Giornale di Brescia, 2014-03-28
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Giornale di Brescia, 2014-03-28
49 GIORNALE DI BRESCIA VENERDÌ 28 MARZO 2014 CULTURA&SPETTACOLI PIERO CHIARA GIORNALISTA SPORTIVO «Lo Zanzi e il Binda umiltà e grandezza dello sport del pedale» In un volume curato da Alberto Brambilla gli articoli sul ciclismo dello scrittore varesino iero Chiara nutrì sempre viva attenzione per lo sport: egli stesso aveva praticato in gioventùvarieattività sportive, per esempio, frequentando la palestraa Luinoperesercitarsi nelpugilato e nella lotta greco-romana. La suapassione profonda fu peròilciclismo,chelo portòa scriverneoccasionalmente su varie testate (commentò anche per la tv il Giro d’Italia del 1968). Per onorare il centenario della suanascita,loscorso23marzo, Alberto Brambilla - docente universitario che da anni si occupa del rapporto sport cultura - ha avuto la felice idea di recuperare i testi «ciclistici» di Chiara, sepolti nelle pagine di vecchi quotidiani e riviste, e di pubblicarli nellibro«LoZanzi, ilBindae altrestorie su due ruote. Scritti sul ciclismo 1969 - 1985» (Nomos edizioni, pp. 75, euro 9,90). Nel libro ci sono cronache sportive dedicate a grandi corse, ma anche scritti dedicatidal giornalista-scrittore alla nascita del ciclismo, all’epoca dei pionieri, ai campioni diventati leggende e alle grandi corse in linea e a tappe. Dalle pagine di Chiara riemergono grandi campioni del passato come Binda, Gimondi, Merckx e umilipersonaggicome ilvaresinoAugusto Zanzi. Ad Alberto Brambilla, che ha redatto l’ampio e acuto saggio introduttivo, chiediamo: ma chi era questo Zanzi? Lo Zanzi era un ciclista oggi dimenticato ma di una certa levatura. Si chiamava Augusto e, attivo negli anni trenta, partecipò a diversi Giri d’Italiae a un Tour. Chiara ne aveva conosciuto la fama e trasferendosi a Varese lo aveva conosciuto di persona. Peraltro alsuoritiro Zanziaprì unnegozio di biciclette con laboratorio perleriparazioni, chea Varesedivenne un luogo d’incontro di appassionati. Chiara si ricordò dello Zanzi quando, trovandosi a commentare il Giro d’Italia del 1968, forse a corto di argomenti, ebbe l’idea di proporre, a sorpresa,ipronosticidello Zanzirivelatisi per altro spesso azzeccati. Lo Zanzi è anche un simbolo? Lo Zanzi è in primo luogo una geniale trovata, se vogliamo, narrativa, un coup de théatre ad alto effetto anche televisivo… e poi è una sorta di riconoscimento di un amico ad un umile ma importante rappresentante della sua terra varesina. Lei sostiene che gli scritti proposti sono utili per entrare nella «bottega» di Chiara scrittore. Come definisce il suo approccio al mondo delle corse in bicicletta? Chiara è come al solito mosso da curiositàedalla voglia di provarsi suterreni per lui insoliti, soprattutto sul piano della cronaca. Ma direi che si capisce che il suo mestiere è un altro, non riesce ad aderire alla cronaca stretta della giornata ciclistica, ama piuttosto i tempi medio-lunghi della narrazioneatavolino,preferiscedivagare, e in questo discende dalla gran- P Q3VOgFgYOqMxznlrtBvyZ5TzSvhQFlNCuQbO7tMMA84= de tradizione degli scrittori-giornalisti come Buzzati, o Pratolini o Gatto, chiamati«a fare colore» come sidiceva allora, eaparlare delle gare ciclistiche da un punto di vista originale. La «bottega» di Chiara sta appunto nella scrittura (o riscrittura) artigianale dei pezzi, nel loro smontaggio e nella loro ripresa in occasioni diverse, come accadeesemplarmenteper gliarticoli dedicati ad Alfredo Binda. L’articolo intitolato «Ordigno a due ruote», che apre la raccolta, è una brevestoriadellabiciclettaedelciclismo, piena di osservazioni originali e intrise di garbata ironia. Quali la colpiscono in particolare? Micolpisceinprimoluogolastraordinaria capacità di sintetizzare in due paginette secoli di storia, collegando lo sport alla società e all’economia. Poi c’è la consueta abilità stilistica di Chiara che fa il resto. Chiara ha visto nel Giro d’Italia un elementofondantedell’Unitànazionale e insieme «un’opportunità per gli aspiranti alla gloria». Non sono balenanti caratterizzazioni storiche? Direi che colpisce la forza dei concetti e l’incisività con cui sono espressi. Chiara propone di leggere il Giro come una sorta di enciclopedia patria, Lo scrittore e i campioni ■ Nelle fotografie a sinistra: in alto un duello allo sprint tra due campioni mitici dell’epoca pionieristica del ciclismo come Alfredo Binda e Costante Girardengo; sotto altri due protagonisti di leggendarie sfide: Felice Gimondi e Eddy Merckx. Qui sopra: lo scrittore Piero Chiara, grande appassionato, che si occupò di ciclismo anche come giornalista tra il 1969 e il 1985 la possibilità straordinaria di conoscere attraverso la corsa i luoghi e le bellezze del nostro paese. Per di più Chiaracoglie nelciclismolapossibilità per gli umili di emergere, puntando sulla loro forza, sulla fatica… AdAlfredoBindaChiaradedicapagine che fanno emerge l’umanità e la grandezzasemplicedelgrandecampione. È la costante ricerca del vero e dell’autentico che distingue Chiara? La domanda va in un certo senso rovesciata, in quanto è la vita esemplare di Binda, come atleta e come uomo, che si impone. Chiara non può non riconoscere in lui un modello esemplare. È l’uomo che ha dovuto emigrare in Francia per fare fortuna, ma, pur essendo divenuto un cam- pione eccezionale a livello mondiale, non ha mai smesso di essere un uomo misurato ed onesto. Per Chiara ciò lo rende il simbolo del lombardo o ancora di più il simbolo della sua terra d’origine, Binda rappresenta le radici, le stesse a cui Chiara ha da sempreattinto per scrivere le suestorie migliori. Sergio Caroli «Schumi? Il più grande. Antipatico perchè vinceva troppo» Nel libro di Pino Casamassima la storia del pilota che ancora lotta per la vita dopo l’incidente sugli sci Oggi alle 18, alla Libreria Feltrinelli di corso Zanardelli 3 in città, lo scrittore Pino Casamassima presenta il suo libro «Il campione - Storia di Michael Schumacher». tremesidalterribileincidentesulla neve, accaduto il 29 dicembre 2013, ancora non si può fare alcunaprevisionesul futurodiMichaelSchumacher.Unacosasolaècerta:nessunolo dimenticaei suoifan intutto ilmondo sonoinansiaperlui.Un’ansiacondivisaanche da Pino Casamassima, giornalista e scrittorechehaseguitoperannicomeinviato la Formula 1 ed ha pure scritto libri sugli eroidelmondodeimotori.L’ultimodedicato al grande pilota tedesco che lotta per la vita, un libro che ha l’agilità di un instant bookelacompletezza diunsaggio: «IlCampione. Storia di Michael Schumacher» (Sperling & Kupfer, 224 pp. 12,90 euro). Chiediamo a Casamassima in che cosa consistesse la superiorità tecnica di Schumacher. Credochenell’arcodituttalastoriadelcampionato del mondo di Formula Uno, da quando è stato istituito nel 1950, i super campioni, quelli che emergono in maniera clamorosa su tutti gli altri piloti, abbiano dalla loro la coniugazione di due elementi fondamentali: la tecnica e il talento. Però tutto questo andava miscelato con una volontà ferrea, il vero elemento vincente che fa la differenza rispetto agli altri. A Michael Schumacher all’epoca della Ferrari Pensa che Schumacher avesse piena consapevolezza dei suoi mezzi? Direi di sì. Quando arrivò in Formula 1, dimostrò di non avere alcun timore riverenzialeneiconfrontideibaronidell’epoca,primo fra tutti proprio Ayrton Senna. Subito si comportò alla pari con lui, mentre c’erano diversi piloti che quando vedevano Senna negli specchietti retrovisori si spostavano per dargli strada. Lasua grinta, un dono naturale o un carattere costruito? Schumacher fa parte dell’esigua schiera di piloti superiori agli altri, che si contano sulleditadiunamano nellastoriadellaFormula 1. Per Schumacher però dobbiamo fare una precisazione: lui ha vinto sette titoli mondiali e 91 Gran Premi che sono delle cifreche potrebberoappartenereallasceneggiatura di un fumetto più che alla realtà. Schumacher svetta in maniera clamorosa sututti,anchesuFangiofermoacinquetitoli mondiali, Prost a 4 e Senna e Piquet a 3. E stiamo parlando del Gotha della Formula 1. C’è qualcosa che può aver favorito Schumacher nella sua corsa trionfale? La concorrenza. Va riconosciuto - perché le cose vanno sempre contestualizzate - che Schumacherhaavutounaconcorrenzameno agguerrita ad esempio di Senna che se la doveva vedere con piloti come Alain Prost, Nelson Piquet e Nigel Mansell. L’uomo che ha conosciuto, era antipatico, freddoepresuntuosocomemoltiritenevano Schumi? Era il classico ragazzotto tedesco di poche parole. Ma a me non interessava che Schumacher fosse simpatico, che parlasse bene l’italiano o si comportasse da amicone: a me interessava che facesse bene il suo mestiere. A chi tirava fuori le storie di una dimensione umana non molto simpatica di Schumacher, ho sempre ricordato che Caravaggio è stato un criminale e un assassino, Charlie Chaplin era famoso per essere una specie di despota, ma questo a noi che cosa interessa e che cosa cambia della loro arte? Perché la fama di antipatico ha comunque preso piede? A volte si esasperano delle situazioni perché c’è bisogno di rifilare i contorni di un personaggio che non può essere soltanto un uomo infilato in una tuta e in un casco. QuandoarrivòSchumacher,l’orizzontedegli ultimi leoni della Formula 1 si chiuse: ProsteMansell siritirarono,Sennamorì.Finiva un’epoca, ne iniziava un’altra: quella del«Cannibale»,come Schumacherfudefinito, e come tale ha cannibalizzato la Formula 1, così come Merckx fece nel ciclismo. Quasi una beffa assurda, il suo incidente sulla neve? Sì, perché dopo vent’anni in pista rischiando la vita a ogni chilometro e a ogni curva, è atroce che una persona come lui che ha fatto della velocità il motivo della propria esistenza,finiscaincoma perunincidente sulla neve. Andrea Grillini