Inquinamento elettromagnetico: spunti sulla disciplina comunitaria e

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Inquinamento elettromagnetico: spunti sulla disciplina comunitaria e
Inquinamento
Elettrosmog
Inquinamento elettromagnetico:
spunti sulla disciplina comunitaria
e nazionale, tra precauzione
e sostenibilità (parte prima)
3 Antonio Borzı̀
Principali fonti normative statali e ambito
oggettivo di applicazione della disciplina
Dopo i fatti di Fukushima l’interesse degli esperti e degli
operatori si è appuntato sulle novità in tema di tutela
dalle radiazioni ionizzanti, che, com’è noto, trova la principale fonte di disciplina nel Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica.
Il presente contributo si concentra sull’altro grande capitolo della disciplina giuridica delle emissioni elettromagnetiche: la tutela dalle radiazioni non ionizzanti.
In questa sede non è possibile illustrare la normativa
vigente in modo esaustivo, per cui appare più proficuo
procedere «per temi», al fine di verificare come si atteggino i principali nodi problematici del diritto dell’ambiente
(e, più in generale, del diritto amministrativo (1)) rispetto
alla disciplina in esame (2).
Fino al 2001, la disciplina giuridica sulla protezione
dalle radiazioni elettromagnetiche era contenuta essenzialmente in tre atti:
. il D.P.C.M. 23 aprile 1992 («Limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti
abitativi e nell’ambiente esterno»), emanato su proposta del Ministro dell’ambiente e del Ministro della sanità in base alla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente (legge n. 349 del 1986) essenzialmente per la
necessità di fissare limiti per l’esposizione della popolazione ai campi elettrici e magnetici generati dagli
elettrodotti (attuato con D.P.C.M. 28 settembre 1995);
. il D.M. 10 settembre 1998, n. 381 («Regolamento
recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana»), emanato
dal Ministero dell’ambiente, d’intesa con il Ministero
della Sanità e con il Ministero delle comunicazioni, in
forza della legge n. 249 del 1997, istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per fissare i
valori limite di esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici connessi al funzionamento ed all’esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz
. la legge 12 novembre 1996, n. 615 («Attuazione della
Direttiva n. 89/336/Cee del Consiglio del 3 maggio
1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica, modificata ed integrata dalla direttiva 92/31/
Cee del Consiglio del 28 aprile 1992, dalla Direttiva n.
93/68/Cee del Consiglio del 22 luglio 1993 e dalla Direttiva n. 93/97/Cee del Consiglio del 29 ottobre
1993»), che fissava i requisiti necessari per l’immissione in commercio di apparecchi in grado di generare
emissioni elettromagnetiche o il cui funzionamento
poteva essere alterato da disturbi elettromagnetici
presenti nell’ambiente.
Con la legge 22 febbraio 2001, n. 36 («Legge quadro
Note:
3 Dottore di ricerca in Diritto costituzionale presso l’Università di Ferrara e
consulente presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare. Le opinioni presenti in questo contributo sono espresse a titolo
personale.Il contributo riproduce, con alcuni approfondimenti, l’intervento
svolto nell’ambito del Convegno nazionale di radioprotezione, organizzato
dall’Associazione italiana di radioprotezione (AIRP), dall’ARPA Calabria e
dalla Regione Calabria, tenutosi a Reggio Calabria dal 12 al 14 ottobre
2011. La seconda parte sarà pubblicata in questa Rivista, n. 3/2012.
(1) Sul ruolo di diritto-pilota o diritto-sonda del diritto dell’ambiente si veda
su tutti:
– F. Spantigati, Le categorie giuridiche necessarie per lo studio del diritto
dell’ambiente, in Riv. giur. ambiente, 1999, 221 e segg.
(2) Su questo argomento si veda anche:
– S. Maglia, M.A. Labarile, Inquinamento elettromagnetico: il punto a 10 anni dalla legge quadro, in questa Rivista, 2010, 6, pag.531 e segg.;
– M.A. Labarile, Localizzazione degli impianti di telefonia mobile (nota a
Consiglio di Stato n. 9414/2010), in questa Rivista, 2011, 3, 238 e segg.;
– M.A. Labarile, Elettrosmog e getto pericoloso di cose: il caso Radio Vaticana, (nota a Cass. pen. n. 23262/2011, in questa Rivista, 2011, 8-9,
741 e segg.
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sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici»), l’ordinamento italiano si è
dotato di una disciplina generale e organica sulla tutela dall’inquinamento elettromagnetico, che trova
applicazione per tutti gli impianti, i sistemi e le apparecchiature per usi civili, militari e delle forze di polizia, che
possano comportare l’esposizione dei lavoratori, delle
lavoratrici e della popolazione a campi elettrici, magnetici
ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e
300 GHz; in particolare, la legge si applica agli elettrodotti
ed agli impianti radioelettrici, compresi gli impianti per
telefonia mobile, i radar e gli impianti per radiodiffusione
(è esclusa l’esposizione intenzionale a campi generati da
apparecchi diagnostici, art. 2).
L’Italia, attraverso la Legge quadro, ha raccolto l’esortazione della Comunità europea ad adottare «norme specifiche per quanto riguarda le sorgenti e le attività che
comportano l’esposizione ai campi elettromagnetici»
contenuta nella Raccomandazione del Consiglio del
12 luglio 1999, 1999/519/Ce, «relativa alla limitazione
dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz». La Comunità europea
non è intervenuta in questo settore con un atto vincolante, ma ha lasciato liberi gli Stati membri di introdurre, attraverso norme cogenti o volontarie, un quadro di
limiti all’esposizione ai campi elettromagnetici che avesse come base di riferimento i valori indicati nella Raccomandazione (individuati da uno studio della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non
ionizzanti - ICNIRP). La scelta per una disciplina generale
sulla protezione dai campi elettromagnetici fondata su un
atto non vincolante, giustificata con il richiamo al principio di proporzionalità dell’intervento delle istituzioni comunitarie (art. 5, par. 4 del Trattato sull’Unione europea),
ha come ragione di fondo l’esigenza di bilanciare la tutela
della salute con
«gli altri benefici nel campo della salute e della sicurezza, che i dispositivi emittenti campi elettromagnetici arrecano alla qualità della vita nei settori come le
telecomunicazioni, l’energia elettrica e la sicurezza
della popolazione» (considerando n. 7),
il tutto in un quadro di incertezza delle indicazioni provenienti dalla Comunità scientifica circa il livello di nocività
delle emissioni elettromagnetiche.
Diversamente, il legislatore comunitario è intervenuto in maniera più incisiva nello specifico settore della
tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, ad
esempio con:
. la Direttiva del Consiglio, del 29 maggio 1990, n. 90/
270/Cee relativa alle prescrizioni minime in materia di
sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su
attrezzature munite di videoterminali;
. la Direttiva del Consiglio, del 19 ottobre 1992, n. 92/
85/Cee concernente l’attuazione di misure volte a pro-
muovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in
periodo di allattamento;
. la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 29 aprile 2004, n. 2004/40/Ce sulle prescrizioni
minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione
dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici);
. la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 5 aprile 2006, n. 2006/25/Ce sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione
dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (radiazioni ottiche artificiali).
La Legge quadro n. 36 del 2001 assolve ad una triplice finalità:
a) assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle
lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici;
b) promuovere la ricerca scientifica per la valutazione
degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela per i rischi connessi all’esposizione ai campi
elettromagnetici;
c) assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e
promuovere l’innovazione tecnologica e le azioni di
risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili.
A tali obiettivi corrispondono le tre tipologie di strumenti
previsti dalla legge per assicurare la protezione dall’inquinamento elettromagnetico: i limiti di esposizione, i valori
di attenzione e gli obiettivi di qualità, la cui individuazione
è rimessa allo Stato, principalmente, e alle Regioni.
In attuazione della legge n. 36 del 2001 sono stati emanati due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri,
di pari data (8 luglio 2003), che hanno fissato i limiti di
esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità:
a) per la protezione dai campi a bassa frequenza (50Hz)
generati da elettrodotti; b) per la protezione dai campi ad
alta frequenza, tra 100 kHz e 300 GHz (3).
Nota:
(3) Occorre altresı̀ rammentare, benché non siano atti normativi, i due decreti
direttoriali del Ministero dell’ambiente aventi pari data 29 maggio 2008, recanti «Approvazione della metodologia di calcolo per la determinazione delle
fasce di rispetto per gli elettrodotti» e «Approvazione delle procedure di misura e valutazione dell’induzione magnetica». Per approfondimenti si veda:
– P. Bevitori (a cura di), Inquinamento elettromagnetico, Rimini, 2011.
In generale sulla disciplina giuridica dell’inquinamento elettromagnetico si
veda:
– E. Cicigoi, Inquinamento elettromagnetico (voce), in Ambiente, inquinamento, responsabilità. Enciclopedia degli enti locali, vol. IV, diretta da V.
Italia, Milano, 2009;
– M. Ceruti, Inquinamento elettromagnetico, in Codice dell’ambiente (a cura
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La legge quadro costituisce il primo testo normativo italiano a richiamare esplicitamente il principio di precauzione (art. 1, comma 1, lett. b). In effetti la tutela dagli effetti
nocivi delle radiazioni elettromagnetiche rappresenta uno
dei campi di elezione dell’approccio precauzionale, che
impone all’Autorità pubblica di intervenire per scongiurare un potenziale pregiudizio per la salute o per l’ambiente
anche in assenza di informazioni scientifiche certe sulla
pericolosità di un’attività antropica, adottando misure, altamente discrezionali, per la gestione politica di un rischio che incombe sulla collettività.
Ancora oggi, infatti, non si dispone di certezze scientifiche sul tipo e l’entità di danni provocati dalle onde
elettromagnetiche, soprattutto nel caso di esposizioni prolungate (4). Nel 2009 il Comitato scientifico dei
rischi sanitari emergenti e recentemente identificati
(SCENIHR) ha affermato che: a) per le radiofrequenze
(RF: da 100 kHz a 300 GHz) è improbabile che l’esposizione porti all’insorgenza di tumori, anche se, specie per i
campi prodotti da telefoni cellulari, la durata di esposizione è inferiore al tempo di induzione di alcuni tipi di cancro
(per cui occorrerebbero studi che analizzino un arco temporale superiore ai dieci anni); nessun effetto si riscontra
per le funzioni sensoriali o cognitive, mentre è stata osservata un’influenza sul sonno e sui tracciati elettroencefalografici; b) per le frequenze intermedie (IF: da 300 Hz a
100 kHz) i dati sperimentali ed epidemiologici sono molto
limitati per cui è necessario incrementare la ricerca, specie sulle esposizioni di lungo periodo, collegate all’attività
lavorativa; c) per le frequenze estremamente basse (ELF:
da 0 a 300 kHz) gli studi epidemiologici rilevano che i
campi elettromagnetici sono possibili agenti cancerogeni, specie per le leucemie infantili, ma non vi sono conferme dagli studi in laboratorio (5).
Più di recente, per le radiofrequenze il Consiglio superiore di Sanità ha ribadito che finora non è dimostrato alcun
rapporto di causalità tra l’esposizione alle emissioni elettromagnetiche e le patologie tumorali e pur tuttavia le
conoscenze scientifiche attuali non consentono di escludere l’esistenza di causalità quando si fa un uso molto
intenso del telefono cellulare (6).
Il panorama delle fonti normative statali comprende
le previsioni del D.Lgs. 1 agosto 2003, 259 («Codice delle
comunicazioni elettroniche»); in particolare gli articoli 87
e ss., che si occupano del procedimento di autorizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica (integrato di recente dalle previsioni del D.L. n. 40 del 2010,
convertito in legge n. 73 del 2010 e del D.L. n. 98 del
2011, convertito in legge n. 111 del 2011, art. 35) nonché
le disposizioni sulla localizzazione degli impianti radiotelevisivi contenute nella già richiamata legge n. 249 del
1997 e nel D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177 («Testo unico
dei servizi di media audiovisivi e radiofonici», in particolare gli artt. 28 e 42).
Altro capitolo è quello delle caratteristiche costruttive
degli apparecchi per mitigare le emissioni elettromagnetiche; sul punto la normativa principale è costituita:
. dal D.Lgs. 6 novembre 2007, n.194, recante «Attuazione della Direttiva n. 2004/108/Ce concernente il
riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative alla compatibilità elettromagnetica e che abroga la direttiva 89/336/CEE»;
. dal D.Lgs. 9 maggio 2001, n. 269, recante «Attuazione
della Direttiva n. 1999/5/Ce riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro
conformità» e smi.
Una precisazione è d’obbligo. I decreti intendono assicurare la compatibilità elettromagnetica dei prodotti ed evitare fenomeni di perturbazione elettromagnetica. L’interesse primario perseguito è quello di uniformare la normativa tecnica sull’immissione in commercio degli apparecchi che, con la produzione di onde elettromagnetiche,
potrebbero alterare il funzionamento di altri dispositivi (o
subire un malfunzionamento per effetto di campi magnetici); la tutela della salute e dell’ambiente è, dunque, un
effetto indiretto e secondario.
Più generale, ma sicuramente rilevante per il tema è la
disciplina Ue sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia, di cui alla Direttiva n. 2009/125/
Ce, trasposta in Italia con D.Lgs. 16 febbraio 2011, n.
15 (7).
L’Italia ha recepito, inoltre, la normativa comunitaria, in
Note:
(continua nota 3)
di S. Nespor e A.L. De Cesaris), Milano, 2003; e più di recente Idem, Lo stato
della normativa e del contenzioso amministrativo in materia di inquinamento elettromagnetico, luglio 2011, disponibile sul sito www.lexambiente.it.
(4) Relazione della Commissione sull’applicazione della Raccomandazione n.
1999/512/Ce, com. n. 532 del 2008 def., cap. 4, disponibile sul sito www.eurlex.eu.
(5) Rapporto sugli effetti sulla salute dei campi elettromagnetici, del 19 gennaio 2009. Il rapporto è disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/health/
ph_risk/committees/04_scenihr/docs/scenihr_o_022.pdf
(6) Il comunicato è disponibile all’indirizzo: http://www.salute.gov.it/attualita/
paDettaglioComunicati.jsp?id=3439. Il CSS fa riferimento al documento diramato il 15 maggio 2011 dell’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro
(IARC) che ha classificato le radiofrequenze come agente possibilmente cancerogeno, per un aumento di rischio di glioma. Tale classificazione (2B possibile cancerogeno) si riferisce ai casi in cui gli studi sugli umani forniscono
prove limitate (limited evidence) di rischio cencerogeno mentre gli studi sugli
animali forniscono prove sufficienti. Per prove limitate si intende l’ipotesi in
cui è osservata una correlazione positiva tra l’esposizione all’agente e il cancro, per cui è credibile, ma non certa un’interpretazione causale (per i dettagli
vedi il Preamble dello IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic
Risks to Humans, disponibile all’indirizzo http://monographs.iarc.fr/ENG/
Preamble/index.php).
(7) Il decreto ha sostituito il precedente D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 201 di
recepimento della direttiva 2005/32/CE.
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precedenza richiamata, sulla sicurezza e la tutela della
salute dei lavoratori, da ultimo con il D.Lgs. 9 aprile
2008, n. 81 «Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro» e smi; per ciò che qui
interessa il riferimento è al Titolo VII sulle attrezzature
munite di videoterminali e al Titolo VIII in tema di agenti
fisici (in particolare il Capo IV sulla protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici e il
Capo V sulla protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a radiazioni ottiche artificiali). Tale disciplina e,
come già chiarito, quella sulla protezione dalle radiazioni
ionizzanti non costituiscono oggetto del presente lavoro.
La disciplina giuridica in tema di inquinamento
elettromagnetico e i nodi problematici
del diritto dell’ambiente
mento degli elettrodotti nell’arco di dieci anni dalla sua
entrata in vigore (con tappe intermedie al 2004 e al
2008); termine che non è stato rispettato per il ritardo
che si è accumulato nell’attività di presentazione e approvazione dei piani e, ancor prima, nella definizione da parte
del Ministero dell’ambiente dei criteri per l’elaborazione e
attuazione dei piani (11).
Altri aspetti di mancata attuazione della Legge quadro si
ricollegano direttamente al principio di informazione in
campo ambientale, nella sua duplice accezione di necessità per la pubblica amministrazione di acquisire dati e
informazione per un’efficace azione di tutela nonché di
obbligo per l’autorità di comunicare al pubblico informazioni chiare, aggiornate e trasparenti sullo stato dell’ambiente, i fattori che possono pregiudicarlo e le misure
attivate per garantirne la tutela.
Sotto il primo profilo rileva la mancata istituzione del Ca-
La mancata attuazione di alcune parti della Legge quadro
Le principali criticità del panorama giuridico italiano in
tema di elettrosmog riguardano essenzialmente due profili: l’attuazione della Legge quadro nella parte in cui impone il risanamento delle infrastrutture esistenti - aspetto
su cui si registra del ritardo rispetto ai tempi normativamente previsti - e l’informazione alla popolazione sui rischi connessi agli impianti e alle apparecchiature che
generano radiazioni elettromagnetiche, giudicata molto
carente dalla rilevazione dell’Eurobarometro del giugno
2007 (8).
La legge quadro prevede un adeguamento graduale degli
impianti radioelettrici e degli elettrodotti ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità,
attraverso dei piani di risanamento, adottati, a seconda
della potenza degli impianti, dal Ministero dell’ambiente
o dalle Regioni (o dalle Provincie, a ciò delegate con
legge regionale), su proposta dei gestori (con intervento
sostitutivo dell’Autorità pubblica in caso di inadempienza) (9).
L’art. 11 della legge quadro estende ai procedimenti di
approvazione dei piani di risanamento degli elettrodotti le
disposizioni della legge generale sul procedimento amministrativo, legge 7 agosto 1990, n. 241, in tema di
partecipazione al procedimento amministrativo, ciò in deroga a quanto stabilito, in generale, dalla stessa legge n.
241 del 1990 per l’approvazione degli atti di natura pianificatoria. La giurisprudenza ha precisato come l’art. 9
della legge n. 36 del 2001 esprima una duplice esigenza:
la necessità di instaurare un confronto dialettico con i
gestori e tenere conto, in relazione agli interventi sugli
impianti, delle esigenze operative del servizio di pubblica
utilità (telecomunicazione o distribuzione dell’energia
elettrica) (10).
La legge prevede il completamento dell’attività di risana-
Note:
(8) Disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/
ebs_272a_en.pdf
(9) L’art. 9 della legge n. 36 del 2001 e le leggi regionali di attuazione disciplinano i tempi, le procedure e il contenuto dei piani nonché gli effetti della
mancata approvazione. Si tratta: a) del «Piano di risanamento per impianti
radioelettrici» (definiti dall’art. 4, comma 1, lett. h e che comprendono, ai sensi dell’art. 2, comma 1, gli impianti per telefonia mobile, i radar e gli impianti
per radiodiffusione); b) del «Piano di risanamento per elettrodotti» (definiti
dall’art. 4, comma 1, lett. e, della legge quadro), a sua volta distinto tra b1)
il piano relativo ad elettrodotti con tensione superiore ai 150 kV e b2) il piano
di risanamento di elettrodotti con tensione inferiore o uguale a 150 kV.
(10) Si veda:
– TAR Umbria, sent. 12 maggio 2005, n. 269;
– Idem, sent. 12 maggio 2003, n. 333.
(11) Il mancato risanamento degli elettrodotti, delle stazioni e dei sistemi radioelettrici, degli impianti per telefonia mobile e degli impianti per radiodiffusione, secondo le prescrizioni del piano, dovuto ad inerzia o inadempienza
del gestore, oltre all’irrogazione di sanzioni pecuniarie, determina la disattivazione dell’impianto per un periodo fino a sei mesi, dovendosi in ogni caso
garantire i diritti degli utenti all’erogazione del servizio di pubblica utilità. La
disattivazione è disposta (art. 9, comma 6):
– per gli elettrodotti con tensione superiore a 150 kV, dal Ministro dell’ambiente;
– per gli elettrodotti con tensione inferiore ai 150 kV e per i sistemi radioelettrici (escluse le categorie di impianti di cui alla lettera successiva), dal
Presidente della Giunta regionale;
– in caso di impianti per telefonia mobile e per radiodiffusione e degli impianti per telefonia fissa nonché delle stazioni radioelettriche per trasmissione di dati, del Ministro delle comunicazioni che assicura l’uniforme applicazione della disciplina sul territorio nazionale.
In relazione a quest’ultimo aspetto, va segnalato il potere di cui è titolare il
Dipartimento comunicazione del Ministero dello sviluppo economico di disporre, su impulso delle Regioni, la delocalizzazione degli impianti radiotelevisivi che superano i limiti di esposizione (art. 28, D.Lgs. n. 177 del 2005). Il
trasferimento avviene a spese del titolare dell’impianto in uno dei siti previsti
dal Piano nazionale di assegnazione delle frequenze. Tale Piano, approvato
dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni fissa il numero delle reti e
dei programmi irradiabili in ambito nazionale e locale, indicando le diverse
postazioni di emissione (art. 2, legge n. 249 del 1997; art. 42, D.Lgs. n. 177
del 2005).
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tasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici che dovrebbe operare, in coordinamento con i catasti regionali, al fine di
rilevare i livelli di campo presenti nell’ambiente.
Per quanto attiene l’informazione al pubblico, l’art. 12
della Legge quadro prevede l’emanazione di un decreto
del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e
del Mare che stabilisca le informazioni che i fabbricanti di
apparecchi e dispositivi, in particolare di uso domestico,
individuale o lavorativo, generanti campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sono tenuti a fornire agli utenti,
ai lavoratori e alle lavoratrici, mediante apposite etichettature o schede informative. Le informazioni devono riguardare, in particolare, i livelli di esposizione prodotti
dall’apparecchio o dal dispositivo, la distanza di utilizzo
consigliata per ridurre l’esposizione al campo elettrico,
magnetico ed elettromagnetico e le principali prescrizioni
di sicurezza. Con lo stesso decreto sono individuate le
tipologie di apparecchi e dispositivi per i quali non vi è
emissione di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, o per i quali tali emissioni sono da ritenersi cosi
basse da non richiedere alcuna precauzione.
Tale decreto non è mai stato emanato e ciò è particolarmente indicativo di come la comunicazione del rischio e l’individuazione del rischio «accettabile» al fine
di adottare misure precauzionali si influenzino vicendevolmente. Comunicare il rischio è di per sé un’azione
precauzionale (Comunicazione della Commissione del 2
febbraio 2000, in tema di precauzione: «la decisione
d’informare l’opinione pubblica sui possibili effetti negativi di un prodotto o di un procedimento possono costituire atti ispirati dal principio di precauzione»), ma non
sfugge come la percezione che del rischio ha l’opinione
pubblica influisce sull’attività di determinazione del rischio accettabile che spetta al potere politico, e, di conseguenza, sulla scelta delle ulteriori misure cautelari da
intraprendere per gestire il rischio (12) (su questi temi
infra).
La distribuzione di competenze tra i diversi livelli
di governo
Uno degli aspetti più qualificanti dell’attuale produzione
giuridica è costituita dalla risposta alla sfida lanciata dalla
revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione sulle
autonomie territoriali (legge costituzionale n. 3 del
2001); la scommessa è quella di realizzare un reale modello di «pluralismo istituzionale paritario» (13), connotato da un’innovazione qualitativa della legislazione regionale e un incremento di efficienza dell’amministrazione
locale. La disciplina della tutela dalle onde elettromagnetiche ha costituito uno dei primi banchi di prova della
riforma costituzionale, almeno sotto due profili: a) riparto
di potestà legislativa tra Stato e Regioni alla luce del
«rebus» delle materie di cui all’art. 117 Cost. (14); b)
riconoscimento e delimitazione del potere regolamentare
dei Comuni (artt. 114 e 117, comma VI, Cost.).
In ordine al primo aspetto, la Corte costituzionale, nell’ambito del contenzioso tra Stato e Regioni successivo alla modifica del Titolo V, ha avuto modo di
definire i limiti del potere delle Regioni di fissare
criteri localizzativi, standard urbanistici e prescrizioni per gli impianti che producono campi elettromagnetici.
Anzitutto, le Regioni non possono stabilire valori-soglia
più rigorosi di quelli statali, poiché questi ultimi costituiscono
«il punto di equilibrio tra le esigenze contrapposte di
evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche e di realizzare impianti necessari al Paese»,
che spetta allo Stato individuare. Per quanto attiene, diversamente, ai criteri localizzativi e standard urbanistici,
le Regioni devono intervenire nel rispetto delle esigenze
della pianificazione nazionale degli impianti e non devono
introdurre misure che, nel merito, siano tali da impedire
od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento delle infrastrutture di comunicazione o energetiche (Corte cost.,
sent. n. 307 del 2003; vedi anche sent. n. 103 del 2006).
In altri termini, i criteri localizzativi per essere legittimi
non devono trasformarsi in limitazioni alla localizzazione, ossia impedire, di fatto, la localizzazione degli impianti (come nel caso della previsione di distanze minime
anche in luoghi molto urbanizzati), ma devono consentire
una sempre possibile localizzazione alternativa (come nel
caso del divieto di installazione in corrispondenza di aree
sensibili come ospedali o asili, Corte cost., sent. n. 331
del 2003, ovvero in aree limitate del territorio, Corte
cost., sent. n. 303 del 2007).
La legislazione regionale sul punto è molto eterogenea e non mancano i divieti di localizzazione che interessano edifici scolastici e sanitari (in alcuni casi sono fatte
salve piccole antenne, legge regionale, Lombardia, 11
Note:
(12) Sotto il profilo dell’informazione al pubblico vanno rammentati i decreti
legislativi n. 194 del 2007 e n. 269 del 2001 sulla conformità e sulla compatibilità elettromagnetica dei prodotti, con l’avvertenza, già segnalata, che l’interesse primario che essi tutelano è la libera circolazione delle merci, per cui
le informazioni imposte al produttore (o a colui che immette in commercio il
dispositivo) riguardano essenzialmente il corretto utilizzo dell’apparecchio.
(13) L’espressione è di
– M. Cammelli, Amministrazione (e interpreti) davanti al nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2001, 1274;
– Idem, I raccordi tra livelli istituzionali, in Le istituzioni del federalismo,
2001, 1079 e segg.
(14) Su cui si consenta il rinvio a:
– A. Borzı̀, I nomina delle «materie» nella giurisprudenza costituzionale:
spunti ricostruttivi, in G. Verde, S. Pajno (a cura di), Studi sulle fonti del
diritto, Milano, 2010, 17 e segg.
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maggio 2001, n. 11, art. 4) immobili di interesse storico e
culturale (in alcuni casi è prevista l’approvazione della
Soprintendenza, legge regionale, Friuli-Venezia Giulia,
16 dicembre 2004, n. 28, art. 8), i parchi urbani e finanche
le aree destinate ad attrezzature sportive (es. legge regionale, Emilia-Romagna 32 ottobre 2000, n. 30, art. 4;
legge regionale, Marche 13 novembre 2001, n. 25, art.
7).
La maggior parte delle attribuzioni di Comuni e Province
sono disciplinate dalla legislazione regionale; l’art. 8 della
Legge quadro, infatti, conferisce alle Regioni il potere di
definire, nell’ambito delle proprie attribuzioni, le competenze che spettano alle amministrazioni locali; cosı̀ alcune Regioni affidano alle Province il compito di approvare
il Piano di risanamento degli elettrodotti (es. Abruzzo,
Emilia-Romagna, Piemonte) o di pianificare la localizzazione degli impianti di radiodiffusione (es. Abruzzo, EmiliaRomagna).
La legge quadro fa espresso riferimento alle amministrazioni provinciali e comunali in tema di vigilanza e controllo
e all’art. 8, comma 6, attribuisce al Comune il potere di
adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
La giurisprudenza ha chiarito i limiti del potere regolamentare dell’ente locale.
In generale il Comune non può porsi come obiettivo (anche se non dichiarato, ma evincibile dal contenuto dell’atto regolamentare) quello di preservare la salute umana dalle emissioni elettromagnetiche essendo tale materia attribuita alla legislazione concorrente Stato-Regioni (15).
Seguendo tale impostazione, all’ente locale è stata riconosciuta la possibilità di introdurre, sotto il profilo urbanistico, regole a tutela di zone e beni di particolare
pregio paesaggistico-ambientale o storico-artistico, ovvero, per quanto riguarda la minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, di individuare di siti
che per destinazione d’uso e qualità degli utenti possano
essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche (16). Per lo stesso ordine di motivi, il Comune non
può introdurre limitazioni e divieti generalizzati riferiti alle zone territoriali omogenee, né distanze fisse, da
osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla
permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino, quando tale potere sia rivolto a disciplinare la compatibilità dei detti impianti con la tutela della salute umana al
fine di prevenire i rischi derivanti dall’esposizione della
popolazione a campi elettromagnetici, anziché a controllare soltanto il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a disciplinare profili tipicamente urbanistici (17).
In alcune Regioni (es. Abruzzo, Emilia-Romagna, Liguria,
Molise, Piemonte, Toscana) è fatto obbligo al gestore
telefonico di comunicare al Comune, con cadenza annuale, il proprio programma di sviluppo della rete. La
previsione di tale strumento, ad avviso della giurisprudenza, non è illegittima in sé,
«in quanto risponde a criteri di razionalità dell’azione
amministrativa l’esigenza di introdurre criteri minimi di
conoscenza preventiva e di pianificazione dell’installazione degli impianti al fine di orientare l’attività amministrativa di controllo preventivo urbanistico edilizio,
nonché ambientale, in merito all’assentibilità delle installazioni delle stazioni radio base»,
ma finisce per contrastare con i principi fondamentali di
celerità e semplificazione amministrativa, espressi dal
Codice delle comunicazioni elettroniche, se al gestore
non è consentito aggiornare il programma nel corso dell’anno (18).
Tutela dai campi elettromagnetici e semplificazione
amministrativa
Altra questione cruciale del diritto dell’ambiente è costituita dal rapporto tra l’esigenza di tutelare efficacemente
l’ecosistema e l’opportunità di introdurre moduli di semplificazione procedimentale per promuovere altri interessi costituzionalmente tutelati, quali la libertà di iniziativa
economica o la libertà di comunicazione, nel caso di impianti di telefonia o di diffusione di altri media.
In linea generale il nostro ordinamento considera l’ambiente un interesse sensibile, meritevole di una tutela
rafforzata: la legge generale sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del 1990) esclude, di regola, l’applicazione di moduli di semplificazione procedimentale
Note:
(15) Si veda:
– Consiglio di Stato, sent. 6 settembre 2010, n. 6473;
– Idem, sent. 24 settembre 2010, n. 7128.
(16) Si veda:
– Consiglio di Stato, sent. 3 marzo 2010, n. 1017;
– TAR Umbria, sent. 15 novembre 2011, n. 367.
(17) Si veda:
– Consiglio di Stato, sent. 16 settembre 2011, n. 5165 per cui le localizzazioni non devono risultare ostative per il buon funzionamento degli impianti, alla cui corretta collocazione corrispondono rilevanti interessi pubblici;
– TAR Lombardia-Milano, sent. 22 aprile 2011, n. 1043;
– TAR Molise, sent. 7 aprile 2011, n. 176;
– TAR Toscana, sent. 17 febbraio 2011, n. 335;
– Idem, sent. 14 febbraio 2011, n. 299;
– TAR Puglia-Bari, sentenza 10 febbraio 2011, n. 241;
– Consiglio di Stato, sent. 15 luglio 2010, n. 4557;
– Idem, sent. 2 novembre 2007, n. 5673;
– Idem, sent.14 febbraio 2005, n. 450.
(18) Si veda:
– TAR Toscana, sent. 26 luglio 2006, n. 3236;
– Corte cost., sent. n. 303 del 2007 sul Piano comunale previsto dalla legge
regionale Friuli-Venezia Giulia n. 28 del 2004.
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quando la tutela dell’ambiente viene in gioco nell’ambito
dell’attività amministrativa (19). Nella stessa direzione si
muove la giurisprudenza comunitaria che nell’autorizzazione preventiva e a tempo determinato delle attività impattanti identifica la forma paradigmatica di strumento di
tutela dell’ambiente (20).
Ciò nondimeno la disciplina giuridica in tema di elettrosmog, proprio per gli interessi costituzionalmente protetti
che vengono in gioco, contempla il ricorso a strumenti di
semplificazione procedimentale; è il caso del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003)
che intende garantire i diritti inderogabili di libertà delle
persone nell’uso dei mezzi di comunicazione elettronica,
nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio
in regime di concorrenza, nel settore delle comunicazioni
elettroniche (attività definita di preminente interesse
generale, art. 3) (21).
L’impianto viene autorizzato previo accertamento, da parte dell’organo tecnico deputato al controllo - l’Agenzia
regionale per la protezione dell’ambiente - della compatibilità del progetto presentato con i limiti di esposizione, i
valori di attenzione e gli obiettivi di qualità (22).
Il procedimento si caratterizza per la celerità e il ricorso ai
seguenti strumenti di semplificazione procedimentale:
a) la conferenza di servizi tra tutte le amministrazioni
interessate, con approvazione a maggioranza dei presenti che sostituisce, ad ogni effetto, gli atti di competenza delle singole amministrazioni e vale altresı̀
come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità
ed urgenza dei lavori;
b) la denuncia di inizio attività per impianti, con tecnologia UMTS od altre, con potenza in singola antenna
uguale od inferiore ai 20 Watt (fermo restando il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione
e degli obiettivi di qualità);
c) il silenzio-assenso, decorsi novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda,
sempre che non sia intervenuto il motivato dissenso
di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale,
alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico (23).
Com’è noto il D.L. n. 40 del 2010, convertito in legge n.
73 del 2010, ha inserito l’art. 87 bis che prevede una
denuncia di inizio attività a trenta giorni per l’installazione
di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre
tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici
preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive. La ratio della norma sta nell’operare una semplificazione burocratica rispetto ad interventi da realizzare su
installazioni già oggetto di assenso da parte della
P.A. (24), di talché non pare che la sua applicabilità possa
essere condizionata dall’identità del soggetto titolare dell’autorizzazione dell’impianto con colui che intende installarvi apparati con tecnologia UMTS (o effettuare altri in-
terventi comunque ricompresi nell’ambito oggettivo di
applicazione della norma).
Occorre inoltre dar conto dell’art. 35 del D.L. n. 98 del
2011, convertito in legge n. 111 del 2011, che si propone
«di ridurre gli adempimenti amministrativi e semplificare la realizzazione di impianti radioelettrici di debole potenza e di ridotte dimensioni».
Il comma 4 prevede una comunicazione all’ente locale e
all’ente di controllo (ARPA) contestuale all’attivazione di
impianti con potenza massima in singola antenna inferiore o uguale a 7 watt e con dimensione della superficie
radiante non superiore a 0,5 metri quadrati, nei seguenti
casi:
1. modifiche degli impianti di cui all’art 87;
2. procedure semplificate per determinate tipologie di
impianti di cui all’articolo 87 bis;
3. procedure per le istallazioni:
a. di impianti radio per trasmissione:
i. punto-punto;
Note:
(19) Si vedano gli artt. 16, comma 3; 17, comma 2; 19 e 20 della legge n. 241
del 1990; sul punto, per tutti:
– G. Morbidelli, Il regime amministrativo speciale dell’ambiente, in Scritti in
onore di Alberto Predieri, Milano, 1996, vol. II, 1121 e segg.
(20) Nell’ambito degli strumenti di comando e controllo, ad esclusione delle
misure di carattere volontario; su questi temi e su una panoramica della normativa di settore si veda:
– S. Grassi, Procedimenti amministrativi e tutela dell’ambiente, in M.A. Sandulli, (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2010, spec.
1290-1296.
(21) La Corte costituzionale nella sentenza n. 336 del 2005 ha individuato
nelle norme procedimentali che introducono regole di semplificazione amministrativa dei principi fondamentali della materia, in considerazione della pluralità delle esigenze e dei valori di rilevanza costituzionale che vengono in
gioco e dell’esistenza di un preciso vincolo comunitario ad attuare un vasto
processo di liberalizzazione del settore, armonizzando le procedure amministrative ed evitando ritardi nella realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica (p. 12.1. del Considerato in diritto).
(22) Sul ruolo dell’ARPA vedi Consiglio di Stato, sent. 6 settembre 2010, n.
6473 per cui il deposito del parere preventivo favorevole dell’Arpa non è prescritto per la formazione del titolo edilizio ovvero per l’inizio dei lavori, ma
solo per l’attivazione dell’impianto; sugli effetti della comunicazione del parere negativo dell’ARPA, vedi ora l’art. 87, comma 9, del D.Lgs. n. 259 del
2003, come modificato dall’art. 35 del d.l. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 del 2011 (infra).
(23) È bene ribadire che il comma 5 dell’art. 35, cit. ha integrato il comma 9
dell’art. 87 equiparando alla comunicazione del provvedimento di diniego
quella del parere negativo dell’organo di controllo. Sugli effetti dello spirare
del termine relativi alla formazione del titolo abilitativo e in relazione alla necessità di operare in autotutela prima di emanare un provvedimento demolitorio vedi:
– Consiglio di Stato, sent. 16 settembre 2011, n. 5165, cit.;
– TAR Puglia-Bari, sent. 16 settembre 2011, n. 1361;
– TAR Lazio-Roma, sent. 7 marzo 2011, n. 2039.
(24) Analogamente a quanto è previsto dal comma 4 sexies e segg. dell’art. 1
sexies del D.L. 29 agosto 2003, n. 239, convertito con modificazioni nella legge 27 ottobre 2003, n. 290 e smi per gli interventi in variante su elettrodotti
della rete elettrica nazionale, soggetti a denuncia di inizio attività.
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ii. punto-multipunto;
b. di impianti radioelettrici per l’accesso a reti di comunicazione ad uso pubblico.
La tensione di fondo tra esigenze di tutela e necessità di
promuovere lo sviluppo delle infrastrutture di comunicazione (ed energetiche) si rivela in alcuni dubbi interpretativi sorti nella prassi.
Si pensi al rapporto con i titoli abilitativi edilizi di cui al
D.P.R. n. 380 del 2001 («Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia») e alla legislazione regionale in materia di governo del territorio. Sul
punto la giurisprudenza (costituzionale e amministrativa)
è ferma nel considerare i procedimenti di cui al Codice
delle comunicazioni elettroniche sostitutivi dei titoli edilizi, con ciò escludendo che possa imporsi un ulteriore iter
procedimentale per ottenere il permesso di costruire
giacché verrebbero di fatto vanificati i principi ispiratori
del Codice delle comunicazioni elettroniche, in particolare quelli della previsione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto
di installazione e della riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti, nonché della regolazione uniforme dei medesimi (25).
Più di recente si è posta la questione se la dichiarazione
di inizio attività, prevista dagli artt. 87 e 87 bis del Codice,
dovesse lasciare spazio alla SCIA, la segnalazione certificata di inizio attività, introdotta in sostituzione della DIA
dall’art. 49, comma 4 bis del D.L. n. 78 del 2010, convertito nella legge n. 122 del 2010 (26). Sul punto la giurisprudenza è orientata nel senso di valorizzare il carattere
di specialità delle norme del D.Lgs. n. 259 del 2003 rispetto alle previsioni edilizie, evidenziando, ancora una
volta,
«la sostanziale esigenza di semplificazione» sottesa
alla disciplina in tema di comunicazioni elettroniche
«che risulterebbe vanificata dall’applicabilità della
SCIA» (27).
Sul tema ci si limita ad osservare che andrebbe indagato
non tanto il rapporto tra norme del Codice delle comunicazioni elettroniche e norme edilizie, bensı̀ l’impatto della
clausola sostitutiva prevista dall’art. 49, cit. rispetto alle
previsioni del D.Lgs. n. 259 del 2003. L’impiego del criterio di specialità, operato dalla giurisprudenza, ha paralizzato il dispiegarsi degli effetti sostituitivi previsti dalla
norma generale, con ciò dando consistenza alle tesi che
vedono nell’introduzione di disposizioni di rango costituzionale, in particolare nella modifica dell’art. 41 Cost., la
strada maestra per attuare interventi radicali ed efficaci di
semplificazione amministrativa (28).
Altro aspetto rilevante della disciplina dei procedimenti
autorizzatori di impianti che producono emissioni elettromagnetiche è costituito dal ricorso ad autorizzazioni c.d.
uniche o, in ogni caso, produttive di effetti sostitutivi
degli atti di competenza delle molteplici amministrazioni
coinvolte, a vario titolo, nel procedimento (29).
Oltre alle previsioni dell’art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche, in precedenza richiamato, occorre
considerare il regime dell’autorizzazione alla costruzione
e all’esercizio di elettrodotti facenti parte della rete elettrica nazionale. L’art. 1 sexies del D.L. 29 agosto 2003, n.
239, convertito con modificazioni nella legge 27 ottobre
2003, n. 290 e smi prevede che la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti, nonché delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi,
siano soggetti ad un’autorizzazione unica rilasciata dal
Ministero dello Sviluppo economico di concerto con il
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare e previa intesa con la Regione o le Regioni interessate. L’autorizzazione è unica in quanto sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla risoluzione
delle interferenze con altre infrastrutture esistenti, costituendo titolo a costruire e ad esercire tali infrastrutture,
opere o interventi, in conformità al progetto approvato.
L’autorizzazione comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori ai fini di un even-
Note:
(25) Si veda:
– Corte cost., sent n. 129 del 2006 e ord. n. 203 del 2006;
– Consiglio di Stato, sent.15 luglio 2010, n. 4557;
– Idem, sent. 12 gennaio 2011, n. 98;
– TAR Sicilia-Palermo, sent. 2 febbraio 2011, n. 194.
Ciò non implica che «sia cancellata l’incidenza delle installazioni stesse sotto il
profilo urbanistico-edilizio», come ha chiarito Consiglio di Stato, sentenza 16
settembre 2011, n. 5165, cit.
(26) L’intervento legislativo ha riguardato, com’è noto, l’art. 19 della legge n.
241 del 1990. Più in generale nei primi mesi di vigenza della SCIA ci si è chiesti se la sostituzione automatica riguardasse anche la DIA edilizia (in senso
positivo si è espresso il Ministro per la Semplificazione, con la nota P.C.M.
del 16 settembre 2010); la questione è stata definitivamente risolta, a favore
dell’effetto sostitutivo, con l’art. 5 del D.L. n. 70 del 2011, convertito in legge
n. 106 del 2011.
(27) Si veda:
– TAR Lombardia - Milano, sent. 22 giugno 2011, n. 1660.
(28) Il riferimento è al d.d.l. costituzionale di iniziativa governativa recante
«Modifiche agli articoli 41, 97 e 118, comma quarto, della Costituzione» attualmente giacente alla Camera (p.d.l. n. 4144).
(29) Numerosi sono gli esempi nel nostro ordinamento: il provvedimento di
approvazione del progetto di bonifica dei siti di interesse nazionale (art.
252 del D.Lgs. n. 152 del 2006); l’autorizzazione per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti (art. 208, comma 6, D.Lgs. n. 152 del 2006); l’autorizzazione unica alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili (art. 12, comma 3, del D.Lgs. n. 387
del 2003); l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di energia elettrica di potenza superiore ai 300MW (art. 1, comma 3, D.L. n. 7 del
2002 convertito in legge n. 55 del 2002); il permesso di ricerca e la coltivazione di idrocarburi su terraferma (vedi art. 1, comma 82, legge n. 239 del
2004); l’autorizzazione integrata ambientale (laddove comprenda l’autorizzazione ex art. 208 del TUA).
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tuale procedimento espropriativo (30) e costituisce variante urbanistica (31).
Si tratta, come ha avuto modo di sottolineare la Corte
costituzionale, di
«fattispecie nelle quali alcuni atti espressivi delle
scelte urbanistiche dei Comuni cedono dinanzi agli
atti finali dei procedimenti adeguatamente partecipati di determinazione dei lavori pubblici di interesse
generale»
non rilevando alcuna violazione dei principi costituzionali (32). La cura degli interessi pubblici perseguiti attraverso moduli procedimentali accelerati e semplificati, quali
le c.d. autorizzazioni uniche, giustifica la compressione
delle funzioni comunali in materia di governo del territorio
- anche di organi elettivi quando trattasi di variante urbanistica - a condizione che venga garantita la partecipazione dell’ente locale e, quindi, la rappresentazione all’interno del procedimento dell’interesse pubblico di cui è portatore.
I problemi riconnessi al ricorso alle autorizzazioni uniche
attengono al rapporto con le norme generali sul procedimento amministrativo, in particolare quelle sulla conferenza di servizi (art. 14 e ss. della legge n. 241 del 1990),
soprattutto con riguardo alle modalità di risoluzione dei
conflitti che dovessero insorgere tra le diverse amministrazioni pubbliche coinvolte nel procedimento. In linea
generale, anche per ciò che concerne la disciplina della
conferenza di servizi nell’ambito di uno specifico procedimento amministrativo, la relazione tra norme generali e
previsioni di settore è risolta sulla base del principio di
specialità, con la prevalenza delle seconde sulle prime (33); quanto alla disciplina del dissenso in conferenza
di servizi, in giurisprudenza l’orientamento prevalente è
quello di considerare le c.d. autorizzazioni uniche come
provvedimenti monostrutturati e, di conseguenza, di inquadrare la conferenza di servizi in termini di conferenza
istruttoria (34).
Se con riferimento a questi temi si dirige lo sguardo ai
procedimenti relativi ad impianti che emettono onde elettromagnetiche è possibile svolgere due ordini di considerazioni.
Anzitutto la disciplina della conferenza di servizi si discosta, per taluni aspetti, dal modello generale (quale risulta
a seguito delle modifiche apportate con legge n. 15 del
2005):
a) l’art. 87, cit. prevede l’approvazione a maggioranza dei
presenti a differenza dell’art. 14 ter, comma 6 bis, che
fa riferimento alle posizioni prevalenti espresse nell’ambito della conferenza (35);
b) il medesimo art. 87 prevede l’approvazione ad opera
della conferenza di servizi, mentre le norme generali,
almeno sino alle modifiche intervenute con legge n.
122 del 2010, contemplavano un ulteriore atto del-
l’amministrazione procedente conforme al verbale di
conferenza (36).
Ciò che preme sottolineare è, ad ogni modo, la previsione di specifiche modalità di superamento del dissenso
tra amministrazioni coinvolte nel procedimento, sia mediante il rinvio alle norme generali (è il caso dell’art. 87,
cit., commi 7 e 8) sia attraverso soluzioni più originali,
Note:
(30) Vedi l’art. 12, comma 1, lett. b), del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 («Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità»), per cui
«La dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta... in ogni caso,
quando in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica
utilità l’approvazione di uno strumento urbanistico, anche di settore o attuativo, la definizione di una conferenza di servizi o il perfezionamento di
un accordo di programma, ovvero il rilascio di una concessione, di una
autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti».
(31) Anche in questo caso con riflessi sul procedimento espropriativo, attesa
la previsione dell’art. 9, comma 1 del D.P.R. n. 327 del 2001.
(32) Si veda:
– Corte cost., sentenza n. 6 del 2004, par. 8 del Considerato in diritto.
(33) Si veda:
– G. Pagliari, La Conferenza di servizi, in M.A. Sandulli, (a cura di), Codice
dell’azione amministrativa, cit., 608.
(34) Sul collegamento tra natura della conferenza e disciplina del dissenso,
nel senso che le norme sul dissenso trovano applicazione unicamente per
la conferenza decisoria vedi Consiglio di Stato, ordinanza 6 marzo 2001,
sez. VI, n. 1529. Sulla conferenza di servizi nell’ambito delle autorizzazioni
uniche:
– S. Beltrame, La partecipazione del Comune alla conferenza di servizi, ex
art. 27 D.Lgs. n. 22/1997: profili strutturali e funzionali, in Riv. giur.
amb., 2001, 652 e segg. nonché
– TAR Toscana, sent. 13 luglio 2007, n. 2045 per l’autorizzazione relativa ad
impianti di smaltimento e recupero di rifiuti;
– Consiglio di Stato, sent. 4 giugno 2004, n. 3502;
– TAR Campania-Salerno, sent. 19 dicembre 2006, n. 2233;
– TAR Puglia-Bari, sent. 24 settembre 2009, n. 2102 per l’autorizzazione unica alla costruzione di impianti di produzione di energia elettrica con potenza superiore ai 300MW termici;
– TAR Campania-Napoli, sent. 15 gennaio 2010, n. 157;
– Consiglio di Stato, sent. 17 gennaio 2011, n. 200 nonché M. Borgo, Parere
reso in via ordinaria del 23 marzo 2009, prot. 94151 - disciplina del dissenso in materia di autorizzazione per la costruzione e manutenzione di
impianti alimentati a fonti rinnovabili, in Rassegna dell’Avvocatura dello
Stato, 1/2010, 215 per l’autorizzazione unica di impianti di produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili.
In analoga direzione si è mosso il legislatore ambientale con il decreto correttivo sulla VIA, D.Lgs. n. 128 del 2010, laddove ha qualificato espressamente
la conferenza di servizi come «istruttoria» e ha introdotto all’art. 25 del D.Lgs.
n. 152 del 2006, il comma 3 bis che abilita l’autorità competente a provvedere
secondo quanto stabilito dal successivo art. 26 qualora le amministrazioni invitate in conferenza non si siano espresse nei termini ivi previsti ovvero abbiano manifestato il proprio dissenso.
(35) Non è un unicum in campo ambientale: vedi l’art. 242, D.Lgs. n. 152 del
2006, in tema di bonifica dei siti contaminati, nonché l’art. 208, D.Lgs. n. 152
del 2006, relativo agli impianti di recupero e smaltimento di rifiuti (la regola
della maggioranza è stata tenuta ferma anche dal recente D.Lgs. n. 205 del
2010, successivo alla legge n. 122 del 2010).
(36) Su questo tema, per un esame della giurisprudenza, si veda:
– M. Santini, Note sparse sulla giurisprudenza in tema di conferenza di servizi, in Urbanistica e appalti, 2008, 1, 20 e segg.
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quale l’indizione di un apposito comitato interistituzionale
qualora non si arrivi alla definizione dell’intesa con la Regione o le Regioni interessate per il rilascio dell’autorizzazione relativa agli elettrodotti della rete nazionale (art. 1
sexies, comma 4 bis, D.L. n. 239 del 2003, convertito in
legge n. 290 del 2003) (37).
(Continua nel prossimo numero)
LIBRI
Nota:
(37) Ove non si pervenga ancora alla definizione dell’intesa si provvede all’autorizzazione con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del presidente della Regione o delle Regioni interessate, su proposta del Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti.
Responsabilità per danno all’ambiente
e bonifica dei siti contaminati
Luca Prati
II edizione, Anno 2011, pag. 224, E 36,00
Il tema del danno ambientale, unitamente a quello ad esso strettamente connesso della
messa in sicurezza, bonifica e ripristino dei siti contaminati, rappresenta una delle questioni
più complesse ed al tempo stesso più importanti dell’attuale disciplina giuridica dell’ambiente.
Ciò specialmente dopo la riforma della materia introdotta dal D. Lgs. 152/2006, a sua volta
ripetutamente emendato anche nei tempi più recenti. È del resto ben noto l’impatto economico che comporta sugli operatori industriali l’introduzione del principio comunitario di precauzione e della ripartizione dei costi ambientali in base al principio «chi inquina paga».
Il volume illustra l’evoluzione del concetto di danno ambientale in ambito nazionale e comunitario ed analizza la normativa vigente sia con riferimento alle problematiche risarcitorie che
a quelle connesse alle procedure che debbono essere attuate per addivenire alla bonifica dei
siti contaminati nel rispetto di quanto stabilito dal Testo Unico dell’ambiente.
Il testo fornisce altresı̀ importanti indicazioni per una corretta ed efficiente gestione delle problematiche ambientali sotto il profilo risarcitorio e ripristinatorio, tanto in ambito amministrativo che giudiziale, anche alla luce della più recente giurisprudenza italiana e comunitaria
STRUTTURA
Capitolo 1 - La nozione legale di ambiente
Capitolo 2 - La responsabilità da danno ambientale
Capitolo 3 - Le azioni di prevenzione e ripristino del danno ambientale
Capitolo 4 - Il risarcimento del danno all’ambiente
Capitolo 5 - La legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale
Capitolo 6 - La responsabilità ambientale nella disciplina sulla bonifica dei siti inquinati
Capitolo 7 - Danno ambientale, responsabilità omissiva e responsabilità per custodia
Capitolo 8 - L’abrogazione dell’art. 18 della legge n. 349/1986 e il regime transitorio
Appendice 1 - Schemi e tabelle
Appendice 2 - Massime di giurisprudenza
Per informazioni
. Servizio Informazioni Commerciali
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2/2012
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