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Père Lachaise Può sembrare irriverente intitolare una collana a un cimitero, ma il cimitero parigino del Père Lachaise è da sempre molto più di questo: è un luogo di memoria storica, culturale, monumentale, di culto anche pagano, di scoperta delle proprie radici. In questa collana troveranno posto autori fondamentali della letteratura mondiale oppure scrittori meno noti ma comunque di grande rilevanza, dei quali proporremo scritti inediti o testi da lungo tempo introvabili. © 2013 Edizioni Clichy - Firenze Edizioni Clichy Via Pietrapiana, 32 50121 - Firenze www.edizioniclichy.it Isbn: 978-88-6799-029-0 Stefan Zweig Estasi di libertà Traduzione di Luciana Rotter Edizioni Clichy Nota dell’Editore Questo romanzo, scritto negli anni Trenta da Stefan Zweig, è stato pubblicato per la prima volta in Germania dall’editore Fischer Verlag, nel 1982. Knut Beck, curatore dell’edizione tedesca, spiegava nella sua nota la storia della stesura del romanzo e gli interventi redazionali che erano stati necessari per la pubblicazione integrale dell’opera, ormai ritenuta fondamentale per la comprensione dello scrittore. Zweig iniziò a scriverlo nel 1931, interrompendosi per numerose difficoltà che esplicitamente confessa in alcune lettere. Inizialmente lo scrittore pensò ad un semplice racconto lungo, che poi decise di ristrutturare nel 1940 insieme a Berthold Viertel per trarne la sceneggiatura di un film. Il film venne poi effettivamente realizzato, nel 1950, da Wilfried Franz, con il titolo Das gestohlene Jahr, interpretato tra gli altri 5 Stefan Zweig da Oskar Werner, l’attore di Jules e Jim, di François Truffaut, e recava il sottotitolo: «Tratto da un racconto di Stefan Zweig e Berthold Viertel». La sceneggiatura era stata riscritta da Walter von Hollander. Non si sa molto della seconda parte del romanzo. Si presume che Zweig l’abbia scritta durante il suo esilio a Londra tra il 1934 e il 1938. Molti frammenti sono stati inseriti e poi tolti dallo stesso Zweig. In quegli anni lo scrittore viene influenzato dal rapporto con Lotte Altmann e dalla situazione politica austriaca, e secondo Knut Beck è possibile individuare numerose tracce di tutto questo nella figura della protagonista del romanzo, Christine Hoflehner, e in quella del coprotagonista Ferdinand Farrner, in particolare per quanto riguarda la loro posizione contro lo Stato e le ingiustizie. L’edizione pubblicata nel 1982, da cui è fedelmente tratta la presente edizione italiana, è composta da una prima parte praticamente intatta e da una seconda in cui il curatore tedesco è intervenuto per omettere evidenti errori temporali e di nomi, trattandosi di una prima stesura che Zweig compì a distanza di anni dalla realizzazione della prima parte e che non ebbe mai tempo e modo di rivedere. Il titolo originale tedesco, Rausch der Verwandlung, proposto in Italia come Estasi di libertà, è stato scelto dall’editore nel 1982, rimandando a una 6 Estasi di libertà frase del libro. Zweig aveva infatti provvisoriamente intitolato il suo manoscritto Postfräuleingeschichte (letteralmente, Storia di una postina). 7 Estasi di libertà In Austria tutti gli uffici postali sono simili: chi ne ha visto uno li conosce tutti. Concepiti, o meglio uniformati, ai tempi di Francesco Giuseppe, attingono i miseri oggetti d’arredo dal fondo dello stesso magazzino ed emanano tutti lo stesso fastidio scontroso e malumore erariale; fino ai piedi dei ghiacciai del Tirolo nei paesini più sperduti delle montagne ognuno conserva testardamente quell’inconfondibile effluvio di ufficio vetero-austriaco odorante di fumo freddo di tabacco di pessima qualità e di polvere di vecchie pratiche ammuffite. Ovunque gli ambienti sono suddivisi allo stesso modo: una parete di legno con piccoli riquadri in vetro divide la stanza in due spazi, in un di-qua e in un di-là, le cui proporzioni sono rigorosamente osservate secondo prescrizioni date, vale a dire sono divise in un ambiente di accesso al pubblico e uno riservato agli addetti al servizio. 11 Stefan Zweig Che lo Stato tenga poco in considerazione i propri cittadini, costretti a lunghe attese nella parte a loro riservata, lo dimostra il fatto che mancano del tutto posti a sedere e qualsiasi altra comodità. L’unico mobile che si trova nella parte pubblica è un leggio orizzontale, traballante, appoggiato precariamente alla parete; coperto da un telo cerato tutto strappato, annerito da innumerevoli lacrime d’inchiostro nonostante nessuno ricordi di aver mai notato nel calamaio incassato altro che una poltiglia sgradevole, ispessita e inservibile, e se per caso nella scanalatura si dovesse trovare una penna sarebbe senz’altro usurata, spuntata e non adatta per scrivere. La parsimonia dell’erario non permette alcun comfort e tanto meno si adopera per l’aspetto estetico degli ambienti. Da quando la Repubblica ha eliminato il ritratto di Francesco Giuseppe dagli uffici pubblici, il decoro artistico sulle pareti di calcina sporca è costituito da manifesti che pubblicizzano con colori sgargianti mostre già concluse da tempo o l’invito all’acquisto di biglietti della lotteria; in taluni uffici più smemorati addirittura c’è ancora l’invito a sottoscrivere un prestito di guerra. Con questa misera decorazione e l’invito a non fumare, da nessuno preso in considerazione, 12 Estasi di libertà si esaurisce la generosità dello Stato per quanto riguarda gli spazi per il pubblico. Mentre più rispetto incute la parte riservata al servizio al di là del bancone. Qui in uno spazio ristretto lo Stato ostenta a dismisura con simboli inconfondibili il proprio potere e la propria grandezza. In un angolo nascosto si trova una cassaforte, le inferriate davanti alle finestre fanno supporre che veramente talvolta racchiuda dei valori considerevoli. Appoggiato sul bancone, brilla come un trofeo un apparecchio Morse di ottone lucidato, e più modestamente riposa accanto ad esso un telefono nero con il gancio di nichel. Solo a questi ultimi è concesso il privilegio di essere ospitati in uno spazio rispettabile, in quanto attraverso i loro fili di rame assicurano al minuscolo paesino isolato il collegamento con il resto del regno. Tutti i restanti utensili necessari al traffico postale sono ammassati l’uno accanto all’altro: la bilancia per i pacchetti e i sacchi per la posta, libri, cartelle, quaderni, registri e le piccole casse rotonde tintinnanti, bilance e pesi, matite nere, blu, rosse e color viola-inchiostro, fermagli, graffette, spago, ceralacca, spugnette e carta assorbente, gomma arabica, coltello, forbice e stecca piega carta. Tutto l’armamentario per il servizio postale sta sparpagliato pericolosamente su una scrivania larga 13 Stefan Zweig appena una spanna e un’inconcepibile quantità di diversi fogli e moduli si ammucchia in numerosi cassetti e tiretti. Lo spreco apparente di questa distribuzione è in verità ingannevole, poiché in sordina lo Stato impietosamente registra ogni pezzo del suo misero armamentario: dalla matita consumata al francobollo strappato, dal foglio di carta assorbente sfrangiato alla schiuma del sapone rimasta appiccicata sulla parete del lavandino, dalla lampadina che illumina l’ufficio alla chiave di ferro per chiuderlo. Di ogni pezzo d’arredo in uso o già consumato, l’erario senza pietà chiede conto ai propri impiegati. Sulla parete vicina alla stufa di ferro è appeso, scritto a macchina con timbro ufficiale, convalidato da firma illeggibile, un inventario minuziosamente redatto che elenca anche il più piccolo oggetto insignificante dell’ufficio postale e tutto con rigorosità aritmetica. Non c’è oggetto che si trovi nella parte riservata ai servizi che non sia elencato in tale lista e viceversa ogni pezzo elencato deve risultare al suo posto in ogni momento. Così vuole l’ufficio, l’ordine e la legge. A rigor di termini in questo inventario così completo, e battuto a macchina, dovrebbe essere menzionato anche quel qualcuno che alle otto di ogni mattina tira su il divisorio di vetro, mette 14 Estasi di libertà in movimento gli oggetti senza vita, apre i sacchi della posta, timbra le lettere, paga i vaglia, scrive le ricevute, pesa i pacchi, fa scorrere sui fogli di carta le matite blu, rosse, copiative, riempiendoli con strani segni criptici, libera il telefono dalla cornetta e avvia l’apparecchio Morse. Ma questo qualcuno, che per una sorta di rispetto viene chiamato dal pubblico perlopiù assistente o maestro delle poste, non appare su questo elenco. Il suo nome è registrato su un foglio a parte che si trova in un cassetto di un altro reparto della direzione delle poste, tenuto altrettanto in evidenza e spesso riesaminato e controllato. All’interno di questo ufficio, santificato da un’aquila imperiale, non avvengono mai cambiamenti tangibili. Alla sbarra erariale si annulla l’eterna legge del fare e del trascorrere del tempo. Mentre all’esterno e intorno alle case gli alberi fioriscono e poi appassiscono, i bambini crescono e i vecchi muoiono, le case vanno in rovina e riemergono mutate, l’ufficio ostenta la sua violenza sovrannaturale con la propria eterna immutabilità. Poiché per ogni oggetto che si trova all’interno di detto spazio o che si usuri o che si consumi, che si trasformi o cada a pezzi, verrà fatta richiesta di sostituzione con un esemplare identico e consegnato dalle autorità competenti 15 Stefan Zweig e sia dato come esempio alla volubilità del resto del mondo della superiorità dello Stato e di ciò che è lo Stato. Il contenuto svanisce, la forma rimane. Alla parete è appeso un calendario. Ogni giorno viene strappato un foglio, sette ogni settimana, trenta ogni mese. Quando il 31 dicembre il calendario è sottile e giunto alla fine, viene fatta richiesta di uno nuovo, dello stesso formato, stessa grandezza, stesso tipo di stampa: l’anno è cambiato, il calendario è rimasto tale e quale. Sul tavolo c’è un libro contabile con le pagine suddivise in colonne. Quando la parte sinistra è piena, la somma viene trascritta sulla pagina destra e così via da pagina a pagina. Completata l’ultima e finito il libro se ne inizia uno nuovo, dello stesso tipo, dello stesso formato da non distinguerlo dall’altro. Ciò che scompare, riappare il giorno seguente, con la stessa monotonia del servizio, e così sul solito piano di legno si trovano invariati gli stessi oggetti uniformi, gli stessi fogli e matite e graffette e moduli, sempre altri e sempre uguali. Niente scompare in questo spazio erariale, niente si aggiunge, senza che niente appassisca o rifiorisca, domina la solita vita o piuttosto la solita morte eterna. 16