexitalia.it). In argomento D. De Carolis, Prime esperienze giurisprudenziali sulle nuove regole sull’azione amministrativa: alla ricerca dell’assetto perduto, in Urbanistica e appalti, 2006, 5 e ss. Ma corre l’obbligo di precisare che si tratta di pronunce basate sull’assetto di procedimenti ontologicamente differenti da quelli tributari, e l’applicabilità delle regole affermate nei diversi procedimenti impositivi vigenti in Italia è ancora tutta da verificare. (68) Sulle diverse patologie dell’atto amministrativo e sul loro rilievo sulla validità del provvedimento alla luce della novella si vedano F. Caringella, M.T. Sempreviva, Il procedimento amministrativo, Napoli, 2005; AA.VV., La nuova disciplina dell’azione amministrativa, a cura di R. Tomei, Padova, 2005, 569 ss., e, per i riflessi in campo tributario della novella sul procedimento, F. Tesauro, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, 1445 e ss. (69) Si veda, in proposito, quanto disposto per i vizi di carattere formale o procedimentali dall’art. 21-octies, 2° comma, della l. n. 241 del 1990, come novellata dalla l. n. 15 del 2005. (70) In giurisprudenza si vedano t.a.r. Toscana, sez. II, 29 aprile 2004, n. 1412, in Foro amm. TAR, 2004, 1017; t.a.r. Campania, Napoli, sez. II, 29 maggio 2003, n. 6536, in Foro amm. TAR, 2003, 1736, la quale dispone che: «La mancata indicazione del termine per ricorrere e dell’autorità giurisdizionale competente costituisce mera irregolarità dell’atto amministrativo, in quanto attiene ad elementi estrinseci e non incide sulla validità e sull’efficacia dell’atto ma impedisce solo la decorrenza del termine di impugnazione e può, pertanto, dare luogo alla rimessione in termini per errore scusabile». Analogamente t.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, dicembre 2001, n. 5185, in Foro amm., 2001, 3301, in Cons. di Stato, sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3752, in Foro amm., 2000, 2593. In dottrina, A. Cazzato, in AA.VV., Statuto dei diritti del contribuente (a cura di A. Fantozzi e A. Fedele), cit., 343 e ss., ma in particolare 355, ove si fa rinvio anche ad alcune significative pronunce emesse dai giudici tributari. 802 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA sprudenza in tema di imposta sul valore aggiunto, il consumatore del gas metano, contribuente di fatto della relativa accisa, dovrà richiedere la restituzione del maggior prezzo pagato alla società erogatrice, esercitando l’azione di restituzione dinanzi il giudice ordinario. In tale giudizio, tuttavia, stante l’esclusiva devoluzione delle liti fiscali alle Commissioni tributarie, non potrà essere chiamata in causa l’Amministrazione finanziaria (71). Sul piano sostanziale, ciò comporta che l’Amministrazione finanziaria essendo estranea al rapporto privatistico intercorrente tra il cedente ed il cessionario del gas metano, non potrà essere obbligata a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso pagato al fornitore (72). dott. FABRIZIO CERIONI Dottorando in diritto processuale tributario nell’Università di Pisa –––––––––––– (71) In tal senso, con riferimento all’iva, ma con motivazioni estensibili al caso in esame, cfr. C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, cit., 778. (72) Negli stessi termini, sempre con riferimento all’iva, si veda Cass., sez. trib., 27 giugno 2001, cit. alla nota n. 55.